Ever falling like rain

 

   Indossata la mia più nebbiosa coscienza per scivolare indenne fra i bordi d’una città scrutante, narcotizzato in parole inoculate per gusto, tatto, gentilezza e regolazione automatica dei tempi, puntato con diaframma aperto su quanto t’eccede in meridiano, parallelo, ora e desiderio – mi lasciavo impressionare dalla complessa sceneggiatura della tua sincerità.
   Ne centellinavo le pause, i toni e gl’impulsi, attributi primari e secondari, meravigliandomi della felicità con cui il tuo manifestarti e il mio ingannarmi diventassero uno e uniti giacessero in roride voluttà estive.
   Il caldo eccezionale non riguarderà noi quest’anno; e già ci vedo, schivati dagli elementi con nonchalance, avvolti nel nostro indistinto campo d’aria condizionata intelligente e parole che giocano di scherma, talvolta leggere e scattanti, talvolta grevi e sacrali, ma mai abbandonate dagli sponsor e da un pubblico minimo sufficiente di due; tu ed io, come se David Hockney potesse sempre coglierci da un momento all’altro in un gesto di cristallo.
   Tutta la vita che apprendo all’istante, ad hoc, come un flusso d’immagini retrodatate e mai sincrone al desiderio ch’ho di te, sciamante nel suo alone d’eleganza grigio/marrone è forse una spirale di lucciole, un distillato d’arte sublime che m’abbaglia mentre cerchi d’ingannarmi ed io cerco disperatamente e senza fortuna d’essere ingannato.
   Ma tu parli, e la luna è tagliente di luce stentata, indifferente nella sua corte di pallore luminescente, sospesa alle tue spalle, pronta a crollare come scure che dissolve l’attimo e conduce a domani.
   Ma tu parli, e il tempo si diffonde come vapore o come pioggia leggera tutt’intorno, troppo sottile per recare conforto a queste mie foglie di desiderio macchinoso e ritte alla penombra del cielo.
   Ma tu parli, e ci potrebbero trovare; tu parli e tutta la nostra vita scorre ai bordi in una fantasmagoria di sguardi da cui siamo ben nascosti, in un caldo concentrico, sicuri nel terzo o quarto livello d’impermeabilità dell’essere, avvolti in spire d’intenzioni, parole, opere innocue e omissioni inefficienti.
   Noi siamo forse sublimi e no, non c’è amore, non ci sono canzoni d’amore, non c’è amorevole grazia.
   Noi siamo bellissimi e non c’è tempo, non c’è luogo e soprattutto, se ci guardano, non ci siamo noi.
   La nostra bellezza è sospesa in un grumo d’aria condizionata e d’incomunicante languore, cullata da un’altezza appena sufficiente a crederci d’un'altra razza o persino d’un altro lignaggio.
   E poi, e poi quando nessuno vede torniamo al centro del giro che non ci raggiunge e riprendiamo le gentili favelle facendo finta di tutto e di nulla, ben saldi alla guida della nostra inapparente fierezza, della mia dolcezza alcoolica e della tua abile accoratezza.

   Ma sì, forse anche in questo v’è amore, e a nulla giova esser posseduti da demoni troppo costosi, o da trasfigurazioni troppo alte del dio Bacco.

   Siamo semplicemente noi stessi, al punto esatto in cui tutto quanto potrebbe succedere è già successo tanto ma tanto tempo fa.
   Ma lo sapevamo, e siamo ancora qua.




 

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