+
Leone XIII
Depuis le jour


La formazione del clero in Francia

8 settembre 1899

Fin dal giorno in cui siamo stati elevati alla cattedra pontificia, la Francia è stata l’oggetto costante della Nostra sollecitudine e del Nostro particolarissimo affetto. Nel corso dei secoli infatti, mosso dagli insondabili disegni della sua misericordia sul mondo, proprio in essa Dio ha scelto di preferenza gli apostoli destinati a predicare la vera fede fino ai confini della terra, e a portare la luce dell’evangelo alle nazioni ancora immerse nelle tenebre del paganesimo. Egli l’ha predestinata ad essere il difensore della sua chiesa e lo strumento delle sue grandi opere: "Le imprese di Dio per mezzo dei Franchi".

A una così alta missione, corrispondono evidentemente numerosi e gravi doveri. Desiderosi, come i Nostri predecessori, di vedere la Francia portare fedelmente a compimento il glorioso mandato di cui ha ricevuto l’incarico, le abbiamo già più volte rivolto, durante il Nostro lungo pontificato, i Nostri consigli, il Nostro incoraggiamento, le Nostre esortazioni. Lo abbiamo fatto in modo del tutto speciale nella Nostra lettera enciclica dell’8 febbraio 1984, Nobilissima Gallorum gens, e nella Nostra lettera del 16 febbraio 1892, pubblicata in lingua francese e che comincia con queste parole: Au milieu des sollicitudes. Le Nostre parole non sono rimaste infruttuose, e Noi sappiamo da parte vostra, venerabili fratelli, che una gran parte del popolo francese mantiene sempre in onore la fede dei suoi avi e adempie con fedeltà i doveri che essa impone. Non possiamo d’altra parte ignorare che i nemici di questa fede non sono rimasti inattivi, e che sono giunti ad allontanare da ogni principio religioso un gran numero di famiglie che, per questo motivo, vivono ora in una deplorevole ignoranza della verità rivelata, e in una completa indifferenza per tutto ciò che riguarda i loro interessi spirituali e la salvezza delle loro anime.

Se dunque, e a buon diritto, Ci congratuliamo con la Francia per il suo essere un focolare di apostolato per le nazioni infedeli, dobbiamo anche incoraggiare gli sforzi di quelli fra i suoi figli che, arruolati nel sacerdozio di Gesù Cristo, lavorano all’evangelizzazione dei loro compatrioti, e alla loro difesa contro l’irrompere del naturalismo e dell’incredulità, con le loro funeste e inevitabili conseguenze. Chiamati dalla volontà di Dio ad essere i salvatori del mondo, i sacerdoti devono sempre, e prima di tutto, ricordarsi di essere, in virtù dell’istituzione stessa di Gesù Cristo, il "sale della terra" (Mt 5,13), per cui s. Paolo, scrivendo al suo discepolo Timoteo, conclude a ragione "che devono essere esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza" (1Tm 4,12).

Che tale sia il clero di Francia, preso nel suo insieme, è per Noi sempre, venerabili fratelli, una grande consolazione il venirlo a sapere, sia mediante le relazioni quadriennali che Ci inviate sullo stato delle vostre diocesi, in conformità con la costituzione di Sisto V; sia mediante le comunicazioni verbali che riceviamo da voi, quando abbiamo la gioia di intrattenerci con voi e di ricevere le vostre confidenze. Sì, la dignità della vita, l’ardore della fede, lo spirito di dedizione e di sacrificio, lo slancio e la generosità dello zelo, la carità inesauribile verso il prossimo, la vigoria in tutte le nobili e feconde imprese che hanno come scopo la gloria di Dio, la salvezza delle anime, il bene della patria: queste sono le tradizionali e preziose qualità del clero francese, alle quali Noi siamo ben felici di poter rendere qui una pubblica e paterna testimonianza.

Tuttavia, proprio a motivo del tenero e profondo affetto che gli portiamo; e insieme per adempiere al dovere del Nostro ministero apostolico, e per rispondere al Nostro vivo desiderio di vederlo rimanere sempre all’altezza della sua grande missione, abbiamo deciso, venerabili fratelli, di trattare nella presente lettera alcuni punti che le attuali circostanze raccomandano con la massima urgenza alla coscienziosa attenzione dei primi pastori della chiesa di Francia, e dei sacerdoti che lavorano sotto la loro autorità.

In primo luogo è assolutamente evidente che quanto più un ufficio è elevato, complesso, difficile, tanto più lunga e accurata deve essere la preparazione di coloro che sono chiamati ad adempierlo. Esiste forse una dignità sulla terra più alta di quella del sacerdozio, e un ministero che impone una responsabilità più pesante di quello che ha per oggetto la santificazione di tutti gli atti liberi dell’uomo? Non è forse del governo delle anime che i Padri con ragione hanno detto che è "l’arte delle arti", cioè il più importante e il più delicato di tutti i lavori ai quali un uomo possa applicarsi per l’utilità dei suoi simili "ars artium regimen animarum" Nulla dunque dovrà essere trascurato per preparare ad adempiere degnamente e con frutto siffatta missione coloro che sono chiamati da una vocazione divina.

Prima di tutto è necessario discernere, fra i fanciulli, coloro in cui l’Altissimo ha deposto il germe di una tale vocazione. Sappiamo che, in un certo numero di diocesi di Francia, grazie alle vostre sapienti raccomandazioni, i sacerdoti delle parrocchie, soprattutto nelle campagne, si applicano, con uno zelo e una abnegazione degni di ogni lode da parte Nostra, a dare inizio essi stessi agli studi elementari dei fanciulli nei quali abbiano riscontrato serie disposizioni alla pietà e attitudini al lavoro intellettuale. Le scuole presbiterali sono così come il primo gradino di questa scala ascendente che, prima per mezzo dei seminari minori, poi per mezzo dei seminari maggiori, farà salire fino al sacerdozio i giovani ai quali il Salvatore ha ripetuto la chiamata rivolta a Pietro e Andrea, a Giovanni e Giacomo: "Lasciate le vostre reti; seguitemi; vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19).

Per quel che riguarda i seminari minori, questa validissima istituzione è stata spesso paragonata a quei vivai dove sono riposte le piante che esigono cure speciali e assidue, per mezzo delle quali soltanto esse possono portare frutti e compensare delle loro fatiche quelli che si dedicano alla loro coltivazione. Noi rinnoviamo a questo riguardo la raccomandazione che, nella sua enciclica dell’8 dicembre 1849, il nostro predecessore Pio IX rivolgeva ai vescovi. Questa si riferiva a una delle più importanti decisioni dei padri del Concilio di Trento. La chiesa di Francia può davvero farsene gloria, per averne fatto tesoro in questo secolo presente, poiché non vi è nessuna delle 94 diocesi di cui si compone che non sia dotata di uno o più seminari minori.

Noi sappiamo, venerabili fratelli, con quali sollecitudini circondate queste istituzioni così giustamente care al vostro zelo pastorale, e Noi ci rallegriamo con voi. I sacerdoti che, sotto la vostra alta direzione, lavorano alla formazione della gioventù chiamata ad arruolarsi successivamente nei ranghi della milizia sacerdotale, non potranno mai meditare a sufficienza davanti a Dio l’eccezionale importanza della missione che voi loro affidate. Non si tratta affatto per loro, come per la generalità dei maestri, di insegnare semplicemente ai fanciulli gli elementi delle lettere e delle scienze umane. Questa è solo la parte minore del loro compito. Bisogna che le loro attenzione, il loro zelo, la loro dedizione siano incessantemente vigili e attive, per studiare continuamente, da una parte, sotto lo sguardo e alla luce di Dio, le anime dei fanciulli e gli indizi significativi della loro vocazione al servizio dell’altare; dall’altra, per aiutare l’inesperienza e la debolezza dei loro giovani discepoli, a proteggere la grazia così preziosa della chiamata divina contro tutte le influenze funeste, sia esteriori che interiori. Debbono dunque adempiere un ministero umile, laborioso, delicato che esige una costante abnegazione. Per sostenere il loro coraggio nel compimento dei loro doveri, avranno cura di ritemprarlo alle fonti più pure dello spirito di fede. Non perderanno mai di vista che non debbono preparare per delle funzioni terrene, legittime e onorevoli che siano, i fanciulli di cui formano l’intelligenza, il cuore e il carattere. La chiesa li affida a loro perché diventino capaci un giorno di essere sacerdoti, cioè missionari dell’evangelo, continuatori dell’opera di Gesù Cristo, distributori della sua grazia e dei suoi sacramenti. Questa considerazione tutta sovrannaturale si compenetri continuamente alla loro duplice azione di professori e di educatori, e sia come quel lievito che deve essere impastato con il miglior frumento, secondo la parabola evangelica, per trasformarsi in un pane fragrante e sostanzioso (Mt 13,33).

Se la preoccupazione costante di una prima e indispensabile formazione allo spirito e alle virtù sacerdotali deve ispirare i maestri dei vostri seminari minori nelle loro relazioni con gli allievi, è ancora a questa medesima idea principale e direttrice che dovranno riferirsi il piano di studi, e tutta l’economia della disciplina. Non ignoriamo, venerabili fratelli, che, in una certa misura, siete costretti a tenere conto dei programmi dello stato e delle condizione poste da quest’ultimo per il conseguimento dei gradi universitari, poiché, in un certo numero di casi, questi gradi sono necessari per i sacerdoti utilizzati sia nella direzione dei liberi collegi, posti sotto la tutela dei vescovi o delle congregazioni religiose, sia per l’insegnamento superiore nelle facoltà cattoliche che voi avete così lodevolmente fondato. D’altra parte è di supremo interesse, per conservare l’influenza del clero sulla società, che questo conti nelle sue fila un numero molto elevato di sacerdoti che non siano inferiori in nulla per la scienza, di cui i gradi sono la constatazione ufficiale, ai maestri che lo stato forma per i suoi licei e per le sue università.

Tuttavia, e dopo aver dato a questa esigenza dei programmi la parte richiesta dalle circostanze, bisogna che gli studi di coloro che aspirano al sacerdozio restino fedeli ai metodi tradizionali dei secoli passati. Sono questi che hanno formato gli uomini eminenti di cui la chiesa di Francia va orgogliosa a così giusto titolo, i Pétau, i Thomassin, i Mabillon e tanti altri, senza parlare del vostro Bossuet, chiamato l’aquila di Meaux, perché, sia per l’elevatezza dei pensieri, sia per la nobiltà del linguaggio, il suo genio aleggia nelle più sublimi regioni della scienza e dell’eloquenza cristiana. Ora, è lo studio delle belle lettere che ha potentemente aiutato questi uomini a diventare così validi e utili operai al servizio della chiesa, e li ha resi capaci di comporre delle opere veramente degne di passare ai posteri e che contribuiscono ancora ai nostri giorni alla difesa e alla diffusione della verità rivelata. Sono proprio le belle lettere infatti, quando sono insegnate da abili maestri cristiani, quelle che sviluppano rapidamente nell’anima dei giovani tutti i germi della vita intellettuale e morale, e insieme contribuiscono a dare al giudizio rettitudine e ampiezza, e al linguaggio eleganza e distinzione.

Questa considerazione acquista una speciale importanza quando si tratta della letteratura greca e latina, depositaria dei capolavori di scienza sacra che la chiesa conta a buon diritto fra i suoi tesori più preziosi. Mezzo secolo fa, in quel troppo breve periodo di vera libertà, durante il quale i vescovi di Francia potevano riunirsi e concertare le misure che ritenevano le più idonee a favorire i progressi della religione e, nello stesso tempo, le più favorevoli per la pace pubblica, parecchi dei vostri concili provinciali, venerabili fratelli, raccomandarono nel modo più esplicito lo studio e l’esercizio della lingua e della letteratura latine. I vostri colleghi di quel tempo deploravano già il fatto che, nel vostro paese, la conoscenza del latino tendesse a diminuire.

Se, dopo parecchi anni, i metodi pedagogici in vigore negli istituti statali riducono progressivamente lo studio della lingua latina, e sopprimono le esercitazioni di prosa e di poesia che i nostri predecessori ritenevano a buon diritto che dovessero avere un posto rilevante nelle classi dei collegi, i seminari minori si guarderanno bene da queste innovazioni ispirate da preoccupazioni utilitaristiche, e che si volgono a danno della solida formazione dello spirito. A questi antichi metodi, tante volte giustificati a motivo dei loro risultati, Noi applicheremo volentieri il motto di s. Paolo al suo discepolo Timoteo, e con l’apostolo noi vi diremo, venerabili fratelli, "Custoditene il deposito" (ITm 6,20), con cura gelosa. Se un giorno, Dio non voglia, dovessero completamente sparire dalle altre scuole pubbliche, i vostri seminari minori e i liberi collegi li custodiscano con una intelligente e patriottica premura. Imiterete così i sacerdoti di Gerusalemme che, volendo sottrarre ai barbari invasori il fuoco sacro del tempio, lo nascosero, in modo tale da poterlo ritrovare e così restituirgli tutto il suo splendore, quando i giorni cattivi fossero passati (2Mac 1,19-22).

Una volta in possesso della lingua latina, che è come la chiave della scienza sacra, e con le facoltà dello spirito sufficientemente sviluppate mediante lo studio delle belle lettere, i giovani che si votano al sacerdozio passano dal seminario minore a quello maggiore. Qui si prepareranno, mediante la pietà e l’esercizio delle virtù clericali, al ricevimento degli ordini sacri, nel tempo stesso in cui si dedicheranno allo studio della filosofia e della teologia.

Lo abbiamo detto nella Nostra enciclica Aeterni Patris, di cui raccomandiamo nuovamente l’attenta lettura ai vostri seminaristi e ai loro maestri, e lo diciamo basandoci sull’autorità di s. Paolo: è per le vane sottigliezze della cattiva filosofia, "per philosophiam et inanem fallaciam" (Col 2,8), che lo spirito dei fedeli si lascia il più delle volte ingannare e che la purezza della fede si corrompe fra gli uomini. Noi aggiungevamo, e gli eventi che si sono compiuti negli ultimi vent’anni hanno ben tristemente confermato le riflessioni e i timori che allora esprimevamo: "Se si considerano le condizioni critiche del tempo in cui viviamo, se si abbraccia col pensiero lo stato degli affari sia pubblici che privati, si scoprirà agevolmente che la cagione dei mali che ci opprimono, come di quelli che ci minacciano, consiste nel fatto che erronee opinioni circa tutte le cose divine e umane, si sono, dalle scuole dei filosofi, infiltrate poco a poco in tutte le classi della società, e sono giunte a farsi accettare da un gran numero di intelligenze".

Noi riproviamo nuovamente queste dottrine che della vera filosofia hanno soltanto il nome, e che, frantumando la base stessa del sapere umano, conducono logicamente allo scetticismo universale e alla irreligione. È per Noi fonte di grande dolore il venire a sapere che, da alcuni anni, alcuni cattolici hanno creduto di potersi mettere al seguito di una filosofia che sotto lo specioso pretesto di liberare la ragione umana da ogni idea preconcetta e da ogni illusione, le nega il diritto di affermare qualsiasi cosa al di là delle sue proprie operazioni, sacrificando così ad un soggettivismo radicale tutte le certezze che la metafisica tradizionale, consacrata dall’autorità degli spiriti più vigorosi, dava come necessario e incrollabili fondamenta alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, della spiritualità e immortalità dell’anima, e della realtà oggettiva del mondo esterno. È profondamente deplorevole che questo scetticismo dottrinale, di importazione straniera e di origine protestante, abbia potuto essere accolto con tanto favore in un paese giustamente celebre per il suo amore per la chiarezza delle idee e per quella del linguaggio. Noi sappiamo, venerabili fratelli, fino a che punto voi condividete a questo proposito le Nostre giuste preoccupazioni, e contiamo sul fatto che raddoppierete la sollecitudine e la vigilanza per allontanare dall’insegnamento dei vostri seminari questa fallace e pericolosa filosofia, mettendo più che mai in onore i metodi che raccomandiamo nella Nostra enciclica sopra citata del 4 agosto 1879.

Meno che mai in questo nostro tempo, gli allievi dei vostri seminari minori e maggiori potrebbero restare estranei allo studio delle scienze fisiche e naturali. Bisogna dunque che vi si applichino, ma con misura e in saggia proporzione. Non è dunque affatto necessario che, nei corsi di scienze, collegati allo studio della filosofia, i professori si sentano obbligati ad esporre dettagliatamente le infinite applicazioni delle scienze fisiche e naturali ai diversi settori dell’industria umana. È sufficiente che i loro allievi ne conoscano con esattezza i principi fondamentali e le principali conseguenze, per essere in grado di rispondere alle obiezioni che gli increduli traggono da queste scienze contro gli insegnamenti della rivelazione.

È importante soprattutto che, per almeno due anni, gli alunni dei seminari maggiori studino con il massimo impegno la filosofia razionale, che, come diceva un dotto benedettino, D. Mabillon, onore del suo ordine e della Francia, sarà loro di grande utilità non soltanto per insegnare loro il retto modo di ragionare e di formulare i retti giudizi, ma per renderli anche capaci di difendere la fede ortodossa contro gli argomenti capziosi e spesso sofistici degli avversari.

Vengono poi le scienze sacre propriamente dette, cioè la teologia dogmatica e la teologia morale, la sacra Scrittura, la storia della chiesa e il diritto canonico. Sono queste le scienze proprie del sacerdote. Egli ne riceve una prima iniziazione durante il suo soggiorno nel seminario maggiore; ma dovrà proseguirne lo studio per tutto il resto della vita.

La teologia è la scienza delle cose della fede. Essa si alimenta, come dice il papa Sisto V, a quelle sorgenti sempre zampillanti che sono le sacre Scritture, le decisioni dei papi, i decreti dei concili. Chiamata positiva e speculativa, o scolastica, a seconda del metodo che si usa nello studiarla, la teologia non si limita a proporre le verità da credere: ne scruta l’interiore profondità, ne mostra i rapporti con la ragione umana, e con l’aiuto delle risorse che le fornisce la vera filosofia, le spiega, le sviluppa e le adatta perfettamente a tutte le necessità della difesa e della propagazione della fede. A somiglianza di Bezaleel, al quale il Signore aveva donato uno spirito di sapienza, di intelligenza e di scienza, affidandogli il compito di costruire il suo tempio, il teologo taglia le pietre preziose dei dogmi divini, le adatta con arte, e con l’accorgimento con cui le dispone ne fa risaltare lo splendore, l’incanto e la bellezza.

Lo stesso Sisto V considera a buon diritto questa teologia (ed egli parla proprio della teologia scolastica) come un dono del cielo e richiede che sia mantenuta nelle scuole e coltivata con grande passione, essendo quanto vi è di più fruttuoso per la chiesa.

C’è bisogno a questo punto di ricordare che il libro per eccellenza in cui gli allievi potranno studiare con il più grande profitto la teologia scolastica, è la Somma teologica di s. Tommaso d’Aquino? Vogliamo dunque che i professori si facciano premura di spiegarne a tutti i loro allievi il metodo e i principali articoli relativi alla fede cattolica.

Raccomandiamo ugualmente che tutti i seminaristi abbiano in mano e rileggano spesso il libro d’oro, conosciuto con il nome di Catechismo del Santo Concilio di Trento o Catechismo Romano, dedicato a tutti i sacerdoti incaricati della cura pastorale (Catechismus ad parochos). Ragguardevole per la ricchezza e l’esattezza della dottrina e insieme per l’eleganza dello stile, questo catechismo è un prezioso riassunto di tutta la teologia dogmatica e morale. Chiunque lo possieda a fondo, avrà sempre a sua disposizione le risorse sul cui fondamento un sacerdote potrà predicare con frutto, assolvere degnamente all’importante ministero della confessione e della direzione spirituale delle anime, ed essere in grado di confutare vittoriosamente le obiezioni degli increduli.

Per quanto riguarda lo studio delle sacre Scritture. Noi richiamiamo di nuovo la vostra attenzione, venerabili fratelli, sugli insegnamenti che abbiamo dato nella Nostra enciclica Providentissimus Deus della quale desideriamo che i professori diano conoscenza ai loro discepoli, aggiungendovi le necessarie spiegazioni. Essi li metteranno in guardia soprattutto contro le pericolose tendenze che cercano di introdursi nell’interpretazione della Bibbia, le quali, se dovessero prevalere, non tarderebbero molto a distruggerne l’ispirazione e il carattere soprannaturale. Sotto lo specioso pretesto di sottrarre agli avversari della parola rivelata l’uso di argomenti che potrebbero sembrare inconfutabili contro l’autenticità e la veracità dei libri santi, alcuni scrittori cattolici hanno creduto che fosse di grande utilità l’adottare anche loro queste argomentazioni. In virtù di questa strana e pericolosa tattica, hanno così lavorato con le proprie mani ad aprire delle brecce nelle mura della città che avevano invece la missione di difendere. Nella Nostra enciclica sopra citata, come anche in un altro documento," Noi abbiamo fatto giustizia di queste dannose temerarietà. Pur incoraggiando i nostri esegeti a tenersi al corrente dei progressi della critica, Noi abbiamo saldamente mantenuto i princìpi sanciti in questa materia dall’autorevole tradizione dei padri e dei concili, e rinnovati ai nostri giorni dal Concilio Vaticano.
La storia della chiesa è come uno specchio nel quale risplende la vita della chiesa attraverso i secoli. Molto più ancora della storia civile e profana, essa dimostra la sovrana libertà di Dio e la sua azione provvidenziale nel susseguirsi degli eventi.

Quelli che la studiano non debbono mai perdere di vista che essa racchiude un insieme di fatti dogmatici, che si impongono alla fede e che non è permesso a nessuno di mettere in discussione. Questa idea direttrice e soprannaturale che presiede ai destini della chiesa è nello stesso tempo la fiaccola la cui luce illumina la storia. Tuttavia, e poiché la chiesa, che continua fra gli uomini la vita del Verbo incarnato, si compone di un elemento divino e di un elemento umano, quest’ultimo dev’essere esposto dai maestri e studiato dagli allievi con grande onestà. Come è detto nel libro di Giobbe, "Dio non ha bisogno delle nostre menzogne".

Lo storico della chiesa sarà tanto più efficace nel far emergere la sua origine divina, superiore ad ogni concetto di ordine puramente terreno e naturale, quanto più sarà stato leale nel non dissimulare nessuna delle prove che gli errori dei suoi figli, e talvolta anche dei suoi ministri, hanno fatto subire nel corso dei secoli a questa sposa del Cristo. Studiata in questo modo, la storia della chiesa, da sé sola, costituisce una magnifica e convincente dimostrazione della verità e della divinità del cristianesimo.

Infine, per completare il ciclo degli studi con i quali i candidati al sacerdozio debbono prepararsi al loro futuro ministero, bisogna menzionare il diritto canonico, o scienza delle leggi e della giurisprudenza della chiesa. Questa scienza si collega con dei legami molto stretti e logici a quella della teologia, di cui mostra le applicazioni pratiche a tutto ciò che riguarda il governo della chiesa, l’amministrazione delle cose sante, i diritti e i doveri dei ministri, l’uso dei beni temporali, di cui essa ha bisogno per l’adempimento della sua missione. "Senza la conoscenza del diritto canonico (dicevano molto bene i padri di uno dei vostri concili provinciali) la teologia è imperfetta, incompleta, simile a un uomo che fosse privo di un braccio. Proprio l’ignoranza del diritto canonico ha favorito la nascita e la diffusione di numerosi errori sui diritti dei romani pontefici, su quelli dei vescovi, e sulla potestà che la chiesa tiene dalla propria costituzione, di cui proporziona l’esercizio alle circostanze".

Riassumeremo tutto ciò che abbiamo appena detto sui vostri seminari minori e maggiori con queste parole di s. Paolo, che Noi raccomandiamo alla frequente meditazione dei maestri e degli alunni dei vostri atenei ecclesiastici: "O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede".

Ora poi vogliamo rivolgere a voi la parola, figli carissimi, a voi che, ordinati sacerdoti, siete diventati cooperatori dei vostri vescovi. Noi conosciamo, e il mondo intero le conosce come Noi, le qualità che vi distinguono. Non vi è un’opera buona, di cui voi non siate gli ispiratori o gli apostoli. Docili ai consigli che Noi abbiamo dato nella Nostra enciclica Rerum novarum, voi andate al popolo, agli operai, ai poveri. Voi cercate in tutti i modi di venir loro in aiuto, di moralizzarli, e di rendere la loro sorte meno dura. A tale scopo voi promuovete delle riunioni e dei congressi; fondate dei patronati, dei circoli, delle casse rurali, degli uffici di assistenza e di collocamento per i lavoratori. Vi date da fare per introdurre delle riforme nell’ordine economico e sociale, e per un così difficile lavoro non esitate a fare notevoli sacrifici di tempo e di denaro. Sempre per questo voi scrivete libri e articoli nei giornali e nelle riviste periodiche. Tutte queste cose, di per sé, sono lodevolissime e voi date prove inequivocabili di buona volontà, di intelligenza e di generosa dedizione ai bisogni più urgenti della società contemporanea e delle anime.

Tuttavia, fratelli carissimi, Noi crediamo di dovere richiamare paternamente la vostra attenzione su quei principi fondamentali ai quali non mancherete di conformarvi, se volete che la vostra azione sia realmente fruttuosa e feconda.

Ricordatevi prima di tutto che, per essere utile al bene e degno di essere lodato, lo zelo deve essere "accompagnato dalla discrezione, dalla rettitudine e dalla purezza". Così si prime il grave e dotto Tommaso da Kempis. Prima di lui, S. Bernardo, la gloria del vostro paese nel dodicesimo secolo, questo apostolo infaticabile di ogni causa grande che toccasse l’onore di Dio, i diritti della chiesa e il bene delle anime, non aveva timore di dire che "separato dalla scienza e dallo spirito di discernimento o di discrezione, lo zelo è insopportabile: ... che quanto più lo zelo è ardente, tanto più è necessario che sia accompagnato da questa discrezione che mette l’ordine nell’esercizio della carità e senza la quale la stessa virtù può diventare un difetto e un principio di disordine".

Ma la discrezione nelle opere e nella scelta dei mezzi per farle riuscire è tanto più necessaria ai giorni nostri, che sono ancora più torbidi e irti di più numerose difficoltà. Tale atto, tale misura, tale pratica di zelo potranno anche essere per se stessi eccellenti, ma, viste le circostanze, produrranno soltanto degli effetti incresciosi. I sacerdoti potranno evitare questo inconveniente e questa sciagura se, prima di agire e nell’azione, avranno cura di conformarsi all’ordine stabilito e alle regole della disciplina. Ora, la disciplina ecclesiastica esige l’unione fra i diversi membri della gerarchia, il rispetto e l’obbedienza degli inferiori verso i superiori. Noi lo abbiamo detto poco tempo fa nella Nostra lettera all’arcivescovo di Tours: "L’edificio della chiesa, di cui Dio stesso è l’architetto, riposa su di un fondamento visibilissimo, prima di tutto sull’autorità di Pietro e dei suoi successori, ma anche sugli apostoli, e i successori degli apostoli, che sono i vescovi; al punto che. ascoltare o disprezzare la loro voce, equivale ad ascoltare o a disprezzare Gesù Cristo stesso".

Ascoltate dunque le parole rivolte dal grande martire di Antiochia, s. Ignazio, al clero della chiesa primitiva: "Tutti obbediscano al vescovo, come Gesù Cristo ha obbedito al Padre….Senza il vescovo non fate nulla di ciò che riguarda il servizio della chiesa, e come nostro Signore non ha fatto nulla senza il Padre, voi, sacerdoti, non fate nulla senza il vostro vescovo. Tutti i membri del presbiterio siano a lui uniti, come sono unite all’arpa le sue corde". Se, al contrario, voi, come preti, operate al di fuori di questa sottomissione e di questa unione ai vostri vescovi, Noi vi ripeteremo ciò che diceva il Nostro predecessore Gregorio XVI, cioè che "per quanto è in voi, voi distruggete da cima a fondo l’ordine stabilito con così grande provvidenza da Dio, autore della chiesa".

Ricordate anche, figli Nostri cari, che la chiesa è paragonata a ragione ad un esercito schierato in battaglia, "sicut castrorum acies ordinata" (Ct 6,3), perché essa ha il compito di combattere i nemici visibili e invisibili di Dio e delle anime. Ecco perché s. Paolo raccomandava a Timoteo di comportarsi come un buon soldato di Cristo Gesù" (2Tm 2,3). Ora, ciò che costituisce la forza di un esercito e contribuisce maggiormente alla vittoria, è la disciplina, è l’obbedienza esatta e rigorosa di tutti a coloro che hanno il compito di comandare.
Proprio qui lo zelo intempestivo e senza discrezione può facilmente diventare la causa di grandi disastri. Ricordatevi uno dei fatti più memorabili della storia sacra. Non mancavano certamente né di coraggio, né di buona volontà, nè di dedizione alla causa santa della religione quei sacerdoti che si erano raccolti attorno a Giuda Maccabeo per combattere con lui i nemici del vero Dio profanatori del tempio, gli oppressori della loro nazione. Tuttavia, avendo voluto sottrarsi alle regole della disciplina, si impegnarono temerariamente in un combattimento nel quale furono vinti. Lo Spirito Santo ci dice di loro "che essi non erano della stirpe di quei valorosi, per le cui mani era stata compiuta la salvezza di Israele". Perché? Perché essi avevano voluto obbedire soltanto alla loro ispirazione e si erano lanciati avanti senza attendere gli ordini dei loro capi. "In die illa ceciderunt sacerdotes in bello, dum volunt fortiter tacere, dum sine consilio exeunt in praelium. Ipsi autem non erant de semine virorum illorum, per quos salus facta est in Israel" (1Mac 5,67.62).
A questo riguardo, i nostri nemici possono servirci di esempio. Essi sanno molto bene che l’unione fa la forza, "vis unita fortior"; non mancano così di unirsi strettamente quando si tratta di combattere la santa chiesa di Cristo.

Se dunque, cari figli Nostri, e questo è certamente il caso vostro, voi desiderate che, nella terribile lotta ingaggiata contro la chiesa dalle sette anticristiane e dalla città del demonio, la vittoria resti a Dio e alla sua chiesa, è assolutamente necessario che voi combattiate tutti insieme nel massimo ordine e con rigorosa disciplina sotto il comando dei vostri capi gerarchici. Non vogliate ascoltare quegli uomini nefasti che, pur dicendosi cristiani e cattolici, seminano la zizzania nel campo del Signore e gettano la divisione nella sua chiesa attaccando, e spesso anche calunniando, i vescovi, "posti dallo Spirito Santo a pascere la chiesa di Dio" (At 20,28). Non dovete leggere i loro opuscoli, né i loro giornali. Un buon sacerdote non deve autorizzare in alcun modo ne le loro idee, ne la licenza del loro linguaggio. Potrà forse mai dimenticare che. il giorno della sua ordinazione, ha promesso solennemente al suo vescovo, di fronte al sacro altare, "obedientiam et reverentiam"? Innanzitutto però, cari figli Nostri, ricordatevi che la condizione indispensabile del vero zelo sacerdotale e il pegno migliore del successo nelle opere alle quali l’obbedienza gerarchica vi consacra, è la purezza e la santità della vita. "Gesù ha cominciato con il fare, prima di insegnare" (At 1,1). Come lui, il sacerdote deve con la predicazione dell’esempio preludere alla predicazione della parola. "Vedendoli, infatti, sollevati in una sfera più alta, al di sopra degli affanni del secolo (dicono i padri del Concilio di Trento), gli altri guardano a loro come ad uno specchio e da essi traggono l’esempio da imitare. È assolutamente necessario, perciò, che i chierici, chiamati ad avere Dio in eredità, regolino la loro vita e tutti i loro costumi in modo tale che negli abiti, nel modo di comportarsi, di camminare, di parlare e in tutte le altre azioni, mostrino soltanto un atteggiamento serio, equilibrato e pieno di religiosità. Fuggano anche le mancanze leggere, che in essi sembrerebbero grandissime, perché le loro azioni possano ispirare a tutti un senso di venerazione".

A queste raccomandazioni del santo concilio che Noi vorremmo, cari figli Nostri, incidere nei vostri cuori, verrebbero sicuramente meno i sacerdoti che adottassero nella loro predicazione un linguaggio poco in armonia con la dignità del loro sacerdozio e con la santità della parola di Dio; che assistessero ad assemblee popolari in cui la loro presenza servisse solo ad eccitare le passioni degli empi e dei nemici della chiesa, e li esponesse alle ingiurie più grossolane, senza vantaggio per nessuno, e con grande stupore, se non anche scandalo, dei pii fedeli; che assumessero le abitudini, i modi di essere e di agire, e lo spirito dei secolari. Certamente il sale deve essere mescolato alla massa che deve preservare dalla corruzione, nel tempo stesso in cui difende se stesso da questa, sotto pena di perdere ogni sapore e di non essere più buono ad altro che ad essere gettato fuori e calpestato (cf. Mt 5,13).

Allo stesso modo il sacerdote, sale della terra, nel suo contatto obbligato con la società che lo circonda, deve conservare la modestia, la serietà, la santità nel suo contegno, nei suoi atti, nelle sue parole, e non lasciarsi invadere mai dalla leggerezza, dalla dissipazione, dalla vanità delle genti del mondo. Bisogna, al contrario, che in mezzo agli uomini egli conservi la sua anima così unita a Dio, che non vi perda nulla dello spirito del suo stato e non sia costretto a fare davanti a Dio e alla sua coscienza questa triste e umiliante confessione: "tutte le volte che sono stato fra i laici, ne sono ritornato meno sacerdote".

Non potrebbe essere proprio per avere messo da parte, con uno zelo presuntuoso, queste regole tradizionali della discrezione, della modestia, della prudenza sacerdotale, che alcuni sacerdoti considerano sorpassati, incompatibili con i bisogni del ministero nel tempo presente, i princìpi di disciplina e di condotta che essi hanno ricevuto dai loro maestri del seminario maggiore? Li si vede andare, come per istinto, incontro alle innovazioni più pericolose di linguaggio, di comportamento, di relazioni. Parecchi, ahimè, impegnati temerariamente su sdrucciolevoli pendii dove da se stessi non avevano la forza di mantenersi saldi, disprezzando gli avvertimenti caritatevoli dei loro superiori o dei loro confratelli più anziani e più ricchi di esperienza, sono giunti a delle apostasie che hanno rallegrato gli avversari della chiesa e fatto versare amarissime lacrime ai loro vescovi, ai loro fratelli nel sacerdozio e ai pii fedeli. Sant’Agostino ce lo dice: "Più si procede con forza e rapidità, quando si è al di fuori del retto cammino, più ci si smarrisce". Ci sono sicuramente delle novità vantaggiose, capaci di fare avanzare il regno di Dio nelle anime e nella società. Ma, ci dice il santo Vangelo (Mt 13,52), è al "Padre di famiglia" e non ai figli, o ai servitori, che spetta esaminarle e, se lo giudica opportuno, dare loro il diritto di cittadinanza, accanto agli usi antichi e venerabili che compongono l’altra parte del suo tesoro.

Quando non molto tempo fa Noi abbiamo adempiuto al dovere apostolico di mettere in guardia i cattolici dell’America del Nord contro certe novità che tendevano, fra le altre cose, a sostituire ai princìpi di perfezione consacrati dall’insegnamento dei dottori e dalla pratica dei santi, delle massime o delle regole di vita morale più o meno impregnate di quel naturalismo che, ai nostri giorni, tende a penetrare dappertutto, Noi abbiamo altamente proclamato che, lungi dal ripudiare e rigettare in blocco i progressi compiuti nei tempi presenti, Noi vogliamo accogliere assai volentieri tutto ciò che può aumentare il patrimonio della scienza o generalizzare maggiormente le condizioni della prosperità pubblica. Ma Noi avemmo cura di aggiungere che questi progressi non avrebbero potuto servire efficacemente la causa del bene, se si fosse messa da parte la saggia autorità della chiesa.

Terminando questa lettera, ci è gradito applicare al clero di Francia quanto abbiamo scritto un tempo ai sacerdoti della Nostra diocesi di Perugia. Riproduciamo qui una parte della Nostra lettera pastorale che rivolgemmo loro il 19 luglio 1886.

"Noi chiediamo agli ecclesiastici della Nostra diocesi di riflettere seriamente sui loro sublimi doveri, sulle condizioni difficili che attraversiamo, e di fare in modo che la loro condotta sia in armonia con i loro doveri, e sempre conforme alle regole di uno zelo illuminato e prudente. Così, coloro stessi che sono nostri nemici cercheranno invano dei motivi di rimprovero e di biasimo: "qui ex adverso est, vereatur, nihil habens malum dicere de nobis".

Quantunque di giorno in giorno si moltiplichino le difficoltà e i pericoli, il pio e fervente sacerdote non deve per questo scoraggiarsi; non deve abbandonare i suoi doveri, né arrestarsi nell’adempimento della missione spirituale che ha ricevuto per il bene, per la salvezza dell’umanità e per il sostegno di quell’augusta religione di cui è l’araldo e il ministro. Perché è soprattutto nelle difficoltà, nelle prove, che la sua virtù si afferma e si fortifica: nelle più grandi sventure, in mezzo alle trasformazioni politiche e agli sconvolgimenti sociali la sua azione benefica e civilizzatrice si manifesta con maggiore splendore.

Per discendere alla pratica, noi troviamo un insegnamento perfettamente adatto alle circostanze nelle quattro massime che il grande apostolo s. Paolo dava al suo discepolo Tito. Offri in ogni cosa il buon esempio nelle tue opere, nella tua dottrina, nella integrità della tua vita, nella gravita della tua condotta, non adoperando se non parole sante e irreprensibili. Noi vorremmo che ogni membro del nostro clero meditasse queste massime e vi conformasse la sua condotta.

"In omnibus tè ipsum praebe exemplum bonorum operum". Offrite in ogni cosa l’esempio delle opere buone, cioè di una vita esemplare e attiva, animata da un vero spirito di carità, e guidata dalle norme della prudenza evangelica, di una vita di sacrificio e di lavoro, consacrata a far del bene al prossimo, non già per vedute terrene e per una transitoria ricompensa, ma per uno scopo soprannaturale. Date l’esempio di quel linguaggio, semplice a un tempo e nobile ed elevato, di quella parola sana e irreprensibile che confonde ogni umana opposizione, mitiga l’antico odio che ci ha giurato il mondo e ci concilia il rispetto e la stima degli stessi nemici della religione.
Chiunque si è votato al servizio del santuario è stato obbligato in ogni tempo a mostrarsi come un vivente modello, un esemplare perfetto di tutte le virtù; ma questo obbligo è molto più grande quando, in seguito agli sconvolgimenti sociali, si cammina su di un terreno difficile e incerto, dove ad ogni passo possono trovarsi imboscate e pretesti di attacco...

"In doctrina". In presenza degli sforzi concordi dell’incredulità e dell’eresia per consumare la rovina della fede cattolica, sarebbe un vero delitto per il clero rimanersene esitante e inerte. In mezzo a un così vasto dilagare di errori, di un tal conflitto di opinioni, egli non può venir meno alla propria missione che è di difendere il dogma attaccato, la morale travisata e la giustizia cosi spesso misconosciuta. Ad esso spetta di opporsi come un baluardo all’errore invadente e alla mal dissimulata eresia; ad esso sorvegliare i movimenti dei fautori dell’empietà che insidiano la fede e l’onore di questa cattolica contrada, ad esso smascherare le loro frodi e additare le loro insidie; ad esso premunire i semplici, rafforzare i timidi, aprire gli occhi ai ciechi. Una superficiale erudizione, una scienza volgare non bastano a tutto ciò; ci vogliono degli studi solidi, profondi ed assidui, in una parola, un insieme di conoscenze dottrinali capaci di lottare con la sottigliezza e la singolare astuzia dei moderni nostri contraddittori...

"In integritate". Nulla prova meglio l’importanza di questo consiglio, della triste esperienza di ciò che intorno ci accade. Non vediamo infatti che la vita rilassata di certi ecclesiastici discredita e fa disprezzare il loro ministero e cagiona scandali? Se alcuni uomini, dotati di uno spirito brillante e ragguardevole disertano qualche volta le schiere della santa milizia, e si ribellano alla chiesa, a questa madre che nell’affettuosa sua tenerezza li aveva preposti al governo e alla salute delle anime, la loro defezione, i loro traviamenti non hanno per lo più altra origine che la loro indisciplinatezza e i loro cattivi costumi...

"In gravitate". Per gravità bisogna intendere quella condotta seria, piena di ponderazione e di tatto, che deve essere propria del ministro fedele e prudente che Dio ha eletto al governo della sua famiglia. Costui infatti, ringraziando Dio di essersi degnato elevarlo a tale onore, deve mostrarsi fedele a tutte le sue obbligazioni, nel tempo stesso che misurato e prudente in ogni suo atto; non deve lasciarsi per nulla dominare da vili passioni, ne trascinare a parole violente ed eccessive; deve compatire con bontà le sciagure e le debolezze altrui, fare a ciascuno tutto il bene che può disinteressatamente, senza ostentazione, mantenendo sempre intatto l’onore del suo carattere e della sua sublime dignità...".

Noi torniamo ora a voi, figli Nostri cari del clero francese, e abbiamo la salda fiducia che le Nostre prescrizioni e i Nostri consigli, ispirati unicamente dal Nostro amore paterno, saranno compresi e accolti da voi, secondo il senso e la portata che Noi abbiamo voluto loro dare indirizzandovi questa lettera.

Noi ci aspettiamo molto da voi, perché Dio vi ha riccamente dotati di tutti i doni e di tutte le qualità necessarie per operare cose grandi e sante a vantaggio della chiesa e della società. Noi vorremmo che neppure uno tra voi si lasciasse macchiare da quelle imperfezioni che diminuiscono lo splendore del carattere sacerdotale e nuocciono alla sua efficacia.

I tempi attuali sono tristi; l’avvenire è ancora più oscuro e minaccioso; sembra annunciare l’avvicinarsi di una spaventosa crisi di sovvertimenti sociali. Bisogna dunque, come Noi lo abbiamo detto in diverse circostanze, che si mettano in onore i salutari princìpi della religione, come quelli della giustizia, della carità, del rispetto e del dovere. Spetta a noi imprimerli profondamente nelle anime, particolarmente in quelle che sono schiave dell’incredulità o agitate da funeste passioni; spetta a noi di far regnare la grazia e la pace del nostro divino Redentore che è la Luce, la Risurrezione, la Vita, e di riunire in lui tutti gli uomini, malgrado le inevitabili distinzioni sociali che li separano.

Sì, più che mai, i giorni in cui viviamo reclamano il concorso e la dedizione di sacerdoti esemplari, pieni di fede, di discrezione, di zelo, che, ispirandosi alla dolcezza e all’energia di Gesù Cristo di cui sono i veri ambasciatori, "pro Christo legatione fungimur" (2Cor 5,20), annuncino con una coraggiosa e indefessa costanza le verità eterne, che sono per le anime i semi fecondi delle virtù.

Il loro ministero sarà faticoso; spesso anche penoso, specialmente nei paesi in cui le popolazioni, prese soltanto dagli interessi terreni, vivono nell’oblio di Dio e della santa religione. Ma l’azione illuminata, caritatevole, infaticabile del sacerdote, fortificata dalla grazia divina, opererà, come ha sempre fatto in tutti i tempi, incredibili prodigi di risurrezione.
Noi salutiamo con tutti i nostri voti e con gioia ineffabile questa consolante prospettiva, mentre, con tutto l’affetto del Nostro cuore, concediamo a voi, venerabili fratelli, al clero e a tutti i cattolici di Francia, la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 1’8 settembre dell’anno 1899, ventiduesimo del Nostro pontificato.


  Magistero pontificio - Copertina