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Pio IX
Si semper antea


20 maggio 1850

Se dovemmo sempre convincerci, Venerabili Fratelli, che non è mai venuta meno l’ammirabile provvidenza di Dio in difesa del Cattolicesimo, in questi ultimi anni scorgemmo certamente risplendere in modo sublime quella forza celeste con la quale Dio ha promesso di assistere la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli. Sono note appieno all’intero orbe cattolico le dolorose vicende dalle quali, grandemente travagliati, fummo costretti per oltre sedici mesi ad andare esuli da questa Nostra Sede, come del pari è a tutti palese la tristezza, non mai abbastanza deplorabile, dei recenti giorni in cui, con indicibile dolore Nostro, e anche di voi e di tutti i buoni, si vide il principe delle tenebre vomitare la sua rabbia contro la Chiesa e la Sede Apostolica, ed infuriare in questa stessa metropoli, centro della verità cattolica. Ed ognuno sa come Iddio giusto e misericordioso, che percuote e sana, dà morte e rende vita, conduce al sepolcro e fuori ne trae, con prodigiosi e manifesti segni della sua bontà Ci abbia consolato nelle tribolazioni, ed accogliendo con volto propizio e sereno le preghiere Nostre, i Nostri sospiri ed i voti della Chiesa tutta, si sia degnato sedare la fiera tempesta scagliatasi dall’inferno, sottrarre i dilettissimi popoli del Nostro Stato Pontificio dall’infelice condizione in cui miseramente giacevano, e ricondurci in quest’alma Città con tripudio dei popoli stessi, e con esultanza di tutto l’orbe cattolico. Pertanto, dopo il Nostro ritorno, dovendo parlarvi per la prima volta, Ci è d’uopo principalmente rendere grazie infinite all’Onnipotente per tanti benefici concessici, e lodare meritatamente quelle illustri Nazioni e Principi che, mossi da Dio medesimo, furono ben lieti nel rendersi benemeriti di Noi e di questa Sede Apostolica, e nel tutelare e difendere con le loro forze, col loro senno e con le loro armi i domini temporali di Santa Chiesa e ridonare la quiete e l’ordine a Roma ed allo Stato Pontificio. Giustamente merita la Nostra gratitudine e il Nostro encomio il carissimo figlio Nostro in Gesù Cristo Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie. Egli infatti, per l’esimia sua religione, appena avuta notizia del Nostro arrivo in Gaeta, senza frapporre indugio, insieme all’augusta sua sposa Maria Teresa, corse a Noi e pieno di gioia per l’occasione offertasi di dare al Vicario di Cristo in terra prove della sua singolare pietà e di filiale devozione ed ossequio, Ci ospitò generosamente, né mai cessò, durante tutto il tempo della Nostra dimora nel suo Regno, di ricolmarci con ogni genere di attenzioni, come foste voi stessi testimoni, Venerabili Fratelli. E poiché altre Nazioni ancora concorsero a difendere il civile principato di questa Santa Sede, la Maestà di quel Re volle addirittura guidare le proprie truppe. I singolari meriti verso Noi e la Sede Apostolica di sì religioso Principe sono talmente impressi nel Nostro cuore, che la loro memoria non si cancellerà giammai.

Ora poi C’incombe nominare con grande onore e con perenne riconoscenza la chiarissima Nazione francese, illustre per gloria militare, per ossequio verso la Sede Apostolica, e per tanti altri titoli, e della quale sperimentammo benevolenze e favori. Tale Nazione, appunto, e l’inclito Presidente di quella Repubblica, accorrendo alle afflizioni Nostre e dello Stato Pontificio, senza risparmiare alcuna spesa decretarono la spedizione di valorosi comandanti e soldati, che affrontando ogni sorta di pericoli liberarono e rivendicarono dall’infelice stato in cui miseramente giaceva questa Città, e si gloriarono di ricondurci qui.

La stessa lode e la dimostrazione del Nostro animo grato vogliamo parimenti tributare al carissimo figlio Nostro in Gesù Cristo Francesco Giuseppe Imperatore d’Austria, Re Apostolico di Ungheria e illustre Re di Boemia, che per l’avita sua pietà e riverenza verso questa Cattedra di San Pietro apprestando con ogni alacrità la validissima sua opera e l’aiuto per difendere il civile principato di questa Sede Apostolica, liberò con le sue truppe vittoriose le province specialmente dell’Emilia, del Piceno e dell’Umbria da un ingiusto e duro dominio, restituendole al legittimo governo Nostro e della Santa Sede.

Inoltre dobbiamo pure con particolare memoria di gratitudine ricordare i meriti della Nostra carissima figlia in Gesù Cristo Maria Isabella, Regina Cattolica di Spagna, e del suo Governo: infatti, come ben sapete, appena apprese le Nostre calamità ebbe a cuore di eccitare premurosamente le Nazioni cattoliche a sostenere la causa del Padre comune dei fedeli, e di spedire quindi le sue valorose truppe a rivendicare i possedimenti della Santa Chiesa.

E qui, Venerabili Fratelli, non possiamo passare sotto silenzio la somma benevolenza dimostrataci dagli altri illustri Sovrani anche acattolici che, sebbene non concorressero con la loro forza materiale, purtuttavia procurarono d’influire con la loro forza morale per sostenere i diritti e i temporali interessi Nostri e della Chiesa Romana. Di conseguenza rendiamo ad essi ancora le dovute e meritate azioni di grazie, e Ci professiamo loro grandemente obbligati. In ciò si deve da ognuno ammirare l’infinita provvidenza di quel Dio che tutto regola e dispone con vigore e con soavità, e che in tanto sconvolgimento e tristezza di tempi fece sì che anche i Principi non cattolici sostenessero il civile principato della Santa Sede medesima, di cui da tanti secoli, per singolare disposizione della Divina Provvidenza, gode legittimamente il Romano Pontefice, affinché, nel governo della Chiesa universale da Dio affidatogli, possa esercitare in tutto il mondo cattolico il supremo suo potere spirituale con piena libertà, tanto necessaria all’esercizio del Sommo Pontificato e alla salute del gregge di Cristo.

Dobbiamo inoltre rendere testimonianze di lode ed onore a tutti gli ambasciatori e ministri degli stessi Sovrani e Nazioni accreditati presso di Noi e presso la Santa Sede, che, interpreti della propensione e dell’interessamento per Noi delle loro Corti e Governi, difesero la Nostra persona prima della partenza e Ci furono compagni nell’esilio e nel ritorno.

Tante poi e sì grandi furono le prove di singolare pietà, d’intenso amore, di devotissimo ossequio e di larghissima liberalità dateci dall’universo orbe cattolico, che avremmo assai desiderato in questo vostro Consesso ringraziare di nuovo e lodare non solo le città e i paesi ad uno ad uno, ma tutti singolarmente, se il Nostro discorso non si dilungasse più di quel che conviene. Però non possiamo tacere gl’illustri ed ammirabili contrassegni di fedeltà, di pietà, di amore e di liberalità datici dai Venerabili Fratelli Vescovi dell’orbe cattolico, che Ci furono di grandissima letizia. Essi infatti, sebbene posti nelle più gravi angustie e strettezze, purtuttavia non ristettero mai, con sacerdotale zelo e costanza, dall’adempiere il proprio ministero e dal combattere la buona battaglia, con la voce e con gli scritti, e con le loro adunanze difendere impavidi la causa, i diritti e la libertà della Chiesa, e provvedere alla salvezza del gregge loro affidato. Né possiamo astenerci dal protestare anche a voi, Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, la Nostra viva gratitudine, essendoci stati di sommo conforto e sollievo, mentre compagni e partecipi della Nostra sventura, sopportando con animo invitto ogni sorta di disagio, e pronti a subire per la Chiesa di Dio pene anche maggiori, non tralasciaste mai con ogni virtù di sostenere l’eminente grado di dignità che occupate nella Chiesa stessa, e di giovarci con i vostri consigli e fatiche nelle gravissime lotte sostenute. Essendosi ora per sommo beneficio dell’Altissimo cambiate le cose in modo che fra il giubilo non solo di questa alma Città, ma anche dei popoli tutti, potemmo restituirci a questa Sede Apostolica, nulla certamente deve esserci tanto caro quanto nella umiltà del cuore Nostro rendere continue ed infinite azioni di grazie al Dio delle misericordie, delle quali Ci fu prodigo, ed alla Santissima Madre di Dio Maria Vergine Immacolata, al cui validissimo patrocinio attribuiamo la Nostra salvezza.

Fin qui, Venerabili Fratelli, toccammo rapidamente quelle cose che Ci furono di gioia; ora per dovere del supremo Nostro Apostolico Ministero non possiamo fare a meno di parlarvi di ciò che travaglia, opprime e strazia il Nostro cuore. Sapete già, Venerabili Fratelli, la terribile ed inesorabile guerra suscitata fra la luce e le tenebre, fra la verità e l’errore, fra il vizio e la virtù, fra Belial e Cristo; né ignorate con quali arti e macchinazioni nefande i nemici di Dio e della società si sforzino per attaccare ed abbattere gl’interessi di nostra Santissima Religione; svellere dalle radici il germe di ogni cristiana virtù; propagare ovunque la sfrenata ed empia licenza di pensare e di vivere; con ogni sorta di perversi e perniciosi errori corrompere la mente e il cuore della moltitudine, specialmente inesperta, e dell’incauta gioventù; di conculcare i diritti divini ed umani e, se fosse possibile, rovesciare dalle fondamenta la Chiesa Cattolica, ed espugnare la Cattedra santa di Pietro. Ed ognuno vede quali e quanti mali, non senza grande dolore dell’animo Nostro, per opera del potere delle tenebre affliggano e travaglino l’ovile di Cristo a Noi affidato e la stessa società umana. Pertanto, Venerabili Fratelli, se mai altre volte prima, ora certamente sia Noi sia voi dobbiamo coraggiosamente adoperarci insieme uniti, e con ogni vigilanza, zelo e vigore, sia con opere, sia con parole, sia con l’esempio, per combattere impavidi le battaglie del Signore opponendo un muro per la casa d’Israele. Noi certamente, quantunque consapevoli della Nostra pochezza, pur tuttavia abbandonati al Divino aiuto, per dovere del Supremo Nostro Apostolico Ministero "non taceremo per amore di Sionne, né ci daremo posa per amore di Gerusalemme" (Is 62,1); e tenendo lo sguardo sempre fisso nell’autore della fede e nel perfezionatore Gesù, non risparmieremo né cure, né consigli, né fatiche per poter sostenere la casa di Dio, restaurare il tempio, riparare le rovine della Chiesa, provvedere alla comune salvezza, pronti e disposti a dar volenterosi la vita stessa per Gesù Cristo e per la sua Chiesa. E da questo luogo indirizzando il discorso a tutti i Venerabili Fratelli Vescovi dell’orbe cattolico chiamati a partecipare delle Nostre sollecitudini, mentre di nuovo grandemente Ci congratuliamo con loro delle illustri loro fatiche per la maggiore gloria di Dio, e per la salvezza delle anime, torniamo ad incoraggiarli, perché in questa orribile lotta contro la Divina Nostra Religione, concordi ed animati dagli stessi sentimenti, confortati nel Signore e nella potenza della sua virtù, prendendo lo scudo inespugnabile della fede, ed imbrandita la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, continuino vieppiù, come fecero finora, con episcopale valore, con costanza e prudenza a combattere intrepidamente per la Religione, ad opporsi agli sforzi dei nemici, a ribatterne i dardi, a romperne l’impeto, a difendere il gregge dalle insidie e dalle violenze e a condurlo nelle vie della salvezza.

Chiediamo inoltre agli stessi Venerabili Fratelli che non tralascino mai di avvertire, di esortare e di eccitare specialmente gli ecclesiastici, affinché con assidue orazioni, col fervore dello spirito, e con la pietà e la santità della vita si mostrino in ogni cosa esempio di buone opere, ed accesi di zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime, stretti fra loro con saldo vincolo di carità, prendano l’armatura di Dio, concordi e riuniti escano in battaglia, e sotto la guida del proprio Vescovo alzino giorno e notte la voce sacerdotale, e annunzino al popolo, come si conviene, la legge santa di Dio e i precetti della Chiesa sua sposa. Proseguano ancora gli stessi Venerabili Fratelli ad inculcare agli ecclesiastici di svelare ai fedeli gl’inganni e le frodi degli insidiatori, d’insegnare al popolo che sono sempre derivate e derivano dal peccato le miserie e le calamità che affliggono il mondo, e che nel solo adempimento della legge di Cristo consiste la vera e solida felicità, e perciò non risparmino cure, affinché tutti, aborrendo il male e seguendo il bene, vadano pel sentiero dei comandamenti di Dio, escano i traviati dalle tenebre degli errori e dal fango dei vizi, e si convertano.

Ora poi, Venerabili Fratelli, vi comunichiamo una consolazione certamente grandissima che provammo fra tante angustie, allorquando Ci fu data notizia dei decreti emanati dal Nostro carissimo figlio in Gesù Cristo Francesco Giuseppe Imperatore d’Austria, Re Apostolico dell’Ungheria e illustre Re della Boemia, con i quali, secondo la sua specchiata religione, appagando i voti e le domande Nostre e dei Venerabili Fratelli Vescovi del suo vasto impero, con grandissima gloria del suo nome e con vera esultanza dei buoni, aprì volonteroso, insieme con i suoi Ministri, l’adito a quella libertà della Chiesa Cattolica che tanto si desiderava. Perciò tributiamo allo stesso Imperatore e Re le meritate lodi per un fatto così insigne, del tutto degno di un Principe Cattolico, e con lui Ci congratuliamo grandemente nel Signore; e speriamo non invano che lo stesso religiosissimo Monarca, per il suo amore alla Chiesa Cattolica, voglia proseguire e compiere un’opera sì ragguardevole, e portare al massimo i suoi meriti verso la Cattolicità.

Mentre però eravamo immersi in siffatta consolazione Ci sopraggiunse un dolore amarissimo che Ci affanna e Ci strazia, scorgendo in qual modo gl’interessi della Nostra Santissima Religione ora si abbattano in un altro Regno cattolico, e si conculchino i sacri diritti della Chiesa e di questa Santa Sede. Già ben vedete, Venerabili Fratelli, che Noi qui intendiamo parlarvi del Piemonte, ove, come tutti forse già conoscono attraverso sia lettere private sia pubblici giornali, fu promulgata una legge avversa ai diritti della Chiesa e ai solenni trattati conclusi con questa Sede Apostolica; ed in questi giorni poi, con sommo dolore dell’animo Nostro, il ragguardevolissimo Arcivescovo di Torino, il Venerabile Fratello Luigi Fransoni, fu prelevato da mano militare dalla sua Sede arcivescovile, e con grave lutto dei buoni della città di Torino e di tutto il regno venne tradotto in luogo di reclusione. Noi pertanto, come esigevano la gravità delle cose e il Nostro dovere di tutelare i diritti della Chiesa, rimosso ogni indugio, per mezzo del Nostro Cardinale pro-segretario di Stato, immantinente reclamammo presso quel Governo prima di tutto contro la enunciata legge, poi contro l’ingiuria e la violenza usata all’egregio Arcivescovo. Intanto, mentre speriamo che la Nostra amarezza sia temperata dal desiderato esito dei Nostri reclami, non ometteremo di interessarci con altra allocuzione degli affari ecclesiastici di quel Regno, e rendervene consapevoli, allorquando lo giudicheremo opportuno.

Dopo ciò non possiamo astenerci, per il Nostro paterno affetto verso l’illustre Nazione Belga, che sempre si distinse nello zelo della Religione cattolica, dall’esprimervi il Nostro dolore, vedendo ivi sovrastare pericoli agli interessi cattolici. Ma confidiamo che quel serenissimo Re e tutto il suo Ministero, riflettendo nella loro saggezza quanto la Chiesa Cattolica e la sua dottrina contribuiscano anche alla temporale tranquillità e prosperità dei popoli, vogliano mantener salda la salutare influenza della Chiesa e proteggere e difendere i sacri Pastori e Ministri della Chiesa stessa, e la loro opera sopra ogni dire giovevole.

Siccome poi quell’apostolica carità, con la quale abbracciamo in Gesù Cristo i popoli e le nazioni, Ci conduce a null’altro desiderare se non che tutti concorrano nell’unità della Fede e della cognizione del figlio di Dio, indirizziamo con tutto l’affetto del cuore le Nostre parole a tutti gli acattolici, e li scongiuriamo nel Signore che, dissipata la caligine degli errori, veggano la luce della verità, e riparino nel seno della Santa Madre Chiesa ed in questa Cattedra di Pietro, in cui Cristo gettò le fondamenta della Chiesa medesima.

Finalmente, Venerabili Fratelli, non tralasciamo giammai col maggiore possibile fervore d’innalzare umili e devotissime preghiere a Dio clementissimo dispensatore d’ogni bene, affinché, per i meriti dell’Unigenito Suo Figlio Signore Nostro Gesù Cristo, e della Sua Santissima Madre Immacolata Vergine Maria, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, sottragga la sua Chiesa da ogni avversità, e l’abbellisca e l’accresca dovunque di sempre maggiori e splendidi trionfi di genti e di terre, e Ci ricolmi ogni giorno più di copiosi doni della sua bontà, conceda ai Sovrani e alle Nazioni di Noi benemerite ogni più ampia e vera felicità, ed accordi all’orbe universo la sospirata pace.


  Magistero pontificio - Copertina