Risveglio 3

  Sudano le massime e i proverbi, i nomi degli oggetti e la geometria proiettiva della persiana; dalla gabbia, fra le grate dell'universo inserisci il bocchettone di aspirazione e gira la leva. Verso sinistra. Poi accendi il Gran Termofotone Lassù.
   Facile come ci tengono sotto giogo.

   Il materasso ha la mia forma in chiave liquida, forse gorgoglia, e la superficie è composta da infinitesime scoppiettanti bollicine.
   Squilla il telefono: cristalli di aria rappresa vengono giù. Dovrò ricordarmene quando scenderò (se potrò) dal letto.

   La soluzione salina in cui consisto quando in estate cambiamo stato sale verso il soffitto. Come caleidoscopio luminoso Chicco rimane a pochi centimetri dal soffitto e improvvisa una sarabanda d'energie trascorse.
   Ecco, ora se tendi bene l'orecchio senti il controfagotto.
   Altri cristalli di vita andata e ormai indisponibile rimangono accanto e sotto me, sulle lenzuola.

   Oh per favore, strada, sentiero, movimento, altre ombre asciutte come me: siateci.

   Siateci perché io ora proverò a sollevare la schiena e rimaner ritto sui glutei. Da lì in poi potrei provare (facendo attenzione ai cristalli taglienti d'impossibile sul pavimento che fanno venire fuori le arance sanguinelle dalle dita dei piedi) a raggiungervi, a ricongiungermi a voi dopo il grande sonno d'un giorno qualsiasi.
   Abbiamo un accordo, ricordate? Dovrei essere coperto ancora per un po' d'anni. Non c'è contratto, ma ok. Da queste parti notai non se ne trovano. Io mi sveglio e voi ci siete, vi muovete come sapete fare, ognuno nel suo ruolo funzione e identità.    Perché io, sì, beh, lo sapete, non ho mai visto la Grande Sala Vuota.
   Non sospetto neppure del Grigio Assoluto di cui parlano in sogno i Grandi Vecchi ai Sognatori Ricettivi.

   Però ho avuto degli incubi, e ho intravisto il vestibolo della Solitudine, ho sentito l'odore di quegli spazi che sono tutti corridoi lunghissimi e pareti piene di cornici senza immagini, con cubi, rettangoli, quadrati oscuri gettati a caso negli angoli.
   Dapprima pensai ad un asilo abbandonato. Poi m'imbattei negli spilli non colorati di metallo, e nella Stanza dei fili spinati.    Erano le prime Stanze che vedevo. Ma no, ecco, non voglio pensarci adesso.
   Forza, devo piuttosto chiamare l'energia.

   Devo ancora una volta ingannare il cervello.
   E non sempre la da via prima di un'ora.


 

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