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Pio IX
Quibus, quantisque


20 aprile 1849

Da quali e quante calamitose procelle siano miseramente agitati e sconvolti, con sommo dolore del Nostro animo, il Nostro Stato Pontificio e quasi tutta l’Italia, nessuno certamente lo ignora, Venerabili Fratelli.

E voglia Dio che gli uomini, ammaestrati da queste luttuosissime vicende, comprendano finalmente che nulla è più dannoso per essi quanto il deviare dal sentiero della verità, della giustizia, dell’onestà e della Religione, appagarsi dei tristissimi consigli degli empi e lasciarsi ingannare e irretire dalle loro insidie, dalle frodi e dagli errori! Certamente tutto il mondo ben conosce ed attesta quali e quante siano state la cura e la sollecitudine del paterno ed amantissimo animo Nostro nel procurare la vera e solida utilità, tranquillità, prosperità dei popoli del Nostro Stato Pontificio, e quale sia stato il frutto di tanta Nostra indulgenza e di tanto amore. Con tali parole Noi condanniamo soltanto gli scaltrissimi artefici di così grandi mali, senza volere attribuire alcuna colpa alla massima parte dei popoli. Senonché siamo costretti a deplorare che molti, anche tra il popolo, siano stati così miseramente ingannati che, chiudendo le orecchie alle Nostre parole ed ai Nostri avvertimenti, le abbiano poi schiuse alle fallaci dottrine di alcuni maestri i quali, lasciando "il retto sentiero e calcando vie tenebrose" (Pr 2,13) miravano solo a indurre e a spingere in pieno nella frode e nell’errore gli animi e le menti specialmente degli inesperti, con magnifiche e mendaci promesse.

Tutti ben sanno con quali lodi sia stato ovunque celebrato quel memorabile ed amplissimo perdono da Noi concesso per la pace, per la tranquillità e per la felicità delle famiglie. E nessuno ignora che parecchi a cui fu largito quel perdono non solo non mutarono affatto il loro pensiero, come Noi speravamo, ma anzi insistendo ogni giorno più acremente nei loro disegni e nelle loro macchinazioni, nulla mai tralasciarono che non ardissero, nulla che non tentassero, purché scuotessero e rovesciassero il civile Principato del Romano Pontefice e il suo governo, come già da gran tempo ordivano, e portassero insieme guerra acerbissima alla Nostra santissima Religione. A raggiungere poi più agevolmente tale scopo, non cercarono altro che di adunare dapprima le masse dei popoli, infiammarle e tenerle di continuo in grandi agitazioni, che si studiavano con ogni sforzo di fomentare ed accrescere quotidianamente col pretesto delle Nostre medesime concessioni. Quindi quelle larghezze da Noi spontaneamente e volontariamente concesse agli inizi del Nostro Pontificato non solo non valsero a produrre il desiderato frutto, ma neppure a metterne mai le radici, mentre gli espertissimi artefici di frodi abusavano delle stesse concessioni per suscitare nuovi torbidi. E in questo vostro consesso, Venerabili Fratelli, abbiamo creduto di toccare, benché leggermente, e di rammentare in modo sommario i fatti stessi, precisamente a questo fine: perché tutti gli uomini di buona volontà conoscano chiaro ed aperto che cosa mai pretendano i nemici di Dio e del genere umano, che cosa desiderino e che cosa mai sia stato sempre nell’animo loro fisso e determinato.

Per il Nostro singolare affetto verso i sudditi Ci doleva oltremodo e Ci affannava, Venerabili Fratelli, il vedere quei continui turbamenti popolari tanto avversi sia della pubblica quiete e dell’ordine, sia della tranquillità privata e della pace delle famiglie; né potevamo tollerare quelle frequenti collette pecuniarie che sotto vari titoli, non senza lieve molestia e dispendio dei cittadini, si andavano facendo. Pertanto, nel mese di aprile dell’anno 1847, con pubblico editto del Nostro Cardinale Segretario di Stato non tralasciammo di avvertire tutti di astenersi da simili popolari adunanze e largizioni, di attendere di nuovo ai proprii affari, di riporre in Noi ogni fiducia, di tenere per certo che le Nostre paterne cure e i Nostri pensieri erano unicamente rivolti a procurare il pubblico bene, come già avevamo dato prove con parecchi e luminosissimi argomenti. Ma questi Nostri salutari avvisi coi quali Noi Ci sforzavamo di frenare così grandi movimenti popolari e richiamare i sudditi stessi all’amore della quiete e della tranquillità, si opponevano assai ai pravi desideri ed alle macchinazioni di taluni.

Pertanto gl’instancabili autori delle turbolenze, i quali si erano già opposti ad altra ordinanza emanata per Nostro comando dallo stesso Cardinale Segretario di Stato, intesa a promuovere una retta ed utile educazione del popolo, appena ebbero conosciuto quei Nostri avvisi, non desistettero dal gridare loro contro dappertutto e dal sollevare sempre più con maggiore impegno le incaute masse dei popoli, e dall’insinuare ad esse con molta scaltrezza e a persuaderle a non volersi mai dare a quella tranquillità tanto da Noi desiderata, dappoiché dicevano che in essa si nascondeva il proposito che i popoli si addormentassero e così potessero più facilmente essere oppressi dal duro giogo della schiavitù. E da quel momento Ci furono mandate moltissime scritture, anche stampate, piene di acerbissime ingiurie, d’ogni sorta di oltraggi, di minacce, le quali Noi coprimmo di un eterno oblio e consegnammo alle fiamme.

Ora i perturbatori, al fine di accreditare in qualche maniera i falsi pericoli che andavano gridando sovrastare al popolo, non ebbero ribrezzo di spargere nel volgo voci e timori di una supposta congiura, da essi a bella posta inventata, e di farneticare, con la più vituperevole menzogna, che si fosse ordita siffatta congiura per funestare la città di Roma con la guerra civile, con stragi ed eccidi: affinché, tolte ed annullate le nuove istituzioni, venisse ristabilita l’antica forma di governo. Ma sotto il pretesto di questa falsissima congiura i nemici avevano il nefando disegno di scuotere ed eccitare il popolo al disprezzo, all’odio, al furore persino contro taluni personaggi specchiatissimi per virtù, insigni per Religione e distinti altresì per dignità ecclesiastica. Voi ben sapete che in questo bollore di cose venne proposta la Guardia Civica, e fu raccolta con tanta celerità che non fu affatto possibile provvedere alla sua retta istituzione e disciplina.

Quando per prima cosa giudicammo opportuno, a procurare vieppiù la prosperità della pubblica amministrazione, di dar vita alla Consulta di Stato, i nemici presero subito occasione da ciò per portare al Governo nuove ferite, e fare in maniera che tale istituzione, la quale poteva riuscire di grande vantaggio ai pubblici interessi dei popoli, ritornasse a loro danno e rovina. E poiché era già impunemente invalsa l’opinione loro che con quella istituzione si cambiavano l’indole e la natura del Governo Pontificio, e che l’autorità Nostra sottostava al giudizio dei Consultori, perciò in quello stesso giorno della inaugurazione di questa Consulta non tralasciammo di ammonire seriamente con gravi e severe parole parecchi turbolenti, da cui erano accompagnati i Consultori, e di manifestare loro chiaro ed aperto il vero fine di questa istituzione. Per altro i perturbatori non desistevano dal sollecitare e dallo spingere con sempre nuovo impeto la parte illusa del popolo, e per avere più facilmente maggior numero di proseliti con classica impudenza ed audacia andavano insinuando nel Nostro Stato, come pure presso le nazioni estere, essere Noi perfettamente d’accordo con le loro opinioni e i loro divisamenti.

Rammenterete, Venerabili Fratelli, come e con quali parole nella Nostra Allocuzione pronunciata nel Concistoro del 4 ottobre 1847 Noi non omettemmo di seriamente ammonire ed esortare tutti i popoli a guardarsi con la massima attenzione dalle arti di simili ingannatori. Frattanto i pervicaci autori delle insidie e delle agitazioni per tenere sempre vivi ed attivi turbolenze e timori, nel gennaio dello scorso anno atterrivano gli animi degli incauti col falso allarme di una guerra esterna, e spargevano nel volgo l’idea che la guerra stessa era fomentata e si sarebbe sostenuta per interne cospirazioni e per la maliziosa inerzia dei governanti. Per tranquillizzare gli animi e per ribattere le arti degli insidiatori, senza indugio il 10 febbraio dello stesso anno con quelle Nostre parole a tutti ben note, dichiarammo essere tali voci pienamente false ed assurde. Ed in quella occasione preannunziammo ai Nostri carissimi sudditi quel che ora con l’aiuto di Dio avverrà, che cioè innumerevoli figli sarebbero accorsi a difendere la casa del Padre comune dei fedeli, ossia lo Stato della Chiesa, ogniqualvolta si fossero sciolti quegli strettissimi legami di gratitudine dai quali dovevano essere fra loro intimamente collegati i Principi e i popoli italiani, e i popoli stessi avessero trascurato di rispettare la sapienza dei loro Principi e la santità dei loro diritti, e di conservarli e difenderli con tutte le forze.

Quantunque poi le Nostre parole dette dianzi ridonassero per breve tempo la calma a tutti coloro il cui volere era contrario alla continua agitazione, tuttavia a nulla valsero presso gli accanitissimi nemici della Chiesa e della umana società, che già avevano eccitato nuove turbe e nuovi tumulti. Incalzando le calunnie già da essi e dai loro simili scagliate contro Religiosi consacrati al divino ministero e benemeriti della Chiesa, con grande violenza sollevarono ed accesero contro di questi il furore popolare. Né ignorate, Venerabili Fratelli, che nulla valsero le Nostre parole indirizzate al popolo il 10 marzo dell’anno scorso, con le quali energicamente procuravamo di sottrarre quella Religiosa Famiglia all’esilio e alla dispersione.

Mentre avvenivano questi fatti in Italia, e quei notissimi sconvolgimenti di cose in Europa, Noi di nuovo il 30 marzo dell’anno stesso, alzando la Nostra voce apostolica, non tralasciammo di avvertire ed esortare reiteratamente tutti i popoli a rispettare la libertà della Chiesa Cattolica, a mantenere l’ordine della società civile, a difendere i diritti di ognuno, ad eseguire i precetti della nostra sacrosanta Religione, e specialmente a porre ogni studio per esercitare verso tutti la carità cristiana; altrimenti, se essi avessero trascurato di operare in questo senso, fossero certi che Iddio avrebbe mostrato che Egli solo è il dominatore dei popoli.

Ora ognuno di voi ben sa come in Italia sia stata introdotta la forma di Governo Costituzionale, e come sia venuto alla luce il giorno 14 marzo dello scorso anno lo Statuto da Noi concesso ai Nostri Sudditi. Ma siccome gl’implacabili nemici dell’ordine e della tranquillità altro non bramavano, se non fare ogni sforzo contro il Governo Pontificio, ed agitare senza tregua il popolo con continui e sospetti sommovimenti, così per mezzo di stampe, di circoli, di comitati e di altri artifizi d’ogni sorta non si stancavano mai di calunniare atrocemente il Governo, di tacciarlo d’inerte, d’ingannatore, di fraudolento, quantunque il Governo stesso con ogni cura e zelo si adoperasse perché il tanto desiderato Statuto venisse pubblicato con la maggior celerità possibile. E qui vogliamo manifestare al mondo intero che al tempo stesso quegli uomini, fermi nel loro proposito di sconvolgere lo Stato Pontificio e l’Italia tutta, Ci proposero di proclamare non una Costituzione, ma una Repubblica, come unico scampo e difesa della salvezza sia Nostra, sia dello Stato della Chiesa. Abbiamo ancora presente nella memoria quella notte, ed abbiamo ancora davanti agli occhi alcuni che, miseramente illusi ed affascinati dagli orditori di frodi, non dubitavano di patrocinare in ciò la loro causa e di proporci la proclamazione stessa della Repubblica. Il che, oltre ad innumerevoli e gravissimi altri argomenti, dimostra sempre più che le domande di nuove istituzioni ed il progresso tanto predicato da tali uomini mirano unicamente a tenere sempre vive le agitazioni, a eliminare ogni principio di giustizia, di virtù, di onestà, di religione; e ad introdurre, a propagare ed a far largamente dominare in ogni luogo, con gravissimo danno e rovina di tutta la società umana, l’orribile e fatalissimo sistema del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale.

Ma sebbene questa nerissima cospirazione, o piuttosto questa lunga serie di cospirazioni apparisse chiara e manifesta, purtuttavia, così Dio permettendo, rimase ignota a molti di coloro ai quali per tanti motivi doveva stare molto a cuore la comune tranquillità. E quantunque gl’instancabili direttori delle agitazioni dessero gravissimo sospetto di sé, pure non mancarono uomini di buona volontà che porgessero loro la mano amica, forse confidando nella speranza di poterli ricondurre nel sentiero della moderazione e della giustizia.

Intanto un grido di guerra corse all’improvviso per tutta l’Italia, per cui una parte dei Nostri Sudditi, commossa e trasportata, volò alle armi, e resistendo alla Nostra volontà volle oltrepassare i confini del Nostro Stato. Voi sapete, Venerabili Fratelli, come Noi, adempiendo all’ufficio di Sommo Pontefice e di Sovrano, Ci opponemmo agli ingiusti desideri di coloro che volevano trascinarci ad intraprendere quella guerra, e che esigevano che Noi spingessimo alla battaglia, cioè a strage certa, una gioventù inesperta, raccolta in un baleno, mai istruita nell’arte e nella disciplina militare, sfornita di abili comandanti e di attrezzi di guerra. E questo si pretendeva da Noi che, sebbene immeritevolmente innalzati per imperscrutabile decreto della divina provvidenza al vertice della dignità Apostolica, sostenendo qui in terra l’ufficio di Vicario di Gesù Cristo, ricevemmo da Dio, autore di pace e di carità, la missione di amare con paterno affetto indistintamente tutti i popoli, tutte le genti e le Nazioni, e di procurare, per quanto sta in Noi, la loro salvezza, non già di spingerli alle stragi e alla morte. Che se ad ogni Principe è vietato senza giuste cause intraprendere una guerra, chi sarà mai così privo di consiglio e di senno, il quale chiaramente non vegga che l’orbe cattolico esige a buon diritto dal Romano Pontefice una giustizia di gran lunga maggiore e più gravi cause qualora si accinga ad intimare e a portare ad altrui una guerra?

Pertanto con la Nostra Allocuzione del 29 aprile dello scorso anno pronunciata davanti a voi, dichiarammo al mondo intero essere Noi affatto alieni da quella guerra e in quel medesimo tempo rifiutammo e rigettammo da Noi un’offerta certamente insidiosissima fattaci sia a voce, sia per iscritto: offerta non solo a Noi sommamente ingiuriosa, ma anche fatalissima all’Italia, di volere cioè presiedere al governo di una certa Repubblica Italiana. Ed invero per singolare divina misericordia procurammo di compiere il gravissimo incarico impostoci da Dio stesso di parlare, di ammonire, di esortare, e perciò confidiamo che non Ci si possa rimproverare quel detto d’Isaia "Guai a me perché tacqui". E Dio volesse che le Nostre paterne voci, i Nostri avvertimenti, le Nostre esortazioni fossero stati ascoltati da tutti i Nostri figli.

Rammenterete, Venerabili Fratelli, quali schiamazzi e tumulti si mossero dagli uomini della turbolentissima fazione dopo l’Allocuzione da Noi ora accennata, ed in qual modo Ci venne imposto un ministero civile del tutto contrario alle Nostre massime e ai Nostri divisamenti, ed ai diritti della Sede Apostolica. Noi certamente, fin da quel tempo, prevedemmo l’esito infelice della guerra d’Italia, mentre uno di quei Ministri non dubitava di asserire che la guerra medesima sarebbe durata, benché Nostro malgrado, e senza la Pontificia benedizione. Lo stesso Ministro altresì con sommo oltraggio della Sede Apostolica non ebbe ribrezzo di proporre che il civile principato del Romano Pontefice dovesse affatto separarsi dal potere spirituale del medesimo. Quegli stesso, non molto dopo, parlando di Noi osò affermare pubblicamente tali cose, con le quali bandiva in certo modo e segregava il Pontefice stesso dal consorzio degli uomini. Il giusto e misericordioso Signore volle umiliarci sotto la possente sua mano permettendo che, per lo spazio di più mesi, la verità da una parte, la menzogna dall’altra pugnassero tra loro con fierissima battaglia, alla quale pose termine la formazione di un altro Ministero, che poi cedette il posto ad altro, che accoppiava bellamente all’ingegno un particolare zelo per difendere l’ordine pubblico e mantenere le leggi. Ma la sfrenata licenza ed audacia delle prave passioni, levando ogni giorno più alto il capo, dilatavano la loro dominazione, ed i nemici di Dio e degli uomini, accesi dalla lunga e fiera sete di dominare, predare e distruggere, null’altro tanto anelavano quanto di rovesciare tutte le leggi divine ed umane, e saziare cosi le loro brame. Quindi le macchinazioni da tanto tempo preparate si manifestarono apertamente; si videro le vie macchiate di sangue umano, e furono commessi sacrilegi non mai abbastanza deplorabili, e violenze mai intese con indicibile ardimento fatteci nella Nostra stessa residenza al Quirinale. Quindi, oppressi da tante angustie, non potendo liberamente esercitare l’ufficio non solo di Sovrano, ma neppure di Pontefice, non senza somma amarezza del Nostro animo fummo costretti ad allontanarci dalla Nostra Sede. Passiamo ora sotto silenzio quei luttuosissimi fatti da Noi narrati nelle pubbliche proteste, perché non si esacerbi il Nostro comune dolore nel ricordarli. Appena poi i sediziosi conobbero quelle Nostre proteste, infuriando, e con maggiore audacia, e tutto a tutti minacciando, non risparmiarono alcuna sorta di frode, d’inganno, di violenza per gettare sempre più grande spavento nei buoni già abbastanza atterriti. E dopo che ebbero introdotto quella nuova forma di Governo da essi chiamata Giunta di Stato, e tolti di mezzo i due Consigli da Noi istituiti, si adoperarono con tutta lena per adunare una nuova assemblea da essi chiamata Costituente Romana. L’animo certamente rifugge e ripugna al rammentare quali e quante frodi usassero per riuscire in tale intento. Qui poi non possiamo dispensarci dal tributare le debite lodi alla maggior parte dei Magistrati dello Stato Pontificio, i quali memori del proprio onore e del proprio dovere vollero piuttosto ritirarsi dall’ufficio, anziché collaborare in alcun modo ad un’impresa che tendeva a spogliare il loro Sovrano ed il Padre amantissimo del suo legittimo civile principato. Si adunò finalmente quell’Assemblea, ed un certo avvocato romano, sin nell’esordio del suo primo discorso pronunciato ai congregati, dichiarò solennemente a tutti ciò che egli e tutti gli altri suoi compagni autori dell’orribile movimento sentissero, volessero e dove mirassero. "La legge del progresso morale, diceva egli, è imperiosa ed inesorabile", e insieme soggiungeva che egli e gli altri erano già da molto tempo decisi di abbattere dalle fondamenta il dominio temporale e il governo della Sede Apostolica, qualunque cosa da Noi si fosse fatta per secondare i loro desideri.

Tale dichiarazione abbiamo voluto rammentare in questo vostro consesso, affinché tutti intendano che tale perversa volontà non fu da Noi attribuita agli autori delle sedizioni solo per congettura e mossi da qualche sospetto, ma che in tutto il mondo fu palesemente e pubblicamente manifestata da quegli stessi che anche il solo pudore avrebbe dovuto trattenere dal proferire simile dichiarazione.

Siffatti uomini, dunque, non miravano ad avere istituzioni più libere, né riforme più utili alla pubblica amministrazione, non pròvvide misure di qualunque genere, ma volevano bensì invadere, scuotere, distruggere il dominio temporale della Sede Apostolica. E questo loro proposito, per quanto poterono, lo realizzarono con quel decreto emanato dalla cosiddetta, da loro, Costituente Romana il giorno 9 febbraio del corrente anno, con il quale dichiararono essere i Romani Pontefici decaduti di diritto e di fatto dal governo temporale: né sappiamo dire se sia stata più grave l’ingiustizia contro i diritti della Chiesa Romana e la libertà ad essi congiunta nell’adempiere l’ufficio Apostolico, o se furono maggiori il danno e la calamità per tutti i Sudditi pontifici. Per così deplorevoli fatti non fu certamente lieve la Nostra afflizione, Venerabili Fratelli, e ciò che soprattutto massimamente Ci addolora è che la città di Roma, centro dell’unità e della verità cattolica, maestra di virtù e di santità, per opera di empi, che ivi in folla ogni giorno accorrono, appaia, al cospetto di tutte le genti, dei popoli e delle nazioni, autrice di tanti mali. Ma in così grave affanno del Nostro cuore Ci è pur dolce il poter affermare che la massima parte tanto del popolo di Roma, quanto degli altri di tutto il Nostro Stato Pontificio, costantemente affezionata e devota a Noi e alla Santa Sede, ha avuto in orrore quelle nefande macchinazioni, benché sia stata spettatrice di tanti luttuosi avvenimenti. Egualmente fu a Noi di somma consolazione la sollecitudine dei Vescovi e del Clero del Nostro Stato che, adempiendo ai doveri del proprio ministero in mezzo ai pericoli e ad ogni sorta d’impedimenti, non tralasciarono, con la voce e con l’esempio, di tenere lontani i popoli da quegli ammutinamenti e dalle malvagie insinuazioni dei faziosi.

In così grande conflitto di cose ed in tanto disastro, nulla lasciammo intentato per provvedere all’ordine e alla pubblica tranquillità. Infatti, assai prima che avessero luogo quei tristissimi fatti del novembre procurammo con ogni impegno che si richiamassero in Roma i Reggimenti Svizzeri addetti al servizio della Santa Sede e stanziati nelle Nostre province; ciò però, contro il Nostro volere, non ebbe effetto per opera di coloro che nel mese di maggio avevano l’incarico di Ministri. Né questo soltanto, ma anche prima d’allora, come in seguito, al fine di difendere l’ordine pubblico specialmente in Roma, e di comprimere l’audacia del partito sovversivo, rivolgemmo le Nostre premure a procurarci soccorsi di altre truppe che, con il permesso di Dio, date le circostanze Ci vennero meno.

Finalmente dopo gli stessi luttuosissimi fatti di novembre non tralasciammo d’inculcare in ogni modo, con la Nostra lettera del 5 gennaio a tutte le Nostre truppe indigene che, memori della religione e dell’onore militare, mantenessero la fedeltà giurata al proprio Principe, e con zelo si adoperassero perché ovunque si conservassero la quiete pubblica e la dovuta obbedienza e devozione al legittimo Governo. Oltre a ciò demmo ordine che si trasferissero in Roma i Reggimenti Svizzeri, i quali non obbedirono al Nostro volere, specialmente perché il loro Generale tenne, in quest’affare, una condotta non retta e poco onorevole.

Frattanto i capi della fazione, spingendo la loro impresa con maggiore impeto ed audacia, non tralasciavano di scagliare orrende calunnie e contumelie d’ogni sorta contro la Nostra persona e contro coloro che Ci affiancavano; inoltre osavano, per somma nefandezza, abusare delle parole stesse e delle sentenze del Santo Vangelo per adescare sotto la veste di agnello (mentre non sono al di dentro se non lupi rapaci) l’inesperta moltitudine ai loro pravi disegni e complotti, e per avvelenare con false dottrine le menti degli incauti. I Sudditi poi, fedelmente attaccati e devoti a Noi ed al dominio temporale della Santa Sede, Ci richiedevano meritatamente ed a buon diritto di essere liberati da tante gravissime angustie, pericoli, calamità e rovine da cui erano oppressi per ogni dove. E poiché taluni di essi Ci ravvisano come cagione, sebbene innocente, di tante perturbazioni, così vogliamo che essi riflettano che Noi di fatto, appena innalzati al soglio pontificio, rivolgemmo le Nostre paterne cure e disegni, come sopra dichiarammo, precisamente a migliorare con ogni impegno la condizione dei popoli del Nostro Stato Pontificio; ma per opera d’uomini nemici e turbolenti è avvenuto che riuscissero inutili quei Nostri disegni, mentre all’opposto accadde, così permettendolo Iddio, che i faziosi medesimi siano potuti riuscire a mandare ad effetto quello che già da lungo tempo non avevano mai desistito di ordire e tentare con ogni e qualunque genere di malizia.

Pertanto qui di nuovo ripetiamo ciò che già altre volte manifestammo, cioè che nella così grave e luttuosa tempesta dalla quale quasi tutto il mondo è così orrendamente travagliato, si deve riconoscere la mano di Dio ed ascoltare la sua voce, che con tali flagelli suole punire i peccati e le iniquità degli uomini, affinché essi tornino frettolosi nelle vie della giustizia. Ascoltino dunque questa voce coloro che si dipartirono dalla verità, ed abbandonando l’intrapreso cammino si convertano al Signore; l’ascoltino pure coloro che nell’attuale tristissimo stato di cose sono assai più attenti ai loro comodi privati, che al bene della Chiesa e alla prosperità della Religione Cattolica, e ricordino che nulla giova all’uomo "il possedere il mondo intero, se poi abbia a perdere la sua anima"; e l’ascoltino ancora i pii figli della Chiesa, ed aspettando con pazienza il soccorso di Dio, e con sempre maggiore impegno mondando le loro coscienze da ogni macchia di peccato, procurino d’implorare le celesti misericordie, e di piacere sempre più agli occhi di Dio, e di servirlo continuamente.

Fra questi Nostri ardentissimi desideri non possiamo non avvertire specialmente e riprendere coloro che plaudono a quel decreto con cui il Romano Pontefice viene spogliato d’ogni onore e d’ogni dignità del suo Principato civile, ed asseriscono essere il decreto stesso di gran lunga giovevole a procurare la libertà e la felicità della Chiesa medesima. Qui poi, apertamente ed al cospetto di tutti, attestiamo che nel dire questo Noi non siamo mossi da alcuna cupidigia di dominio o da alcun desiderio di potere temporale, mentre la Nostra indole, il Nostro animo sono in verità alieni da qualsivoglia dominazione. Peraltro il Nostro dovere richiede che nel difendere il civile principato della Sede Apostolica difendiamo con tutte le forze i diritti ed i possedimenti della Santa Romana Chiesa, e la libertà della Sede stessa, che è intimamente congiunta con la libertà ed utilità di tutta la Chiesa. Invero coloro che, plaudendo al decreto predetto, asseriscono tante falsità ed assurdità, o ignorano o fingono d’ignorare essere avvenuto per singolarissima disposizione della divina provvidenza che, diviso l’Impero romano in più regni e stati diversi, il Romano Pontefice, cui da Cristo Signore vennero affidati la cura e il governo di tutta la Chiesa, avesse perciò appunto un civile principato, affinché nel reggere la Chiesa medesima e nel custodirne l’unità godesse di quella piena libertà che si richiede per l’esercizio del supremo ministero apostolico. Infatti nessuno ignora che i fedeli, i popoli, le nazioni ed i regni non presterebbero mai piena fiducia e rispetto al Romano Pontefice se lo vedessero soggetto al dominio di qualche Principe o Governo, e non già pienamente libero. Ed invero i fedeli, i popoli ed i regni non cesserebbero mai dal sospettare e temere assai che il Pontefice medesimo non conformasse i suoi atti al volere di quel Principe o Governo nel cui Stato si trovasse, e perciò, con questo pretesto, sovente non avrebbero scrupolo di opporsi agli stessi atti. In verità dicano i nemici stessi del civile principato della Sede Apostolica, che ora dominano in Roma, con quale mai fiducia e rispetto riceverebbero essi le esortazioni, gli ordini, le disposizioni del Sommo Pontefice sapendolo soggetto all’impero di qualsiasi Principe o Governo, specialmente poi se fra uno di questi e lo Stato Romano si fosse da lungo tempo in aperta guerra?

Intanto ognuno vede da quali e quanto gravi ferite nello stesso Stato Pontificio sia ora trafitta l’immacolata sposa di Cristo, da quali ceppi, da quale vilissima schiavitù venga sempre più oppressa, e da quante angustie sia travagliato il suo Capo visibile. E a chi mai è ignoto esserci perfino impedita la comunicazione con Roma, e con quel Clero a Noi carissimo, e con l’intero Episcopato, e con gli altri fedeli di tutto lo Stato Pontificio, tanto che non Ci è neppure concesso d’inviare e ricevere liberamente lettere, anche se si riferiscano ad affari ecclesiastici e spirituali? Chi non sa che la città di Roma, sede principale della Chiesa Cattolica è ora divenuta, ahi! una selva di bestie frementi, ridondante di uomini d’ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo si studiano con ogni sforzo d’insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere, e di corrompere il cuore e l’animo di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse possibile, si guasti la santità della Religione Cattolica, e la irreformabile regola della Fede? Chi non sa, né ha udito essersi, nello Stato Pontificio, con temerario e sacrilego ardimento, occupati i beni, le rendite, le proprietà della Chiesa; spogliati i templi augustissimi dei loro ornamenti; convertite in usi profani le case religiose; le sacre vergini malmenate; sceltissimi ed integerrimi ecclesiastici e religiosi crudelmente perseguitati, imprigionati, uccisi; venerandi chiarissimi Vescovi, insigniti perfino della dignità cardinalizia, barbaramente strappati dal loro gregge e cacciati in carcere? E come questi tanti ed enormi misfatti contro la Chiesa, e i suoi diritti, e la sua libertà si commettono nello Stato Pontificio, così in altri luoghi ove dominano quegli uomini o i loro pari in quel tempo appunto in cui essi stessi dovunque proclamano la libertà, e danno ad intendere essere nei loro desideri che il supremo potere del Sommo Pontefice, sciolto da qualsivoglia vincolo, possegga e fruisca di una piena libertà.

Inoltre nessuno poi ignora in quale tristissima e deplorevole condizione si trovino i Nostri dilettissimi Sudditi per opera di quegli uomini medesimi che commettono tanti eccessi contro la Chiesa: dissipato, esausto il tesoro pubblico, interrotto e quasi estinti il commercio, gravissime contribuzioni di danaro imposte ai nobili e ad altri; derubati i beni dei privati da coloro che chiamansi capi del popolo e duci di sfrenate milizie; manomessa la libertà personale di tutti i buoni, e posta all’estremo pericolo la loro tranquillità; la vita stessa sottoposta al pugnale dei sicari, ed altri immensi e gravissimi mali e calamità, da cui senza tregua i cittadini sono grandemente travagliati, atterriti. Questi precisamente sono gli esordi di quella prosperità che i nemici del supremo Pontificato annunciano e promettono ai popoli dello Stato Pontificio!

In mezzo dunque al grave e incredibile dolore da cui eravamo intimamente penetrati per le tante calamità sia della Chiesa, sia dei Nostri sudditi, ben conoscendo che la ragione del Nostro dovere esigeva assolutamente che facessimo di tutto per rimuoverle ed allontanarle, fin dal 4 dicembre dello scorso anno non tralasciammo di domandare ed implorare dai Principi e dalle Nazioni aiuto e soccorso. E non possiamo trattenerci dal comunicarvi ora, Venerabili Fratelli, la particolare consolazione che provammo nell’apprendere che gli stessi Principi e popoli, e quelli pure non congiunti a Noi per vincolo di unità cattolica, attestarono e dichiararono con vive espressioni la spontanea propensione loro verso di Noi. Il che, mentre mirabilmente lenisce l’acerbissimo Nostro dolore e Ci conforta, maggiormente dimostra come Dio propizio assista sempre la sua santa Chiesa.

Nutriamo speranza che tutti si persuadano che dal disprezzo della santissima nostra Religione sono derivati quei mali gravissimi da cui, in tanta difficoltà di tempi, popoli e regni sono percossi, né che si possa ricercare sollievo e rimedio se non dalla divina dottrina di Cristo e dalla sua Santa Chiesa che, feconda madre e nutrice di ogni virtù e nemica dei vizi, mentre educa gli uomini ad ogni verità e giustizia e li unisce nella scambievole carità, attende e provvede mirabilmente al bene pubblico ed all’ordine della società civile.

Dopo avere invocato l’aiuto di tutti i Principi, chiedemmo tanto più volentieri soccorso all’Austria, confinante a settentrione col Nostro Stato, in quanto essa non solo prestò sempre la sua egregia opera in difesa del dominio temporale della Sede Apostolica, ma fa ora certamente sperare che, secondo gli ardentissimi Nostri desideri e giustissime domande, vengano eliminati da quell’Impero alcuni principi riprovati sempre dalla Sede Apostolica e perciò, a bene e vantaggio di quei fedeli, ivi la Chiesa recuperi la sua libertà. La qual cosa, che con sommo piacere vi annunciamo, siamo certi che arrecherà a voi non piccola consolazione.

Simile aiuto domandammo alla Francia, alla quale portiamo singolare affetto e benevolenza, poiché il clero e i fedeli di quella Nazione posero ogni studio nel lenire e sollevare le Nostre amarezze ed angustie con amplissime dimostrazioni di filiale devozione ed ossequio.

Chiedemmo ancora soccorso alla Spagna che, assai premurosa e sollecita delle Nostre afflizioni, eccitò per prima le altre Nazioni cattoliche a stringere tra loro una filiale alleanza per procurare di ricondurre alla sua Sede il Padre comune dei fedeli, il supremo pastore della Chiesa.

Finalmente chiedemmo siffatto aiuto al Regno delle Due Sicilie, dove siamo ospiti presso il Re, che, occupandosi con tutte le forze nel promuovere la vera e solida felicità dei suoi popoli, tanto rifulge per religione e pietà da servire di esempio ai suoi stessi sudditi. Sebbene poi non possiamo esprimere abbastanza a parole con quanta premura e sollecitudine quel Principe stesso ambisce con ogni maniera e con chiari argomenti di attestarci e confermarci continuamente l’esimia sua filiale devozione verso di Noi, purtuttavia gl’illustri suoi meriti verso di Noi non andranno giammai in oblio. Né possiamo altresì in alcun modo passare sotto silenzio le testimonianze di pietà, di amore e di ossequio che il clero ed il popolo dello stesso Regno, fin da quando vi entrammo, non cessarono mai di porgerci.

Pertanto speriamo che con l’aiuto di Dio quelle Potenze Cattoliche, avendo presente la causa della Chiesa e del suo Sommo Pontefice, Padre comune di tutti i fedeli, si affretteranno ad accorrere quanto prima a difendere, a rivendicare il civile principato della Sede Apostolica e a ridonare ai Nostri sudditi la pace e la tranquillità; confidiamo che saranno allontanati da Roma e da tutto lo Stato Pontificio i nemici della nostra santissima Religione e della civile Società.

Appena ciò avverrà, sarà Nostra cura con ogni vigilanza, sollecitudine e sforzo procurare che si rimuovano tutti quegli errori e gravissimi scandali che con tutti i buoni così altamente abbiamo dovuto lamentare. Dapprima sarà opportuno adoperarsi sommamente a rischiarare col lume della verità eterna gli animi e le inclinazioni miseramente illuse dalle fallacie, dalle insidie e dalle frodi degli empi, affinché gli uomini conoscano i funesti frutti degli errori e dei vizi, e siano eccitati ed animati a seguire le vie della virtù, della giustizia e della Religione. Infatti molto bene conoscete, Venerabili Fratelli, quelle orrende e mostruose opinioni che, scaturite dal fondo dell’abisso a rovina e a desolazione, già prevalsero e vanno furibonde con danno immenso della Religione e della Società. Le quali perverse e pestifere dottrine i nemici non si stancano mai di diffondere nel volgo, con le parole e con gli scritti, e nei pubblici spettacoli per accrescere e propagare ogni giorno di più la sfrenata licenza di ogni empietà, di ogni cupidigia e libidine. Di qua derivano quelle calamità e sventure e disastri che tanto funestarono, e funestano, il genere umano, e quasi il mondo intero. Non ignorate quale guerra si faccia anche nella stessa Italia alla Religione nostra santissima, e con quali frodi ed artifizi i terribili nemici della Religione e della Società si adoperino per allontanare gli animi, specialmente inesperti, dalla santità della fede e dalla sana dottrina, e sommergerli nei vorticosi flutti dell’incredulità, e sospingerli ai più gravi misfatti.

Per agevolare l’esito dei loro disegni, ed eccitare e promuovere le sedizioni e i tumulti sull’esempio degli eretici, disprezzata appieno la suprema autorità della Chiesa, ardiscono invocare, interpretare, mutare, stravolgere nel privato e perverso loro senso le parole, le testimonianze, i sentimenti delle divine scritture e, a colmo di empietà, non hanno orrore di abusare iniquamente dello stesso nome santissimo di Gesù Cristo. Né li trattiene il pudore dall’asserire pubblicamente che tanto la violazione di qualunque più sacro giuramento, quanto qualsivoglia azione scellerata e criminosa, ripugnante anche alla stessa eterna legge di natura, non solo non debba riprovarsi, ma addirittura essere appieno lecita e degna di ogni encomio, quando si faccia, come essi dicono, per amore della patria. Con così empio e stravolto modo di argomentare, da tali uomini si toglie ogni idea di onestà e di giustizia; si difende e si loda con somma impudenza la mano dello stesso ladrone e del sicario.

Alle altre innumerevoli frodi, delle quali i nemici della Chiesa cattolica di continuo si valgono per divellere e strappare dal seno di essa gl’incauti principalmente e gl’inesperti, si aggiungono le più atroci e turpi calunnie, che non arrossiscono d’inventare e lanciare contro la Nostra persona. Noi certamente, benché immeritevoli, facendo qui in terra le veci di Colui che "mentre era maledetto non malediceva, mentre soffriva non minacciava", sopportammo con ogni pazienza ed in silenzio i più amari oltraggi, e non tralasciammo mai di pregare per i Nostri calunniatori e persecutori. Ma essendo debitori ai dotti ed agl’ignoranti, e dovendo con ogni cura provvedere alla salvezza di tutti, al fine di prevenire specialmente lo scandalo dei deboli, non possiamo non rigettare da Noi, in questo vostro consesso, quella falsissima e fra tutte più nera calunnia divulgata contro di Noi da alcuni recentissimi giornali. In verità fummo colpiti da incredibile orrore quando leggemmo quella invenzione con cui i Nostri nemici si sforzano di arrecare grave ferita a Noi ed alla Sede Apostolica, tuttavia non possiamo in alcun modo pensare che simili impudentissime menzogne possano anche solo leggermente offendere quella suprema Cattedra di verità, e Noi che, senza alcun merito, Ci troviamo in essa collocati. E certamente per singolare celeste misericordia possiamo usare quelle parole del nostro divin Redentore: "Io ho parlato palesemente al mondo... e in segreto nulla ho detto". Qui, Venerabili Fratelli, stimiamo opportuno ripetere ed inculcare quanto segnatamente dichiarammo nella Nostra Allocuzione del 17 dicembre 1847, cioè che gli empi, per potere più facilmente danneggiare la vera e genuina dottrina della Religione Cattolica, e ingannare ed indurre altri in errore, non tralasciano di adoperare invenzioni, macchinazioni e sforzi d’ogni genere affinché in certo modo la stessa Santa Sede appaia partecipe e fautrice della loro stoltezza.

A tutti poi è palese quali tenebrosissime, non meno che dannosissime società e sette siano state fondate in vari tempi dai fabbricatori di menzogna, seguaci di perverse dottrine, per istillare più incisivamente negli animi i loro deliri, sistemi e trame, corrompere i cuori dei semplici ed aprire un’ampia via a commettere impunemente ogni sorta di scelleratezze. Le quali abominevoli sette di perdizione, perniciosissime non solo alla salute delle anime ma al bene altresì e alla quiete della società, sempre da Noi detestate e condannate già dai Nostri Predecessori, Noi pure nell’enciclica ai Vescovi dell’orbe cattolico data il 9 novembre 1846 condannammo, ed ora egualmente con la suprema autorità apostolica torniamo a condannare, a proibire, a proscrivere.

Non fu Nostro scopo in questa Nostra Allocuzione di enumerare tutti gli errori dai quali i popoli miseramente delusi vengono spinti a così gravi sciagure, o di additare tutte le macchinazioni con cui si cerca la rovina della Religione Cattolica, e di attaccare da ogni parte, e d’invadere la rocca di Sion. Quanto abbiamo fin qui con dolore rammentato dimostra a sufficienza che dalle invalse prave dottrine e dal disprezzo della giustizia e della Religione derivano quelle calamità e sciagure da cui le nazioni e le genti sono tanto travagliate. Ad eliminare dunque danni così gravi non si devono risparmiare cure, consigli, fatiche e veglie, perché, sradicate tante perverse dottrine, comprendano tutti che nell’esercizio della virtù, della giustizia, della Religione consiste la vera e solida felicità. Quindi Noi e voi e gli altri Venerabili Fratelli Vescovi di tutto l’orbe cattolico dobbiamo con ogni cura, sollecitudine e sforzo adoperarci perché i fedeli, allontanati dai pascoli avvelenati, e condotti ai salubri, e nutriti ogni giorno più con le parole della fede, conoscano, evitino le frodi e gl’inganni degli insidiatori e, ben comprendendo che il timore di Dio è la fonte di ogni bene, e i peccati e le iniquità attirano i flagelli di Dio, si studino con tutta diligenza di fuggire il male, ed operare il bene. Perciò in mezzo a tante angustie proviamo certamente non lieve letizia sapendo con quanta fermezza e costanza d’animo i Venerabili Fratelli Vescovi dell’orbe cattolico, strettamente fedeli a Noi ed alla Cattedra di Pietro, insieme con il clero a loro obbediente virilmente si adoperino a difendere la causa della Chiesa, ed a sostenere la sua libertà e con quale sacerdotale premura e diligenza diano ogni opera per confermare sempre più i buoni nella bontà, ricondurre i traviati nel sentiero della giustizia, e con la voce e con gli scritti ribattere e confondere gli ostinati nemici della Religione. E mentre siamo lieti di porgere ai Venerabili Fratelli medesimi le giuste e meritate lodi, li rincuoriamo affinché con l’aiuto divino proseguano con zelo sempre maggiore ad adempiere il proprio ministero, a combattere le battaglie del Signore, a sollevare la voce con sapienza e vigore per evangelizzare Gerusalemme e sanare le piaghe d’Israele. Conforme a ciò, non cessino dal ricorrere con fiducia al trono della grazia, dal raddoppiare sia pubbliche sia private preghiere e dall’inculcare con impegno ai fedeli che facciano penitenza, affinché possano ottenere dal Signore misericordia, e rinvenire la grazia nell’aiuto opportuno. Né desistano dall’esortare gli uomini d’ingegno e di sana dottrina, onde essi sotto la scorta dei propri pastori e dell’Apostolica Sede si sforzino a rischiarare le menti dei popoli, ed a dissipare le tenebre dei serpeggianti errori.

Qui pure scongiuriamo nel Signore i carissimi figli Nostri in Gesù Cristo i Principi e i Governanti, e a loro chiediamo che, attentamente e seriamente considerando i mali e i danni derivanti nella società da un torrente di tanti vizi ed errori, vogliano principalmente con ogni cura, ingegno e sollecitudine, che la virtù, la giustizia, la Religione ovunque trionfino ed abbiano sempre maggior incremento. E tutti i popoli, le genti, le nazioni e i loro reggitori pensino e meditino assiduamente ed attentamente che tutti i beni sono riposti nella pratica della giustizia, che tutti i mali scaturiscono dalla iniquità: poiché "la giustizia innalza le nazioni, invece il peccato rende miseri i popoli" (Pr 14,34).

Ma prima di porre fine al Nostro dire non possiamo fare a meno di attestare apertamente e pubblicamente il Nostro animo grato a tutti quei carissimi ed affettuosissimi figli che, grandemente solleciti delle Nostre calamità per un sentimento singolarissimo di affetto verso di Noi, vollero inviarci le loro oblazioni. Sebbene tali pie elargizioni Ci apportino notevole sollievo, tuttavia dobbiamo confessare che il cuor Nostro è assai angustiato temendo purtroppo che, nella tristissima condizione della cosa pubblica, essi, trasportati da uno slancio di amore, non vadano ad incontrare nei loro generosi sacrifizi un vero incomodo e danno.

Finalmente, Venerabili Fratelli, Noi rassegnandoci pienamente agl’impenetrabili decreti della sapienza di Dio, con i quali Egli opera la sua gloria, mentre nella umiltà del Nostro cuore rendiamo grazie infinite a Dio per averci fatti degni di soffrire le ingiurie pel nome di Gesù, ed esser fatti in parte conformi all’immagine della sua passione, siamo pronti nella fede, nella speranza, nella pazienza, nella mansuetudine a soffrire i più acerbi travagli e pene e a dare per la Chiesa perfino la Nostra vita, se col Nostro sangue Ci fosse dato di riparare alle calamità della Chiesa. Frattanto, Venerabili Fratelli, non tralasciamo di porgere umilmente giorno e notte fervorose preghiere al Signore Iddio, ricco di misericordia, e di scongiurarlo affinché, per i meriti dell’Unigenito suo Figlio tragga con la sua destra onnipotente la Chiesa sua Santa dalle tante tempeste onde è sbattuta, e col lume della divina sua grazia rischiari le menti di tutti i traviati e vinca i cuori dei prevaricatori nella sua infinita misericordia, affinché, banditi dappertutto gli errori e rimosse tutte le avversità, vedano e riconoscano tutti la luce della verità e della giustizia e corrano nella unità della fede e nella conoscenza di nostro Signor Gesù Cristo.

E non cessiamo mai di chiedere supplichevoli, da Quello stesso che forma la pace nei cieli e che è la nostra pace, che, tolti appieno tutti i mali da cui è straziato il Cristianesimo, si degni accordare ovunque la tanto sospirata pace e tranquillità. E perché più facilmente Iddio si pieghi alle nostre preghiere, avvaliamoci dei mediatori presso di Lui, e soprattutto ricorriamo alla Santissima Vergine Immacolata Maria, la quale è madre di Dio e nostra, e che, madre di misericordia, ciò che domanda ottiene e non può non essere esaudita. Imploriamo ancora i suffragi di San Pietro, Principe degli Apostoli, e del coapostolo Paolo e di tutti i Santi che, divenuti già amici di Dio, regnano con Lui nei cieli, acciocché il clementissimo Signore per i loro meriti e per le loro preghiere liberi i fedeli dai flagelli della sua collera e li protegga sempre e li allieti con l’abbondanza della sua divina benignità.


  Magistero pontificio - Copertina