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Pio IX
Novos et ante


28 settembre 1860

Siamo nuovamente costretti, Venerabili Fratelli, a deplorare con incredibile dolore, o piuttosto con angoscia dell’animo Nostro, ed a detestare i nuovi e fino ad oggi inauditi attentati commessi dal Governo Subalpino contro Noi, questa Sede Apostolica e la Chiesa Cattolica. Tale Governo, come sapete, abusando della vittoria che, con l’aiuto di una grande e bellicosa nazione, riportò da una funestissima guerra, estese in Italia il suo regno contro ogni diritto divino ed umano, indusse a ribellione i popoli, e, cacciati, per somma ingiustizia, dal loro dominio i legittimi Principi, invase ed usurpò con ardimento iniquissimo e decisamente sacrilego alcune province del Nostro Stato Pontificio in Emilia. Ora, mentre tutto il mondo cattolico, rispondendo alle nostre giustissime e gravissime denunce, non cessa di gridare altamente contro quest’empia usurpazione, il medesimo governo determinò d’impadronirsi delle altre province di questa Santa Sede, poste nel Piceno, nell’Umbria e nel Patrimonio. Ma vedendo che i popoli di quelle province godevano perfetta tranquillità ed erano a Noi fedelmente congiunti, né per danaro largamente profuso, né con altre arti malvage si potevano alienare e divellere dal civile dominio di questa Santa Sede, per questo scatenò sopra le stesse province non solo bande di uomini scellerati, che vi eccitassero turbolenze e sedizione, ma anche il suo numeroso esercito, che con impeto di guerra e con la forza delle armi le soggiogasse.

Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, l’impudente lettera che il Governo Subalpino scrisse in difesa del suo ladrocinio al Nostro Cardinale Segretario di Stato; in essa non ebbe vergogna di annunziare di avere dato ordine alle sue truppe di occupare le predette Nostre province, se non venissero licenziati gli stranieri arruolati nel Nostro piccolo esercito, che del resto era stato raccolto per tutelare la tranquillità dello Stato Pontificio e dei suoi popoli. E non ignorate che le medesime province vennero invase dalle truppe subalpine quasi al tempo stesso in cui si riceveva quella lettera.

Certamente nessuno può non sentirsi altamente turbato e preso da indignazione nel considerare le bugiarde accuse e le svariate calunnie e contumelie, con le quali l’anzidetto Governo non si vergogna di coprire l’ostile ed empia sua aggressione, e d’investire il Nostro Governo. E chi non si stupirà sommamente nell’ascoltare che il Nostro Governo viene ripreso per essersi al Nostro esercito arruolati degli stranieri, mentre tutti sanno che a nessun legittimo Governo si può negare il diritto di arruolare forestieri nelle proprie schiere? Tale diritto con più forte ragione compete al Governo Nostro e a questa Santa Sede, poiché il Romano Pontefice, essendo Padre comune di tutti i Cattolici, non può non accogliere volentierissimamente tutti quei suoi figliuoli i quali, mossi da spirito di Religione, vogliono militare nelle schiere pontificie e concorrere così alla difesa della Chiesa. E qui crediamo opportuno osservare che questo concorso di Cattolici stranieri fu specialmente provocato dall’improbità di coloro che assalirono il civile Principato di questa Santa Sede. Infatti nessuno ignora da quanta indignazione e da quanto lutto l’universo Orbe cattolico fu turbato, appena seppe che una così empia e così ingiusta aggressione era stata consumata contro il civile dominio di questa Sede Apostolica. Da ciò è avvenuto che moltissimi fedeli da varie regioni del mondo cristiano, per proprio impulso e con somma alacrità, sono insieme accorsi ai Nostri Pontifici possedimenti, ed hanno dato il loro nome alla Nostra milizia, per difendere valorosamente i diritti Nostri e di questa Santa Sede. Con singolare malignità, poi, il Governo Subalpino non si vergogna di dare con somma calunnia a questi Nostri guerrieri la taccia di mercenari, quando non pochi di essi, sia indigeni, sia stranieri, sono di nobile stirpe e ragguardevoli per nome illustre di famiglia, e, animati da solo amore di religione, vollero, senza alcuno stipendio, militare nelle Nostre schiere. Né è ignoto al Governo Subalpino con quanta fede ed integrità il nostro esercito si comporti, mentre esso sa benissimo come siano riuscite vane tutte le fraudolente arti da esso adoperate per corrompere le Nostre milizie. Né poi v’è motivo di soffermarci a confutare l’accusa di ferocia data disonestamente al Nostro esercito, senza che i detrattori potessero recarne a prova alcun argomento; ché, anzi, una tale accusa giustamente può ritorcersi contro di loro, come manifestamente dimostrano i truculenti bandi dei Generali dell’esercito Subalpino.

Ora qui conviene notare come il Nostro Governo non potesse assolutamente sospettare di tale ostile invasione, essendogli stata data assicurazione che le soldatesche del Piemonte si avvicinavano al Nostro territorio non già con l’intenzione d’invaderlo, ma, al contrario, per tenerne lontane le masnade degli agitatori. Pertanto il supremo comandante delle Nostre milizie non poteva neppure pensare di dovere affrontare in battaglia l’esercito piemontese. Ma quando, fuori d’ogni aspettativa, essendosi le cose perversamente cambiate, conobbe l’irrompere nemico di quell’esercito, che certamente per il numero dei combattenti e per la potenza delle armi prevaleva moltissimo, prese la provvida decisione di ritirarsi in Ancona, munita di fortezza, affinché i Nostri soldati non fossero esposti a così facile pericolo di soccombere. Ma essendogli tagliato il passo dalle schiere del nemico, fu costretto a combattere per aprirsi il varco a viva forza con tutti i suoi.

Del resto, mentre tributiamo le meritate e dovute a lodi al menzionato condottiero supremo delle Nostre milizie, ed ai capitani ed ai soldati, i quali, assaliti improvvisamente e stretti da ogni parte dal nemico, sebbene di numero e di forze molto disuguali, pure combatterono duramente per la causa di Dio, della Chiesa, di questa Sede Apostolica e della giustizia, possiamo appena frenare il pianto sapendo quanti valorosi soldati e principalmente elettissimi giovani, che con animo veramente religioso e nobile erano accorsi a difendere il civile Principato della Chiesa Romana, furono spenti in questa ingiusta e crudele invasione. Sommamente ancora Ci affligge il lutto che colpisce le loro famiglie; e volesse Iddio che Noi potessimo con le Nostre parole asciugare quelle loro lacrime! Confidiamo però che debba tornare loro di non lieve consolazione e conforto l’onorevolissima menzione che degli estinti loro figliuoli e consanguinei Noi, qui, meritatamente facciamo per l’esempio veramente splendido da loro dato, con immortale gloria del loro nome, al mondo cristiano d’una esimia fedeltà, pietà ed amore verso Noi e questa Santa Sede. E certamente Ci confortiamo nella speranza che tutti coloro, i quali incontrarono così gloriosa morte per la causa della Chiesa, ottengano quella sempiterna pace e felicità che per loro invocammo e non cesseremo mai di invocare da Dio Ottimo Massimo. Qui ancora ricordiamo con i dovuti encomi i Nostri diletti figliuoli Presidi delle province, e specialmente quelli della Urbinate e Pesarese, e della Spoletina, i quali in queste tristissime vicende dei tempi soddisfecero al loro ufficio con sollecitudine e costanza.

Pertanto, Venerabili Fratelli, chi mai potrà tollerare la rilevante impudenza e l’ipocrisia, con le quali gl’iniquissimi assalitori non dubitano di affermare nei loro bandi che essi entrano nelle Nostre province, e nelle altre dell’Italia, al fine di ristabilirvi i principi dell’ordine morale? E ciò senza vergogna si afferma da persone che, portando già da lungo tempo una fierissima guerra alla Chiesa cattolica, ai suoi Ministri ed alle sue cose, e in nessun conto tenendo le leggi ecclesiastiche e le censure, hanno osato gettare nelle prigioni Cardinali di Santa Romana Chiesa e Vescovi specchiatissimi e uomini commendevolissimi dell’uno e dell’altro Clero; hanno osato cacciare dai propri chiostri famiglie religiose, sperperare i beni della Chiesa e mettere a soqquadro il civile Principato di questa Santa Sede. Proprio i principi dell’ordine morale si ristabiliranno da coloro che aprono pubbliche scuole di ogni falsa dottrina, ed ancora pubbliche case di prostituzione? Da coloro che con abominevoli scritti e spettacoli teatrali si industriano di offendere e dileggiare la verecondia, la pudicizia, l’onestà e la virtù, e di schernire e sprezzare i Misteri, i Sacramenti, i precetti, le istituzioni, i sacri Ministri, i riti, le cerimonie sacrosante della nostra divina Religione, di togliere dal mondo ogni ragione di giustizia e di scrollare e rovesciare le fondamenta sia della Religione, sia della civile società?

Pertanto, in questa così ingiusta, così ostile ed orrenda aggressione ed occupazione del civile Principato Nostro e di questa Santa Sede, perpetrata dal Re Subalpino e dal suo Governo contro tutte le leggi della giustizia e l’universale diritto delle genti, ben memori del Nostro ufficio, in questo vostro amplissimo consesso e alla presenza di tutto l’Orbe cattolico, di nuovo alziamo con veemenza la Nostra voce, e riproviamo e completamente condanniamo tutti i nefandi e sacrileghi attentati del medesimo Re e del suo Governo, e ne dichiariamo e decretiamo interamente nulli ed irriti tutti gli atti, e con tutta la forza protestiamo e mai cesseremo di protestare per l’integrità del civile Principato che possiede la Romana Chiesa e per i diritti suoi che appartengono a tutti i Cattolici.

Peraltro non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, che Ci sentiamo opprimere da somma amarezza, poiché in una aggressione tanto scellerata e da non esecrarsi mai abbastanza, per causa di varie difficoltà insorte, Ci vediamo ancora privi dell’altrui soccorso che ancora desidereremmo. Notissime a Voi sono, per verità, le iterate dichiarazioni fatte a Noi da uno dei più potenti Principi dell’Europa. Con tutto ciò, mentre già da un pezzo ne aspettiamo l’effetto, non possiamo non affliggerci e turbarci altamente vedendo che gli autori ed i fautori della nefanda usurpazione, con audacia ed insolenza persistono e progrediscono nel malvagio loro proponimento, come se confidassero che certamente nessuno si opporrà loro effettivamente.

Questa perversità è giunta a tal segno che, spinte le forze ostili dell’esercito piemontese fin quasi sotto le mura di quest’alma Nostra città, è rimasta intralciata ogni comunicazione; i pubblici e i privati interessi sono posti in pericolo; sono chiuse le vie e, ciò che è gravissimo, il Sommo Pontefice di tutta la Chiesa è ridotto in una penosa difficoltà di provvedere, come conviene, alle necessità della Chiesa medesima, poiché si è oltremodo ristretta la possibilità di comunicare con le varie parti dell’Orbe. Per cui in tante Nostre angustie, ed in così grandi difficoltà, facilmente intendete, Venerabili Fratelli, che Noi ormai siamo spinti quasi da una trista necessità a dovere, ancorché nostro malgrado, prendere opportune decisioni per salvaguardare la Nostra dignità.

Frattanto non possiamo astenerci dal deplorare, oltre agli altri, quel funesto e pernicioso principio, che chiamano di Non intervento, proclamato da certi Governi poco tempo fa, tollerato da altri, ed usato anche quando si tratti dell’ingiusta aggressione di qualche Governo contro un altro: con che, pare si voglia approvare l’impunità e la licenza di assalire e di manomettere i diritti altrui, le proprietà e i domini stessi contro le leggi divine e umane: proprio ciò che vediamo accadere in questi luttuosi tempi. Ed è veramente cosa da stupire, che al solo Governo Piemontese sia lecito di violare impunemente un tal principio e di averlo in ispregio, mentre scorgiamo che esso, con le ostili sue schiere, davanti a tutta Europa, irrompe negli altrui domini, e da quelli caccia i legittimi Principi: dal che segue la perniciosa assurdità che si ammetta l’intervento altrui solo quando si deve eccitare e favorire la ribellione.

Quindi Ci è offerta opportuna occasione di eccitare tutti i Principi d’Europa affinché, con tutta la sperimentata gravità e sapienza delle loro menti, prendano seriamente a considerare quali e quanti mali siano accumulati nel detestabile avvenimento di cui parliamo. Infatti si tratta di una immane violazione, che delittuosamente fu commessa contro il comune diritto delle genti, sicché, qualora essa non sia completamente repressa, ormai non potrà resistere saldo, inconcusso e sicuro qualsiasi legittimo diritto. Trattasi del principio di ribellione, a cui il Governo Subalpino vergognosamente serve, e dal quale è facile intendere quanto pericolo di giorno in giorno si prepari a qualsiasi Governo, e quanto danno provenga a tutta la società civile, aprendosi per tal modo l’adito ad un fatale Comunismo. Trattasi di solenni convenzioni violate, le quali, come degli altri Principati in Europa, così vogliono intatta e sicura l’integrità del dominio pontificio. Trattasi della violenta distruzione di quel Principato che per singolare consiglio della divina Provvidenza fu dato al Romano Pontefice, perché esercitasse con pienissima libertà l’Apostolico suo Ministero in tutta la Chiesa. La quale libertà senza dubbio deve stare sommamente a cuore a tutti i Principi, affinché il Pontefice stesso non soggiaccia all’impulso di alcuna potestà civile, e sia così ugualmente provveduto alla tranquillità spirituale dei Cattolici che vivono nei domini dei medesimi Principi.

Debbono pertanto tutti i Principi sovrani essere persuasi che la Nostra causa è intimamente congiunta con la loro, e che essi, recandoci il loro soccorso, provvederanno non meno alla salvezza dei loro che dei Nostri diritti. Perciò con somma fiducia li esortiamo e li scongiuriamo, che Ci vogliano porgere aiuto, ciascuno secondo la sua condizione e la sua opportunità. Non dubitiamo poi che massimamente i Principi e i popoli cattolici non abbiano ad apportare con ogni ardore le cure e l’opera loro, affrettandosi a soccorrerci in tutti i modi, e a proteggere e a difendere, conforme al comune loro dovere, il Padre ed il Pastore di tutto il gregge cristiano combattuto dalle armi parricide d’un figliuolo degenere.

Siccome poi anzitutto sapete, Venerabili Fratelli, che ogni Nostra speranza è da collocarsi in Dio, il quale Ci è aiuto e rifugio nelle tribolazioni Nostre; il quale ferisce e medica, percuote e sana, mortifica e vivifica, conduce agli abissi e ne riporta alla luce, così in ogni fede ed umiltà del Nostro cuore non tralasciamo di spargere continue e ferventissime orazioni a Lui, valendoci primieramente dell’efficacissimo patrocinio dell’Immacolata e Santissima Vergine Maria Madre di Dio, e del suffragio dei Beati Pietro e Paolo, affinché usando la potenza del Suo braccio vinca la superbia dei nemici Suoi, ed espugni i nostri nemici, ed umilii ed abbatta tutti gli avversari della Sua santa Chiesa; e con la onnipossente virtù della Sua grazia faccia sì che i cuori di tutti i prevaricatori rinsaviscano, e che la santa Madre Chiesa quanto prima si rallegri della loro desideratissima conversione.


  Magistero pontificio - Copertina