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Pio VII
Il trionfo


1. Il trionfo della misericordia Divina è ormai compiuto su di Noi. Strappati con violenza inaudita dalla Nostra sede pacifica, dal seno dei Nostri amatissimi sudditi, e trascinati dall’una all’altra contrada, siamo stati condannati e forzati a gemere per quasi cinque anni. Noi abbiamo versato nella Nostra prigionia lacrime di dolore innanzitutto per la Chiesa, affidata alla Nostra cura, perché ne conoscevamo i bisogni, senza poterle apprestare un soccorso, poi per i popoli a Noi soggetti, perché il grido delle loro tribolazioni giungeva fino a Noi, senza che fosse in Nostro potere di arrecare loro un conforto. Temperava però l’affanno acerbissimo del Nostro cuore la viva fiducia che, placato finalmente il pietosissimo Iddio giustamente irritato dai Nostri peccati, avrebbe alzato l’onnipotente sua destra per infrangere l’arco nemico, e spezzare le catene che cingevano il Vicario suo sulla terra. La Nostra fiducia non è stata delusa. L’umana alterigia, che stoltamente pretese di uguagliarsi all’Altissimo, è stata umiliata, e la Nostra liberazione, cui anche miravano gli sforzi generosi dell’augusta Alleanza, è giunta per prodigio inaspettato. Debitori a quella mano onnipotente che stringe le sorti dell’uomo, non Ci stancheremo giammai di benedirla e di cantare le sue glorie.

2. Noi non abbiamo trascurato di consacrare le primizie della Nostra libertà al bene della Chiesa, la quale, costando al suo divino Fondatore il prezzo di tutto il Suo sangue, deve essere l’oggetto primario delle Nostre apostoliche sollecitudini. Avremmo a tal fine desiderato di accelerare il Nostro ritorno alla Capitale, sia come Sede del Romano Pontefice, per ivi occuparci dei molti e gravi interessi della Religione Cattolica, sia come residenza della Nostra sovranità per ivi soddisfare quanto prima all’ardente brama che abbiamo di migliorare il destino dei buoni sudditi Nostri; ma plausibili ragioni Ce lo hanno finora impedito. Ci disponiamo peraltro ad eseguire ciò, ansiosi di stringerli al seno, come un tenero padre stringe con trasporto i suoi figli amorosi dopo un lungo ed amaro pellegrinaggio. Intanto facciamo precedere un Nostro delegato, il quale, in virtù di Nostro speciale chirografo riprenderà per Noi, e rispettivamente per la Santa Sede Apostolica, tanto in Roma quanto nelle province, col mezzo di altri subalterni delegati già prescelti da Noi, l’esercizio della Nostra sovranità temporale legata con vincoli tanto essenziali con la Nostra spirituale indipendente supremazia. Egli procederà di concerto con una Commissione di Stato da Noi nominata alla formazione di un governo interino, e darà tutte quelle disposizioni che potranno condurre, per quanto le circostanze lo permettano, alla felicità dei Nostri fedelissimi sudditi.

3. Se per un risultato delle decisioni militari non possiamo tornare ora all’esercizio della sovranità anche in tutte le altre antichissime terre possedute della Chiesa, non dubitiamo di tornarvi al più presto, affidati non meno alla inviolabilità dei Nostri sacri diritti (ai quali non intendiamo recare con questo atto il minimo pregiudizio) che alla luminosa giustizia degl’invitti Monarchi alleati, da parte dei quali abbiamo anzi ricevuto particolari consolanti assicurazioni.

4. Per debito del Nostro ministero di pace esortiamo tutti i sudditi Nostri a conservare gelosamente la tranquillità, la quale, d’altronde, è anche il voto prezioso del Nostro cuore. Se taluno ardisse turbarla sotto qualunque pretesto sarà irremissibilmente punito con tutto il rigore delle leggi. Noi dichiariamo ai Nostri popoli che, se vi sarà fra loro chi si sia reso colpevole di qualche traviamento, alla sola Nostra sovrana autorità appartiene il compito di esaminare se sussiste il reato, giudicare della qualità del medesimo, e proporzionargli la pena. Siano dunque ubbidienti i figli, come debbono essere: nessuno di loro osi arrogarsi sull’altro la patria potestà, perché sono tutti subordinati alle leggi e al volere del comune genitore. Nella fiducia che i buoni sudditi Nostri saranno per uniformarsi esattamente a queste sovrane paterne intenzioni, diamo loro con tutto l’affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Cesena questo dì 4 maggio 1814, anno quindicesimo del Nostro Pontificato.


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