affaticamento da sogni
All'alba siedo alla mia postazione, e domino da quassù
il mondo visibile.
Decido quando far piovere, quando far innamorare la gente,
chi render celebre e chi far morire in solitudine, quali edifici far crollare;
quali sorti accompagnare al traguardo e quali al baratro, e rendo in qualche
modo palese la differenza. Ah ah.
Spesso è solo un capriccio; m'applico per cercare di
inserire un po' intelligenza nell'ordine delle cose; un'intelligenza che a ben
vedere non v'è. Vedo allora bene la nebbia che rende possibile il mio
potere; nessuna schiarita o nessuna intuizione potebbe gettare sufficiente luce
sul mio scanno d'onnipotenza. L'umidità mi avvolge.
Sono margini d'approssimazione i saldi appigli su cui mi puntello.
Per questo ho diffuso il linguaggio fra gli uomini e ritirato ogni parvenza
di potestà superiore. Hanno celebrato a lungo l'avvento della
malattia che li consuma e non hanno ancora terminato.
Dato il linguaggio tutto segue con certezza; per me, certo.
Potrei anche decidere di volgere lo sguardo altrove, di dar
vita a nuova vita; di creare nuovi pianeti e seminarvi la pace e l'amore, potrei
privare di desiderio una razza superiore e alimentarla d'eterno, ponendola più
vicina a me e lasciandola godere di nient'altro che di me. Forse, un dì.
Ma oggi, ancora questo spettacolo m'avvince.
M'avvince l'astutissima disgrazia che ogni giorno trova in
sé le sue nuove giustificazioni, mi conquista la sofferenza di un adattamento
sempre più sofferente e tanto più sofferente quanto più
saldo e prezioso. Mi affascina la polverosa tenacia di questi piccoli esseri,
attaccati alla loro unica incommensurabile piccolezza, al dubbio costante e
che non paga mai, ad ogni stadio di sfacelo di cui riescono sempre a vedere,
indefessi, un dopo.
Li amo perché non riesco a concepire un simile spettacolo.
Uno spettacolo che ho creato io, e non so ancora come.
Devo contenere davvero tutto, e mi chiedo, invece,
se traccia di una volontà in questo che vedo e controllo v'è,
se discrimino e comprendo la tragedia senza fine che alimento, io, me
- cosa mi comprende e discrimina, muove e governa, cosa mi giudica e mi fa giudicare?
Sento il mio potere, lo sento in mio potere.
Ma non ho ancora ben compreso come smettere.