Attraverso le inferriate

 

Il sole ti baciava i capelli. Eri una statua di luce morbida.
Il mare dietro di te si piegava sugli scogli come un bambino dalle ginocchia sbucciate che s'ostini a non voler capire la lezione, pur di continuare a giocare. L'aria era calda, i tavolini del bar tutti occupati.
Tacevamo. Le voci della gente erano sufficienti. Era come se le alte cime delle montagne alle mie spalle bisbigliassero, in risposta al mare. Tutto si confondeva, attorno a te.
E poi, il coro della polvere. Il silenzio del rumore.

E io lo so, adesso.
Tu ed io; quel cielo nitido; le pigre barche rovesciate in riga sulla piccola spiaggia; le polverose, spente insegne del bar "Bar" in quella primavera di diciannove anni; tutte le finestre del paese che spiavano la nostra gioventù e quel bagliore di Bellezza che spargevamo con lentezza intorno; tutte queste cose compresa la Renault 4 rossa di seconda mano che ci aspettava nella piazzola di sosta sotto gli ulivi e che di lì a poche settimane mi avrebbero rubato, tutte queste cose non sono mai trascorse.
Sono sempre lì, in un angolo dell'Eternità, in un viottolo del cuore che, all'improvviso dà sulla cattedrale, immensa, del Tempo.
Intangibile, tuttavia noi possiamo vederla. E attraverso le inferriate, oltre i cancelli inchiavardati gettarvi un sospiro.

E fuori è dentro, e dentro è fuori.


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