10:15 Saturday night

    Ci sono pensieri che paralizzano e ci sono pensieri che sciolgono. Pensieri che bloccano sul crinale di espressione e silenzio e pensieri che aboliscono l'espressione cedendovi completamente. Talvolta è solo questione di contesti, talvolta è solo questione di coscienza. Spesso il nostro loquire è generato dal fatto che chi ci ascolta potrà solo calare la testa a ogni nostra affermazione, sprovvisto come lo sappiamo di armi tecniche o specifiche argomentazioni inerenti ai luoghi ove lo conduciamo. Spesso quella stessa persona ci interromperà, infastidita o semplicemente annoiata, e inizierà a biasimare il nostro modo di fare in termini così chiari ed evidenti che ci farà sentire accusati, in un attimo solo, dall'intera umanità che non ci avrebbe compreso se le avessimo detto quanto abbiamo detto a lei. E l'avremmo fatto.
Senza ombra di dubbio.

     Dirà che la nostra inclinazione verso la filosofia, o per l'elucubrazione (ammiccando qualcosa che non faticherete e interpretare come accusa d'identità per i due termini) è principio contrario alla vita, alieno alla fisiologia elementare dell'Essere, inviso all'Estate che invece pressa con atomi di calore alle finestrelle semiaperte del pub in cui vi siete rifugiati. Tu stringerai un boccale di birra da un litro nella mano destra. Con la sinistra ti carezzerai i capelli o i peli del volto; sicuro che la differenza di interessi che vi separa le impedirà di interpretare il gesto come un bisogno (vieppiù inclinante al disperato) di essere amato, o magari condotto in una casa vuota, senza mobili, con solo un materasso liso gettato sul marmo polveroso del pavimento dove il vostro corpo (che si muove, se ci si mette) potrebbe adagiarsi per permettervi di contemplare, abbracciati, il riflesso sul muro di un neon intermittente appena oltre la finestra.
   Eppure sei paralizzato. Comprendi che parecchie galassie intercorrono fra il tuo dire svuotato ormai di partecipazione e l'obiettività corporea del tuo dirimpettaio, fra i tessuti di cui son materiati gli arazzi (che credevi preziosi) del tuo spirito che lotta per farsi parola e la di lei improvvisa rivelazione di insofferenza per quello che anche tu non sei certo sia alcunché che porti a qualsivoglia raggiungimento. Il fatto di essere tu a proferirlo, spesso ti impedirà di renderti conto della sua *vuotezza*. Il fatto di esserne avvinto e di desiderare di essere riconosciuto dall'interlocutore che hai scelto ti renderà impossibile postulare che la *pienezza* che senti e cerchi di condividere possa, per anche un solo istante nel mondo esteriore, essere considerata semplice fuffa noiosa e annoiata.

    Anche tu però, se potessi sentirla al di fuori della tensione che ti pervade, dal desiderio che proprio ora ti ha invaso di fusionalità e anche se potessi eludere quel fitto contropensiero che ti sale dal basso ventre come spinta alla sintesi a priori, ti renderesti conto che non sei uno spettacolo particolarmente edificante.
Ciò nondimeno torni a casa, afflitto e convinto di aver banalizzato quanto provi, e provi a scriverle una lettera che non avrai nessuna vergogna ad imbucare.

 

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