New Order, Technique
Quanti
anni può la memoria saltare, quanto lunghi i suoi ponti?
Eccomi qui, in un punto imprecisato di quello ch'un
tempo (ch'ora m'appare come sempre stato) apparve come futuro probabile.
Può capitare che sollevando la persiana (o,
rispettando i differimenti di cui l'uomo è inventore e maestro: masturbando
il sistema di leve e ruote che permette di sollevarla) il cielo si mostri plumbeo
e gli alberelli musealizzati del panorama beccheggino nauseati d'indifferenza.
Allora dalla dispensa di fotoni dell'anima si pesca con mi(se)rabilissima precisione
un vinile dalla fila.
I raggi x dell'immaginario sanno penetrare l'agile involucro:
sotto i colori della copertina, sotto il leggero vestimento della busta interna
e persino oltre il simbolismo frainteso della forma fisica delle note che il
piatto traduce a contatto con il diamante della puntina è come se - ogni
volta che un senso è afferrato - avvenga una *riappropriazione di una
mancanza*.
Questo vinile [Technique, New Order] io lo ricordo
bene; ricordo bene tutto quanto ad esso è appiccicato ben oltre i suoi
intendimenti. Ricordo - seppur non saprei esprimere fedelmente - cosa, nella
mia vita da liceale, il contatto con esso generò.
Io ero perlopiù una statua incompiuta di Michelangelo
aggettante dalle rovine dei Joy Division, ma al contempo (e questa era la cosa
più sorprendente) ero quello che, sondato quel fondo abissale (e avendo
maturato la certezza sentimentale di appartenervi per sempre e nonostante
tutto) aveva trovato nobile far confluire tutte le forze sugli arti inferiori
e superiori per cercare la superficie del mare.
E lì, subito affiorato, avevo trovato il florilegio
di melodie post-house dei New Order.
Ecco, per un attimo provate a fingere che tutto questo
sia un'acquisizione postuma dello spirito che guarda se stesso, aggiungetele
il fatto che ero pieno di brufoli e che di lì a poche settimane Lei mi
avrebbe preso di peso, da 3 anni dell'amicizia più mortalmente intensa
che abbia mai avuto con essere vivente e introdotto per tre giorni nelle stanze
buone dell'amore sensuale; i tre giorni esatti che - appunto - mi servirono
per per diventare tutt'uno con Technique. Dev'essermi persino sembrato
che la *fase della melodia* avesse dato il cambio alla *fase dell'oscuro oracolo*,
nella mia percezione delle cose. [E ora, con Dream attack nelle orecchie
ciò sembra pure postumamente assai verosimile].
Sì, ricordo bene.
Non ho mai forse smesso di vivere quei giorni e di sentire
questo disco pur senza continuare ad ascoltarlo. Ricordarlo è come stare
su un ponte, centinaia di metri sul fiume della mia vita, e bloccare il suo
movimento in uno sguardo fisso come le stelle più lontane: non immobile
perché immobile, ma immobile perché il nostro occhio è
troppo piccolo, e troppo lento.
Così quei tre giorni, misero atollo di memoria
in un oceano senza apparente fine, mi tornano al solo contatto delle orecchie
con Technique.
Ed ogni volta che la puntina si solleva dall'ultimo pezzo della seconda facciata è come se l'insieme di quelle note zuccherine, fattosi marmo, mi precipitasse sulla faccia come fecero, ormai più di 12 anni fa allo scadere del terzo giorno, quando Lei, giudicando sufficiente l'estasi che m'aveva donato come pegno d'una lunga e fedele amicizia, tornò col suo ex.