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Leone XIII
Non est opus


Roma, 14 dicembre 1891

Non è necessario rivolgervi un lungo discorso per farvi comprendere che la battaglia interna contro la Chiesa, sebbene non sia sempre condotta con lo stesso regime di violenza, tuttavia di giorno in giorno si fa veramente più accanita. È anche troppo eloquente il corso delle vicende italiane.

Evidentemente preme ed incalza l’ostinato furore dei nemici da cui siamo circondati; essi utilizzano diversi espedienti: taluni aggrediscono pubblicamente e con asprezza, altri invece agiscono nell’ombra e in apparenza più blandamente. Vi è una sola specie di individui che non si curano di nascondere il loro animo avverso, anzi piuttosto lo ostentano: coloro che apertamente dichiarano che bisogna compiere ogni sorta di atti ostili contro il Pontefice Romano, come contro un nemico; coloro che cercano ogni giorno nuovi pretesti per offendere e che combattono come in aperta battaglia. Per non riandare ad eventi più remoti, è recente il ricordo di quelli che nello scorso ottobre si svolsero quasi sotto i Nostri occhi. Senza dubbio, non potendo sopportare testimonianze così luminose di una così grande moltitudine, e avendo deciso di turbarla ad ogni costo, rivelarono senza pudore e senza misura ciò che tenevano chiuso in petto: senza alcun timore e senza un giusto motivo esasperare con discorsi ed azioni infami uomini onesti, andati all’estero per motivi religiosi e non per passioni civili; e ancora tormentare (Roma ne è testimonio) il Pontefice, mescolando le minacce agli schiamazzi. Ora, procedendo oltre, eccitano con scritti e discorsi la moltitudine per tutta Italia, sostenuti dal suffragio popolare, per ottenere che verso il Vicario di Gesù Cristo si agisca con più durezza e che a lui non sia concesso di godere di diritti più ampi di quelli che per legge sono attribuiti a un qualunque privato. Tuttavia il futuro non prevede un termine alle loro malvagie imprese: essi infatti dichiarano di voler sopprimere lo stesso Pontificato, e pur di raggiungere tale scopo non ricusano neppure di ricorrere alla forza, se si presentasse l’occasione.

L’altra schiera di nemici non ha altrettanta audacia, in apparenza; ché anzi questi occultano con i loro discorsi l’abituale inimicizia verso la Chiesa o la difendono con sottili giustificazioni. Inoltre preferiscono la moderazione, ricorrono all’astuzia; è accertato infatti, se si vuole la verità, che essi hanno in comune con gli altri gli stessi propositi, la stessa volontà. Come mai costoro non tengono a freno i più accaniti e dichiarati nemici del cristianesimo, pur disponendo di pubblici poteri? Peggio ancora: essi esasperano nel popolo l’arroganza e gli odi quando osano censurare il Pontefice in quanto incombente come una minaccia sulle vicende italiane. E se non vogliono abrogare determinate leggi, che prevedono la concessione di un aiuto alla Sede Apostolica, per questo appunto non vogliono, perché tale rifiuto giova ai loro interessi. Infatti essi comprendono che quelle leggi valgono come giustificazione all’estero e come tutela in patria: inoltre non conviene opporsi al cattolicesimo quando gli si nuoce poco. In realtà, nelle ammissioni di molti di quella stessa fazione, abbiamo ravvisato numerose affermazioni perniciose per la Chiesa, ingiuste per il Pontefice, senza che essi abbiano incontrato alcun impedimento legale.

Essi affermano di rispettare il potere del Pontefice: ma si adoperano per circoscrivere in confini da loro stabiliti questa stessa potestà assegnata al Pontefice da Dio, comportandosi come i più ostinati fra tutti, nei principi e nella pratica, perché si consideri la Chiesa sottomessa allo Stato. Per analogo motivo annunciano che è inviolato e garantito a chiunque recarsi dal Pontefice per rendergli omaggio, da qualunque regione della terra lo stesso provenga, tuttavia, nel medesimo quadro, in tanta clamorosa licenza di ingiurie, è necessario che gli stranieri siano tenuti lontano dall’insolenza della plebe.

Così, per opera degli avversari di entrambe le parti, spesso a Noi si impedisce la stessa facoltà di parlare e di ascoltare; e ad ogni minima occasione si scopre ed emerge quanto dicemmo fin dall’inizio: Noi siamo vessati ogni giorno più indegnamente e sempre combattuti in mezzo alle difficoltà. E se queste sono tante, e tanto assillanti in pace e in una situazione di concordia, nessuno può prevedere fin dove si estenderanno se qualche sciagura incombesse, soprattutto se si annunciassero timori di guerra.

Da dove proviene il fatto che la forza degli animi ostili si è infiammata in questi ultimi tempi? Certamente ciò che fece il Nostro immediato Predecessore e ciò che Noi medesimi decidemmo di fare, coscienti del Nostro dovere, fin dall’inizio del Nostro Pontificato, fu anche in seguito la Nostra costante linea di condotta. Chiedemmo di rivendicare la libertà dovuta. Perseverammo nel richiamare il Nostro diritto particolarmente in questa città, consacrata al Pontefice per Provvidenza divina e per la conferma dei secoli; avvertiamo chiaramente (e non una volta sola l’abbiamo ricordato) che l’integrità del Nostro diritto può perfettamente coesistere con la salute, la libertà, la prosperità del popolo italiano; anzi, l’accordo tra gl’Italiani e la Sede Apostolica gioverà assai alla crescita del loro benessere in patria e all’estero. Ciò che scrivemmo e facemmo fino ad oggi, senza mai minacciare alcuno, dimostra che nulla è mutato nel Nostro pensiero e nel Nostro modo di agire.

Pertanto bisogna cercare altrove la causa della crescente ostilità. In verità Ci sembra che la causa possa risalire a quella lettera che l’anno scorso rivolgemmo agli Italiani: in essa rivelammo gli arcani di perfide congreghe con le stessissime parole di chi ne era complice; a quelle parole si ispirarono recentemente nella stessa assemblea dei legislatori decisioni non ambigue. È comune proposito delle sette fiaccare con una lotta atroce il sommo pontificato e, possibilmente, abolire del tutto il nome cristiano. Ora si affrettano ad attuare i loro propositi, fermamente convinti che tutto evolverà in loro favore, poiché essi non solo non avvertono alcun ostacolo che sembri davvero temibile, ma, se mai, più di una volta si sentono incoraggiati dalla indulgenza e dagli incitamenti a perseverare nell’impresa.

Ecco dunque, Venerabili Fratelli, a che punto si è giunti: conviene avere conoscenza e memoria di tale situazione, poiché giova a coloro che si accingono a difendersi contro la forza, conoscere gli itinerari dei nemici. Soprattutto vorremmo che coloro che governano regni e imperi volgessero l’animo in tal senso: infatti facilmente comprenderanno che non interessa soltanto alla religione ma anche alla società tutta, sbarrare la via alla empietà e ai costumi corrotti, perché non si estendano oltre. Infatti, dove domina l’empietà, ivi è necessario che crolli il principale fondamento del vivere civile che consiste nella religione e nella onestà dei costumi; infatti, una volta indebolita la potestà della Chiesa, che possiede una grandissima capacità di coesione, ogni futura autorità diventa instabile e indifesa. Pertanto, i cattolici, ovunque si trovino, riflettano sulla diffusa cospirazione che si compie contro il nome cristiano, e in particolare su quali propositi si nutrano contro la Sede Apostolica; con animi a Noi congiunti si sforzino di resistere all’audacia dei malvagi, opponendo la loro costanza e confidando in Dio, nella cui bontà e potenza riposa soprattutto la Nostra speranza.


  Magistero pontificio - Copertina