Chimica dell'Impossibile

   Vivo avvolto da strati, ossa fasciate da tessuti e poi fin più sù, tessuti di lana su cotone e poi soltanto lana, pura lana. La mia natura e la mia inclinazione, il freddo sparso nel mondo - che diventa il mondo, il fuori, l'oltre-la-finestra, l'esterno - questo sensibilmente cavo involucro di calore modesto; ecco in breve il mio universo nei periodi di ritrazione.
   E il mondo, già disegnato, concluso, scorre come celluloide bombardata da una luce beffarda e inspiegabile, ma sempre uguale a se stessa.
   Socchiudo le palpebre e le immagini sono intermittenza, alternanza di pieni e vuoti, luci e ombre.
   Verso quale scena muoverò il passo?
   Quale forza mi permetterà di dimenticare la macabra disomogeneità di quelle forme con la forma dei miei occhi, e di ingannare - un giorno, un'ora di più - la chimica dei miei desideri?

   A tavola, adesso. Osservo i miei commensali, come mesmerizzati dal cibo, circondati dal dolby stereo delle chiacchiere loro e quelle degli altoparlanti del televisore; mi domando: credono nella loro vita?
   Riescono a sentire la perfetta sovrapposizione delle idee ai gesti, a gustare il sapore di cibi che danno dipendenza dall'automatismo, e come può il loro stomaco ancora credere in quel sostentamento?

   L'automatismo.
   Era un'aula profonda, dalle pareti perfettamente imbiancate. Chi spiegava spiegava con convinzione, a voce alta. Stava elencando le regole del metodo, e forse, parlava anche del Significato, del Fine, della Ricompensa. Continuava a richiedere la massima attenzione, sottolineando l'unicità di quella lezione, e il tempo infinito della sua applicabilità. Non ve ne sarebbe stata un'altra. Di niente c'è una copia identica, nel tempo.
   C'è solo la pellicola, infinita, con le sue ombre e luci che a guardar bene (cioè a guardar con distacco) son tutte uguali.
   Poi però nell'aula, distrassi per un solo secondo lo sguardo. E La vidi.

   Ma non fu in mio potere fermare la pellicola. La lezione nel frattempo, continuava. Seguii quel lampeggiamento del desiderio per quanto fu in mio potere, poi, con quel senso di frustrazione che è lo stesso con cui apro gli occhi ogni mattina, m'accorsi d'essere rimasto indietro.
   E che era lo stesso e purtuttavia non l'avrei mai più raggiunto. Le regole erano fissate, gli altri erano diventati gli altri.
   E io, no, io la vita non l'avrei mai fatta, ma solo osservata.
   Avrei visto Lei, e solo io l'avrei vista. Gli altri l'avrebbero forse avuta, ciecamente, senza vederla. Avessero potuto farlo, non avrebbero osato sfiorarla.

   Sì, mi sfuggono i motivi della differenza. Il motivo per cui le budella mi si torcono quando entro in contatto con un avvocato, perché l'umore volge al torvo quando mi capita - senza sapere perché - di trattare con un insegnante, perché avrei voglia di fuggire quando un commerciante mi rivolge la parola per strada, perché anche le anime più alte ad un certo punto mi mostrano le loro orrende ossa consumate dietro strati di parole, cultura, sensibilità.
   Forse nel mio piatto somministrano del veleno. Ma dubito che possa avere un sapore tanto diverso dal loro cibo. Forse semplicemente se non scrivessi questo, tutto questo non esisterebbe. Forse se io non esistessi gli avvocati, gli insegnanti, i commercianti potrebbero scorrazzare felicemente nell'Eden della necessità, nei giardini del Destino nel pieno fulgore dell'Essere. E forse ancora, se fossi rimasto attento, se avessi tenuto il paraocchi per quelle poche ore quando le istruzioni furono impartite, adesso saprei, e sarei, e non ci sarebbe distanza fra me e tutto questo. Non ci sarebbero le righe, non ci sarebbero le fitte, non ci sarebbe questa progressiva estraneità di me a me stesso e al resto. Non camminerei per campi di macerie, fra valori arrugginiti e taglienti, su cui avvocati, insegnanti e commercianti tutti speculano. Potrei tornare a sentire il sapore del cibo, e sentire che lo stomaco lo accoglie di buon grado, e che grida la felicità della digestione, e l'onore della sopravvivenza.
   Ma no.
   No, il Destino ha previsto tutto, ha voluto la pellicola, le luci e le regole, mi ha voluto in quell'aula e ha voluto che solo io mi accorgessi di Lei. Poi, il fiume è volato giù dalle cascate. E' stato un tonfo e lo schermo si è annerito.
   Mi sono tenuto forte alla poltroncina, al letto, alla sedia, mi sono stretto nella lana, ho sentito lo spasmo delle budella, l'ho trasformato in queste parole e ho sospirato per la Sua mancanza.
   E' un segnale preciso, un'irradiazione lontana, che attraversa il suono, la luce e lo spazio.
   Anche Lei ha visto me.

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