ohne mich
mattina nella città, al termine di un sonno che non ristora.
*gli occhi*, primo impulso. apro.
lascio alle spalle (?) una casa vuota, strascico in tinta coloniale di anni
che dovrei aver vissuto. rimangono gli spazi (non possono non rimanere, credo,
approssimativamente), che nel silenzio il colore avvolge. anche il sonno è
uno spazio, il cui vuoto è solo apparente, come ogni vuoto, in cui il
contenuto s'annida in tempi più larghi.
il discrimine tende a mancare. svanisce la percezione del tramezzo fra sonno
e veglia. il sonno è veglia.
già sottile - leggero tulle immerso in un vento leggero ma stagnante
- ora fatico a rinvenirlo.
così apro, ma rimango dentro. mi confronto con i colori, senza solide
teorie.
c'era e c'è l'androne dell'assicurazione, verde marino smaltato, e una
vecchia cascatella all'ingresso, d'un palazzo che una volta era avveniristico.
oggi mi commuove, così, per la prima volta, mi fa pensare a quelle saponette
verdi screziate di bianco di case di villeggiatura balneare d'inizio anni 80.
erano molto profumate, era il profumo di quel bagno. mi aspetto dunque che l'androne
prenda a profumare di colpo. ma non faccio caso a che lo faccia davvero.
in fondo era solo un passaggio assicurativo, un po' fuori mano. sono luoghi
tetri, gli interni di tutte le assicurazioni che conosco. bloccate per sempre
in un orrendo sogno aziendale degli anni 70. quando la radio comunica che è
morto alberto sordi sembra solo uno scherzo. perché niente muore.
dietro vetri opachi sento gente parlare animatamente. uno dei due ha una voce
roca, come sporcata da una carriera di fumatore iniziata molto presto.
ecco sì, ho smesso di fumare e non farò mai l'assicuratore. forse
non invecchierò mai.
mi ripeto qualche frase di nietzsche come altri sgranerebbero un rosario. mi
rifugio in un automatismo, e per un attimo ne sono sollevato.
la pancia inizia a far rumore.
sono giallastre la pareti dell'assicurazione, dei pannelli di legno verde pisello
sostengono avvisi per me di nessun conto davanti ai quali però alcuni
avventori del vestibolo ad un certo punto si fissano.
domani potrebbe succedere di tutto, mi dico. basterebbe alzarsi e dare un rapido
sguardo. i buoni cittadini fanno così. ma con nietzsche in mente e le
pareti della mente in beige/verde marino tutto questo è fuori dalla mia
portata.
ma no. se fosse, m'importerebbe?
poi l'odore dei sedili di una macchina nuova mi riempie le narici.
è bianca accecante.
ottime rifiniture agghindano un cuore di plastica. il sole vi ci si riflette,
poi viene verso di me.
su di me, muore.
ho passato 15 estati in quella casa, 9 anni in quella macchina, mezz'ora in
quell'assicurazione. e non fa nessuna differenza, perché la mezz'ora
sembra infinita. 15 estati non sono mai esistite, fuorché per il primo
bacio con X, e quell'ultima conversazione invernale, nell'angolo illuminato
del salottino. nella macchina ho lasciato il rametto di mimosa raccolto da Y
a Novara.
volevo prenderlo e trasferirlo nella nuova.
poi qualcosa me l'ha impedito.