Postilla a margine di Babilonia

   Come dev'essere immaginare una provenienza senza immagine, un'origine diversa da ogni presupposto d'originarietà in nostro possesso?
   Probabilmente non sarebbe come immaginare stivali di gomma crescere dalla nuda terra o alberi gravidi di biglie colorate, o venir giù dal cielo fiocchi di ovatta. Questi sono solo giochi di fantasia e le estenuanti possibilità delle parole.
   Ma le parole si affaticano.
   Allora sarebbe forse e semplicemente come interrompere la continuità della nostra abitudine a intendere la vita, e noi stessi.    E scrutare l'abisso.

   In quanto esseri individuati, sappiamo a chi rivolgerci. I genitori si fanno carico di una parte della responsabilità, e la spartiscono con i propri genitori, i quali la spartiscono con i propri e così fino al termine passato ultimo. Di generazione (in senso organico/fisiologico) in generazione (in senso culturale lato) la responsabilità è restituita alla specie e alla sua natura naturata, ovvero alla sua - largamente insondabile - istintività cromosomica.

   E' abbastanza comune accettare la propria natura; che sia una natura benriuscita o malriuscita, non si fa fatica ad esprimersi nei termini di un'affermazione di presenza che postula delle conseguenze esistenziali.
   In quanto considerabile - appunto - natura, le si attribuisce un corredo di attributi-delega che offre a chi voglia scorgerlo un fermo appiglio nell'automatismo.
   In altri termini: se ciò che faccio rientra nella mia natura, in massima parte io non l'ho deciso, perché io posso realmente decidere solo ciò che la natura mi consente - con magnanima larghezza, con le approssimazioni del caso, con finanche una disattenzione ch'è segno della sua imperfezione connaturata - di decidere.

   In quel margine piccolissimo stiamo noi, e quello che si lega al nostro nome. Azioni piccolissime, margini di scelta angusti e, considerati sotto la specie della storia generale dell'uomo e dell'universo, assolutamente irrilevanti.
   Fare di se stessi la voce che copre il Destino di parole e di risoluzioni è vano, e di più, tanto di più, ridicolo.
   Qualunque cosa vogliamo, qualunque cosa facciamo, non ne vediamo l'origine; qualunque cosa vediamo, c'è offerta dal caso, e dall'equilibrio imperscrutabile di corpi astrali ed energie senza alcun nome possibile. La scienza è una metafora, come la poesia, come il linguaggio stesso.
   Apri gli occhi ogni mattina, e ogni mattina quello che trovi non dipende - in ultima istanza - da te. Un terremoto, la perdita della vista, un meteorite gigante, una qualunque logica conseguenza del governo Berlusconi, una guerra atomica globale etc; cosa dipende realmente da te?
   Chiaramente l'ultima delle istanze è anche la più difficile a vedersi, e come malintesa "consolazione" alla pochezza d'effettività dell'arbitrio, ci si immergerà nel flusso dei nostri micro-impegni fino a identificarsi, fino a perire della più innocua delle malattie della pelle.

    E occorrerebbe impegnarsi di meno, infinitamente di meno, per sentire tutta l'importanza di questa insignificanza.
   Alcuni spiriti eletti la chiamavano Dio.
   Gli altri, semplicemente, Gli parlavano addosso.


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