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Leone XIII
Fin dal principio


La formazione del clero in Italia
8 dicembre 1902

Fin dal principio nostro pontificato ponendo Noi mente alle gravi condizioni della società, non tardammo a riconoscere, come uno dei più urgenti doveri dell’Apostolico ufficio fosse quello di rivolgere specialissime cure alla educazione del Clero. Vedevamo infatti che ogni nostro divisamento ad operare nel popolo una restaurazione di vita cristiana sarebbe tornato invano, ove nel ceto ecclesiastico non si serbasse integro e vigoroso lo spirito sacerdotale. Pertanto mai non cessammo, quanto era da Noi, di provvedervi, sia con opportune istituzioni, sia con parecchi documenti diretti a tale intento. Ed ora una particolare sollecitudine verso il Clero d’Italia Ci muove, Venerabili Fratelli, a trattare ancora una volta m argomento di grande rilievo.
Belle invero e continue testimonianze esso ne porge di dottrina, di pietà, di zelo; tra le quali Ci piace di additar con lode l’alacrità onde, secondando l’impulso e la direzione dei Vescovi, coopera al movimento cattolico che Ci è sommamente a cuore. Non possiamo tuttavia dissimulare la preoccupazione dell’animo Nostro al vedere come da qualche tempo vada qua e là serpeggiando una cotal brama d’innovazioni inconsulte, così, rispetto alla formazione, come all’anione multiforme dei sacri ministri. Ora è facile avvisare le gravi conseguenze che sareb

bero a deplorarsi, ove a siffatte tendenze innovatrici non si apportasse pronto rimedio.

Ond’è che a preservare il clero italiano dalle influenze perniciose dei tempi, stimiamo cosa opportuna, Venerabili Fratelli, richiamare in questa Nostra lettera i veri e invariabili principi che debbono regolare l’educazione ecclesiastica e tutto il sacro ministero. Il Sacerdozio cattolico, divino nella sua origine, soprannaturale nella sua essenza, immutabile nel suo carattere, non è tale istituzione che possa accomodarsi alla volubilità delle opinioni e dei sistemi umani. Partecipazione del sacerdozio eterno di Gesù Cristo, esso deve perpetuare fino alla consumazione dei secoli la missione stessa dal divin Padre affidata al suo Verbo Incarnato: "Sicut misit me Pater, et ego mitto vos" (1Gv 20,21). Operare la salute eterna delle anime sarà sempre il grande mandato, a cui esso non potrà mai venire meno; come, per fedelmente attuarlo, non dovrà mai cessare di ricorrere a quei soprannaturali presidi e a quelle norme divine di pensiero e di azione che gli diede Gesù Cristo, quando inviava i suoi Apostoli per tutto il mondo a convertire i popoli al Vangelo, Quindi S. Paolo nelle sue lettere vien ricordando, non essere altro il sacerdote che il "legato", il "ministro di Cristo", il "dispensatore dei suoi misteri" (2Cor 5,20; 6,4; 1Cor 4,1), e ce lo rappresenta quasi collocato in luogo eccelso (cf. Hb 5,1), quale intermediario fra il ciclo e la terra per trattare con Dio gl’interessi sommi dell’uman genere, che sono quei della vita sempiterna. Tale il concetto che i Libri santi ne danno del Sacerdozio cristiano, cioè di un’istituzione soprannaturale, superiore a tutti gl’istituti terreni e affatto separata da essi come il divino dall’umano.

La stessa alta idea emerge chiara dalle opere dei Padri, dal magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi, dai decreti dei concili, dall’unanime insegnamento dei Dottori e delle Scuole cattoliche. Che anzi tutta la tradizione della Chiesa è una voce sola nel proclamare che il Sacerdote è un "altro Cristo", e che il Sacerdozio "si esercita bensì in terra, ma va meritamente annoverato tra gli ordini del cielo" (S. Io. chrysostomus, De Sacerdotio, lib. III, n. 4), "poiché gli sono date da amministrare cose del tutto celesti, e gli è conferito un potere che Dio non affidò neppure agli Angeli"; potere e ministero che riguardano il governo delle anime, ossia "l’arte delle arti". Perciò educazione, studi, costumi, quanto insomma si attiene alla disciplina sacerdotale, venne sempre dalla Chiesa considerato come un tutto a sé, non pur distinto, ma separato altresì dalle ordinarie norme del vivere laicale.

Tal distinzione e separazione deve dunque rimanere inalterata anche ai tempi nostri, e qualunque tendenza ad accomunare o confondere l’educazione e la vita ecclesiastica con la educazione e la vita laicale, ha da giudicarsi riprovata nonché dalla tradizione dei secoli cristiani, ma dalla dottrina stessa apostolica e dagli ordinamenti di Gesù Cristo.

Certamente nella formazione del clero e nel ministero sacerdotale ragion vuole che si abbia riguardo alle varie condizioni dei tempi. Quindi è ben lungi da Noi il pensiero di rigettare quei mutamenti che rendano l’opera del Clero sempre più efficace nella società in mezzo a cui vive; che anzi appunto per tale considerazione Ci è sembrato conveniente di promuovere in esso una più solida e squisita coltura, e di aprire un campo più largo al suo ministero. Ma ogni altra innovazione che potesse recare qualche pregiudizio a ciò ch’è essenziale al sacerdote, dovrebbe riguardarsi come affatto biasimevole. Il sacerdote è sopra tutto costituito maestro, medico e pastore delle anime, e guida ad un fine che non si chiude nei termini della vita presente. Ora non potrà egli mai corrispondere appieno a cosi nobili uffici, se non sia, quant’è mestieri, versato nella scienza delle cose sacre e divine; se non sia fornito a dovizia di quella pietà che ne fa un uomo di Dio; se non ponga ogni cura in avvalorare i suoi insegnamenti colla efficacia dell’esempio, conforme all’ammonimento dato ai sacri pastori dal Principe degli Apostoli: "Forma facti gregis ex animo" (1Pt 5,3). Comunque volgano i tempi, e le condizioni sociali cangino e si tramutino, queste sono le proprie e massime doti che debbono rifulgere nel sacerdote cattolico, giusta i principi della fede; ogni altro corredo naturale ed umano m certo commendevole, ma non avrà rispetto all’ufficio sacerdotale, che una secondaria e relativa importanza.

Se pertanto è ragionevole e giusto che il Clero si pieghi, fin dove è lecito, ai bisogni dell’età presente, è altresì doveroso e necessario che alla prava corrente del secolo, non che cedere, fortemente resista. E ciò, mentre risponde naturalmente all’alto fine del sacerdozio, vale altresì a renderne più fruttuoso il ministero, crescendogli decoro e procacciandogli rispetto.

Ora è noto pur troppo come lo spirito del naturalismo tenti inquinare ogni parte anche più sana del corpo sociale: spirito che inorgoglisce le menti e le ribella ad ogni autorità; che avvilisce i cuori e li volge alla ricerca dei beni caduchi, trascurati gli eterni. Di questo spirito, così malefico e già troppo diffuso, grandemente è a temere che qualche influsso non possa insinuarsi anche fra gli ecclesiastici, massime fra i meno esperti. Tristi effetti ne sarebbero, il venir meno a quella gravità di condotta, che tanto si addice al sacerdote; il cedere con leggerezza al fascino di ogni novità; il diportarsi con indocilità pretenziosa verso i maggiori; il perdere quella ponderatezza e misura nel discutere che tanto è necessaria, particolarmente in materia di fede e di morale. Ma effetto ben più deplorevole, perché congiunto col danno del popolo cristiano, ne seguirebbe nel sacro ministero della parola, inducendovi un linguaggio non conforme al carattere di banditore del l’Evangelo.
Mossi da tali considerazioni, Noi sentiamo di dover nuovamente e con più vivo studio raccomandare, che innanzi tutto i Seminari siano con gelosa cura mantenuti nello spirito proprio, così rispetto all’educazione della mente come a quella del cuore.
Non si perda giammai di vista, ch’essi sono esclusivamente destinati a preparare i giovani non ad uffici umani, per quanto legittimi ed onorevoli, ma all’alta missione, poc’anzi accennata, di ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1 Cor 4,1).

Da tale riflesso, tutto soprannaturale, sarà sempre agevole, come notammo già nella Enciclica al Clero di Francia data l’8 settembre 1899, ritrarre norme preziose non pure per la retta formazione dei chierici, ma per allontanare altresì dagl’Istituti, nei quali si educano, ogni pericolo così interno come esterno, d’ordine morale o religioso.

Rispetto agli studi, poiché il clero non dev’essere estraneo agli avanzamenti d’ogni buona disciplina, si accetti pure quanto di veramente buono ed utile si riconosca negl’innovati metodi: ogni tempo suole contribuire al progresso del sapere umano, Però vogliamo che su tal proposito siano ben ricordate le prescrizioni Nostre intorno allo studio delle lettere classiche, e principalmente della Filosofia, della Teologia, e delle scienze affini: prescrizioni che demmo in più documenti, massime nella detta Enciclica, di cui Ci piace perciò trasmettere a voi un esemplare. unito alla presente.

Sarebbe al certo desiderabile che i giovani ecclesiastici potessero tutti com’è dovere, fornire il corso degli studi sempre all’ombra dei sacri Istituti. Ma poiché gravi ragioni talora consigliano che alcuni di essi frequentino le pubbliche Università, non si dimentichi con quali e quante cautele i vescovi debbano ciò loro permettere. Vogliamo del pari che si insista sulla fedele osservanza delle norme contenute in altro più recente documento, in special modo per quanto concerne le letture od altro che potesse dare occasione ai giovani di prender parte comecchessia ad agitazioni esterne. Così gli alunni dei Seminari, facendo tesoro di un tempo prezioso è colla massima tranquillità degli animi, potranno raccogliersi tutti intorno a quegli studi che li rendono maturi ai grandi doveri del sacerdozio, singolarmente al ministero della predicazione e delle confessioni. Ben si rifletta, quanto grave sia la responsabilità di quei sacerdoti che, in tanto bisogno del popolo cristiano, trascurano di prestar l’opera propria nell’esercizio di questi sacri ministeri; e di coloro altresì che non vi portano una illuminata operosità: sì gli uni come gli altri mal corrispondono alla propria vocazione in cosa che troppo importa alla salute delle anime. E qui dobbiamo richiamare l’attenzione vostra, Venerabili Fratelli, sulla speciale Istruzione che volemmo data in ordine al ministero della divina parola; e desideriamo che se ne traggano più copiosi frutti. Rispetto poi al ministero delle confessioni, si rammenti quanto severe suonino le parole del più insigne e mite dei moralisti verso coloro che non dubitano di sedere inetti nel tribunale dipendenza; e come non meno severo sia il lamento dell’insigne Pontefice Benedetto XIV, che poneva tra le maggiori calamità della Chiesa il difetto nei confessori di una scienza teologica morale qual s’addice alla gravità di così santo ufficio.

Ma al nobile scopo di preparare degni ministri del Signore è necessario, Venerabili Fratelli, che sia volto, e con sempre maggior vigore e vigilanza, oltre l’ordinamento scientifico, anche il disciplinare e l’educativo dei vostri Seminari.

Non vi si accolgano che giovani i quali offrano fondate speranze di voler consacrarsi in perpetuo al ministero ecclesiastico. Si tengano segregati dal contatto e più dalla convivenza con giovani non aspiranti al sacerdozio: tale comunanza potrà per giuste e gravi cause tollerarsi a tempo e con singolari cautele, finché non sia dato di pienamente provvedere, conforme allo spirito della disciplina ecclesiastica. Si rimandino quanti nel corso della loro educazione manifestassero tendenze meno convenevoli alla vocazione sacerdotale, e nell’ammettere i chierici agli ordini sacri si usi somma ponderazione, giusta l’ammonimento gravissimo di San Paolo a Timoteo: "Manus cito nemini ìmposueris" (1 Tm 5,22). In tutto ciò conviene posporre qualsiasi altra considerazione, che sarebbe sempre da ritenersi inferiore a quella rilevantissima della dignità del sacro ministero.

Importa poi grandemente, che a formare negli alunni del santuario un’immagine viva di Gesù Cristo, nel che si assomma tutta l’educazione ecclesiastica, i moderatori e gl’insegnanti alla diligenza e alla perizia propria del loro ufficio congiungano l’esempio di una vita al tutto sacerdotale. La condotta esemplare di chi presiede, massime ai giovani, è il linguaggio più eloquente e persuasivo per ispirare negli animi loro il convincimento dei propri doveri e l’amore al bene. Un’opera di tanto rilievo richiede principalmente dal direttore di spirito prudenza non ordinaria e cure indefesse; onde un tale ufficio, che desideriamo non manchi in verun Seminario, vuol essere affidato ad ecclesiastico molto esperto nelle vie della perfezione cristiana.

Ed a lui non sarà mai abbastanza raccomandato d’infondere e coltivare negli alunni colla maggiore sodezza quella pietà la quale è per tutti feconda, ma specialmente per il clero, di utilità inestimabili (cf. 1Tm 4,7-8). Perciò sia egli sollecito di premunirli altresì da un pernicioso inganno, non infrequente tra i giovani, cioè di lasciarsi talmente prendere all’ardore degli studi, da non curar poi a dovere il proprio avanzamento nella scienza dei Santi, Quanto più la pietà avrà messo radici profonde nei chierici, tanto meglio saranno temprati a quel forte spirito di sacrificio, ch’è al tutto necessario per zelare la gloria divina e la salvezza delle anime.

Non mancano, la Dio mercé, nel clero italiano sacerdoti che diano nobili prove di quanto possa un ministro del Signore, penetrato di siffatto spirito, mirabile la generosità di quei tanti che per dilatare il regno di Gesù Cristo, corrono volenterosi in lontane terre ad incontrare fatiche, privazioni e stenti d’ogni maniera, ed anche il martirio.

Di questa guisa, scorto da provvide ed amorevoli cure nella conveniente coltura dello spirito e dell’ingegno, verrà a grado a grado formandosi il giovane levita, quale lo richiedono la santità della sua vocazione ed i bisogni del popolo cristiano. Il tirocinio in verità non è breve; eppure vorrà essere protratto anche oltre il tempo del Seminario. Conviene infatti che i giovani sacerdoti non siano lasciati senza guida nelle prime fatiche, ma vengano confortati dalla esperienza dei più provetti che ne maturino lo zelo, la prudenza, e la pietà; ed è spediente altresì che, ora con esercitazioni accademiche, ora con periodiche conferenze, si allarghi l’uso di tenerli continuamente esercitati negli studi sacri. E’ manifesto, Venerabili Fratelli, che quanto abbiamo sin qui raccomandato, lungi dal menomamente nuocere, giova anzi in singolare modo a quella operosità sociale del Clero, da Noi in più occasioni inculcata come necessaria al nostri giorni. Poiché coll’esigere la fedele osservanza delle nome da Noi richiamate, si viene a tutelare ciò che di siffatta operosità dev’essere l’anima e la vita.

Ripetiamo dunque anche qui, e più altamente, esser mestieri che il Clero vada al popolo cristiano, insidiato da ogni parte, e con ogni sorta di fallaci promesse adescato segnatamente dal socialismo ad apostatare dalla fede avita; subordinando però tutti la propria azione all’autorità di coloro, "cui lo Spirito Santo ha costituito Vescovi per reggere la Chiesa di Dio"; senza di che seguirebbe confusione e disordine gravissimo, a detrimento anche della causa che hanno a difendere e a promuovere.
Anzi a tal fine desideriamo che i candidati al sacerdozio, sul termine della loro educazione nei Seminari, vengano convenientemente ammaestrati nei documenti pontifici che riguardano la questione sociale e la democrazia cristiana, astenendosi peraltro, come più sopra abbiamo detto, dal prendere qualsiasi parte al movimento esterno. Fatti poi sacerdoti si volgano con particolare studio al popolo, stato sempre l’oggetto delle più amorose cure della Chiesa, Togliere i figli del popolo alla ignoranza delle cose spirituali ed eterne, e con industriosa amorevolezza avviarli ad un vivere onesto e virtuoso; raffermare gli adulti nella Fede dissipandone i contrari pregiudizi, e confortarli alla pratica della vita cristiana; promuovere tra il laicato cattolico quelle istituzioni che si riconoscano veramente efficaci al miglioramento morale e materiale delle moltitudini; propugnare sopra tutto i principi di giustizia e carità evangelica, nei quali trovano equo temperamento tutti i diritti e i doveri della civile convivenza: tale è nelle precipue sue parti il nobile compito della loro azione sociale. Ma abbiano sempre presente, che anche in mezzo al popolo il sacerdote deve serbare integro il suo augusto carattere di ministro di Dio, essendo esposto a capo dei fratelli, principalmente "animarum causa" ( S. gregorio M., Regula Past.. parte II, e. VII.). Qualsivoglia maniera di occuparsi del popolo, a scapito della dignità sacerdotale, con danno dei doveri e della disciplina ecclesiastica, non potrebbe esser che altamente riprovata.

Ecco quanto, Venerabili Fratelli, la coscienza dell’Apostolico ufficio C’imponeva di far rilevare, considerate le condizioni odierne del Clero d’Italia. Non dubitiamo, che in cosa di tanta gravità ed importanza, alla sollecitudine Nostra voi saprete congiungere le più solerti ed amorose industrie del vostro zelo, ispirandovi specialmente ai luminosi esempi del grande Arcivescovo, San Carlo Borromeo. Pertanto a dare effetto a queste Nostre prescrizioni, avrete cura di fame argomento delle vostre regionali Conferenze, e di consigliarvi su quei provvedimenti pratici che secondo i particolari bisogni delle singole Diocesi vi sembreranno più opportuni. Ai divisamenti ed alle deliberazioni nostre non mancherà, ove sia d’uopo, il presidio della Nostra autorità.

Ed ora con parola che ne viene spontanea dall’intimo del Nostro cuore paterno, Ci volgiamo a voi, quanti siete sacerdoti d’Italia, raccomandando a tutti e a ciascuno, che mettiate ogni impegno nel corrispondere sempre più degnamente allo spirito proprio della vostra eccelsa vocazione. A voi ministri del Signore diciamo con più ragione che non disse S, Paolo ai semplici fedeli: "Obsecro itaque vos ego vinctus in Domino, ut digne ambuletis vocatione, qua vocati estis" (Eph 4,1). L’amore della comune madre la Chiesa rinsaldi e rinvigorisca tra voi quella Concordia di pensiero e di azione, che raddoppia le forze e rende più feconde le opere. In tempi tanto infesti alla religione e alla società, quando il Clero di ogni nazione è chiamato ad unirsi compatto per la difesa della fede e della morale cristiana, si appartiene a voi, figli dilettissimi, cui particolari vincoli congiungono a questa sede Apostolica, precedere a tutti gli altri con l’esempio, ed essere i primi nella illimitata obbedienza alla voce e ai comandi del Vicario di Gesù Cristo.

Così le benedizioni di Dio scenderanno copiose, quali Noi le invochiamo, a mantenere il Clero d’Italia sempre degno delle illustri sue tradizioni.

Auspice intanto dei divini favori sia l’apostolica benedizione, che a voi, Venerabili Fratelli, ed a tutto il Clero alle vostre cure affidato, con effusione di cuore impartiamo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nel dì sacro alla Immacolata Concezione di Maria, 8 Dicembre 1902, anno vigesimo quinto del Nostro Pontificato.


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