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Pio IX
Multis gravibusque


17 dicembre 1860

La Chiesa, che fino dalle sue stesse origini fu agitata da molte e gravi procelle, in questa miserabilissima nostra età viene aggredita da tanti e così fieri assalti di nemici, che l’odio già prima da loro concepito e il colmo di tutto il loro furore sembrano essere scoppiati nel tempo del Nostro Pontificato. Né occorre, Venerabili Fratelli, che annoveriamo quale singolo episodio tutto ciò che di acerbo e di grave è accaduto in questo non lungo intervallo di anni, e la cui memoria rattrista di non lieve amarezza il Nostro cuore, come anche il Vostro. Quello tuttavia che non possiamo dissimulare è che, per arcano giudizio di Dio, non si è posta ancora alcuna misura a tanta calamità; poiché con dolore vediamo recarsene delle nuove sia dai fautori della perversa dottrina, la quale nata dai funestissimi principi della Riforma in qualche luogo ottenne forza quasi di pubblico diritto, sia dalla pravità di uomini empi che si proclamano figli della Chiesa Cattolica, e sono anzi da chiamare figli delle tenebre, sia, infine, dal furore dei pagani che nell’Oriente si è riacceso a fare strage e scempio dei fedeli.

Per verità, è da deplorarsi sommamente che in moltissime parti dell’Europa siano invalsi errori perniciosissimi intorno alla potestà e ai diritti della Chiesa; tra essi quello studio che si è costantemente messo in opera per togliere ogni vigore alle convenzioni strette con la Sede Apostolica circa le cose sacre, e quella cura che si è spesa affinché in avvenire non si contraggano altre convenzioni per comporre i negozi della Chiesa, ed affinché la sola autorità civile entri a comporli e a regolarli. Il che, non senza grave molestia dell’animo Nostro, abbiamo testé sperimentato, Venerabili Fratelli. Infatti, per l’obbligo dell’ufficio apostolico, al fine di ristorare le cose della Chiesa Cattolica nel Granducato di Baden, e di estinguere i dissidi ivi insorti con la potestà civile, stringemmo lo scorso anno, come sapete, con quell’eccelso Granduca un concordato, il quale essendo stato ratificato, e poi ancora reso di pubblica ragione, aspettavamo, com’era giusto, che si mettesse in esecuzione. Tuttavia, opponendosi a ciò il Parlamento di quello Stato, dal Granduca fu promulgato un decreto con il quale si toglie ogni forza al concordato, e in sua vece si è fatta una legge sommamente contraria alla libertà della Chiesa.

Ciò intendiamo essere derivato dalla falsa dottrina dei protestanti, i quali spacciano che la Chiesa nell’impero civile esiste a mo’ di Collegio; e che però non gode di nessun diritto, fuorché di quelli che dalla potestà civile sono ad essa concessi e attribuiti. Ora, chi non comprende quanto ciò sia contrario alla verità? La Chiesa di fatto fu istituita dal suo divino Autore come vera e perfetta società, la quale per non essere circoscritta da alcun confine di paesi, non deve neppure essere sottoposta ad alcun comando civile, e in ogni angolo della terra deve esercitare liberamente la sua potestà e i suoi diritti per la salute degli uomini. Né veramente altro indicano quelle solenni parole di Cristo Signore agli Apostoli: "A me è stata data ogni potestà nel cielo e nella terra; andate ed ammaestrate tutte le genti... ammaestrandole ad osservare tutte le cose che vi ho prescritte". Incitati da tali voci, gli Apostoli, banditori del Vangelo, ignorando i Re e i Principi; e da nessuna minaccia e supplizio atterriti, eseguirono alacremente il ministero commesso loro. Noi pertanto, solleciti di tutelare i salutari diritti della Chiesa, non appena udimmo che si pensava e si trattava di invalidare il predetto concordato, immediatamente spedimmo una Nostra lettera al Granduca per rimuovere questo male, e quindi per mezzo del Cardinale Segretario di Stato procurammo di fare istanze presso quel Governo, affinché il concordato fosse debitamente adempiuto. Ma poiché gli studi e le cure poste in opera andarono a vuoto, così, per dovere dell’ufficio Nostro, palesemente Ci lamentiamo nel Vostro consesso, Venerabili Fratelli, per la solenne convenzione abrogata contro tutte le regole della giustizia, senza il consenso dell’altra parte, e col più veemente ardore che Ci sia possibile reclamiamo per i diritti della Chiesa Cattolica e della Santa Sede violati e disconosciuti. Abbiamo ordinato che queste Nostre proteste siano trasmesse al Governo di Baden, e che insieme si dichiari all’Arcivescovo di Friburgo la maniera di operare che si deve seguire in tante difficoltà. Di tale illustre Prelato, come pure del suo Clero, non possiamo lodare abbastanza la fermezza nel difendere la libertà della Chiesa; da questa fermezza confidiamo pienamente che essi mai si allontanino, anche tra difficoltà estreme.

Se non che, mentre Ci addoloravamo per il nuovo turbamento recato alle cose della Religione nel Granducato di Baden, e per la Chiesa colà esposta a nuove agitazioni, un’altra ragione di dolore Ci sopraggiunse dal pessimo libello poco fa pubblicato in Parigi, nel quale l’autore radunò cose così false e anche così assurde e tra sé contrastanti, che pare piuttosto meritare disprezzo che confutazione. Ma non è da tollerare che egli sia giunto a tale grado di audacia e di empietà che, dopo aver osato assalire il sacro e civile Principato della Chiesa Romana, va ideando una certa particolare chiesa di nuova specie da erigersi, come a lui sembra, nell’Impero francese: chiesa che sia sottratta e totalmente divisa dall’autorità del Romano Pontefice. La qual cosa a che riesce, se non a dividere e squarciare l’unità della Chiesa Cattolica? Di tale necessaria unità così parlò Gesù Cristo Nostro Signore al Padre dicendo: "Non per quelli solo io prego: ma per quelli ancora che crederanno in me per la parola loro, affinché tutti siano uno come tu, o Padre, sei in me ed io in te". Ma la natura di questa unità richiede che – come le membra col capo – così tutti i fedeli siano congiunti con il Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo in terra. Per la qual cosa il Dottore della Chiesa San Girolamo scriveva al Nostro Predecessore di santa memoria Damaso: "Io sono unito alla Vostra Beatitudine, cioè alla Cattedra di Pietro: so che la Chiesa è edificata sopra quella Pietra: chi fuori di quella casa mangia dell’agnello, è profano". Quale grande ingiuria poi reca l’autore di quel libello all’illustrissima nazione francese ritenendo che essa, attaccatissima all’unità cattolica, possa macchiarsi di errori scismatici! Quanto grande è la temerità sua, mentre crede che possano essere strappati dall’ossequio e dalla fede verso la Sede Apostolica quel Clero e principalmente quegli specchiatissimi Vescovi che registrano tra i loro predecessori Sant’Ireneo, Pastore della Chiesa di Lione, il quale così nobilmente scriveva: "Alla Chiesa Romana, in quanto principale, è necessario che si riunisca ogni Chiesa: cioè tutti i fedeli ovunque siano": i quali, da nessun timore turbati, da nessun pericolo trattenuti, con la voce e con gli scritti combatterono per vendicare i Nostri diritti e quelli della Santa Sede, né mai cessarono di darci certissime testimonianze della loro devozione! Ora, mentre Noi onoriamo con le debite lodi questi e gli altri Vescovi del mondo per la loro cura pastorale, per la loro vigilanza e la loro fermezza, non tralasciamo però, in questa iniquità di tempi, di esortarli e di eccitarli, benché già di per sé accesi e zelanti, affinché quanto crescono ogni dì gli assalti nemici, tanto più si studino di affrontarli e di vincerli con animo forte, né cessino di mettere in guardia i fedeli loro affidati dalle fallacie e dalle insidie, con cui uomini astutissimi tentano di svellerli dal seno della Madre Chiesa.

Del resto da quel condannabile libro, quasi strappata ogni maschera, abbiamo chiaramente inteso quali siano finalmente le intenzioni dell’Autore e di tutti gli altri che tentano di estorcere alla Santa Sede il suo civile Principato. Essi null’altro intendono e tentano se non di rovinare i fondamenti della Santissima Religione. Il che vediamo e deploriamo tentarsi con ogni arte più perfida nelle province iniquamente sottratte dal civile Nostro potere e nelle altre parti d’Italia. A questo fine sono volte le false interpretazioni dei sacri libri disseminate dappertutto al fine di corrompere la fede; a questo mira la colluvie di turpi libretti sparsi a traviare i costumi giovanili; la licenza sfrenata del vivere; la disprezzata e conculcata potestà della Chiesa; la sacra immunità violata; la pubblica istituzione della gioventù e ogni regola di dottrina e di costumi sottratte all’autorità e alla vigilanza dei Vescovi; le persone di male dottrine preposte all’insegnamento; il Decreto promulgato nell’Umbria dell’espulsione di quasi tutti gli Ordini religiosi, dell’estinzione dei Capitoli collegiati, dell’abolizione di tutti i benefici semplici, e dell’ingiustissima occupazione delle opere pie e dei loro beni. A questo sono volte le carcerazioni di ecclesiastici, e anche di Vescovi, fra i quali da poco fu tradotto in carcere in mezzo ai soldati il Venerabile Fratello Arcivescovo di Urbino; e il Venerabile Fratello Arcivescovo di Fermo, Cardinale di Santa Chiesa, fu tolto a forza dalla sua sede e relegato altrove e impedito da ogni cura del suo gregge, e ancora altri Vescovi e Sacerdoti del Regno di Napoli carcerati o costretti alla fuga. A ciò mirano (né senza acerbissimo dolore lo rammentiamo) i templi aperti ai protestanti in alcune città d’Italia, e le pubbliche scuole istituite perché, a danno della Religione cattolica, s’insegni impunemente ogni perversità di dottrina; e il Decreto, infine, promulgato nell’Umbria, con il quale il matrimonio, detto dall’Apostolo magno Sacramento, fu vincolato con leggi civili e tolto quasi pienamente dalla potestà ecclesiastica, forse con l’intenzione di sottoporlo poi alle sole leggi civili e così, ciò che Dio voglia tener lontano, si dia luogo al legale concubinato con estremo danno delle anime. E qui, come richiede il dovere del Nostro Apostolico incarico, condanniamo, riproviamo e dichiariamo di nessuna forza e valore, e invalidiamo pienamente quanto fu finora fatto e si farà contro il diritto e il patrimonio della Chiesa, contro le persone religiose e i loro beni.

Ora, chi non vede e non piange con Noi amaramente la perturbazione delle cose tutte, sia pubbliche, sia private, e i moti dell’Europa, e le discordie che ardono in Italia? E considerando Noi tante e sì gravi ferite recate alle cose religiose e civili, siamo costretti ad esclamare col Profeta : "La terra è infetta dai suoi abitatori, perché trasgredirono le leggi, mutarono il diritto e dissiparono il patto sempiterno". Tale cumulo di mali viene principalmente compiuto da coloro che, al fine di allargare la loro dominazione in Italia, pervertono audacemente tutti i diritti umani e divini, si dicono autori di pubblico bene, e dovunque invadono, a modo di fierissima tempesta, lasciano impresse orme di furore e di eccidio. Dio voglia che ritornino finalmente questi insipienti al dovere! Intendano cioè che, tolta la Religione, non rimane alla società umana alcun aiuto per mantenere la sua stabilità e la sua quiete. Dio voglia che si persuadano che la Chiesa Cattolica è la sola maestra di verità, fautrice di tutte le virtù, in cui si poggiano la salute e la salvezza delle città e dei regni. E si ricordino infine che questa Sede Apostolica non solo non avversò mai la vera e solida felicità dei popoli, ma che, anzi, in ogni tempo meritò egregiamente del genere umano. Infatti, tramite suo le genti barbare furono condotte a civiltà e ammaestrate secondo i precetti della vera Religione; per essa furono sedati tumulti di guerra, promosse in ogni maniera le buone arti e le discipline, aperte case di rifugio ai poveri ed agli infermi, dichiarati e promulgati ai popoli ed ai Sovrani, in mezzo alle più grandi perturbazioni, i principii di giustizia e di onestà. Queste e molte altre cose operate dalla Sede Apostolica con provvida sapienza a vantaggio della società umana, e testimoniate da molti ed esimii documenti, saranno celebrate dalla storia con encomio di ogni tempo.

Ma già l’animo Nostro paterno ricorda che la Chiesa, afflitta nell’Oriente da tantissimi mali, non cessa di nobilitarsi e di ornarsi con cruente palme di martiri. Parliamo cioè, Venerabili Fratelli, del regno di Corea, dell’Impero Cinese e dei regni confinanti, dove la costanza dei Cristiani nella fede non è vinta o debilitata né dagli atrocissimi tormenti, né da alcun genere crudelissimo di morte; parliamo delle regioni della Cocincina e del Tonchino, nelle quali si è acerbissimamente rincrudelita la fierezza dei pagani a sterminio totale del nome cristiano. E come mai ricorderemo i collegi, i conventi, le chiese, i pubblici e privati edifici o rasi al suolo o consunti dalle fiamme? Che diremo dei fedeli di qualunque età, condizione, ordine, in parte ferocissimamente maltrattati, spogliati di tutte le sostanze, erranti qua e là e costretti a condurre una vita più acerba d’ogni supplizio, e in parte gettati nelle prigioni e tormentati da ogni sorta di martirii ? Essi però nel sopportare per Cristo i supplizi e nell’incontrare la morte hanno rinnovato l’antica forza dei Martiri della Chiesa. Né meno Ci affligge e commuove il miserabilissimo stato dei cristiani in Siria, i quali, sebbene abbiano tregua dal patimento di una crudelissima strage, pure sono turbati dall’assiduo timore che forse l’impeto degl’infedeli, compresso per un poco dalle forze militari d’Europa, riesploda più furibondo in rapine ed eccidii. Per ristorare i loro infortuni se non in modo proporzionato ai Nostri desideri, almeno secondo le angustie Nostre, procurammo di spedire ad essi una parte del danaro che la pia liberalità delle genti cattoliche mai ha tralasciato di offrirci. E non senza lode vogliamo ricordato l’esempio egregio della carità loro nel sollevare, con la larghezza dei sussidi, i tribolati fedeli di Siria; per cui grandemente Ci rallegriamo che non illanguidisca mai nella Chiesa quella virtù che il divino Salvatore volle fosse il segno precipuo della Religione Cristiana.

Questo stato delle pubbliche e sacre cose, che finora vi abbiamo esposto, deplorabile certamente e luttuoso, Ci addolora notevolmente e Ci turba e anche Ci ricolma di grave angoscia, Venerabili Fratelli; né dubitiamo che Voi, chiamati ad essere partecipi della Nostra cura, non siate partecipi anche del dolore. Con tutto ciò non Ci perdiamo d’animo, e con iterate preghiere ogni giorno alziamo gli occhi Nostri al monte dal quale, in tanta asprezza di avvenimenti, dobbiamo aspettare l’aiuto opportuno. Dio verrà in soccorso della sua Chiesa, verrà in soccorso dell’umiltà Nostra e, corroborati per la virtù di Lui, nessuna avversità riuscirà a distoglierci dall’ufficio e dalla costanza dell’Apostolico Ministero. L’innocente sangue dei cristiani, onde si è bagnata la terra orientale, salga fino al Signore in odore di soavità; e, come placato da un sacrificio, Egli allontani le gravissime calamità che ci opprimono e che ci sovrastano; e per il patrocinio della Santissima Genitrice di Dio fin dall’origine immacolata, e per i suffragi dei Beatissimi Apostoli Pietro e Paolo, conceda alla sua Chiesa di riportare sopra gli acerbissimi nemici la vittoria. Sorga finalmente Iddio a fare giustizia, e disperda con la potenza del suo braccio e conquisti gli avversari del suo nome che anelano all’eccidio della Religione e nefandamente cospirano contro la Chiesa, ovvero, ciò che piuttosto bramiamo e chiediamo, Egli, ricco di misericordia, li riconduca clementissimamente nella via della giustizia e della verità, dopo averli rischiarati con il lume della grazia divina.


  Magistero pontificio - Copertina