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Pio IX
Da questa pacifica


Da questa pacifica stazione, ove piacque alla Divina Provvidenza di condurci, onde potessimo liberamente manifestare i Nostri sentimenti ed i Nostri voleri, stavamo attendendo che si facesse palese il rimorso dei Nostri figli traviati per i sacrilegii ed i misfatti commessi contro le persone a Noi addette, fra le quali alcune uccise, altre oltraggiate nei modi più barbari, nonché quelli consumati nella Nostra Residenza e contro la stessa Nostra Persona. Noi però non vedemmo che uno sterile invito di ritorno alla Nostra Capitale, senza che si facesse parola di condanna dei suddetti attentati, e senza la minima garanzia che Ci assicurasse dalle frodi e dalle violenze di quella stessa schiera di forsennati, che ancora tiranneggia con un barbaro dispotismo Roma e lo Stato della Chiesa. Stavamo pure aspettando che le Proteste e Ordinazioni da Noi emesse richiamassero ai doveri di fedeltà e di sudditanza coloro che l’una e l’altra disprezzano e conculcano nella Capitale stessa dei Nostri Stati.

Ma invece di ciò, un nuovo e più mostruoso atto di smascherata fellonia e di vera ribellione, da essi audacemente commesso, colmò la misura della nostra afflizione, ed eccitò insieme la giusta Nostra indignazione, siccome sarà per contristare la Chiesa Universale. Vogliamo parlare di quell’atto per ogni riguardo detestabile, col quale si pretese intimare la convocazione di una sedicente Assemblea Generale Nazionale dello Stato Romano, con un Decreto del 29 dicembre p. p. per stabilire nuove forme politiche da darsi agli Stati Pontifici. Aggiungendo così iniquità ad iniquità, gli autori e fautori della demagogica anarchia tentano di distruggere l’autorità temporale del Romano Pontefice sui Domini di Santa Chiesa, quantunque irrefragabilmente stabilita sui più antichi e solidi diritti, venerata, riconosciuta e difesa da tutte le nazioni, col supporre e far credere, che il di Lui Sovrano potere vada soggetto a controversia, o dipenda dal capriccio dei faziosi.

Risparmieremo alla Nostra Dignità l’umiliazione di trattenerci su quanto di mostruoso si racchiude in quell’atto, abominevole per l’assurdità della sua origine, non meno che per la illegalità delle forme e per l’empietà del suo scopo; ma appartiene bensì all’Apostolica Autorità, di cui, sebbene indegni, siamo investiti, ed alla responsabilità che Ci lega coi più sacri giuramenti al cospetto dell’Onnipotente, il protestare non solo, come facciamo, nel più energico ed efficace modo contro l’atto medesimo, ma il condannarlo eziandio alla faccia dell’Universo, quale enorme e sacrilego attentato commesso in pregiudizio della nostra Indipendenza e Sovranità, meritevole dei castighi comminati dalle leggi sì divine come umane. Noi siamo persuasi che al ricevere l’impudente invito sarete rimasti commossi da santo sdegno, ed avrete rigettata lungi da Voi una sì rea e vergognosa provocazione.

Ciò nonostante, perché niuno di voi possa dirsi illuso da fallaci seduzioni e da predicatori di sovversive dottrine, né ignaro di quanto si trama dai nemici di ogni ordine, d’ogni legge, d’ogni diritto, d’ogni vera libertà e della stessa vostra felicità, vogliamo oggi nuovamente innalzare e diffondere la Nostra voce in guisa che vi renda vieppiù certi dello stesso divieto con cui vi proibiamo, a qualunque ceto, o condizione apparteniate, di prendere alcuna parte nelle riunioni che si osassero fare per le nomine degli individui da inviarsi alla condannata assemblea. In pari tempo vi ricordiamo come questa Nostra assoluta proibizione venga sanzionata dai decreti dei Nostri Predecessori e dai Concili, e specialmente dal sacrosanto Concilio generale di Trento , nei quali la Chiesa ha fulminato replicate volte le sue Censure e principalmente la Scomunica Maggiore da incorrersi, senza bisogno di alcuna dichiarazione, da chiunque ardisce rendersi colpevole di qualsivoglia attentato contro la temporale Sovranità dei Sommi Romani Pontefici; così come dichiariamo esservi già disgraziatamente incorsi tutti coloro che hanno dato opera all’atto suddetto, ed ai precedenti, diretti a danno della medesima sovranità, od in qualunque altro modo, e sotto mentito pretesto hanno perturbato, violato ed usurpato la Nostra autorità.

Se però Ci sentiamo obbligati per dovere di coscienza a tutelare il sacro deposito del patrimonio della Sposa di Gesù Cristo alle Nostre cure affidato, coll’adoperare la spada di giusta severità a tal uopo dataci dallo stesso Divino Giudice, non possiamo però mai dimenticarci di tenere le veci di Colui che, anche nell’esercitare la Sua giustizia, non lascia di usare misericordia. Innalzando pertanto al cielo le Nostre mani, mentre di nuovo a Lui rimettiamo e raccomandiamo una tal causa giustissima, la quale, più che Nostra è Sua, e mentre di nuovo Ci dichiariamo pronti, coll’aiuto della potente Sua grazia, di sorbire sino alla feccia, per la difesa e la gloria della Cattolica Chiesa, il calice delle persecuzioni che Egli pel primo volle bere per la salute della medesima, non desisteremo dal supplicarlo e scongiurarlo, affinché voglia benignamente esaudire le fervide preghiere, che di giorno e di notte non cessiamo di innalzarGli per la conversione e la salvezza dei traviati.

Nessun giorno certamente più lieto e giocondo sorgerà per Noi di quello in cui Ci sarà dato di veder rientrare nell’ovile del Signore quei Nostri figli, dai quali oggi tante tribolazioni ed amarezze Ci provengono. La speranza di goder presto di un così felice giorno si convalida in Noi al riflesso che universali sono le preghiere che, unite alle Nostre, ascendono al trono della divina Misericordia dalle labbra e dal cuore dei fedeli di tutto l’Orbe Cattolico, e che la stimolano e la forzano continuamente a mutare il cuore dei peccatori, e a ricondurli nelle vie di verità e di giustizia.

Dato a Gaeta l’1 gennaio 1849.


  Magistero pontificio - Copertina  

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