Only when you leave
In
un qual certo modo dovrei rallegrami della persistenza di occasioni (di qualunque
fatta) capaci d'ingenerarmi collera.
Il loro numero va difatti assottigliandosi ininterrottamente
a partire da una data - certo simbolica, ma funestissima assai - che è
quella che la statistica segnala continuamente all'attenzione dei miei inquisitori
ad ogni atto dell'inquisire.
Penso ormai - tra l'altro - di essere in grado di poter stabilire
o indicare senza tema di errore le poche tematiche o generi o presenze che,
operanti nella raffigurazione onirica:
1)
mi permettono di ricordare il sogno
2) di prendere partito emotivo con i suoi esiti.
Beh, son tre in tutto.
Volendo tacerne due, la terza delle quali consistente in una
singola persona, di sesso femminile, dal nome presto qui criptato in X* mi accingo
ad esorcizzare la sgradevole sensazione di patimento ereditata da un sogno testè
conclusosi, nella maniera a me più diabolicamente congeniale: narrando.
A ben pensarci però, e ben sapendo della volatilità dei sogni, potrei solo star fissando alla memoria la spiacevolezza dell'evento a probabile ragione del:
1) voler assuefarmi pure a ciò, e poter trasformare
un dolore che pulsa in un dolore che si lascia contemplare nella bellezza mortuaria
del concetto, e a partire da questo -
2) ogni qual volta si lasci accogliere, o usare, o profanare
- trasformare in abitudine e cicatrice.
[Esternamente a ciò, ovvero nell'atto di resocontare e scrivere, la
velocità è importante: si smette progressivamente di essere rappresi
attorno a se stessi e alle proprie visioni notturne e di aver bisogno di andare
al cesso: il contatto con l'acqua fresca - ad esempio - è letale per
il liricismo claustrale].
X* è
la donna (al tempo l'adolescente) più bella, dolce, delicata e preziosa
che la vita mi avesse messo sulla via nel periodo più meschinamente e
torbidamente filosofico della mia vita.
Per "periodo filosofico" intendo quell'orribile
tempo ucciso a screditare il mondo e le sue parvenze a discapito dell'unica
realtà accoglibile, ovvero il concetto.
Non importa di che colore fosse il cielo oggi, o di che soave
brezza tirerà dal mare ieri: il mondo esiste perché può
essere pensato e le persone hanno dignità esclusivamente in considerazione
dell'idea che del mondo nutrono e praticano nell'esempio nonché del metafisico
piano in cui s'incastrano organicamente.
X* era la Bellezza che oggi per me hanno le stelle e le montagne:
quella inevitabile dell'evidenza e della leggerezza, dello splendore virginale
di tutto ciò ch'è puro.
Al tempo invece lasciai proliferare certe insignificanti questioni
teoriche che oggi ho abiurato e, coltivato dentro un rancore immotivato, fui
accolto dalle grazie della Monia di cui potreste leggere nella sezione racconti
del mio sito. Quale orrenda sorte mi attendeva! E con quanto
filosofico furore abbandonai il paradiso per gettarmi fra le fiamme dell'Inferno!
Ma tanto basta: non m'è ancora facile reggere il peso
di questo passato.
V'è da dire del sogno, adesso.
E non so come, questo inizia con me che ascendo verso una
baita montana dentro una [specie di] cabina di funivia che un tizio molto ben
sbarbato ed educato (certo un po' esaltato)sta conducendo con perizia ad alta
velocità.
Sopravvoliamo cime innevate, piste da sci, casupole dai comignoli
fumiganti, orsi bianchi, lo yeti, Licia Colò etc. e, ad una velocità
che da elevata diviene folle giungiamo con schianto gommapiumato all'androne
esterno di quella che sembra un'enorme casa appollaiata nella neve (e nella
nebbia).
Le cabine si aprono, noi si scende e si procede verso una
porta bianca.
[Quale spreco di dettagli i sogni! Primo principio dell'entropia onirica: ci sono certe cose, ecco, mettiamo i soprammobili, di cui non mi accorgerò mai nella vita desta, meno che meno in quella onirica. Ecco, nonostante questo e nonostante - son certo - molti di voi la pensino allo stesso modo sui soprammobili, industrie reali e oniriche continuano a produrne: anche nel mio sogno, che riguarda un'entità per me preziosa come X* era strapieno di soprammobili. E non vi lasciate ingannare dall'accanimento con cui mi picco di denigrarli: averli inseriti nell'argomentare è stato solo colposo perché - mi sa che - le immagini del sogno son già scomparse e devo iniziare a gonfiare tutto come in un tema d'italiano].
Bene allora, entriamo dentro questa baita postmoderna: internamente è una specie di casa degli elettrici morbosi sogni degli anni ottanta: tutto è laccato in bianco, c'è un pianoforte laccato bianco a coda nel centro della stanza che opera rivoluzioni attorno a sé e rotazioni attorno all'asse dei miei coglioni; ci sono led che intermittono sbrilluccicanti di riflessi ad ogni parete. Cinque camerieri [e cribbio, sono gli Spandau Ballet] ci si fanno incontro prendendoci i piumini, sotto i quali portiamo - con mia sorpresa - smoking ridicoli, io tradizionale nero, lui laccato bianco.
Entriamo in un saloncino, al cui centro geometrico giace
un divano di pelle bianca; le pareti sono candide e uniformemente concave compresa
la porta da cui proveniamo, che si mimetizza. Siamo dentro una stanza cilindrica,
ne deduco. Il tipo estrae dal taschino quello che da principio appare come un
portasigarette d'argento, ma quando lo apre e pigia qualcosa che al suo interno
dev'essere un pulsante, dal pavimento antistante il divano vengono su bottiglie
e bicchieri.
Mi serve e inizia un lungo discorso.
Mi parla della sua infanzia difficile, dei suoi rapporti
con i genitori, dei suoi studi, dei suoi amori, delle sue speranza sogni ambizioni.
Quest'uomo mi piace, non fosse altro che sta parlando di
me e della mia vita.
E prosegue a raccontarla tutta, per filo e per segno, facendomi
venire i lucciconi per una panoplia di dettagli che ho completamente rimosso
e che ora tornano tutti.
La freddezza, la sicurezza dell'interpretazione con cui liquida
(brillantemente) tutti gli episodi più controversi e nebbiosi della mia
esistenza mi lascia estasiato.
Quest'uomo ha una scaletta, un piano conclusivo, una struttura,
un sistema: tutta roba che la filosofia mi ha insegnato a considerare volgare
e utopica al contempo.
E non deve far fatica a convincermi, che per quanto illusoria
e da far ribrezzo all'intelligenza, la presunzione sistematica è l'unica
chiave del successo.
Quella sì, è importantissima. Ma se dovessi dire indugia quasi imbarazzato per un attimo, ed emette un colpetto di tosse nervosa c'è qualcosa che per me è stato ben più importante.
Uh, magari ce la posso fare, magari è qualcosa di
anche alla mia portata.
Mi accorgo di rivolgermigli come Scrooge all'ultimo Spirito
Natalizio. Faccio pena, ma sono accorato ed è come se tutto nella mia
vita dipendesse da quello.
Me lo dica dunque. Me lo dica!
Tira un sospiro profondissimo, si alza con aria grave e mi sussurra: <i>mi segua</i>.
Un'altra porticina concava si apre oscurando una porzione
di parete. Il mio ospite preme un altro tasto del suo telecomando e illumina
un lunghissimo corridoio, tappezzato d'infinite porticine laccate bianche ai
due lati. Proseguiamo per un po' in silenzio.
Giunti alla fine del corridoio, dinanzi ad una doppia porta
a specchi ci fermiamo.
Fu durante i miei 23 anni che tutto iniziò ad accadere.
Quasi a precipitarmi alla mente e al cuore.
Io dovetti solo seguire la strada che i miei sensi più sfrenati tracciavano
per me.
Quello che vedrà adesso dovrebbe dirle qualcosa
così dicendo dà una spinta alla porta, esattamente al centro,
alla conginzione dei due battenti.
La porta s'apre, cigolando ai lati.
C'è un letto matrimoniale di qualche ettaro nella
stanza.
Al centro di esso il bellissimo profilo nudo di X* che dorme
su d'un fianco.