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Pio IX
Costretti nelle


Costretti nelle attuali tristissime circostanze ad assistere giornalmente a1 doloroso spettacolo di nuovi violenti attentati contro la Chiesa, sentiamo oggi in modo particolare il bisogno di prender la penna per palesare a Lei, Signor Cardinale, la profonda amarezza che provammo nell’apprendere testé la dichiarazione fatta dal Presidente dei ministri di questo Governo usurpatore sul fermo proponimento del medesimo di presentare quanto prima alle Camere una legge per la soppressione degli Ordini religiosi in questa Nostra città, sede del Vicario di Gesù Cristo, e metropoli dell’orbe cattolico. Questa dichiarazione, che rivela sempre più il vero fine cui mira lo spoglio fatto alla Sede Apostolica del suo temporale dominio, è un novello oltraggio inflitto, non pure a Noi, ma a tutta intiera la cattolicità. Chi può negare, infatti, che sopprimere gli Ordini religiosi in Roma, o limitarne anche arbitrariamente la esistenza, non è solo attentare alla libertà ed indipendenza del Romano Pontefice, ma è togliergli ben anche dalle mani uno dei mezzi più poderosi ed efficaci pel governo della Chiesa universale?

Ognun sa che, come Roma è il centro del cristianesimo, così le case religiose, che da secoli vi esistono, sono per così dire il centro di tutti gli Ordini e Congregazioni rispettive sparse nell’orbe cattolico. Sono desse come altrettanti seminari eretti dalle cure indefesse dei Romani Pontefici, dotati dalla generosità di pii oblatori, anche esteri, e regolati dalla suprema autorità Pontificia, da cui ricevono vita, direzione e consiglio. Queste case furono istituite e destinate a fornire operai e missionari per tutte le parti dell’universo. Senza ricorrere alla storia, a rilevare i vantaggi riportati alla cristiana repubblica, ed alla stessa umanità, da questi seguaci degli evangelici consigli, basta percorrere con lo sguardo i vari paesi d’Europa, e le più remote ed inospiti spiagge dell’Asia, dell’Africa, dell’America e dell’Oceania, ove oggi stesso questi zelanti ministri di Dio, con esemplare abnegazione, consacrano le loro forze, la loro salute, la stessa loro vita a profitto e salvezza dei popoli.

Soppressi pertanto gli Ordini religiosi in Roma, o limitatane anche sotto qualsiasi forma la esistenza, non sarà più possibile che il mondo risenta, come oggi, i vantaggi di queste pie e caritatevoli istituzioni. È in Roma, infatti, che esistono i principali noviziati intesi a preparare i novelli banditori della fede; è qui che accorrono religiosi d’ogni nazione per rattemprare il loro spirito, e per render conto delle loro missioni; è qui che si trattano, all’ombra della Sede Apostolica, tutti gli affari delle case anche estere; è qui che si eleggono col concorso dei religiosi delle differenti nazioni i superiori generali, i dignitarii degli Ordini, ed i capi di tutte le Provincie. Come si può dunque sperare che senza questi grandi centri, nelle condizioni in cui attualmente si trovano, e senza questa suprema direzione, l’opera vivificatrice e benefica di questi operai evangelici abbia gli stessi risultati di oggi? No; sopprimere le case religiose in Roma, è lasciare senza vita le comunità sparse in tutto il mondo: come spogliarle qui dei loro beni, è spogliare l’Ordine intiero della sua legittima proprietà. La soppressione adunque degli Ordini religiosi in Roma non è tanto una manifesta ingiustizia a riguardo di individui benemeriti della società, quanto un vero attentato contro il diritto internazionale di tutta la cattolicità.

Per dovere anche di riconoscenza è forza constatare che la soppressione delle case religiose in Roma porterebbe ad un tempo non lieve detrimento a questa Sede Apostolica, ove i più distinti fra gli individui di quelle si dedicano, quali utili collaboratori nel sacro ministero, all’assistenza delle differenti Congregazioni ecclesiastiche, ora dando schiarimenti sulle varie missioni alle loro cure affidate, ora dedicandosi a studi profondi per la confutazione degli errori, ora emettendo il savio loro parere sulle varie questioni disciplinari delle singole Chiese dell’orbe Cattolico.

È egli adunque ben manifesto, Signor Cardinale, il vero scopo inteso dal Governo usurpatore nella divisata legge di soppressione degli Ordini religiosi in Roma. Sì: questa non è altro che la continuazione di quel piano funesto e sovversivo che, dal giorno della violenta occupazione di Roma, si va ipocritamente eseguendo a danno non pure della temporale nostra autorità, ma più specialmente del supremo Nostro Apostolato, per cui vantaggio si annunciava a scherno volersi togliere a Noi il patrimonio della Chiesa: patrimonio elargito ai Romani Pontefici per ordine mirabile della divina provvidenza, e da Essi posseduto da oltre undici secoli con i titoli i più sacri ed i più legittimi, a profitto appunto dell’intiera cristianità.

E chi potrebbe farsi oggi illusione alcuna sulla indole di questo piano tendente ad abbattere la Nostra autorità di Capo supremo della Chiesa, ad avvilirne la dignità, ad inceppare l’esercizio del nostro augusto ministero, a sconvolgere infine l’ordinamento secolare di questa Apostolica Sede? Ella, Signor Cardinale, è testimone ogni giorno delle usurpazioni che ora sotto un pretesto, ora sotto un altro, si vanno compiendo a danno della Religione, della moralità e della giustizia: usurpazioni che miran tutte all’esecuzione di quel piano distruttore. A che altro infatti, se non a questo, tende la sottrazione che grado a grado si va facendo dalla Nostra autorità di tutte le istituzioni di carità e di beneficenza, di convitti d’educazione e di licei di pubblica istruzione, che formarono mai sempre la cura prediletta e la più sollecita dei Pontefici Nostri antecessori? A che altro, se non a questo, tende quella maleaugurata legge che, condannando forzatamente al servizio militare i giovani dedicati a Dio, tronca, qual falce inesorabile, le più ridenti speranze della Chiesa, e priva il Santuario ed il chiostro di un’eletta schiera di ministri novelli e laboriosi? A che, se non a questo, tende quella sfrenata libertà d’insegnare impunemente errori di ogni sorta, sia per mezzo della stampa, sia per via d’una pubblica e scandalosa predicazione sostenuta con tanta impudenza da uomini apostati e ribelli all’autorità della Chiesa? A che quel rilassamento nei costumi, quella insolente licenza nei pubblici spettacoli, quei continui insulti alle Sacre Immagini ed ai Ministri del Signore, quelle frequenti profanazioni del culto religioso, quelle ributtanti derisioni d’ogni cosa più sacra ed inviolabile, quell’oppressione sistematica d’ogni persona onesta ed affezionata alla Chiesa ed al Papa? Ella sa, Signor Cardinale, come il Nostro cuore sia straziato alla vista quotidiana di tutte queste sventure della Chiesa. Resi impotenti ad apportarvi il benché più leggero rimedio, Noi non possiamo che piangere sui mali del Nostro gregge: non senza però alzare pubblicamente la voce per reclamare e protestare contro gli attentati di cui la Chiesa è vittima, e per render palese al mondo la miserabile condizione cui, per la malvagità dei tempi, Ci ritroviamo ridotti.

Avremmo potuto, è vero, risparmiarci in parte il sacrifizio di bere quotidianamente un sì amaro calice, e di assistere personalmente a sì desolante spettacolo, cercando asilo in estero paese. Ma, se ragioni di alto interesse religioso Ci consigliarono, nell’attuale stato di cose, a non abbandonare per ora questa a noi dilettissima città Sede del Romano Pontificato, ciò non fu certamente senza un singolare tratto di divina provvidenza, affinché il mondo si convincesse col fatto della sorte ch’è riservata alla Chiesa ed al Romano Pontefice, allorquando la libertà ed indipendenza del supremo di lui Apostolato vengano compromesse dal cambio di una posizione provvidenzialmente ordinata da Dio.

E come difatti, dopo il nuovo ordine di cose, il Papa può chiamarsi libero ed indipendente? Non basta ch’egli pel momento possa dirsi materialmente libero nella persona; Egli deve essere e deve comparire agli occhi di tutti libero ed indipendente nell’esercizio della suprema sua autorità. Ora il Papa non è, né sarà mai libero ed indipendente, finché il supremo di lui potere sia sottomesso alla prepotenza e al capriccio d’un’avversa autorità; finché il suo elevato ministero sia fatto segno all’influenza e predominio delle passioni politiche, finché le sue leggi ed i suoi decreti non vadano esenti dal sospetto di parzialità o di offesa per le rispettive nazioni. Nella nuova condizione di cose fatta al Pontificato dopo l’usurpazione del patrimonio della Chiesa, il conflitto fra i due poteri è inevitabile: l’accordo, l’armonia non può dipendere dalla volontà degli uomini: basati i rapporti fra i due poteri sopra un assurdo sistema, gli effetti altri essere non possono che quelli naturalmente derivati da opposti elementi, che di necessità debbono tenerli in continua e penosa lotta.

La storia stessa è piena di conflitti fra le due autorità e di esempi di agitazioni nella cristiana famiglia ogni qualvolta i Romani Pontefici vennero anche momentaneamente sottoposti all’autorità di estraneo potere. La ragione n’è ben chiara. Diviso il mondo in un numero ben considerevole di Stati, gli uni indipendenti dagli altri, gli uni forti e potenti, gli altri piccoli e deboli, la pace e la tranquillità delle coscienze dei fedeli non poterono altrimenti esistere che in ragione della loro sicurezza e convinzione dell’alta imparzialità del Padre comune dei fedeli e dell’indipendenza dei suoi atti. Ora, come potrebbe oggi ciò essere, se l’azione del Romano Pontefice è continuamente esposta all’agitazione dei partiti, all’arbitrio dei governanti, al pericolo di vedere ad ogni passo turbato il suo riposo, la tranquillità stessa dei suoi consiglieri e ministri?

Anche la libertà delle sacre Congregazioni, cui incombe di risolvere questioni e di rispondere a tutte le consultazioni dell’orbe cattolico, importa troppo alla sicurezza della Chiesa ed ai legittimi imperiosi bisogni di tutte le nazioni cristiane. Importa infatti che niuno mai sulla terra possa sospettare della libertà ed indipendenza delle decisioni e dei decreti emanati dal Padre comune dei fedeli. Importa che niuno sia turbato dal timore di estranee pressioni nelle risoluzioni pontificie. Importa che il Papa, le Congregazioni, lo stesso Conclave, non solo siano di fatto liberi, ma che siffatta libertà apparisca evidente e manifesta, e che a questo riguardo non sorga né un dubbio, né un sospetto. Ora la libertà religiosa dei cattolici avendo per condizione indeclinabile la libertà del Papa, ne segue che se il Papa, giudice supremo ed organo vivo della fede e della legge dei cattolici, non è libero, essi non potranno giammai rassicurarsi sulla libertà ed indipendenza dei suoi atti. Di qua le dubbiezze e le ansietà dei fedeli; di qua le perturbazioni religiose degli Stati; di qua quelle dimostrazioni cattoliche, simbolo dell’interna inquietezza dello spirito, che crebbero ognora più dall’epoca dello spoglio violento dell’ultimo resto dei pontifici domini, e che non avranno fine se non quando il Capo della cattolicità rientri in possesso della sua piena e reale indipendenza.

Ciò posto, non è facile persuadersi come possa ancora seriamente parlarsi di conciliazione fra il Pontificato ed il governo usurpatore. E qual conciliazione infatti potrebbe aver luogo nell’attuale condizione di cose? Non si tratta d’una semplice quistione insorta, o nell’ordine politico, o nel religioso, che ammetta termini abili per una conveniente transazione. Si tratta invece d’una situazione creata violentemente al Romano Pontefice, e che distrugge quasi per intiero quella libertà ed indipendenza, che Gli sono indispensabili pel governo della Chiesa. Il prestarsi pertanto ad una conciliazione di tal fatta equivarrebbe, per parte del Romano Pontefice, a che non solo rinunziasse a tutti i diritti della Santa Sede trasmessigli in deposito dai suoi augusti Predecessori, ma che si rassegnasse, per un atto di sua volontà, ad incontrare frequentemente ostacoli nell’esercizio del supremo suo ministero; a lasciare inquiete ed agitate le coscienze dei fedeli; a chiudersi la via alla libera manifestazione della verità; in una parola, ad abbandonare spontaneamente al capriccio d’un Governo quella sublime missione che il Pontificato Romano ebbe direttamente da Dio con stretto dovere di tutelarne l’indipendenza da ogni umano potere.

No: Noi non possiamo piegarci agli assalti contro la Chiesa, all’usurpazione dei suoi diritti sacrosanti, all’indebita intromissione del potere civile negli affari religiosi. Fermi ed imperturbabili nel difendere con onore, e con tutti i mezzi che ancora restano in Nostro potere, gl’interessi del gregge alle Nostre cure affidato, Noi siamo pronti ad incontrare maggiori sacrifici, ed a versare anche, ove occorra, tutto il Nostro sangue, anziché venir meno ad alcuno dei doveri impostici dal Nostro supremo Apostolato. Che più? Con l’aiuto del Signore Noi non mancheremo mai di dare l’esempio di forza e di coraggio ai Pastori della Chiesa ed agli altri sacri ministri, che nell’avversità dei tempi sostengono tante lotte per la causa di Dio, pel bene delle anime, per la difesa del sacro deposito della fede, per la incolumità degli eterni principii di moralità e di giustizia.

Che Le diremo poi, Signor Cardinale, di quelle pretese guarentigie, che il Governo usurpatore fece mostra di voler dare al Capo della Chiesa, con manifesto intendimento d’illudere la semplicità degl’incauti, e di offrire un’arma a que’ partiti politici, cui di molto non cale la libertà ed indipendenza del Romano pontefice? Posto da parte qualsiasi altro ragionamento, ciò che accade oggi stesso in Roma, nel momento che vi sarebbe tutto l’interesse di convincere l’Europa della forza ed efficacia della decantata legge, è il più eloquente argomento per dimostrarne la futilità e l’impotenza. Ed invero, che giova proclamare la immunità della persona e della residenza del Romano Pontefice, quando il Governo non ha la forza di garantirci dagli insulti giornalieri cui è esposta la Nostra autorità, e dalle offese in mille modi ripetute alla Nostra stessa persona; e quando, insieme ad ogni onest’uomo, dobbiamo essere spettatori dolenti del modo onde in taluni casi, anche recentissimi, si amministra la penale giustizia? Che giova non tenerci chiusa la porta del nostro domicilio, se non Ci è possibile uscirne senza assistere a scene empie e ributtanti; senza esporci ad oltraggi per parte di gente qua accorsa onde fomentare l’immoralità ed il disordine; senza correre il pericolo di renderci causa involontaria di conflitti fra cittadini? Che importa promettere delle guarentigie personali per gli alti Dignitari della Chiesa, quando essi sono obbligati anche ad occultare per le vie le insegne della loro dignità per non trovarsi esposti ad ogni genere di cattivo trattamento; quando i ministri di Dio e le cose più sacre sono oggetto di scherno e di ludibrio, cosicché non sia talvolta neppure conveniente eseguire in pubblico le cerimonie più auguste di nostra santa Religione; quando infine i sacri Pastori dell’orbe cattolico, che sono obbligati di tempo in tempo a venire a Roma per dar conto degli affari delle loro Chiese, possono trovarsi esposti, senza alcuna reale guarentigia, agli stessi insulti e forse anche agli stessi pericoli?

A nulla giova proclamare la libertà del Nostro pastorale Ministero, quando tutta la legislazione, anche in punti importantisimi, come sono i Sacramenti, trovasi in aperta opposizione con i principii fondamentali e le leggi universali della Chiesa. A nulla giova riconoscere per legge l’autorità del Supremo Gerarca quando non si riconosce l’effetto degli atti da Lui emanati; quando gli stessi Vescovi da Lui eletti non sono legalmente riconosciuti, e loro si proibisce con ingiustizia senza pari di usufruire del legittimo patrimonio delle loro Chiese e finanche di entrare nelle loro case episcopali; cosicché sarebbero essi ridotti ad uno stato di totale abbandono, se quella carità dei fedeli che sostiene Noi, non Ci fornisse, almeno per ora, il modo di dividere con essi l’obolo del povero. In una parola: quale guarentigia potrebbe dare un Governo per l’osservanza delle sue promesse, quando la prima fra le leggi fondamentali dello Stato, non solo è calpestata impunemente da qualsivoglia cittadino, ma è resa nulla e frustranea dallo stesso Governo, che ad ogni passo ne elude, ora con leggi, ora con decreti, come meglio gli talenta, il rispetto e l’osservanza?

Tutto questo Le abbiamo esposto, Signor Cardinale, allo scopo precipuo ch’Ella voglia far conoscere ai Rappresentanti dei Governi accreditati presso questa S. Sede il lamentevole stato, cui pel nuovo ordine di cose Ci troviamo ridotti con tanto pregiudizio della causa cattolica; incaricandola a reclamare e protestare nel Nostro Pontificio Nome contro gli attentati commessi e quei che si minacciano a danno non pure Nostro, ma di tutta la cattolicità. Interessati essi, quanto Noi, al riposo ed alla quiete delle coscienze, vorranno prendere in considerazione questa mancanza di libertà e d’indipendenza nell’esercizio del Nostro Apostolico ministero. Che se ogni fedele ha il diritto di domandare al proprio Governo di garantirgli la sua libertà personale in fatto di religione, non lo ha meno per domandargli la guarentigia della libertà di Colui, che è per esso la guida e l’interprete della sua fede e della sua religione. Oltre di che è un vero interesse di tutti i Governi, sia che professino la cattolica religione, sia che no, di ridonare la pace ed il riposo alla grande famiglia cattolica, e di sostenere la Nostra reale indipendenza. Non possono essi infatti disconoscere che, chiamati da Dio a difendere e sostenere i principii dell’eterna giustizia, loro incombe di difendere e proteggere una causa la più legittima di quante si conoscano sulla terra, sicuri, siccome essere lo debbono, che sostenendo i sacri diritti del Romano Pontificato, essi difendono e sostengono i proprii. Né potranno ad un tempo dimenticare che il Pontificato Romano ed il trono Pontificio, lungi dall’essere un imbarazzo pel riposo e la prosperità d’Europa o per la grandezza ed indipendenza d’Italia, fu sempre il vincolo d’unione fra popoli e Principi, fu il centro comune di concordia e di pace; per l’Italia poi (convien pur dirlo) fu la vera sua grandezza, la tutela della sua indipendenza, la difesa costante ed il baluardo della sua libertà.

Infine, siccome esservi non può migliore guarentigia per la Chiesa e pel suo Capo che la preghiera innalzata a Colui nelle cui mani sono poste le sorti dei regni, e che con un solo cenno può sedare i flutti e calmare la tempesta, così Noi non cessiamo dal porgere continue e fervide preci all’Altissimo per la cessazione di tanti mali, per la conversione dei peccatori, e pel trionfo della Chiesa nostra madre. Unendo queste Nostre preghiere a quelle di tutti gli amatissimi Nostri figli sparsi nell’orbe cattolico, Noi non possiamo lasciare d’invocare su tutti, anche per debito di gratitudine, una particolare benedizione, la quale valga a preservarli da nuovi e più tremendi castighi; a conservarli saldi e fermi nei principii dell’onore e nel sentiero della virtù; a ridonarli infine, mercé la intercessione della Ss.ma Vergine Immacolata, del suo sposo S. Giuseppe, e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, alla primitiva pace e prosperità.

Riceva in quest’incontro, Signor Cardinale, l’Apostolica Benedizione, che di cuore Le impartiamo.

Dal Vaticano, 16 giugno 1872.


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