Cos'è esattamente essere qualcos'altro da me stesso?

 

   Mi telefonava il tal amico dicendimi che suo altro tale amico sta lavorando per la tesi di laurea. E lui? Lui non faceva niente.

   Entrambe le circostanze mi hanno meravigliato non poco; dentro il guscio di evenienze banali certe raffigurazioni mentali possiedono un coefficente dirompente d'estraniazione.
   Forse tutto ciò ch'è sparso sotto il sole è così, e in primis la mente stessa.
   E' forse il più pregiato fra gli addensamenti materici del Caso Primordiale.

   So per esperienza cosa sia scrivere una tesi e so per vocazione cosa sia non far nulla, o non voler pensare di star facendo nulla.
   Così per un millisecondo vedo me sparso nelle vite altrui.
   Sbatto le palpebre; da uno scatto all'altro potrei trovarmi in un altro mondo, con altri colori.

   Succede spesso con le parole, in ispecie con quelle più comuni e banali.
   Basta un attimo di disattenzione o qualcuno che te la pronuncia in un attimo di oscurità o di penombra sensoriale e la parola inizia a fare le muffette, a far crescere rami secondari, fino a cambiare forma.

   Il mondo non è più il mondo quando piove e non è più il mondo quando la luce invade tutto.
   Ogni istante che riusciamo mentalmente a bloccare nella raffigurazione e nell'umore che le compete sprofonda nell'eternamento dell'attimo, reclama enormità di tempo passato e tempo futuro come pedigree.

   Tutto è sempre stato. O, per lo meno, da quando ci siamo è come se ci fossimo stati anche prima, fors'anche da sempre.
   Questo è per me l'unico modo di immaginare un sempre; avvertendo la mia partecipazione a una vita di cui posso afferrare solo una zona marginale.
   L'individualità è forse in buona parte un feticcio e corrisponde con la memoria; oltre v'è tutta la storia del mondo e il modo in cui penzola su un nulla fluido e archetipale.
   Forse il sangue trasporta più che le squallide coperture dei globuli e le ingenue didascalie della fisiologia; forse esso reca tracce degli eroi e delle battaglie, del primo sbadiglio e della morte che verrà.
   La morte stessa potrebbe essere un allargamento, o un restringimento della percezione attuale. Se s'allargasse tale percezione diverremmo esseri infinitamente più pacati e tranquilli. Se si restringesse svilupperemmo sensi più acuti, ma anche più fragili e violenti.

   Possediamo tutta la vita passata dell'umanità, sfiorandola indistintamente, vieppiù tenue di generazione in generazione.
   Certi sogni potrebbero essere attimi vissuti dai nostri genitori, o dai nostri nonni.
   Tutto comunicherebbe non solo nello spazio, ma soprattutto nel tempo.
   Lo spazio stesso potrebbe essere sottotitolo del tempo, la sua facies visibile.

   Così forse, in qualche remoto modo, so cosa sia essere qualcun altro, so cosa sia essere amato mentre amo e amare mentre sono amato; è una partecipazione che annulla non soltanto i bordi, ma anche il loro contenuto, e la loro ispirazione.



 

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