On returning
Solo
quando il pensiero torna su se stesso, bussandosi e attirandosi uno straccio
d'attenzione dopo troppe birre e troppo ravvicinate, apri gli occhi e realizzi
che tutte le tappe intermedie potrebbero non essere mai esistite.
Non hai neppure bisogno di aprire gli occhi. Semplicemente,
all'improvviso, e senza la tua partecipazione, la vita inizia a penetrare dalla
finestra del tuo cuore, impetuosa, come elevata a potenza. No, non sono le birre.
Non è neppure il luogo incantevole che hai deciso di battere per questa
sera, sotto le insistenze della più insistente fra le possibili madri
di tuo figlio; il lidino di Legambiente ancorato esattamente dove il cemento
del futuro ponte sullo stretto coprirà la sabbia, con vista su Scilla
e su Cariddi, e con un vento continentale che sfonda l'orizzonte in profondità.
E' il Caso, che improvvisamente decide di carezzarti, chiamandoti
per nome.
E tu non sai perché; non sai se lo meriti o se sei
fortunato né da dove quell'umore splendido che hai provenga. Si
produce in te, approfittando della tua assenza.
Hai il tuo corpo, che ti nasconde in una salute che lo annulla
come soggetto, e occhi che toccano come polpastrelli le percezioni.
E non sono davvero solo percezioni.
C'è tutta la tua vita che conta davvero, ci sono davvero
quasi tutte le persone che per te significano qualcosa, radunate per magia,
come se il Caso ti avesse organizzato una festa a sorpresa. Una volta credevi
fossero inconciliabili.
Adesso sono omogenee al tempo e allo spazio, e ti s'appressano
graziosamente, mentre un amico che istruisci da parecchio tempo sul rock seleziona
molti deli suoni che, degustati da lungi, adesso sono il tuo gusto incarnato.
Se le sfreghi viene fuori l'amore e gli occhi continuano indisturbati
a produrre la vista.
Allora la birra può produrre la nebbiolina che rende
coerente la serata al sogno; tu sei piazzato al margine della pista da ballo
e in successione, come nei titoli di coda di un film sospensivo, l'antropomorfia
del tuo cuore sfila, baciandoti la guancia, indirizzando quella delicatezza
al bambino che ne dipende, rivestendolo della luna che permette la vista minima
del cielo.
Ci sono parole in mezzo, ci sono descrizioni che rimangono
strozzate nella gola della scrittura, ci sono attimi che sarà delitto
perdere nell'obliarsi del tempo che verrà.
In più c'è quella felicità che altri
direbbe insospettabile, immotivata.
E invece tutto ciò che ho lasciato dietro è
adesso tutto ciò che mi riempie, e, perso nel simbolo di me stesso, mi
lascio ricoprire dall'umidità del ricordo che è soltanto l'immagine
arretrante del desiderio che ancora mi tiene della Bellezza.
Ciò che afferro con gli occhi è allo stesso
tempo gli occhi, senza separazione, senza me come soggetto. Sento il vento spazzarmi
dentro, sento tutte le contrade dell'udito echeggiare di notte. E quel tanto
di luna basta a farmi dimenticare la vista.
Ci sono queste tappe della mia vita, che adesso si mescolano,
familiarizzano nell'immagine della più elettiva delle famiglie, vorticano
e ballano, fluttuano e planano sulle palpebre, ordinando negli organi del mio
equilibrio le sillabe con cui fomeranno le frasi con cui le descriverò
al mio Dio, o al mio Io, nella migliore delle notti del migliore dei mondi possibili.
Mi
sciolgo in voi, ombre; mi sciolgo nell'apparente deja vu del vostro esserci,
ma stavolta organico, completo, melodioso.
Siete sempre stati qui, amici e amiche, a partire da una notte
immemore ed eterna, destinatimi da secoli e ora pienamente dispiegati al mio
senso.
Danzate le mie note più segrete, mi sussurrate le parole
più dolci, frettolosamente, ad augurarmi d'essere per sempre così
come io sono adesso.
Ed io sono semplicemente il corridoio, il vestibolo, il manuale
delle istruzioni della mia più riposta felicità.
Avrò bisogno di voi, quando toccherò il suolo,
colmando la mancanza di silenzio e abbadonando questa gravità incerta.
Perché ogni risveglio richiede un'altra vita.
E ogni vita richiede centinaia di risvegli parziali, migliaia
di mattine a cui sfuggono i raggiungimenti dei sogni e il calore dell'incastro
perfetto.
Adesso
che tutto, scorrendo con disinvoltura, torna al centro e ristà, posso
chiudere gli occhi sicuro, e non sentire la mancanza di ciò ch'è
fatto per mancare.
Per una notte che s'è fatta un attimo, dilatato come
un Infinito, sono sottratto a me medesimo e sento le mani -più grandi-
del Caso depositarmi al centro delle sorti dell'Universo, io come Centro, Senso,
Direzione.
Così cedo al mio essere, e provo a non svegliarmi;
ad allungare un braccio a cercare il tuo corpo che subito mancherà e
si perpetuerà in una distanza di specchi senza fine.
Se
un risveglio verrà, sarà per prepararci ad una nuova vita, profonda
come la vecchia e antica come questi spazi aperti.
Premere l'impronta del piede sul sempre-stato aprirà
ancora i nosti occhi alla verità, e il nostro abisso allo spettacolo
del tempo.
Che
già studia come tornare, attraverso il me che si farà altro da
me.