assenze di parole
Lassenza
di parole è un ragno che penzola da cime tempestose giù fino a
2000 leghe sotto il mare, tagliando lo spettro dei colori con abilità
macellaia, dividendo sé dalla tangibilità dogni cosa.
Eppure vi sono almeno due fondamentali silenzi dellintenzionalità
verbale, riconoscibili dallo strascico emotivo, dalla scia di lumaca (cit.)
sulla notte congelata della posterità mattutina.
Vè lassenza di parole che mi cela la
mia ubicazione, che confonde tracce e indizi. Tu la minacci col bulino,
la solletichi con la forma ed un po di vino e poi la blandisci con carezze
di camaleonte; quella schiude le palpebre un istante, ignorandoti da una distrazione
autarchica di stelle e presto ti si fa chiaro chè un raffreddore
espressivo il tuo, unintima e casuale malattia da vicolo insalubre, da
morchia dessenza, da noia compulsiva. Trovassi la parola che dischiude
mondi, non la utilizzeresti neppure giocando a Scarabeo.
Il sentiero luminoso della persuasione è troppo lungo
e troppo a buon mercato, e sode il ronzìo del gruppo elettrogeno
della verità.
Poi cè anche lassenza di parole che
dorme quando ha sonno, a cui il cuscino è cielo e le lenzuola oceano.
Ne dormivo millenni proprio poco fa, perso fra il blu e lazzurro, fra
il celeste e il nero profondo del tempo, aperto da topi insensati in una percezione
di groviera.
E nei miei sogni cera questo bianco di silenzio, e stanze
e stanze e porte e porte su stanze e stanze; vi scivolavo senza piedi e senza
avvertire attrito come scorrendo su cera lieve e sdrucciolante basculando
fra immagini pretestuose di tutti i colori - oltre finestre immense di passato.
Tutti i colori e il bianco coincidevano, ma fuori dalla mente,
e si davano il cambio di stanza in stanza.
Quellassenza che ora si racconta attraverso me è
vuotezza di distanza distante di vuotezza, intermittente su prati di trasparenze
vetrose.
Se potessi vederli, quei prati, odoreresti questi fiori di
lettere e cespugli di parole; saresti al mio fianco e damore taceresti,
e di domani.
Perchè con nostalgia che parliamo dassenza;
quando la parola rilascia tutto lamore nellaria infinita della storia
e ci precipita sul naso gusci di noce vuoti.
Allora solleviamo la schiena da melodie senza suoni e da
sguardi senza vista, caggrappiamo a stampelle di polvere e, una volta
in piedi, affannati, recitiamo laffannoso alfabeto degli affanni.