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Ti
ricordi dello strano sogno che ti raccontai non molto tempo fa? Credo di sì;
ne rimanesti colpito almeno quanto io fui turbato a sognarlo.
Cerco di spiegarmi e faccio presto perché non posso
prevedere quando arriveranno i prossimi.
Quando arrivano la mente si svuota in preda al terrore, come
se lo facesse da un buco da cui fuoriuscisse del liquido.
Quindi ti scrivo che singolare stranezza! dallunico
margine comprensibile di questo campo, riparato alla schiena solo da questo
terrapieno.
Linfinito pressa alle spalle, sul viso, sulle orecchie,
come aria pesante, qui nello spalancato ventre di una Terra irriconoscibile
e il tentativo sembra quello di aprirsi ad una comunicazione luminosa. Vè
uninquietudine fotonica che sagita nella penombra; non lintendo
meglio di così e in qualche modo sono invitato a registrarla con poveri
e spauriti sensi.
Non ho scelto, sono stato scelto. Non sono arrivato sin qui,
è tutto quanto questo che è venuto a me, aprendosi attorno, o
solo nella mente, quando ho perso coscienza, dapprima per rapide e rade incursioni
semplici flash poi, come sabbia che raggiunga il fondale delloceano,
la struttura corpuscolare delle immagini ha preso a sedimentare mentre prendevo
possesso di questi pensieri e ricordavo della penna e del taccuino serbati in
una tasca profonda del cervello.
Non so cosa sarà di queste parole, sento però
di dover dare loro almeno una speranza che possano giungerti. Non riesco neppure
lontanamente ad immaginare come possano farlo.
Non so cosa si stenda oltre il confine del buio stellato tuttattorno;
stelle sono lultima cosa che vedo; il campo di sterpaglie fruscia allorizzonte
addentellandosi con quei limacciosi aghi di luce fredda.
Il vento soffia verso se stesso da quando sono apparso o tutto
è apparso: verso se stesso hai capito bene come se si soffiasse
addosso o dentro e poi sbocciasse di sempre più vento.
Il campo ondeggia verso il basso, gli steli dellerba
si ritraggono a intermittenza come telescopi impazziti; la terra formicola come
fosse liquida: ed è calda, dannatamente calda.
Lerba, alta e secca, diffonde il calore intorno, alleviandone
il suolo; è una sterminata distesa di trasmettitori termici.
Di tanto in tanto sembrano agitarsi come tentacoli di piovra,
ma forse è questaria gravida di polvere sottilissima di specchi
che inganna e riflette le distanze improbabili di questo posto assente e vaporoso;
è come se la vita come siamo abituati a intenderla si svolgesse oltre
qualsiasi velocità della memoria, e si limitasse a lambire i sensi senza
però affezionarli.
Sono già stato qui in quel sogno osceno; e questo era
tutto quello che cercai di descriverti mancandomene precisa memoria e parole
adeguate.
Ora sono credo fisicamente qui e vi sono già
stato, in qualche modo, non molto tempo fa. Ma quando sognai questo ricordo
era già come se unaltra volta infinitamente precedente vi
fossi stato e me ne provenisse da profondità temporali insondabili, un
faticoso segno.
Vè polvere di specchio anche nei miei occhi ora,
e lacrimo di prospettive senza termine in rimandi dedalici di ricordi.
Ero già qui, lo giuro, ne sono sicuro.
Poggiato a questo precario muricciolo dargilla, con
lorizzonte sfondato davanti, con loscurità del cielo bucato
di luce intermittente.
Una stella, proprio come ora, tagliava orizzontalmente la
volta oscura, quasi a volerla scoperchiare; una stella rossa e minuta, e ripeteva
sempre lo stesso giro.
Nel flash ho visto pure quella mappa, ho rivisto quella terra
e quel mare che non conoscevo: ho letto i loro nomi nel nostro stesso alfabeto
e sono rabbrividito.
Quel corno escrescente, enorme ed assurdo blocco di terraferma,
con i suoi fiumi ora innaturalmente retti ora orrendamente spiraliformi.
Nella mappa essa stava ad occidente del continente americano
dopo pagine e pagine di un mare assolutamente vuoto, come un continente germogliato
dai margini di ogni cartina, dal vuoto oltre la pagina.
Ma ho dimenticato i nomi e stanno per tornare e scrivo più
in fretta.
So che dovrò sospendere allimprovviso e il vento
vibra inquieto, ancora caldissimo e le stelle più grandi sembrano palpebre
lontane che sardoniche mi scrutano immerso nel buio e nella piccolezza in cui
consisto.
E ora la stella rossa di giro in giro si fa più grande
e più savvicina più loscurità sembra diffondersi.
Se il terrore non mi tenesse saldo proverei ad alzarmi; proverei
a dare uno sguardo oltre il terrapieno alle mie spalle e agli impercettibili
ma continui suoni che da lì giungono e che contrastano macabramente con
il silenzio del campo.
Ma la volontà mi è scissa e non comunica
con il corpo se non nel minimo punto di tangenza di braccia, mani e dita.
Ed ecco, ECCO, le due ombre di luce nel campo.
Sappressano ad una velocità terribile.