Rêverie

   Oltre la periferia, da paesi che affiancano strade con il loro stesso nome, seguendo la via principale per non troppo ripide erte, può capitare di staccare il mare per altezze che puoi sperare non abbiano fine.
   Sono pomeriggi in cui la Primavera è chiusa nel bocciolo del suo desiderio ed i tramonti hanno bagliori che scoloriscono nella memoria ogni traccia dell’Inverno sottostante.
   Funziona così, e per un richiamo di sottile magìa passi dalle coltri dell’ozio pomeridiano alla sella d’una Vespa. Non sai con esattezza cosa ti guidi, se non – ed oscuramente - il richiamo di quella particolarissima malinconia suburbana che, nei posti verso cui misteriosamente ti dirigi, mette a tacere le manifestazioni esteriori della vita.
   Son paesi che puoi solo attraversare: tutto, dalle abitazioni alle sparute e quasi casuali attività lavorative (che paiono solo successioni intermittenti di botteghe di generi alimentari e officine di meccanici) dorme giacendo ai lati della strada nazionale.
   Per indicare l’ubicazione di questi luoghi si usa la cifra chilometrica. La chiesa sta al km X del paese Y sulla strada statale XYZ, e così pure la scuola, e il laboratorio del falegname.

   Scivolare sulle ruote della mia vespa arrancante lungo questi segmenti di mondo è una delle immagini a cui lego per default il ricordo della mia adolescenza. Quei posti erano anche il fabbisogno fisiologico (il correlativo oggettivo, avevo appreso) d’immagini per la musica in cui la mia anima soltanto accettava di sguazzare. Era l’abbandono, la sperdutezza, la solitudine, la vita nascosta.    Legavo quelle visioni ad una tonalità di grigio, e ad un sentimento di tristezza.
   Me ne sono chiesto il perché, dopo, e persino ora, che ho l’età per liquidare queste questioni con l’indifferenza autodiretta di chi ha di meglio a cui dedicarsi. (No, forse non ho quell’età e quell’indifferenza, e questo mi lega ancor più al mistero di quei pomeriggi poggiati come su d’un singolo cambio d’accordi minori).
   Forse il cuore cittadino, il culo avvezzo alle piume d’oca e la mente persa nelle sue rêverie cosmopolitiche consideravano tali siti il Purgatorio contrapposto allo splendore dell’Inferno metropolitano o al Paradiso delle alte vette montane.
   Eppure viver lì si poteva. Dentro ognuna di quelle case senza giardino che solo tre gradini separano dalla carreggiata della strada, in tutto il mondo moltitudini di esseri umani trascorrono la loro esistenza. Aspettando che il tempo passi, che la gioventù sfiorisca, che gli scappamenti delle automobili in transito anneriscano i vasi dei gerani sui balconi e le tapparelle di plastica verde.
   Presto però, superato quel mio Purgatorio, scoprii qualcosa di più bello del Paradiso.

   Spesso da questi paesini sul lato monte la strada si apriva su viuzze dapprima pianeggianti poi, oltre la vista, inerpicantisi sù per salite che potevi solo immaginare che non avrebbero fatto altro che continuare, e continuare, e continuare. Continuare per tutto il tempo necessario a richiamare la notte dal suo trono capovolto, a portare il freddo, a inibire il proseguimento.
   Però poteva anche succedere che la strada finisse.
   Nei ricordi questo è successo una sola volta.
   Tutte le cose per le quali vorrei rinascere sono successe una sola volta.

   La strada moriva davanti a un vecchio istituto, un grosso e cadente edificio di sicura costruzione pre-terremoto del 1908. I portoni erano chiusi, le finestre senza infissi ma troppo alte per poter sbirciare dentro. Muschio sparso un po’ ovunque sulle facciate. Il tetto per ¾ crollato.
   Fu dietro l’immobile (per quanto può esserlo un edificio che t’accoglie facendo piovigginare calcinacci) che trovai la mia immagine Immobile.

   Era un prato.
   L’erba vi cresceva ordinatamente, come se qualcuno vi avesse da sempre badato. Due cani dal bel pelo lucido e i loro cuccioli giocavano a rincorrersi, come se qualcuno li avesse sempre curati e nutriti. Ai margini del campo, una fila continua di papaveri segnava i confini del piccolo altipiano.
   Lo percorsi sino al margine, e mi sedetti sul ciglio del precipizio.
   C’era il paesino, ed oltre esso, sul lato nascosto dalla strada, il mare.

   Decisi di aspettare la notte.



back