Daria
La
giornata sembrava sul punto di concludersi con una lavata di denti
e 5 inerti minuti di zapping tanto per accordare il sonno con la
desta, vuota, circolare nenia notturna della declinante umanità.
Fra le attività che mi significano la parallela attività
del mondo
fuori di me, una volta che per stanchezza dismettevo lininterrotto
solipsismo in cui consiste propriamente possedere una personalità,
vera il commutare su una breve funzione dattività il cellulare,
esponendolo alla ricezione di messaggi eventualmente indirizzati*gli*
durante la giornata.
Riesco ancora a ricavare un piccolo piacere nel leggere rapidamente
gli intasamenti sintattici della memoria ram e, sol per averli letti,
cancellarli immantinente.
Ne arrivano due:
1) Tim e Omnital informano, oggi giornata internazionale della
donazione organi. Fa anche tu la tua buona azione-, va a dare via il
culo!
2) Ho provato a tel. un sacco di volte, la festa è
stasera, se ti va
vieni! X sapere dove è, chiama Andrea 3388955xxx, ciao. Nadia.
La prima è vecchia, ma devi sempre aspettarti che
un amico dalle
dubbie frequentazioni in entrata e in uscita lapprenda per la prima
volta e trovi fertile diffondere il verbo.
La seconda invece, è una piccola disdetta. La festa
di laurea di Nadia
era programmata per Sabato, e pensavo di averla fatta franca. Invece è
Domenica, [ovvero ieri], presumibilmente già iniziata, dato che sono
le 22 e questo messaggio campeggia al tredicesimo posto (su tredici)
della mia memoria ausiliaria. Potrei cancellarlo e non averlo mai
ricevuto. Potrei lasciarlo lì e sostituire i 5 minuti canonici di
rapporto con il mondo con 5 minuti di immaginazione di me alla festa.
Comunque sia intanto vado a prendere una birra in frigo. Il
suo
verdetto però è negativo.
Niente birra.
Chiamo Andrea.
Dalla strada seguire le indicazioni è facile: le strade
forse sono lì
a bella posta, a dare direzioni e a dispiegare sulle distanze la
deperibile reperibilità del tutto. Ma per una sera gli appunti che ho
fissato su un pezzino fungono e non vaporizzano rugiada sullasfalto
arroventato comio ora faccio; mi trovo davanti a un cancello buio, e
il suo citofono.
Oltresso una scalinata di cui con lo sguardo si riesce
a seguire solo
la prima rampa, anchessa oscura.
La percorro, poi un piccolo piazzale, poi una rampa ancora,
che
assorbe distrattamente luce dalla rampa che la segue. Dalla terza
rampa in poi, di rampa in rampa la luce sintensifica e mette ansia a
salirsi. Il vento leggero mi dà una vibrazione petrarchesca.
Verso la sesta rampa inizia a percepirsi musica. House, o
come sarà
chiamata negli ultimi dieci minuti.
Lultima rampa dà direttamente sun ampio
terrazzo a scacchi,
incastonato alla fronte di quella che da tutta laria di essere una
villa che linerpicarsi delle rampe per un infinito salire definisce
quasi di montagna.
Dirimpetto, oltre ad una graziosa ringhiera liberty, lo stretto
di
Messina e la Calabria illuminata appunto, a festa.
Poi faccio il punto della situazione con me stesso e con il
primo che
mi vien incontro per presentarsi.
La festeggiata è una mia ex ragazza.
Io sono probabilmente in anticipo sullorario dapertura
(le 23):
nonostante lagonizzare della batteria del mio swatch il tempo mi si
velocizza. Ma è una festa, penso, e non ci penso oltre.
Però vè uno scaffale che quasi sprofonda
sotto il peso degli
alcoolici che gli tocca reggere. Sul fondo del tavolo una serie di 6/7
bottiglie di plastica da due litri contengono, come mi viene
illustrato dalla festeggiata stessa, Nero dAvola sfuso.
Questi sono già ricordi gente, e vengono un po
a caso.
Apprendo che la villa è di un tale avvocato che laffitta
alla Messina
alternativa per feste dogni sorta. Non è grandissima,
o perlomeno
non lo è la parte agibile, ma è, come dire, degna di curiosità.
Oggetti di modernariato ad ogni angolo, strane tappezzerie
polverose,
cesso postmoderno e molto spazioso, stanza degli strumenti musicali,
cucina contenente altre bottiglie ancora, ma di vino migliore. Tutto a
disposizione.
Penso a quanto possa essere costato alla mia amica tutto ciò.
Ma è un attimo, poi la festa inizia sul terrazzo davanti
al mare.
Cè il dj che mi conosce di nome e mi racconta
dei sui ultimi
acquisti. Rimarca quanto ardua sia quella particolare attività che
timpone di scegliere sempre il pezzo meno bello di grandi dischi e
svendere la musica ai culi danzanti dei festanti. Annuisco quasi
sacrale come farei con una prostituta lamentosa e so che questo a lui
non piace.
Cè qualche conoscenza che non incontro da tempo
immemore (almeno i 4
o 5? anni dalla fine del mio rapporto con lei) che mi fa le feste; cè
il solito presenzialista alcoolico con la sua spalla di due metri e
dieci (!); cè un circoletto di musicisti che ha iniziato
5 anni
prima col punk e che ancora punk suona, approfittando della stanza
degli strumenti; un circoletto di cineasti sempre alle prese col
montaggio del loro ultimo cortometraggio; cè il proprietario e
la sua
donna (molto carina, un po Audrey Hepburn un po Cristina Moser ma
bruna): se ne stanno al margine estremo del terrazzo, davanti alla
ringhiera, sotto un ombrellone esibizionista, sorseggiando Glen Grant.
In due ore scivolo fra di loro, piacevolmente alterato dal
vinello,
leggero del clima ideale di una sera di Luglio. Poi la festeggiata mi
si fa incontro. Osserviamo insieme lappena formatasi pista da ballo,
e il frenetico sculettare delle astanti.
Comè la situazione affitti? chiedo io.
Scusa?
Dico, - indicando aristotelicamente con gesto totalitario la fiera
del gluteo ipercinetico fra queste belle amiche, ve ne sono di
sfitte?.
Oh
. - ci pensa non so.. non so, davvero
Come non detto
AH, ma aspetta. Daria! Daria ha una storia con uno stronzo. Ma credo
stia per finire. In queste cose non si sa mai. In ogni caso, io farei
il tifo per te.
Beh, Daria mè sempre piaciuta, lei lo sa.
Mi piacciono sempre le migliori amiche delle ragazze con cui
sto. Sono
sempre un filo maliziose e ti guardano con palpebra sospesa fra il
desiderio e limpossibile.
Daria poi ha una figura eccentrica per me: ha il viso di una
bambina
mai cresciuta, gli occhi di un cerbiatto psicopatico, un corpo
assolutamente consapevole di sé e degli altri.
Quando mi siedo accanto a lei, su una panca di ferro battuto
ai
margini della pista, sembra aspettarmi da un bel po. Ha un contegno
fra lansioso e il soddisfatto.
Omaggio la sua accoglienza con un versatile Ciao Daria,
come va.
Poi per dieci minuti la sto ad ascoltare.
Da un lato cè la sua espressione dolce, giustappena
inebetita
dallalcool, che sembra provenire da una dimensione senza tempo e
senza grammatica, dallaltra la sua voce, che trasporta 5 parole al
secondo che mi porta in giro per i tortuosi rivoli della sua psiche,
indugiante sui desideri.
Mi dice che le piacerebbe fare la diplomatica in un paese
arabo, che
sta studiando la lingua e che già sa leggere e scarabocchiare qualcosa
di quellaffascinante decorazione chè la scrittura.
Poi, seguendo un filo di pensieri che io ho smarrito, mi dice,
fissandomi negli occhi, che per un ragazzo con gli occhi a mandorla o
con un taglio docchi particolare perderebbe la testa.
Non a lungo forse, ma di sicuro per una notte. Poi chissà.
Dovrebbe essere una persona speciale, per mantenerla innamorata.
Parlando e bevendo accompagna le sue battute con le mani,
spesso
sfiorandomi, ma il più delle volte poggiando la sua testa sulla mia
spalla. Ha preso a chiamarmi Ale.
Io ho tolto lultima vocale al suo nome, in segno di
stima.
Da un quarto dora la guardo pure con occhi diversi.
Smetti di bere le dico.
Ok, Ale.
Dove sei ora mi piace, molto. Non ti spostare.
Mi sorride e mi sussurra allorecchio, sfuggente: Ora,
mi spiace, non
posso. Devo andare al bagno.
Sorrido pure io, mentre ci guardiamo negli occhi.
Posso fare qualcosa per te?
Tienimi la borsa
Cinque minuti dopo prendo la borsa e mi dirigo verso il bagno.
La porta è spalancata e non cè nessuno
dentro.
Daria non è né in cucina, né in soggiorno,
né sul terrazzo. Rimane
solo il giardino che circonda le scale e le sue infinite rampe.
Borsa a tracolla, mi avventuro nei suoi anfratti. Alcuni di
essi sono
occupati da rollatori, altri da coppie estemporanee.
Labito nero di Daria si confonde con il fogliame sullo
sfondo. E
sdraiata sullerba comoda di unaiuola ben riparata dalla vista e
non
sembra sorpresa di vedermi, né lo sembrano le sue belle gambe, sù
fino
alla coscia, chio ora riparo dalla luce della luna come unintenzione
estetica ha riparato fin lì dal sole aggressivo dellEstate.
Mi siedo accanto a lei, porgendole la borsetta. Poi mi sdraio.
Guardiamo il cielo e non parliamo.
Non credo di aver pensato a nulla e se lavessi fatto
ora non lo
ricorderei.
Dopo dieci minuti lei avvicina la testa alla mia spalla, io
le passo
il braccio attorno al collo.
La sua pelle è fresca come la terra che copriamo. Lei
ha venticinque
anni, io ventotto.
Io piaccio a lei, lei piace a me, e non da stasera. Ero il
ragazzo
della sua migliore amica. Certo, forse nessuno dei due ha in cinque
anni perso un solo minuto di sonno per laltro. O forse io sì, a
ben
ricordare. Devo avere avuto un paio di giorni critici. Quei giorni che
basta chiudere gli occhi per immaginarsi in una situazione del genere,
ma con premesse diverse.
Cè leccitazione del furto, del segreto.
E soprattutto leccitazione
del fatto che non sarebbe mai potuto succedere.
La stessa che anche a Daria deve star attraversando la testa
e
inumidendo limmaginazione. Posso capirlo dal respiro che la distanza
mette al riparo dalla musica del mio nuovo amico dj.
La sento respirare velocemente, e più stringo più
lei respira
velocemente.
Il respiro ora è una convulsione.
Con laltra mano inizio a carezzarle le spalle.
A questo gesto, con una precisione di tempi che rimanda al
più
geometrico dei mondi possibili, Daria si alza sulla schiena, si gira
dallaltro lato e inaugura la prima delle parecchie ore che nel
computo complessivo della sua vita un giorno si troverà a definire la
sera in cui ho vomitato lanima.