Telecomando
Vorrei
avere un telecomando di me stesso.
No, non perché mi pesino o non riconosca le responsabilità
o neanche perché la natura si è allontanata da me come da chiunque
altro. E' tardi (lo so, lo sapete e pace) per quello.
Vorrei averlo perché mi piacerebbe vedere di che colore
sono i tasti e poi leggere le diciture accanto ad ognuno.
Mi piacerebbe poi che le stesse ombre veloci che realizzano
le trasmissioni neuronali nel mio corpo realizzassero la trasmissione dal tasto
alla funzione. Senza nessuno a curarsene o a tenere il conto.
E poi vorrei stare a guardarlo all'opera, a guardarmi, direzionato
mentre-sono-guardato e sognando un telecomando per me-mentre-guardo e cercare
di capire se la non sincronizzata sovrapposizione di me con me potrebbe donarmi,
o se al contrario, toglierebbe fascino agli ora regali ora spartani saloni dell'autogiudizio.
E per quel telecomando comprerei un bel cuscino di velluto
bordeaux, e costruirei un piccolo baldacchino a protezione dalla polvere. Poi
lo riporrei sul tavolo basso di vetro, accanto al whiskey e al vino migliore.
E tu saresti invitata, la sera stessa della consegna. Da principio
faticherai a capire il mio entusiasmo. Anni di studi umanistici ti avranno convinta
che non è bello pensarsi come elettrodomestici cartesiani, che insomma
tutta la Bellezza che si può cantare non può avere regolazione
di flusso di corrente, e che soprattutto ogni qualità è, in fondo
in fondo, un'illusione prospettica.
Elencherai qualche altro motivo, e i tuoi occhi luccicosi
ne saranno fieri. E, lo so già, amerò tutte le tue ragioni. Le
amerò per gli stessi motivi per cui tu le schifi.
Poi rideremo quando noterai che sono abbastanza prevedibile
così come sono, senza protesi. Con la coda dell'occhio mi coglierò,
di profilo, ridere sul grande specchio. E se non mi garbasse cercherei il tasto,
attirato dal suo colore e premerei la malinconia.
Premerei la malinconia che tiene calmi, la malinconia che
tiene unite le famiglie e le persone.
Imposterei il timer. Caricherei 50 anni o giù di lì.
Sarebbe meglio che tornare indietro nel tempo, sarebbe meglio
del più bel libro che potessi leggere o della più intensa caramella
ripiena tu potessi ora passarmi; scriverò poesie e le leggerò
alla mensa aziendale.
Con il tastino + farei scorrere il led fino alla destra estrema,
riempendo ogni esitazione. Poi mangerei una Rossana, leggendo la tua vecchia
prima lettera, anzi facendola leggere direttamente a te, come se fossimo in
un film giapponese e io partissi per la guerra sotto la neve e tu nell'altra
metà dello schermo, in semitrasparenza sottotitolassi le cose che mi
mancheranno. Mi mancheranno pur avendole nel taschino della tuta. In sottofondo
una melodia con le magnolie che cadono come fiocchi.
Oppure non lasciarmi solo con il telecomando.
Prendilo adesso, il telecomando. Mettilo nella borsetta.
E quando sarai per strada decidi se nascondermi di averlo
gettato in una canaletta o messo in cassaforte.