Corso di sostegno, Lunedì 17 Marzo 2003
in una scatola tagliata per obliquo un campo di teste dal colore smorto sulla
via dell'appassimento. Sfondo di linoleum verde e kenzie di rappresentanza,
indolenti in cima alla fuga prospettica.
Da due giorni il freddo è piombato sulla città e ora sta acquattato
oltre i paraspifferi d'alluminio anodizzato.
Ho preso la penna, scelto qualche parola/margherita da un libro he ne conteneva
molte e aspettato che germogliassero in me. Niente.
Il resto è tutto ancora sfondo, e non è prevedibile nessuna ulteriore
prossimità lungo il filo della biancheria del campo visivo.
Parole e suoni hanno la medesima consistenza, giacciono su scaffali conosciuti.
Sono circondato in prima battuta dal presente; ma non è tutto.
Sfoco lo sguardo e le cose sbiadiscono - la definizione era apparente, così
come ora la sfocatura.
Chi mi osservasse noterebbe una malcelata frenesia: e anche se questo universo
vulcanico lasciasse deflagrare i suoi strati geologici attraverso occhi multicolore
e spirali trivellanti, la lezione del prof.X andrebbe avanti provvista di un'aura
di normalità. Non potrebbe darsi in nessun altro modo.
Oh, ma io sento il chiasso dei bordi, il tamestìo dei confini.
Mio malgrado miro alla frontiera.
Guardo i colleghi professori, circa centocinquanta, e mi giunge diluito il
loro odore corporeo, che tutto insieme è quasi narcotizzante. Niente
per me differenzia questa gentaglia dalla fiumana imperitura di povere anime
che s'incontrano per strada o in televisione e che sono l'immagine stessa della
volgarità del nostro tempo.
Vengo preso da un impulso irresistibile di spalancare le finestre. No, non solo
le finestre dell'aula, ma le finestre d'ogni senso.
Dovrebbero saltare le protezioni dei vestiti, la protezione dell'assorto silenzio
della lezione, e la protezione delle parole con cui bandisco la scena da me.
Scrivo questo provenendo dall'assolutezza, ma poi subito mi ritraggo, storicizzo
e sento un silenzio che deve rimanere tale. V'è una fiammella d'entropia
che brucia ad ogni angolo lentamente, in memoria di ciò che - mai stato
- mai sarà.
Ero certo che prendere la penna, non opporre la minima resistenza a questo
capriccio personalistico avrebbe generato un surplus, un surmenage
d'insofferenza.
La civiltà dei grandi numeri, la città: e vedo come per me altri
siano sfondo, solo sfondo, meri pezzi di un puzzle di pensieri che possono essere
rimossi o spostati senza alterare alcun equilibrio.
E intanto non grida nessuno e l'orologio ticchetta indisturbato, inosservato; e il gas dell'umanità si diffonde a preparare il terreno per il poi; il rincaso, l'autostrada, il quieto spaventarsi reciproco che fonda la società e che soltanto s'acquieta in una cupa domesticità eremitica.