+
Giovanni Paolo II
Pastor bonus


1. Il buon pastore, Cristo Gesù (cf. Gv 10,11.14), ha conferito ai vescovi, successori degli apostoli, e in special modo al vescovo di Roma la missione di ammaestrare tutte le nazioni e di predicare il Vangelo a ogni creatura perché fosse istituita la chiesa, popolo di Dio, e a tale scopo l’ufficio dei pastori di questo suo popolo fosse realmente un servizio; e tale servizio "nella sacra Scrittura è chiamato significativamente "diaconia", o ministero".

Questa diaconia tende soprattutto al fine che, nell’intero organismo della chiesa, la comunione si instauri sempre di più, abbia vigore e continui a produrre i suoi mirabili frutti. Infatti, come ha ampiamente insegnato il concilio Vaticano II, il mistero della chiesa si manifesta nelle molteplici espressioni di questa comunione: infatti lo Spirito "guida la chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige,... continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo sposo". Di conseguenza, come afferma lo stesso concilio, "sono pienamente incorporati nella società della chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e nel suo organismo visibile sono uniti con Cristo - che la dirige mediante il sommo pontefice e i vescovi - dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione".

Non soltanto i documenti del concilio Vaticano II, e specialmente la costituzione dogmatica sulla chiesa hanno spiegato in modo completo tale nozione di comunione, ma vi hanno dedicato la loro attenzione anche i padri del sinodo dei vescovi, riuniti in assemblea generale nel 1985 e nel 1987. In questa definizione della chiesa confluiscono sia il mistero della chiesa, sia le componenti del popolo messianico di Dio, sia la struttura gerarchica della chiesa stessa. Per dare una definizione sintetica di tali realtà, usando le stesse parole della menzionata costituzione, "la chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano". È questo il motivo per cui tale sacra comunione fiorisce in tutta la chiesa, "vivente e operante - come bene ha scritto il mio predecessore Paolo VI - nelle varie comunità cristiane o chiese particolari, sparse in tutto il mondo".

2. In base alla comunione, che in un certo senso tiene insieme tutta la chiesa, si spiega e realizza anche la struttura gerarchica della chiesa, dotata dal Signore di natura collegiale e insieme primaziale, quand’egli costituì gli apostoli "sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro". Qui si tratta della speciale partecipazione dei pastori della chiesa al triplice ufficio di Cristo, cioè del magistero, della santificazione e del governo: gli apostoli insieme con Pietro - i vescovi insieme col vescovo di Roma. Per adoperare nuovamente le parole del concilio Vaticano II, "i vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità con l’aiuto dei presbiteri e dei diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge, di cui sono i pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo. Come quindi permane l’ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, così permane l’ufficio degli apostoli di pascere la chiesa, da esercitarsi ininterrottamente dal sacro ordine dei vescovi". Così avviene che "questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l’unità del gregge di Cristo".

Il potere e l’autorità dei vescovi hanno il carattere di diaconia, secondo il modello di Cristo stesso, il quale "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). Occorre perciò intendere ed esercitare il potere nella chiesa secondo le categorie del servire, di modo che l’autorità abbia la pastoralità come carattere principale.

Ciò riguarda ogni vescovo nella sua chiesa locale; ma tanto più riguarda il vescovo di Roma nel servizio petrino in favore della chiesa universale: infatti la chiesa di Roma presiede "all’assemblea universale della carità", e quindi serve alla carità. Di qui l’antica denominazione di "servo dei servi di Dio", con cui viene chiamato per definizione il successore di Pietro.

Per tali motivi, il pontefice romano si è sempre dato cura anche dei problemi delle chiese particolari, a lui deferiti dai vescovi oppure conosciuti in qualche altro modo, affinché, dopo di averne presa una più completa conoscenza, potesse confermare nella fede i fratelli (cf. Lc 22,32) in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore di tutta la chiesa. Era infatti convinto che la reciproca comunione tra i vescovi del mondo intero ed il vescovo di Roma, nei vincoli di unità, di carità e di pace, fosse di grandissimo vantaggio per l’unità della fede e della disciplina da promuovere e mantenere in tutta la chiesa.

3. Alla luce di questi principi si intende come la diaconia propria di Pietro e dei suoi successori abbia necessariamente un riferimento alla diaconia degli altri apostoli e dei loro successori, la cui unica finalità è quella di edificare la chiesa.

Questa necessaria relazione del ministero petrino con l’ufficio e il ministero degli altri apostoli fin dall’antichità richiese, e deve richiedere, l’esistenza di un certo qual segno, non solo simbolico ma reale. I miei predecessori, vivamente colpiti dalla gravità delle loro fatiche apostoliche, ne ebbero la chiara e viva percezione; ad esempio, ne danno testimonianza le parole di Innocenzo III, indirizzate nel 1198 ai vescovi e ai prelati della Gallia nell’inviare loro un suo legato: "Benché la pienezza della potestà ecclesiale, a noi conferita dal Signore, ci abbia reso debitori di tutti i fedeli di Cristo non possiamo tuttavia aggravare più del dovuto lo stato e l’ordine della condizione umana... E poiché la legge della condizione umana non permette, né noi possiamo portare di nostra propria persona il peso di tutte le sollecitudini, siamo talvolta costretti a compiere per mezzo di nostri fratelli, membra del nostro corpo, quelle cose che adempiremmo ben più volentieri personalmente, se lo permettesse l’utilità della chiesa".

Di qui si vedono e si comprendono sia la natura di quell’istituto, del quale i successori di Pietro si sono serviti nell’esercizio della propria missione per il bene della chiesa universale, sia l’attività con cui esso ha dovuto realizzare i compiti affidatigli: voglio dire la curia romana, che è all’opera fin da tempi remoti per aiutare il ministero petrino.

Infatti, al fine di ottenere che la fruttuosa comunione, di cui ho parlato, avesse sempre maggiore stabilità e progredisse con risultati sempre più soddisfacenti, la curia romana è sorta per un solo fine: rendere sempre più efficace l’esercizio universale di pastore della chiesa, che lo stesso Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori, e che di volta in volta è cresciuto a dimensioni sempre più vaste. Effettivamente, il mio predecessore Sisto V così riconosceva nella costituzione apostolica Immensa aeterni Dei: "Il romano pontefice, che Cristo Signore ha costituito capo visibile del suo corpo, la chiesa, e ha voluto che portasse il peso della sollecitudine di tutte le chiese, chiama a sé e assume molti collaboratori in una così immensa responsabilità... affinché compartendo con loro (i cardinali), e con le altre autorità della curia romana la mole ingente delle preoccupazioni e delle incombenze, egli, che regge il timone di una potestà così grande, con l’aiuto della grazia divina, non debba soccombervi".

4. In realtà - per ricordare ormai qualche elemento storico - i romani pontefici, già fin dai tempi più antichi utilizzarono per il loro servizio, diretto al bene della chiesa universale, sia persone singole che istituzioni, scelte dalla chiesa di Roma, definita da s. Gregorio Magno la chiesa del beato apostolo Pietro.

In un primo tempo si avvalsero dell’opera di presbiteri o di diaconi, appartenenti a quella stessa chiesa, sia come legati, sia come membri di diverse missioni, sia come rappresentanti del papa nei concili ecumenici.

Qualora però si dovessero trattare affari di particolare importanza, i romani pontefici chiesero l’aiuto di sinodi o di concili romani, ai quali venivano chiamati vescovi che esercitavano il loro ufficio nella provincia ecclesiastica di Roma; in quei sinodi o concili non soltanto si discutevano questioni attinenti la dottrina o il magistero, ma si seguiva una procedura simile a quella dei tribunali, e vi si giudicavano le cause dei vescovi, deferite al romano pontefice.

Fin da quando, tuttavia, i cardinali cominciarono a prendere uno speciale rilievo nella chiesa di Roma, particolarmente nell’elezione del papa, a essi riservata a partire dal 1059, i romani pontefici si servirono sempre più di quella loro collaborazione; e così il compito del sinodo romano o del concilio perse gradualmente di importanza, fino a cessare del tutto.

Avvenne quindi che, specialmente dopo il sec. XIII, il sommo pontefice trattasse tutte le questioni della chiesa insieme con i cardinali, riuniti in concistoro. In tal modo, a strumenti non permanenti, quali i concili o i sinodi romani, ne succedette uno permanente, che doveva essere sempre a disposizione del papa.

Il mio predecessore Sisto V, con la già citata costituzione apostolica Immensa aeterni Dei, del 22 gennaio 1588 - che fu l’anno 1537 dall’incarnazione di N.S.G.C. - diede alla curia romana la sua formale configurazione, istituendo un insieme di 15 dicasteri: l’intento era quello di surrogare l’unico collegio cardinalizio con vari "collegi" composti da alcuni cardinali, la cui autorità era limitata a un determinato campo e a un preciso argomento; in tal modo i sommi pontefici potevano avvalersi moltissimo dell’aiuto di tali consigli collegiali. Di conseguenza il compito originario e l’importanza specifica del concistoro diminuirono grandemente.

Col volgere dei secoli, e col mutare delle concrete situazioni storiche, furono introdotte alcune modificazioni e innovazioni, soprattutto con l’istituzione, nel sec. XIX, di commissioni cardinalizie che dovevano offrire la loro collaborazione al papa oltre a quella prestata dai dicasteri della curia romana. Infine, per volontà di s. Pio X, mio predecessore, il 29 giugno 1908 fu promulgata la costituzione apostolica Sapienti consilio, nella quale, anche nella prospettiva di unificare le leggi ecclesiastiche nel Codice di diritto canonico, egli scriveva: "È sembrato sommamente opportuno cominciare dalla curia romana, affinché essa, ordinata in forma opportuna e comprensibile a tutti, possa prestare più facilmente la propria opera e dare più completo aiuto al romano pontefice e alla chiesa". Gli effetti di quella riforma furono principalmente questi: la Sacra romana Rota, soppressa nel 1870, fu ristabilita per le cause giudiziarie, di modo che le congregazioni, perdendo la loro competenza in tale campo, diventassero organi unicamente amministrativi. Fu inoltre stabilito il principio che le congregazioni godessero del proprio inalienabile diritto, cioè che ciascuna materia dovesse essere trattata da un dicastero competente, e non contemporaneamente da diversi.

Questa riforma di Pio X fu successivamente sancita e completata nel Codice di diritto canonico, promulgato da Benedetto XV nel 1917; e rimase praticamente immutata fino al 1967, non molto dopo la conclusione del concilio Vaticano II, nel quale la chiesa ha indagato più profondamente il suo proprio mistero e si è delineata più vividamente la propria missione.

5. Questa accresciuta conoscenza di sé stessa da parte della chiesa doveva spontaneamente comportare un aggiornamento nella curia romana, consentaneo alla nostra epoca. In effetti, i padri del concilio riconobbero che essa aveva finora fornito un prezioso aiuto al romano pontefice e ai pastori della chiesa, e al tempo stesso espressero il desiderio che fosse dato ai dicasteri di curia un nuovo ordinamento, più adatto alle necessità dei tempi, delle regioni e dei riti. Rispondendo ai voti del concilio, Paolo VI portò alacremente a termine il riordinamento della curia, con la pubblicazione della costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae, il 15 agosto 1967.

In realtà, mediante tale costituzione, il mio predecessore determinò con maggiore accuratezza la struttura, la competenza e la prassi dei dicasteri esistenti, e ne costituì dei nuovi, le cui mansioni fossero la promozione, nella chiesa, delle iniziative pastorali particolari, continuando gli altri dicasteri a svolgere i loro compiti di giurisdizione e di governo: risultò in tal modo che la composizione della curia rifletteva molto chiaramente la multiforme immagine della chiesa universale. Tra l’altro, chiamò a far parte della curia stessa i vescovi diocesani, e provvide al coordinamento interno dei dicasteri per mezzo di riunioni periodiche dei loro cardinali capi dicastero, allo scopo di esaminare i problemi comuni con consultazioni reciproche. Introdusse la "Seconda sezione" nel Tribunale della Segnatura apostolica per una più conveniente tutela dei diritti essenziali dei fedeli.

Paolo VI sapeva bene, tuttavia, che la riforma di istituzioni tanto antiche esigeva di essere studiata con maggior cura; e quindi ordinò che, trascorsi cinque anni dalla promulgazione della costituzione, il nuovo ordinamento di tutto l’insieme fosse esaminato più a fondo, e che contemporaneamente si verificasse sia se si accordava realmente con i postulati del concilio Vaticano II, sia se rispondeva alle esigenze del popolo cristiano e della società civile, oltre a dare alla curia una conformazione ancora migliore, se fosse stato necessario. A tale incombenza fu destinata una speciale commissione di prelati, sotto la presidenza di un cardinale, che svolse attivamente il proprio compito fino alla morte di quel pontefice.

6. Chiamato dall’inscrutabile disegno della Provvidenza all’ufficio di pastore della chiesa universale, fin dall’inizio del pontificato è stato mio impegno non soltanto chiedere l’avviso dei dicasteri su di una questione tanto importante, ma consultare anche l’intero collegio dei cardinali. Questi si dedicarono a tale studio durante due concistori generali, e presentarono i loro pareri circa la via e il metodo da seguire nell’ordinamento della curia romana. Era necessario interrogare per primi i cardinali in un tema di così grande rilievo: essi infatti sono uniti da un vincolo strettissimo e specialissimo col romano pontefice, che essi "assistono... sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della chiesa universale".

Un’ampia consultazione fu ancora compiuta, com’era giusto, presso i dicasteri della curia romana. Il risultato di questa generale consultazione fu quello "schema della legge particolare sulla curia romana", alla cui preparazione lavorò per due anni una commissione di prelati sotto la presidenza di un cardinale; lo schema fu ancora sottoposto all’esame dei singoli cardinali, dei patriarchi delle chiese orientali, delle conferenze episcopali per il tramite dei rispettivi presidenti, e dei dicasteri della curia, e discusso nella plenaria dei cardinali del 1985. Quanto alle conferenze episcopali, era necessario prendere una conoscenza veramente universale delle necessità delle chiese locali e delle attese e dei desideri che, in questo campo, si rivolgono alla curia romana; l’occasione diretta di una tale consultazione fu opportunamente offerta dal sinodo straordinario dei vescovi del 1985, già sopra ricordato.

Finalmente una commissione cardinalizia, appositamente istituita a questo fine, dopo avere tenuto conto delle osservazioni e dei suggerimenti emersi dalle precedenti consultazioni, e sentito anche il parere di alcuni privati, ha preparato una legge particolare per la curia romana, che rispondesse convenientemente al nuovo Codice di diritto canonico.

Ed è questa legge particolare che ora promulgo mediante la presente costituzione, al termine del IV centenario della già ricordata costituzione apostolica Immensa aeterni Dei, di Sisto V, nell’80 anniversario della Sapienti consilio di s. Pio X, e nel 20 dell’entrata in vigore della Regimini ecclesiae universae di Paolo VI, con la quale questa è strettamente collegata, poiché entrambe, nella loro identità di ispirazione e di intenti, sono in un certo senso un frutto del concilio Vaticano II.

7. Questi intenti e tale ispirazione, che ben si accordano col Vaticano II, stabiliscono ed esprimono l’attività della rinnovata curia romana, come il concilio afferma con queste parole: "Nell’esercizio del suo supremo, pieno e immediato potere sopra tutta la chiesa, il romano pontefice si avvale dei dicasteri della curia romana, che perciò compiono il loro incarico nel nome e nell’autorità di lui, a vantaggio delle chiese e al servizio dei sacri pastori".

Di conseguenza è evidente che il compito della curia romana, sebbene non faccia parte della costituzione essenziale, voluta da Dio, della chiesa, ha tuttavia un carattere veramente ecclesiale, poiché trae dal pastore della chiesa universale la propria esistenza e competenza. In effetti, essa in tanto vive e opera, in quanto è in relazione col ministero petrino e su di esso si fonda. Poiché tuttavia il ministero di Pietro, come "servo dei servi di Dio", viene esercitato nei confronti sia della chiesa universale sia del collegio dei vescovi della chiesa universale, anche la curia romana, che serve il successore di Pietro, appartiene al servizio della chiesa universale e dei vescovi.

Da tutto ciò risulta chiaramente che la caratteristica principale di tutti e di ciascun dicastero della curia romana è quella ministeriale, come affermano le parole già citate dal decreto Christus Dominus, e soprattutto quella espressione: "Il romano pontefice si avvale dei dicasteri della curia romana". Si indica così in un modo evidente l’indole strumentale della curia, descritta in un certo senso come uno strumento nelle mani del papa, talché essa non ha alcuna autorità né alcun potere all’infuori di quelli che riceve dal supremo pastore. E difatti lo stesso Paolo VI, ancora nel 1963, due anni prima della promulgazione del decreto Christus Dominus, definiva la curia romana "uno strumento di immediata adesione e di perfetta obbedienza", del quale il sommo pontefice si avvale per l’adempimento della propria missione universale: questa nozione è stata recepita in vari passi della costituzione Regimini ecclesiae universae.

Tale caratteristica ministeriale o strumentale sembra definire molto appropriatamente la natura e l’attività di un’istituzione così benemerita e veneranda, che unicamente consistono entrambe nell’offrire al papa un aiuto tanto più valido ed efficace, quanto più si sforza di essere più conforme e fedele alla di lui volontà.

8. Oltre a questa indole ministeriale, il concilio Vaticano II ha posto ulteriormente in luce il carattere diciamo così vicario della curia, per il fatto che essa, come già detto, non agisce per proprio diritto né per propria iniziativa: infatti esercita la potestà ricevuta dal papa a motivo di quel rapporto essenziale e originario che ha con lui; e la caratteristica propria di questa potestà è di collegare sempre il proprio impegno di lavoro con la volontà di colui, dal quale prende origine. La sua ragion d’essere è quella di esprimere e di manifestare la fedele interpretazione e consonanza, anzi la identità con quella volontà medesima, per il bene delle chiese e il servizio dei vescovi. La curia romana trova in questa caratteristica la sua forza e la sua efficacia, ma al tempo stesso anche i limiti delle sue prerogative e un codice di comportamento.

La pienezza di questa potestà risiede nel capo, cioè nella persona del vicario di Cristo, il quale l’attribuisce ai dicasteri di curia secondo la competenza e l’ambito di ciascuno. Ma poiché il ministero petrino del papa, come già detto, per sua natura fa riferimento al ministero del collegio dei suoi fratelli nell’episcopato, anche la diaconia della curia, della quale egli si avvale nell’esercizio del suo ministero personale, farà necessariamente riferimento al ministero personale dei vescovi, sia come membri del collegio episcopale, sia come pastori delle chiese particolari.

Per tale ragione, non solo è impensabile che la curia romana ostacoli oppure condizioni, a mo’ di diaframma, i rapporti e contatti personali tra i vescovi ed il romano pontefice, ma, invece, essa stessa è, e dev’essere sempre maggiormente, ministra di comunione e di partecipazione alle sollecitudini ecclesiali.

9. In ragione pertanto della sua diaconia, collegata col ministero petrino, si deve concludere che la curia romana da una parte è strettissimamente congiunta con i vescovi di tutto il mondo, e che, dall’altra, gli stessi pastori e le loro chiese sono i primi e principali beneficiari della sua opera. E di questo è prova anche la composizione della curia stessa.

Infatti la curia romana è composta, si può dire, da tutti i cardinali, che per definizione appartengono alla chiesa di Roma, coadiuvano il sommo pontefice nel governo della chiesa universale, e sono tutti convocati ai concistori sia ordinari che straordinari, quando è richiesta la trattazione di questioni particolarmente gravi; ne deriva che essi, per la maggior conoscenza che hanno delle necessità di tutto il popolo di Dio, continuano in tal modo a occuparsi del bene della chiesa universale.

Si aggiunga che i responsabili dei singoli dicasteri hanno per lo più il carattere e il carisma episcopale, appartenendo all’unico collegio dei vescovi, e sono pertanto spronati verso quella stessa sollecitudine per tutta la chiesa, che unisce strettamente tutti i vescovi, in comunione gerarchica col loro capo, il pontefice romano.

Inoltre, sono chiamati a far parte dei dicasteri, come membri, alcuni vescovi diocesani, "perché possano in modo più compiuto riferire al sommo pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le chiese": e così avviene che l’affetto collegiale, esistente tra i vescovi e il loro capo, viene concretamente attuato mediante la curia romana, ed esteso all’intero corpo mistico, "che è pure un corpo fatto di chiese".

Un tale affetto collegiale è pure alimentato tra i vari dicasteri. In effetti, tutti i cardinali capi dicastero, o i loro rappresentanti, si incontrano periodicamente quando vi sono da trattare questioni particolari, allo scopo di venir messi al corrente, con reciproca informazione, dei problemi più importanti, e di recare un mutuo apporto alla loro soluzione, assicurando in tal modo l’unità di azione e di riflessione nella curia romana.

Oltre ai vescovi, sono necessari all’attività dei dicasteri moltissimi altri collaboratori, i quali servono e si rendono utili al ministero petrino con il proprio lavoro, non di rado nascosto, non semplice e non facile.

Infatti sono chiamati in curia sacerdoti diocesani di ogni parte del mondo, strettamente quindi uniti ai vescovi in ragione del sacerdozio ministeriale, di cui partecipano; religiosi, in grandissima parte sacerdoti, e religiose, che in modi diversi conformano la propria vita ai consigli evangelici, per accrescere il bene della chiesa e dare una singolare testimonianza davanti al mondo; e poi laici, uomini e donne, che esercitano il proprio apostolato in virtù del battesimo e della confermazione. Questa fusione di energie fa sì che tutte le componenti della chiesa, strettamente unite al ministero del papa, gli offrano sempre più efficacemente il proprio aiuto nella prosecuzione dell’opera pastorale della curia romana. Ne risulta pure che questo servizio congiunto di tutte le rappresentanze della chiesa non trova nessun equivalente nella società civile, e che quindi il loro lavoro dev’essere prestato in spirito di servizio, seguendo e imitando la diaconia di Cristo stesso.

10. È pertanto chiaro che il servizio della curia romana, sia considerato in se stesso, sia per il suo rapporto con i vescovi della chiesa universale, sia per i fini a cui tende e il concorde senso di carità a cui deve ispirarsi, si distingue per una certa nota di collegialità, anche se la curia non si può paragonare ad alcun tipo di collegio; questa caratteristica la abilita al servizio del collegio dei vescovi e la provvede dei mezzi a ciò idonei. Ancor più: è anche l’espressione della sollecitudine dei vescovi verso la chiesa universale, in quanto essi condividono questa sollecitudine "con Pietro e subordinatamente a Pietro".

Tutto ciò acquista il massimo rilievo e un significato simbolico quando i vescovi, come già sopra ho detto, sono chiamati a collaborare rispettivamente nei vari dicasteri. Inoltre ogni singolo vescovo mantiene l’imprescrittibile diritto e dovere di avere accesso presso il successore di Pietro, soprattutto mediante le visite "alle soglie degli apostoli".

Queste visite, per i principi ecclesiologici e pastorali sopra esposti, acquistano un significato specifico e del tutto particolare. Infatti offrono in primo luogo al papa un’opportunità di primaria importanza, e costituiscono come il centro del suo supremo ministero: in quei momenti, infatti, il pastore della chiesa universale si incontra e dialoga con i pastori delle chiese locali, i quali vengono da lui per "vedere Pietro" (cf. Gal 1,18), per trattare con lui, personalmente e in forma privata, i problemi delle proprie diocesi, e partecipare insieme con lui alla preoccupazione per tutte le chiese (cf. 2Cor 11,28). Per tali motivi, nelle visite "ad limina" si favoriscono in modo straordinario la unità e la comunione all’interno della chiesa.

Esse poi offrono ai vescovi la possibilità di trattare e di approfondire con frequenza e facilità insieme con i competenti dicasteri di curia sia gli studi riguardanti la dottrina e l’attività pastorale, sia le iniziative di apostolato, sia le difficoltà che ostacolano la loro missione di comunicare agli uomini la salvezza eterna.

11. Poiché dunque l’attività della curia romana, unita al ministero petrino, e fondata su di esso, si dedica al bene della chiesa universale e, al tempo stesso, delle chiese particolari, essa è chiamata prima di ogni cosa a quel ministero di unità, che è in special modo affidato al romano pontefice, in quanto è stato costituito da Dio fondamento perpetuo e visibile della chiesa. Perciò l’unità nella chiesa è un tesoro prezioso, che dev’essere conservato, difeso, protetto, promosso e continuamente realizzato con la zelante collaborazione di tutti, e specialmente di coloro che a loro volta sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro chiese particolari.

La collaborazione che la curia romana presta al santo padre è dunque fondata su questo servizio all’unità: unità anzitutto di fede, che si sostiene e si costituisce sul sacro deposito, di cui il successore di Pietro è il primo custode e difensore, e per il quale ha ricevuto il supremo compito di confermare i fratelli; unità, poi, di disciplina, poiché si tratta della disciplina generale della chiesa, che consiste in un complesso di norme e di comportamenti morali, costituisce la struttura fondamentale della chiesa, e assicura i mezzi di salvezza e la loro retta distribuzione, unitamente all’ordinata strutturazione del popolo di Dio.

Il governo della chiesa universale difende da sempre questa unità dalla diversità dei vari modi di essere e di agire, che scaturiscono dalle differenze di persone e di culture, senza peraltro che essa ne patisca danno nell’immensa molteplicità di quei doni, che lo Spirito santo largamente distribuisce; e tale unità si arricchisce continuamente, purché non nascano tentativi isolazionistici e centrifughi di mutua separazione, facendo sì, invece, che tutti gli elementi confluiscano nella più profonda struttura dell’unica chiesa. Il mio predecessore Giovanni Paolo I aveva ricordato molto opportunamente questo principio, quando, parlando ai cardinali, ebbe a dire che gli organismi della curia romana "offrono al vicario di Cristo la possibilità concreta di svolgere il servizio apostolico di cui egli è debitore a tutta la chiesa, e assicurano in tal modo l’organico articolarsi delle legittime autonomie, pur nell’indispensabile rispetto di quella essenziale unità di disciplina, oltre che di fede, per la quale Cristo pregò nell’immediata vigilia della sua passione".

Da queste premesse scaturisce il principio che il ministero di unità rispetta le consuetudini legittime della chiesa universale, le usanze dei popoli e la potestà che per diritto divino spetta ai pastori delle chiese particolari. Ma è chiaro che il romano pontefice non può omettere di intervenire ogniqualvolta gravi motivi lo richiedano per la tutela dell’unità nella fede, nella carità o nella disciplina.

12. Siccome, dunque, il compito della curia romana è ecclesiale, esso postula la cooperazione dell’intera chiesa, alla quale è totalmente orientato. Effettivamente, nessuno, nella chiesa, è separato dagli altri, anzi ciascuno forma con tutti gli altri un unico e medesimo corpo.

E tale cooperazione si effettua per mezzo di quella comunione, di cui ho parlato fin dall’inizio, comunione di vita, di amore e di verità, per la cui formazione il popolo messianico è stato voluto da Cristo Signore, e viene da lui assunto come strumento di redenzione e inviato nel mondo intero come luce del mondo e sale della terra. Pertanto, come la curia romana ha il dovere di stare in comunione con tutte le chiese, così è necessario che i pastori delle chiese particolari, da essi rette "come vicari e delegati di Cristo", cerchino in ogni modo di stare in comunione con la curia romana, per sentirsi sempre più strettamente uniti al successore di Pietro mediante queste relazioni improntate a reciproca fiducia.

Questa mutua comunicazione tra il centro e, per così dire, la periferia della chiesa, non ingrandisce l’autorità di nessuno, ma promuove al massimo l’intercomunione di tutti a guisa di un corpo vivo che consta di tutte le membra e opera con la loro interazione. Questo fatto fu felicemente espresso da Paolo VI: "È infatti evidente che al movimento verso il centro e il cuore della chiesa deve corrispondere un altro moto, che dal centro si diffonda alla periferia e porti in certo modo a tutte e singole le chiese locali, a tutti e singoli i pastori e i fedeli la presenza e la testimonianza di quel tesoro di verità e di grazia, di cui Cristo ci ha reso partecipi, depositari e dispensatori".

Tutto questo ha lo scopo di offrire più efficacemente al popolo di Dio il ministero della salvezza: quel ministero, cioè, che prima di ogni cosa richiede il reciproco aiuto tra i pastori delle chiese particolari e il pastore della chiesa universale, cosicché tutti, congiungendo le loro forze, si adoperino per adempiere la legge della salvezza delle anime.

E nient’altro intesero i sommi pontefici se non provvedere in modo sempre più proficuo alla salvezza delle anime, quando istituirono la curia romana e la adattarono a nuove situazioni createsi nella chiesa e nel mondo, come dimostra la storia. Ben a ragione, quindi, Paolo VI delineava la curia come "un cenacolo permanente", totalmente consacrato alla chiesa. Io stesso ho sottolineato che la vocazione di quanti in essa collaborano ha come unica direttiva e norma il premuroso servizio della e alla chiesa. E nella presente e nuova legge sulla curia romana ho voluto che si stabilisse che tutte le questioni siano trattate dai dicasteri "sempre in forme e con criteri pastorali, con l’attenzione rivolta sia alla giustizia e al bene della chiesa, sia soprattutto alla salvezza delle anime".

13. Ormai sul punto di promulgare questa costituzione apostolica per la nuova fisionomia della curia romana, vorrei riassumere i principi e gli intenti ispiratori.

Ho voluto anzitutto che l’immagine della curia corrispondesse alle esigenze del nostro tempo, tenuto conto dei cambiamenti operati dopo la Regimini ecclesiae universae sia dal mio predecessore Paolo VI sia da parte mia.

Secondariamente, è stato mio dovere far sì che il rinnovamento delle leggi, introdotto dal nuovo Codice di diritto canonico, o che sta per essere effettuato mediante la revisione del Codice di diritto canonico orientale, avesse in un certo senso il suo compimento e la sua definitiva attuazione.

Inoltre, ho avuto l’intenzione che gli antichi dicasteri o organismi della curia romana fossero resi ancor più idonei al conseguimento delle finalità per le quali furono istituiti, vale a dire alla loro partecipazione ai compiti di governo, giurisdizionali ed esecutivi; a tal fine gli ambiti operativi di questi dicasteri sono stati distribuiti con maggiore logicità e più chiaramente precisati.

Tenendo poi davanti agli occhi l’esperienza di questi anni e le necessità presentate dalle sempre nuove esigenze della società ecclesiale, ho riconsiderato la figura giuridica e l’attività di quegli organismi, giustamente chiamati "post-conciliari", perché eventualmente se ne cambiasse la conformazione e l’ordine. E la mia intenzione è stata di rendere sempre più utile e fruttuoso il loro compito di promuovere nella chiesa particolari attività pastorali nonché lo studio di quei problemi che, a ritmo crescente, interpellano la sollecitudine dei pastori ed esigono decisioni tempestive e sicure.

Infine, si sono volute nuove e permanenti iniziative, per l’affiatamento della mutua collaborazione tra i dicasteri, con l’intenzione che esse contribuiscano a instaurare un modo di agire contraddistinto da un intrinseco carattere di unità.

In una parola, la mia preoccupazione è stata quella di andare risolutamente avanti affinché la conformazione e l’attività della curia corrispondano sempre di più alla ecclesiologia del concilio Vaticano II, siano sempre più chiaramente idonee al conseguimento dei fini pastorali della conformazione della curia, e vengano incontro in forma sempre più concreta alle necessità della società ecclesiale e civile.

Ho infatti la persuasione che l’attività della curia romana possa contribuire non poco a far sì che la chiesa, nell’approssimarsi del terzo millennio dopo Cristo, rimanga fedele al mistero della sua nascita, poiché lo Spirito santo la fa ringiovanire con la forza del Vangelo.

14. Avendo attentamente approfondito tutte queste riflessioni, con l’aiuto di esperti, e sostenuto dai saggi consigli e dall’affetto collegiale dei cardinali e dei vescovi, dopo aver premurosamente considerato la natura e la missione della curia romana, ho dato ordine di redigere la presente costituzione; nutro la speranza che questa istituzione veneranda, e necessaria al governo della chiesa universale, risponda a quel nuovo impulso pastorale, dal quale tutti i fedeli, i laici, i presbiteri e soprattutto i vescovi, si sentono mossi, specie dopo il Vaticano II, ad ascoltare sempre più a fondo ed a seguire ciò che lo Spirito dice alle chiese (cf. Ap 2,7).

Come infatti tutti i pastori della chiesa, e tra di essi in modo particolare il vescovo di Roma, si ritengono "servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Cor 4,1), sono e desiderano di essere soprattutto strumenti sensibili dell’opera dell’eterno Padre per continuare nel mondo l’opera della salvezza, così pure la curia romana, in tutti i cerchi specializzati della sua attività responsabile, desidera di essere imbevuta dello stesso Spirito e del suo stesso afflato: lo Spirito del Figlio dell’uomo, del Cristo unigenito del Padre, il quale "è venuto... a salvare ciò che era perduto" (Mt 18,11), e il cui unico, universale desiderio è incessantemente che gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10).

Pertanto, con l’aiuto della grazia divina e con la protezione della beatissima vergine Maria, madre della chiesa, stabilisco e decreto le seguenti norme relative alla curia romana.

 

I. NORME GENERALI

Nozione di curia romana

Art. 1. La curia romana è l’insieme dei dicasteri e degli organismi che coadiuvano il romano pontefice nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della chiesa universale e delle chiese particolari, esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della chiesa nel mondo.

 

Struttura dei dicasteri

Art. 2. 1. Col nome di dicasteri si intendono: la Segreteria di stato, le congregazioni, i tribunali, i consigli e gli uffici, cioè la Camera apostolica, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, la Prefettura degli affari economici della Santa Sede.

2. I dicasteri sono giuridicamente pari tra di loro.

3. Tra gli istituti della curia romana si collocano la Prefettura della casa pontificia e l’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice.

Art. 3. 1. I dicasteri, a meno che in ragione della loro particolare natura o di una legge speciale non abbiano una diversa struttura, sono composti dal cardinale prefetto o da un arcivescovo presidente, da un determinato numero di padri cardinali e di alcuni vescovi con l’aiuto del segretario. Li assistono i consultori e prestano la loro collaborazione gli officiali maggiori e un congruo numero di altri officiali.

2. Secondo la natura peculiare di alcuni dicasteri, nel numero dei cardinali e dei vescovi possono essere annoverati chierici e altri fedeli.

3. Peraltro, i membri propriamente detti di una congregazione sono cardinali e vescovi.

Art. 4. Il prefetto o il presidente regge il dicastero, lo dirige e lo rappresenta.

Il segretario, con la collaborazione del sottosegretario, aiuta il prefetto o il presidente nel dirigere le persone e nel trattare gli affari del dicastero.

Art. 5. 1. Il prefetto o il presidente, i membri, il segretario e gli altri officiali maggiori, nonché i consultori, vengono nominati per un quinquennio dal sommo pontefice.

2. Compiuto il settantacinquesimo anno di età, i cardinali preposti sono pregati di presentare le loro dimissioni al romano pontefice, il quale, ponderata ogni cosa, procederà. Gli altri capi di dicastero, così come i segretari, compiuto il settantacinquesimo anno di età, decadono dal loro incarico; i membri, raggiunta l’età di ottant’anni; tuttavia, quelli che appartengono a un dicastero in ragione di altro incarico, decadendo da questo incarico, cessano anche di essere membri.

Art. 6. Alla morte del sommo pontefice, tutti i capi dei dicasteri e i membri decadono dall’incarico. Fanno eccezione il camerlengo della chiesa romana e il penitenziere maggiore, i quali sbrigano gli affari ordinari, proponendo al collegio dei cardinali quelli, di cui avrebbero dovuto riferire al sommo pontefice.

I segretari si occupano del governo ordinario dei dicasteri, curando soltanto gli affari ordinari; essi hanno, però, bisogno della conferma del sommo pontefice entro tre mesi dalla sua elezione.

Art. 7. I membri sono presi tra i cardinali dimoranti sia nell’urbe che fuori di essa, ai quali si aggiungono, in quanto particolarmente esperti nelle cose di cui si tratta, alcuni vescovi, soprattutto diocesani, nonché, secondo la natura del dicastero, alcuni chierici e altri fedeli, ma fermo restando che gli affari, i quali richiedono l’esercizio della potestà di governo, devono essere riservati a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro.

Art. 8. Anche i consultori sono nominati tra i chierici o gli altri fedeli che si distinguono per scienza e prudenza, rispettando, per quanto è possibile, il criterio dell’universalità.

Art. 9. Gli officiali sono assunti tra i fedeli, chierici o laici, che si distinguono per virtù, prudenza, esperienza debita, scienza confermata da adeguati titoli di studio, e sono scelti, per quanto è possibile, dalle diverse regioni del mondo, così che la curia rispecchi il carattere universale della chiesa. L’idoneità dei candidati venga dimostrata, all’occorrenza, con esami o in altri modi appropriati.

Le chiese particolari, i superiori di istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica non manchino di offrire la collaborazione alla sede apostolica, permettendo, se sarà necessario, che loro fedeli o membri siano assunti presso la curia romana.

Art. 10. Ciascun dicastero ha il suo archivio corrente, nel quale con ordine, sicurezza e secondo i criteri moderni dovranno essere custoditi i documenti ricevuti e le copie di quelli spediti, dopo essere stati protocollati.

 

Modo di procedere

Art. 11. 1. Gli affari di maggiore importanza, a seconda della natura di ciascun dicastero, sono riservati alla plenaria.

2. Per le questioni aventi carattere di principio generale o per altre che il prefetto o il presidente abbia ritenuto necessario che siano trattate in questo modo, tutti i membri devono essere convocati tempestivamente per le sessioni plenarie, da celebrare, per quanto è possibile, una volta all’anno. Per le sessioni ordinarie, però, è sufficiente la convocazione dei membri che si trovano nell’urbe.

3. A tutte le sessioni partecipa il segretario con diritto di voto.

Art. 12. Spetta ai consultori e a coloro che a essi sono equiparati, di studiare con diligenza la questione proposta e di dare, ordinariamente per iscritto, il loro parere intorno ad essa.

All’occorrenza e secondo la natura di ciascun dicastero, possono essere convocati i consultori, perché esaminino collegialmente le questioni proposte e, se è il caso, diano il loro comune parere.

Nei casi singoli possono essere chiamati, per essere consultati, anche altri che, pur non essendo annoverati tra i consultori, si distinguono tuttavia per essere particolarmente esperti nella questione che si deve trattare.

Art. 13. I dicasteri, ciascuno secondo la rispettiva competenza, trattano gli affari che, per la loro particolare importanza, sono riservati per loro natura o di diritto alla sede apostolica, oltre a quelli che superano l’ambito di competenza dei singoli vescovi o dei loro organismi (conferenze o sinodi episcopali), come pure quelli che vengono loro affidati dal sommo pontefice; studiano i problemi più gravi del nostro tempo, affinché sia più efficacemente promossa e adeguatamente coordinata l’azione pastorale della chiesa, conservando i dovuti rapporti con le chiese particolari; promuovono le iniziative per il bene della chiesa universale; giudicano, infine, le questioni che i fedeli, usando del loro diritto, deferiscono alla sede apostolica.

Art. 14. La competenza dei dicasteri si determina in ragione della materia, se non è stato esplicitamente stabilito altrimenti.

Art. 15. Le questioni vanno trattate in base al diritto, sia universale che peculiare della curia romana, e secondo le norme di ciascun dicastero, ma sempre in forme e con criteri pastorali, con l’attenzione rivolta sia alla giustizia e al bene della chiesa, sia soprattutto alla salvezza delle anime.

Art. 16. Si può ricorrere alla curia romana, oltre che nella lingua ufficiale latina, anche in tutte le lingue oggi più largamente conosciute.

Per comodità di tutti i dicasteri, è costituito un centro per i documenti da tradurre in altre lingue.

Art. 17. I documenti generali, che sono preparati da un solo dicastero, siano comunicati agli altri dicasteri interessati, affinché il testo possa essere perfezionato con gli emendamenti eventualmente suggeriti e, confrontati i punti di vista, si proceda più concordemente anche all’esecuzione dei medesimi.

Art. 18. Devono essere sottoposte all’approvazione del sommo pontefice le decisioni di maggiore importanza, a eccezione di quelle per le quali sono state attribuite ai capi dei dicasteri speciali facoltà e a eccezione delle sentenze del Tribunale della Rota romana e del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, pronunciate entro i limiti della loro competenza.

I dicasteri non possono emanare leggi o decreti generali aventi forza di legge, né derogare alle prescrizioni del diritto universale vigente, se non in singoli casi e con specifica approvazione del sommo pontefice.

Sia norma inderogabile di non far nulla di importante e straordinario, che non sia stato prima comunicato dai capi dei dicasteri al sommo pontefice.

Art. 19. 1. I ricorsi gerarchici sono ricevuti dal dicastero competente per materia, fermo restando quanto prescritto dall’articolo 21 § 1.

2. Le questioni, da trattarsi in via giudiziaria, sono invece rimesse ai tribunali competenti, fermo restando quanto prescritto dagli articoli 52 e 53.

Art. 20. Qualora insorgano conflitti di competenza tra i dicasteri, essi saranno sottoposti al Supremo tribunale della Segnatura apostolica, a meno che il sommo pontefice non voglia provvedere altrimenti.

Art. 21. 1. Gli affari, che sono di competenza di più dicasteri, saranno esaminati congiuntamente dai dicasteri interessati.

La riunione per confrontare i vari punti di vista sarà convocata dal capo del dicastero che ha incominciato a trattare la questione, sia d’ufficio sia ad istanza di un altro dicastero interessato. Tuttavia, se lo richiede l’argomento in questione, la cosa sia deferita alla sessione plenaria dei dicasteri interessati.

Presiede la riunione il capo del dicastero, che l’ha convocata, o il suo segretario, se vi intervengono i soli segretari.

2. Se necessario, saranno costituite opportunamente commissioni interdicasteriali permanenti, per trattare quegli affari che richiedano una reciproca e frequente consultazione.

 

Riunioni di cardinali

Art. 22. Per mandato del sommo pontefice, i cardinali che presiedono i dicasteri si riuniscono più volte all’anno per esaminare le questioni di maggiore importanza, per coordinare i lavori e perché possano scambiarsi notizie e prendere decisioni.

Art. 23. Gli affari più importanti di carattere generale, se piacerà al sommo pontefice, possono essere utilmente trattati dai cardinali riuniti in concistoro plenario secondo la legge propria.

 

Consiglio di cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede

Art. 24. Il consiglio consta di quindici cardinali, nominati per cinque anni dal romano pontefice e scelti fra i vescovi delle chiese particolari delle diverse parti del mondo.

Art. 25. 1. Il consiglio è convocato dal cardinale segretario di stato ordinariamente due volte all’anno per esaminare i problemi organizzativi ed economici della Santa Sede e degli organismi collegati. Esso può avvalersi della consulenza di esperti.

2. Il consiglio viene informato anche circa l’attività dell’istituto eretto con sede nello Stato della Città del Vaticano, allo scopo di provvedere alla custodia e all’amministrazione di capitali destinati ad opere di religione e di carità. Quest’istituto si regge secondo proprie norme.

 

Rapporti con le chiese particolari

Art. 26. 1. Si favoriscano frequenti rapporti con le chiese particolari e con gli organismi di vescovi (conferenze o sinodi episcopali), chiedendo il loro parere quando si tratta di preparare documenti di rilevante importanza, aventi carattere generale.

2. Per quanto è possibile, i documenti generali o quelli riguardanti specificamente le chiese particolari, prima che siano resi pubblici, siano notificati ai vescovi diocesani interessati.

3. Le questioni presentate ai dicasteri siano esaminate con diligenza e, ove occorra, si dia a esse sollecitamente risposta o almeno un cenno di riscontro.

Art. 27. I dicasteri non tralascino di consultare i rappresentanti pontifici circa gli affari riguardanti le chiese particolari in cui essi esercitano la loro funzione, né trascurino di notificare agli stessi rappresentanti le decisioni prese.

 

Visite "ad limina"

Art. 28. Secondo la veneranda tradizione e la prescrizione della legge, i vescovi, che sono a capo di chiese particolari, compiono nei tempi stabiliti la visita "ad limina apostolorum", e in tale occasione presentano al romano pontefice la relazione circa lo stato della loro diocesi.

Art. 29. Tali visite hanno un’importanza peculiare nella vita della chiesa, in quanto costituiscono come il culmine delle relazioni dei pastori di ciascuna chiesa particolare col romano pontefice. Egli, infatti, ricevendo in udienza i suoi fratelli nell’episcopato, tratta con loro delle cose concernenti il bene delle chiese e la funzione pastorale dei vescovi, li conferma e sostiene nella fede e nella carità. In tal modo si rafforzano i vincoli della comunione gerarchica, e si evidenziano sia la cattolicità della chiesa che l’unione del collegio dei vescovi.

Art. 30. Le visite "ad limina" riguardano anche i dicasteri della curia romana. Infatti, grazie a esse si sviluppa e si approfondisce il proficuo dialogo tra i vescovi e la sede apostolica, si scambiano reciproche informazioni, si offrono consigli e opportuni suggerimenti per il maggior bene e il progresso delle chiese, oltre che per l’osservanza della comune disciplina della chiesa.

Art. 31. Tali visite siano preparate con premurosa diligenza e in modo conveniente, cosicché i tre principali momenti, di cui constano, ossia il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli apostoli, l’incontro col sommo pontefice e i colloqui presso i dicasteri della curia romana, si effettuino felicemente e abbiano esito positivo.

Art. 32. A tale fine, la relazione sullo stato della diocesi sarà inviata alla Santa Sede sei mesi prima del tempo fissato per la visita. Essa sarà esaminata con somma diligenza dai dicasteri competenti e le loro osservazioni saranno notificate a una speciale commissione costituita a questo fine, affinché di tutto si faccia un breve riassunto da tener presente nei colloqui.

 

Carattere pastorale dell’attività nella curia romana

Art. 33. L’attività di tutti coloro che lavorano nella curia romana e negli altri organismi della Santa Sede è un vero servizio ecclesiale, contrassegnato da carattere pastorale, in quanto è partecipazione alla missione universale del romano pontefice, e tutti devono compierlo con la massima responsabilità e con la disposizione a servire.

Art. 34. I singoli dicasteri perseguono i loro scopi specifici, pur convergendo tra loro; perciò quanti lavorano nella curia romana devono far sì che la loro operosità confluisca alla stessa meta e sia ben regolata. Tutti, pertanto, saranno sempre pronti a prestare la propria opera, ovunque sia necessario.

Art. 35. Anche se qualsiasi opera prestata negli organismi della Santa Sede è una collaborazione con la missione apostolica, i sacerdoti attendano attivamente per quanto possono alla cura d’anime, ma senza che ne derivi pregiudizio al loro lavoro di ufficio.

 

L’Ufficio centrale del lavoro

Art. 36. Della prestazione del lavoro nella curia romana e delle questioni ad essa connesse si occupa, secondo la propria competenza, l’Ufficio centrale del lavoro.

 

Regolamenti da osservare

Art. 37. A questa costituzione apostolica fa seguito il Regolamento generale della curia romana, ossia le norme comuni, con le quali sono prestabiliti l’ordine e il modo di trattare gli affari nella stessa curia, ferme restando le norme generali di questa costituzione.

Art. 38. Ogni dicastero avrà il suo proprio regolamento, ossia le norme speciali, con le quali saranno prestabiliti l’ordine e i modi di trattare gli affari.

Il regolamento di ciascun dicastero sarà reso pubblico nelle forme consuete della sede apostolica.

 

II. SEGRETERIA DI STATO

Art. 39. La Segreteria di stato coadiuva da vicino il sommo pontefice nell’esercizio della sua suprema missione.

Art. 40. Presiede ad essa il cardinale segretario di stato. Essa comprende due sezioni, e cioè la Sezione degli affari generali sotto la guida diretta del sostituto, con l’aiuto dell’assessore, e la Sezione dei rapporti con gli stati sotto la direzione del proprio segretario, con l’aiuto del sottosegretario. Questa seconda sezione è assistita da un determinato numero di cardinali e di alcuni vescovi.

 

Prima sezione

Art. 41. 1. Alla prima sezione spetta in particolar modo di attendere al disbrigo degli affari riguardanti il servizio quotidiano del sommo pontefice; di esaminare quegli affari che occorra trattare al di fuori della competenza ordinaria dei dicasteri della curia romana e degli altri organismi della sede apostolica; di favorire i rapporti con i medesimi dicasteri, senza pregiudizio della loro autonomia, e di coordinarne i lavori; di regolare la funzione dei rappresentanti della Santa Sede e la loro attività, specialmente per quanto concerne le chiese particolari. Spetta a essa di espletare tutto ciò che riguarda i rappresentanti degli stati presso la Santa Sede.

2. D’intesa con gli altri dicasteri competenti, essa si occupa di quanto riguarda la presenza e l’attività della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 46. Altrettanto fa nei confronti delle organizzazioni internazionali cattoliche.

Art. 42. A essa inoltre spetta di:

1. redigere e spedire le costituzioni apostoliche, le lettere decretali, le lettere apostoliche, le epistole e gli altri documenti che il sommo pontefice le affida;

2. espletare tutti gli atti riguardanti le nomine che nella curia romana e negli altri organismi dipendenti dalla Santa Sede devono essere compiute o approvate dal sommo pontefice;

3. custodire il sigillo di piombo e l’anello del Pescatore.

Art. 43. A questa sezione spetta parimenti di:

1. curare la pubblicazione degli atti e dei pubblici documenti della Santa Sede nel bollettino intitolato Acta Apostolicae Sedis;

2. pubblicare e divulgare, mediante lo speciale ufficio che da essa dipende ed è chiamato Sala stampa, le comunicazioni ufficiali riguardanti sia gli atti del sommo pontefice sia l’attività della Santa Sede;

3. esercitare, d’intesa con la seconda sezione, la vigilanza sul giornale denominato L’Osservatore romano, sulla Radio vaticana e sul Centro televisivo vaticano.

Art. 44. Mediante l’Ufficio di statistica, essa raccoglie, coordina e pubblica tutti i dati, elaborati secondo le norme statistiche, che riguardano la vita della chiesa universale nel mondo intero.

 

Seconda sezione

Art. 45. Compito proprio della seconda sezione, cioè dei rapporti con gli stati, è di attendere agli affari che devono essere trattati con i governi civili.

Art. 46. Ad essa compete di:

1. favorire le relazioni soprattutto diplomatiche con gli stati e con gli altri soggetti di diritto internazionale e trattare i comuni affari per la promozione del bene della chiesa e della società civile, anche mediante, se è il caso, i concordati e altre simili convenzioni, e tenendo conto del parere degli organismi episcopali interessati;

2. rappresentare la Santa Sede presso gli organismi internazionali e i congressi su questioni di indole pubblica, dopo aver consultato i competenti dicasteri della curia romana;

3. trattare, nell’ambito specifico delle sue attività, ciò che riguarda i rappresentanti pontifici.

Art. 47. 1. In particolari circostanze, per incarico del sommo pontefice, questa sezione, consultati i competenti dicasteri della curia romana, svolge tutto ciò che riguarda la provvista delle chiese particolari, nonché la costituzione e il mutamento di esse e dei loro organismi.

2. Negli altri casi, specialmente dove vige un regime concordatario, spetta a essa di attendere a quegli affari che devono essere trattati con governi civili, fermo restando quanto prescritto nell’art. 78.

 

III. CONGREGAZIONI

Congregazioni della dottrina della fede

Art. 48. Compito proprio della Congregazione della dottrina della fede è di promuovere e di tutelare la dottrina sulla fede e i costumi in tutto l’orbe cattolico: è pertanto di sua competenza tutto ciò che in qualunque modo tocca tale materia.

Art. 49. Nell’adempiere il suo compito di promuovere la dottrina, essa favorisce gli studi volti a far crescere l’intelligenza della fede e perché, ai nuovi problemi scaturiti dal progresso delle scienze o della civiltà, si possa dare risposta alla luce della fede.

Art. 50. Essa è di aiuto ai vescovi, sia singoli che riuniti nei loro organismi, nell’esercizio del compito per cui sono costituiti come autentici maestri e dottori della fede e per cui sono tenuti a custodire e a promuovere l’integrità della medesima fede.

Art. 51. Al fine di tutelare la verità della fede e l’integrità dei costumi, si impegna fattivamente perché la fede e i costumi non subiscano danno a causa di errori comunque divulgati.

Pertanto:

1. ha il dovere di esigere che i libri e altri scritti, pubblicati dai fedeli e riguardanti la fede e i costumi, siano sottoposti al previo esame dell’autorità competente;

2. esamina gli scritti e le opinioni che appaiono contrari alla retta fede e pericolosi, e, qualora risultino opposti alla dottrina della chiesa, data al loro fautore la possibilità di spiegare compiutamente il suo pensiero, li riprova tempestivamente, dopo aver preavvertito l’ordinario interessato, e usando, se sarà opportuno, i rimedi adeguati;

3. si adopera, infine, affinché non manchi un’adeguata confutazione degli errori e dottrine pericolose, che vengano diffusi nel popolo cristiano.

Art. 52. Giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio.

Art. 53. Spetta a essa parimenti di giudicare, in linea sia di diritto che di fatto, quanto concerne il "privilegium fidei".

Art. 54. Al suo previo giudizio sono sottoposti i documenti che debbano essere pubblicati da altri dicasteri della curia romana, in quanto essi riguardino la dottrina circa la fede e i costumi.

Art. 55. Presso la Congregazione della dottrina della fede sono costituite la Pontificia commissione biblica e la Commissione teologica internazionale, le quali operano secondo le approvate loro norme e sono presiedute entrambe dal cardinale prefetto della medesima congregazione.

 

Congregazione per le chiese orientali

Art. 56. La congregazione tratta le materie concernenti le chiese orientali, sia circa le persone sia circa le cose.

Art. 57. 1. Ne sono membri di diritto i patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle chiese orientali, nonché il presidente del Consiglio per l’unità dei cristiani.

2. I consultori e gli officiali siano scelti in modo da tener conto, in quanto è possibile, della diversità dei riti.

Art. 58. 1. La competenza di questa congregazione si estende a tutti gli affari, che sono propri delle chiese orientali e che debbono essere deferiti alla sede apostolica, sia circa la struttura e l’ordinamento delle chiese, sia circa l’esercizio delle funzioni di insegnare, di santificare e di governare, sia circa le persone, il loro stato, i loro diritti e doveri. Essa svolge anche tutto ciò che è prescritto dagli articoli 31 e 32 circa le relazioni quinquennali e le visite "ad limina".

2. Rimane intatta, tuttavia, la specifica ed esclusiva competenza delle Congregazioni della dottrina delle fede e delle cause dei santi, della Penitenzieria apostolica, del Supremo tribunale della Segnatura apostolica e del Tribunale della Rota romana, nonché della Congregazione del culto divino e della disciplina dei sacramenti per quanto attiene alla dispensa per il matrimonio rato e non consumato.

Negli affari, che riguardano anche i fedeli dipendenti dalla chiesa latina, la congregazione deve procedere dopo aver consultato, se lo richiede l’importanza della cosa, il dicastero competente sulla stessa materia per i fedeli della chiesa latina.

Art. 59. La congregazione segue parimenti con premurosa diligenza le comunità di fedeli orientali che si trovano nelle circoscrizioni territoriali della chiesa latina, e provvede alle loro necessità spirituali per mezzo di visitatori, anzi, laddove il numero dei fedeli e le circostanze lo richiedano, possibilmente anche mediante una propria gerarchia, dopo aver consultato la congregazione competente per la costituzione di chiese particolari nel medesimo territorio.

Art. 60. L’azione apostolica e missionaria nelle regioni, in cui da antica data sono prevalenti i riti orientali, dipende esclusivamente da questa congregazione, anche se viene svolta da missionari della chiesa latina.

Art. 61. La congregazione deve procedere in mutua intesa col Consiglio per l’unione dei cristiani nelle questioni che possono riguardare i rapporti con le chiese orientali non cattoliche, e anche col Consiglio per il dialogo interreligioso nella materia che rientra nell’ambito di esso.

 

Congregazione del culto divino e della disciplina dei sacramenti

Art. 62. La congregazione si occupa di tutto ciò che, salva la competenza della Congregazione della dottrina della fede, spetta alla sede apostolica circa la regolamentazione e la promozione della sacra liturgia, in primo luogo dei sacramenti.

Art. 63. Essa favorisce e tutela la disciplina dei sacramenti, specialmente per quanto attiene alla loro valida e lecita celebrazione; concede, inoltre, gli indulti e dispense che in tale materia oltrepassano le facoltà dei vescovi diocesani.

Art. 64. 1. La congregazione promuove con mezzi efficaci e adeguati l’azione pastorale liturgica, in particolar modo in ciò che attiene alla celebrazione dell’eucaristia; assiste i vescovi diocesani, perché i fedeli partecipino sempre più attivamente alla sacra liturgia.

2. Provvede alla compilazione o alla correzione dei testi liturgici; rivede e approva i calendari particolari e i propri delle messe e degli uffici delle chiese particolari, nonché, quelli degli istituti che godono di tale diritto.

3. Rivede le traduzioni dei libri liturgici e i loro adattamenti, preparati legittimamente dalle conferenze episcopali.

Art. 65. Favorisce le commissioni o gli istituti creati per promuovere l’apostolato liturgico o la musica o il canto o l’arte sacra, e mantiene relazioni con gli stessi; erige le associazioni di questo tipo aventi carattere internazionale, o ne approva e riconosce gli statuti; promuove infine convegni pluriregionali per sostenere la vita liturgica.

Art. 66. Esercita attenta vigilanza perché siano osservate esattamente le disposizioni liturgiche, se ne prevengano gli abusi e, laddove essi siano scoperti, siano eliminati.

Art. 67. Spetta a questa congregazione di giudicare circa il fatto della non consumazione del matrimonio e circa l’esistenza di una giusta causa per concedere la dispensa. Perciò, essa riceve tutti gli atti insieme col voto del vescovo e con le osservazioni del difensore del vincolo, pondera attentamente, secondo la speciale procedura, la supplica volta a ottenere la dispensa, e, verificandosene i requisiti, la sottopone al sommo pontefice.

Art. 68. Essa è anche competente a trattare, a norma del diritto, le cause di invalidità della sacra ordinazione.

Art. 69. È competente circa il culto delle sacre reliquie, la conferma dei patroni celesti e la concessione del titolo di basilica minore.

Art. 70. La congregazione aiuta i vescovi perché, oltre al culto liturgico, siano incrementate e tenute in onore le preghiere e le pratiche di pietà del popolo cristiano, che pienamente rispondano alle norme della chiesa.

 

Congregazione delle cause dei santi

Art. 71. La congregazione tratta tutto ciò che, secondo la procedura prescritta, porta alla canonizzazione dei servi di Dio.

Art. 72. 1. Essa assiste con speciali norme e con opportuni suggerimenti i vescovi diocesani, a cui compete l’istruzione della causa.

2. Esamina le cause già istruite, controllando se tutto sia stato compiuto secondo la norma della legge. Indaga a fondo sulle cause così esaminate, al fine di decidere se risulti tutto quanto è richiesto perché siano sottoposti i voti favorevoli al sommo pontefice, secondo i gradi prestabiliti delle cause.

Art. 73. Spetta, inoltre, alla congregazione di giudicare circa il titolo di dottore da attribuire ai santi, dopo aver ottenuto il voto della Congregazione della dottrina della fede per quanto riguarda l’eminente dottrina.

Art. 74. Tocca, ancora, ad essa di decidere intorno a tutto ciò che riguarda la dichiarazione di autenticità delle sacre reliquie e la loro conservazione.

 

Congregazione per i vescovi

Art. 75. La congregazione si occupa delle materie che riguardano la costituzione e la provvista delle chiese particolari, nonché l’esercizio dell’ufficio episcopale nella chiesa latina, salva la competenza della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Art. 76. È compito di questa congregazione svolgere tutto quanto si riferisce alla costituzione delle chiese particolari e dei loro consigli, alla loro divisione, unificazione, soppressione e altri cambiamenti. È anche suo compito l’erezione degli ordinariati castrensi per la cura pastorale dei militari.

Art. 77. Provvede a tutto ciò che attiene alla nomina dei vescovi, anche titolari, e, in generale, alla provvista delle chiese particolari.

Art. 78. Tutte le volte che si debba trattare con i governi per quanto attiene sia alla costituzione o al cambiamento delle chiese particolari e dei loro consigli, sia alla loro provvista, essa non procederà se non dopo aver consultato la sezione della Segreteria di stato per le relazioni con gli stati.

Art. 79. La congregazione attende, inoltre, a ciò che riguarda il retto esercizio dell’ufficio pastorale dei vescovi, offrendo a essi ogni collaborazione; tocca a essa, infatti, se sarà necessario di comune accordo con i dicasteri interessati, indire le visite apostoliche generali e, procedendo nello stesso modo, valutarne i risultati e proporre al sommo pontefice ciò che dovrà essere opportunamente deciso.

Art. 80. È di pertinenza di questa congregazione tutto ciò che spetta alla Santa Sede circa le prelature personali.

Art. 81. In favore delle chiese particolari, affidate alla sua cura, la congregazione predispone tutto ciò che si riferisce alle visite "ad limina"; perciò essa esamina le relazioni quinquennali a norma dell’articolo 32. Assiste i vescovi che vengono a Roma, allo scopo soprattutto di disporre convenientemente sia l’incontro col sommo pontefice, sia altri colloqui e pellegrinaggi. Compiuta la visita, trasmette per iscritto ai vescovi diocesani le conclusioni riguardanti le loro diocesi.

Art. 82. La congregazione compie ciò che attiene alla celebrazione di concili particolari, nonché alla costituzione delle conferenze episcopali e alla revisione dei loro statuti, riceve gli atti e i decreti di tali organismi e, consultati i dicasteri interessati, dà ai decreti la necessaria ricognizione.

 

Pontificia commissione per l’America Latina

Art. 83. 1. Compito della commissione è di assistere col consiglio e con i mezzi economici le chiese particolari dell’America Latina, e di attendere, altresì, allo studio delle questioni che riguardano la vita e lo sviluppo delle medesime chiese, specialmente per essere di aiuto tanto ai dicasteri di curia, interessati in ragione della loro competenza, quanto alle chiese stesse nella soluzione di tali questioni.

2. A essa spetta anche di favorire i rapporti tra le istituzioni ecclesiastiche internazionali e nazionali, che operano per le regioni dell’America Latina, e i dicasteri della curia romana.

Art. 84. 1. Presidente della commissione è il prefetto della Congregazione per i vescovi, il quale è coadiuvato da un vescovo come vice-presidente. A questi si affiancano come consiglieri alcuni vescovi scelti sia tra la curia romana, sia tra le chiese dell’America Latina.

2. I membri della commissione sono scelti sia tra i dicasteri della curia romana, sia tra il Consiglio episcopale latino-americano, sia tra i vescovi delle regioni dell’America Latina, sia tra le istituzioni, di cui all’articolo precedente.

3. La commissione ha suoi propri officiali.

 

Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli

Art. 85. Spetta alla congregazione di dirigere e coordinare in tutto il mondo l’opera stessa dell’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, salva la competenza della Congregazione per le chiese orientali.

Art. 86. La congregazione promuove le ricerche di teologia, di spiritualità e di pastorale missionaria, e parimenti propone le norme e le linee di azione, adattate alle esigenze dei tempi e dei luoghi, in cui si svolge l’evangelizzazione.

Art. 87. La congregazione si adopera affinché il popolo di Dio, permeato di spirito missionario e consapevole della sua responsabilità, collabori efficacemente all’opera missionaria con la preghiera, con la testimonianza della vita, con l’attività e con i sussidi economici.

Art. 88. 1. Essa procura di suscitare le vocazioni missionarie sia clericali sia religiose sia laicali, e provvede all’adeguata distribuzione dei missionari.

2. Nei territori che le sono soggetti essa cura parimenti la formazione del clero secolare e dei catechisti, salva la competenza della Congregazione dei seminari e degli istituti di studi per quanto concerne il piano generale degli studi, nonché le università e gli altri istituti di studi superiori.

Art. 89. Alla medesima sono soggetti i territori di missione, la cui evangelizzazione essa affida a idonei istituti e società, nonché a chiese particolari, e per tali territori tratta tutto quanto si riferisce sia all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche, o alle loro modifiche, sia alla provvista delle chiese, e assolve gli altri compiti che la Congregazione per i vescovi esercita nell’ambito della sua competenza.

Art. 90. 1. Per quanto riguarda i membri degli istituti di vita consacrata, eretti nei territori di missione o ivi operanti, la congregazione gode di competenza su tutto ciò che a essi si riferisce come missionari, presi sia singolarmente che comunitariamente, fermo restando quanto prescritto dall’art. 21 § 1.

2. Sono soggette a questa congregazione le società di vita apostolica erette in favore delle missioni.

Art. 91. Per incrementare la cooperazione missionaria, anche mediante un’efficace raccolta e un’equa distribuzione dei sussidi economici, la congregazione si serve specialmente delle Pontificie opere missionarie, cioè della Propagazione della fede, di San Pietro apostolo, della Santa infanzia, e della Pontificia unione missionaria del clero.

Art. 92. La congregazione amministra il suo patrimonio e gli altri beni destinati alle missioni mediante un suo speciale ufficio, fermo restando l’obbligo di renderne debito conto alla Prefettura degli affari economici della Santa Sede.

 

Congregazione per il clero

Art. 93. Salvo il diritto dei vescovi e delle loro conferenze, la congregazione si occupa di quelle materie che riguardano i presbiteri e i diaconi del clero secolare in ordine sia alle loro persone, sia al loro ministero pastorale, sia a ciò che è loro necessario per l’esercizio di tale ministero, e in tutte queste questioni offre ai vescovi l’aiuto opportuno.

Art. 94. In base al suo compito, essa cura la promozione della formazione religiosa dei fedeli di ogni età e condizione; emana le norme opportune perché l’insegnamento della catechesi sia impartito in modo conveniente; vigila perché la formazione catechetica sia condotta correttamente; concede la prescritta approvazione della Santa Sede per i catechismi e gli altri scritti relativi all’istruzione catechetica, col consenso della Congregazione della dottrina delle fede; assiste gli uffici catechistici e segue le iniziative riguardanti la formazione religiosa e aventi carattere internazionale, ne coordina l’attività e offre loro l’aiuto, se occorra.

Art. 95. 1. Essa è competente per tutto ciò che riguarda la vita, la disciplina, i diritti e gli obblighi dei chierici.

2. Provvede a una più adeguata distribuzione dei presbiteri.

3. Promuove la formazione permanente dei chierici, specialmente per ciò che riguarda la loro santificazione e il fruttuoso esercizio del loro ministero pastorale, in modo speciale circa la decorosa predicazione della parola di Dio.

Art. 96. Spetta a questa congregazione trattare tutto ciò che riguarda lo stato clericale in quanto tale con riferimento a tutti i chierici, non eccettuati i religiosi, d’intesa con i dicasteri interessati, quando la circostanza lo richieda.

Art. 97. La congregazione tratta le questioni di competenza della Santa Sede:

1. sia circa i consigli presbiterali, il collegio dei consultori, i capitoli dei canonici, i consigli pastorali, le parrocchie, le chiese, i santuari, sia circa le associazioni dei chierici, sia gli archivi ecclesiastici;

2. circa gli oneri di messe, nonché le pie volontà in genere e le pie fondazioni.

Art. 98. La congregazione si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l’ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni; inoltre, procura perché si provveda al sostentamento e alla previdenza sociale del clero.

 

Pontificia commissione per la conservazione del patrimonio artistico e storico

Art. 99. Presso la Congregazione per il clero è stabilita la commissione che ha il compito di presiedere alla tutela del patrimonio storico ed artistico di tutta la chiesa.

Art. 100. Appartengono a questo patrimonio in primo luogo tutte le opere di qualsiasi arte del passato, che dovranno essere custodite e conservate con la massima diligenza. Quelle poi, il cui uso specifico sia venuto meno, siano convenientemente esposte nei musei della chiesa o in altri luoghi.

Art. 101. 1. Tra i beni storici hanno particolare importanza tutti i documenti e strumenti giuridici, che riguardano e attestano la vita e la cura pastorale, nonché i diritti e le obbligazioni delle diocesi, delle parrocchie, delle chiese e delle altre persone giuridiche istituite nella chiesa.

2. Questo patrimonio storico, sia conservato negli archivi come anche nelle biblioteche, che devono dappertutto essere affidati a personale competente, affinché tali testimonianze non vadano perdute.

Art. 102. La commissione offre il suo aiuto alle chiese particolari e agli organismi episcopali e, se è il caso, opera insieme con essi, affinché siano costituiti i musei, gli archivi e le biblioteche e siano ben realizzate la raccolta e la custodia dell’intero patrimonio artistico e storico in tutto il territorio, per essere a disposizione di tutti coloro che ne hanno interesse.

Art. 103. Spetta alla medesima commissione, d’intesa con le congregazioni dei seminari e istituti di studi e del culto divino e della disciplina dei sacramenti, di impegnarsi perché il popolo di Dio diventi sempre più consapevole dell’importanza e necessità di conservare il patrimonio storico e artistico della chiesa.

Art. 104. La presiede il cardinale prefetto della Congregazione per il clero, coadiuvato dal segretario della commissione medesima. La commissione ha suoi propri officiali.

 

Congregazione per gli istituti di vita consacrata e per le società di vita apostolica

Art. 105. Compito proprio della congregazione è di promuovere e di regolare la pratica dei consigli evangelici, come viene esercitata nelle forme approvate di vita consacrata, e insieme l’attività delle società di vita apostolica in tutta la chiesa latina.

Art. 106. 1. La congregazione, pertanto, erige gli istituti religiosi e secolari, nonché le società di vita apostolica, li approva oppure esprime il suo giudizio circa l’opportunità della loro erezione da parte del vescovo diocesano. A essa compete anche di sopprimere, se sarà necessario, detti istituti e società.

2. A essa compete ancora di costituire unioni e federazioni di detti istituti e società o di sopprimerle, se necessario.

Art. 107. Da parte sua, la congregazione procura che gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica crescano e progrediscano secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni, perseguano fedelmente le finalità loro proprie e contribuiscano efficacemente alla missione salvifica della chiesa.

Art. 108. 1. Essa assolve tutte quelle mansioni che, a norma del diritto, spettano alla Santa Sede circa la vita e l’attività degli istituti e delle società, specialmente circa l’approvazione delle costituzioni, il regime e l’apostolato, la cooptazione e la formazione dei membri, i loro diritti ed obblighi, la dispensa dai voti e la dimissione dei membri, nonché l’amministrazione dei beni.

2. Per quanto poi concerne l’ordinamento degli studi di filosofia e di teologia, nonché gli studi accademici, è competente la Congregazione dei seminari e degli istituti di studi.

Art. 109. Spetta alla medesima congregazione erigere le conferenze dei superiori maggiori dei religiosi e delle religiose, approvare i rispettivi statuti e ancora esercitare la vigilanza perché la loro attività sia ordinata al raggiungimento delle finalità proprie.

Art. 110. Alla congregazione sono anche soggette la vita eremitica, l’ordine delle vergini e le associazioni di queste, e le altre forme di vita consacrata.

Art. 111. La sua competenza si estende anche ai terzi ordini, nonché alle associazioni dei fedeli, che vengono erette con l’intento che, dopo la necessaria preparazione, possano divenire un giorno istituti di vita consacrata o società di vita apostolica.

 

Congregazione dei seminari e degli istituti di studi

Art. 112. La congregazione esprime e traduce in atto la sollecitudine della sede apostolica circa la formazione di coloro che sono chiamati agli ordini sacri nonché circa la promozione e l’ordinamento dell’educazione cattolica.

Art. 113. 1. Assiste i vescovi perché nelle loro chiese siano coltivate col massimo impegno le vocazioni ai ministeri sacri e nei seminari, da istituire e dirigere a norma del diritto, gli alunni siano adeguatamente educati con una solida formazione sia umana e spirituale, sia dottrinale e pastorale.

2. Vigila attentamente perché la convivenza e il governo dei seminari rispondano pienamente alle esigenze dell’educazione sacerdotale e i superiori e docenti contribuiscano, quanto più è possibile, con l’esempio della vita e la retta dottrina alla formazione della personalità dei ministri sacri.

3. A essa spetta, inoltre, di erigere i seminari interdiocesani e di approvare i loro statuti.

Art. 114. La congregazione si impegna perché i principi fondamentali circa l’educazione cattolica, così come sono proposti dal magistero della chiesa, siano sempre più approfonditi, affermati e conosciuti dal popolo di Dio.

Essa cura parimenti che in questa materia i fedeli possano adempiere i loro obblighi, e si impegnino attivamente affinché anche la società civile riconosca e tuteli i loro diritti.

Art. 115. La congregazione stabilisce le norme, secondo le quali dove reggersi la scuola cattolica; assiste i vescovi diocesani perché siano istituite, dove è possibile, le scuole cattoliche e siano sostenute con la massima cura, e perché in tutte le scuole siano offerte, mediante opportune iniziative, l’educazione catechetica e la cura pastorale agli alunni cristiani.

Art. 116. 1. La congregazione si impegna affinché nella chiesa si abbia un numero sufficiente di università ecclesiastiche e cattoliche e di altri istituti di studio, nei quali siano approfondite e siano promossi le discipline sacre e gli studi umanistici e scientifici tenendo conto della verità cristiana, e ivi i cristiani siano adeguatamente formati all’adempimento delle loro funzioni.

2. Essa erige o approva le università e gli istituti ecclesiastici, ratifica i rispettivi statuti, esercita l’alta direzione su di essi e vigila perché nell’insegnamento dottrinale sia salvaguardata l’integrità della fede cattolica.

3. Per quanto riguarda le università cattoliche, si occupa delle materie di competenza della Santa Sede.

4. Favorisce la collaborazione e il reciproco aiuto tra le università degli studi e le loro associazioni ed è di tutela per esse.

 

IV. TRIBUNALI

Penitenzieria apostolica

Art. 117. La competenza della Penitenzieria apostolica si riferisce alle materie che concernono il foro interno e le indulgenze.

Art. 118. Per il foro interno, sia sacramentale che non sacramentale, essa concede le assoluzioni, le dispense, le commutazioni, le sanazioni, i condoni e altre grazie.

Art. 119. La stessa provvede a che nelle basiliche patriarcali dell’urbe ci sia un numero sufficiente di penitenzieri, dotati delle opportune facoltà.

Art. 120. Al medesimo dicastero è demandato quanto concerne la concessione e l’uso delle indulgenze, salvo il diritto della Congregazione della dottrina della fede di esaminare tutto ciò che riguarda la dottrina dogmatica intorno a esse.

 

Supremo tribunale della Segnatura apostolica

Art. 121. Questo dicastero, oltre ad esercitare la funzione di supremo tribunale, provvede alla retta amministrazione della giustizia nella chiesa.

Art. 122. Esso giudica:

1. le querele di nullità e le richieste di restitutio in integrum contro le sentenze della Rota romana;

2. i ricorsi, nelle cause circa lo stato delle persone, contro il diniego di un nuovo esame della causa da parte della Rota romana;

3. le eccezioni di suspicione e altre cause contro i giudici della Rota romana per atti compiuti nell’esercizio della loro funzione;

4. i conflitti di competenza tra tribunali, che non dipendono dal medesimo tribunale d’appello.

Art. 123. 1. Inoltre, esso giudica dei ricorsi, presentati entro il termine perentorio di trenta giorni utili, contro singoli atti amministrativi sia posti da dicasteri della curia romana che da essi approvati, tutte le volte che si discuta se l’atto impugnato abbia violato una qualche legge, nel deliberare o nel procedere.

2. In questi casi, oltre al giudizio di illegittimità, esso può anche giudicare, qualora il ricorrente lo chieda, circa la riparazione dei danni recati con l’atto illegittimo.

3. Giudica anche di altre controversie amministrative, che sono a esso deferite dal romano pontefice o dai dicasteri della curia romana, come pure dei conflitti di competenza tra i medesimi dicasteri.

Art. 124. Al medesimo compete anche di:

1. esercitare la vigilanza sulla retta amministrazione della giustizia e prendere misure, se necessario, nei confronti degli avvocati o dei procuratori;

2. giudicare circa le petizioni rivolte alla sede apostolica per ottenere il deferimento della causa alla Rota romana;

3. prorogare la competenza dei tribunali di grado inferiore;

4. concedere l’approvazione, riservata alla Santa Sede, del tribunale di appello, come pure promuovere e approvare l’erezione di tribunali interdiocesani.

Art. 125. La Segnatura apostolica è retta da una sua propria legge.

 

Tribunale della Rota romana

Art. 126. Questo tribunale funge ordinariamente da istanza superiore nel grado di appello presso la sede apostolica per tutelare i diritti nella chiesa, provvede all’unità della giurisprudenza e, attraverso le proprie sentenze, è di aiuto ai tribunali di grado inferiore.

Art. 127. I giudici di questo tribunale, dotati di provata dottrina e di esperienza e scelti dal sommo pontefice dalle varie parti del mondo, costituiscono un collegio; al medesimo tribunale presiede il decano nominato per un determinato periodo dal sommo pontefice, che lo sceglie tra gli stessi giudici.

Art. 128. Questo tribunale giudica:

1. in seconda istanza, le cause giudicate dai tribunali ordinari di prima istanza e deferite alla Santa Sede per legittimo appello;

2. in terza o ulteriore istanza, le cause già trattate dal medesimo tribunale apostolico e da qualunque altro tribunale a meno che esse non siano passate in giudicato.

Art. 129. 1. Il medesimo, inoltre, giudica in prima istanza:

a. i vescovi nelle cause contenziose, purché non si tratti dei diritti o dei beni temporali di una persona giuridica rappresentata dal vescovo;

b. gli abati primati, o gli abati superiori di congregazioni monastiche e i superiori generali di istituti religiosi di diritto pontificio;

c. le diocesi o altre persone ecclesiastiche, sia fisiche sia giuridiche, che non hanno un superiore al di sotto del romano pontefice;

d. le cause che il romano pontefice abbia affidato al medesimo tribunale.

2. Giudica le medesime cause, se non sia previsto altrimenti, anche in seconda e ulteriore istanza.

Art. 130. Il Tribunale della Rota romana è retto da una sua propria legge.

 

V. PONTIFICI CONSIGLI

Pontificio consiglio per i laici

Art. 131. Il consiglio è competente in quelle materie, che sono di pertinenza della sede apostolica per la promozione e il coordinamento dell’apostolato dei laici e, in generale, in quelle che concernono la vita cristiana dei laici in quanto tali.

Art. 132. Assiste il suo presidente un comitato di presidenza composto da cardinali e da vescovi; tra i membri del consiglio sono annoverati soprattutto i fedeli laici impegnati nei diversi campi di attività.

Art. 133. 1. Spetta a esso di animare e sostenere i laici affinché partecipino alla vita e alla missione della chiesa nel modo loro proprio, sia come singoli che come membri appartenenti ad associazioni, soprattutto perché adempiano il loro peculiare ufficio di permeare di spirito evangelico l’ordine delle realtà temporali.

2. Favorisce la cooperazione dei laici nell’istruzione catechetica, nella vita liturgica e sacramentale e nelle opere di misericordia, di carità e di promozione sociale.

3. Il medesimo segue e dirige convegni internazionali e altre iniziative attinenti all’apostolato dei laici.

Art. 134. Nell’ambito della propria competenza il consiglio tratta tutto quanto concerne le associazioni laicali dei fedeli; erige poi quelle che hanno un carattere internazionale e ne approva o riconosce gli statuti, salva la competenza della Segreteria di stato; per quanto riguarda i terzi ordini secolari, cura soltanto ciò che si riferisce alla loro attività apostolica.

 

Pontificio consiglio per l’unione dei cristiani

Art. 135. Funzione del consiglio è di applicarsi con opportune iniziative e attività all’impegno ecumenico per ricomporre l’unità tra i cristiani.

Art. 136. 1. Esso cura che siano tradotti in pratica i decreti del concilio Vaticano II concernenti l’ecumenismo.

Si occupa della retta interpretazione dei principi ecumenici e ne cura l’esecuzione.

2. Favorisce convegni cattolici sia nazionali che internazionali atti a promuovere l’unità dei cristiani, li collega e coordina e vigila sulle loro iniziative.

3. Sottoposte preventivamente le questioni al sommo pontefice, cura le relazioni con i fratelli delle chiese e delle comunità ecclesiali, che non hanno ancora piena comunione con la chiesa cattolica, e soprattutto promuove il dialogo e i colloqui per favorire l’unità con esse, avvalendosi della collaborazione di esperti ben preparati nella dottrina teologica. Designa gli osservatori cattolici per i convegni tra cristiani e invita gli osservatori delle altre chiese e comunità ecclesiali ai convegni cattolici, tutte le volte che ciò parrà opportuno.

Art. 137. 1. Poiché la materia che questo dicastero deve trattare per sua natura tocca spesso questioni di fede, è necessario che esso proceda in stretto collegamento con la Congregazione della dottrina della fede, soprattutto quando si tratta di emanare pubblici documenti o dichiarazioni.

2. Nel trattare gli affari di maggior importanza, che riguardano le chiese separate d’oriente, deve prima ascoltare la Congregazione per le chiese orientali.

Art. 138. Presso il consiglio è costituita una commissione per studiare e trattare le materie che riguardano dal punto di vista religioso gli ebrei: essa è diretta dal presidente del medesimo consiglio.

 

Pontificio consiglio per la famiglia

Art. 139. Il consiglio promuove la cura pastorale delle famiglie, favorisce i loro diritti e la loro dignità nella chiesa e nella società civile, affinché esse possano sempre meglio assolvere le loro proprie funzioni.

Art. 140. Assiste il suo presidente un comitato di presidenza, composto da vescovi; nel consiglio sono cooptati specialmente i laici, uomini e donne, soprattutto coniugati, provenienti dalle diverse parti del mondo.

Art. 141. 1. Il consiglio cura l’approfondimento della dottrina sulla famiglia e la sua divulgazione mediante un’adeguata catechesi; favorisce in particolare gli studi sulla spiritualità del matrimonio e della famiglia.

2. Il medesimo si dà premura affinché, in piena intesa con i vescovi e i loro organismi, siano esattamente conosciute le condizioni umane e sociali dell’istituto familiare nelle diverse regioni, e parimenti siano pubblicizzate quelle iniziative, che aiutano la pastorale familiare.

3. Si sforza perché siano riconosciuti e difesi i diritti della famiglia, anche nella vita sociale e politica; sostiene pure e coordina le iniziative per la tutela della vita umana fin dal suo concepimento e in favore della procreazione responsabile.

4. Fermo restando l’articolo 133, segue l’attività degli istituti e associazioni, il cui fine è servire il bene della famiglia.

 

Pontificio consiglio della giustizia e della pace

Art. 142. Il consiglio mira a far sì che nel mondo siano promosse la giustizia e la pace secondo il Vangelo e la dottrina sociale della chiesa.

Art. 143. 1. Approfondisce la dottrina sociale della chiesa, impegnandosi perché essa sia largamente diffusa e venga tradotta in pratica presso i singoli e le comunità, specialmente per quanto riguarda i rapporti tra operai e datori di lavoro onde siano sempre più permeati dallo spirito del Vangelo.

2. Raccoglie notizie e risultati di indagini circa la giustizia e la pace, il progresso dei popoli e le violazioni dei diritti umani, li valuta e, secondo la opportunità, rende partecipi gli organismi episcopali delle conclusioni che ne ha tratte; favorisce i rapporti con le associazioni cattoliche internazionali e con gli altri istituti esistenti, anche al di fuori della chiesa cattolica, i quali s’impegnano sinceramente per l’affermazione dei valori della giustizia e della pace nel mondo.

3. Si adopera affinché tra i popoli si formi la sensibilità circa il dovere di favorire la pace, soprattutto in occasione della giornata mondiale della pace.

Art. 144. Mantiene particolari relazioni con la Segreteria di stato, specialmente ogni qualvolta occorre trattare pubblicamente dei problemi attinenti alla giustizia e alla pace mediante documenti o dichiarazioni.

 

Pontificio consiglio "Cor unum"

Art. 145. Il consiglio esprime la sollecitudine della chiesa cattolica verso i bisognosi, perché sia favorita la fratellanza umana e si manifesti la carità di Cristo.

Art. 146. Compito del consiglio è quello di:

1. stimolare i fedeli a dare testimonianza di carità evangelica, in quanto sono partecipi della stessa missione della chiesa, e di sostenerli in questo loro impegno;

2. favorire e coordinare le iniziative delle istituzioni cattoliche che attendono ad aiutare i popoli nell’indigenza, specialmente quelle che prestano soccorso alle loro più urgenti necessità e calamità, e di facilitare i rapporti tra queste istituzioni cattoliche con gli organismi pubblici internazionali, che operano nel medesimo campo dell’assistenza e del progresso;

3. seguire attentamente e promuovere i progetti e le opere di solidale premura e di fraterno aiuto finalizzati al progresso umano.

Art. 147. Presidente di questo consiglio è lo stesso del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, il quale procurerà che l’attività dell’uno e dell’altro dicastero proceda in stretto collegamento.

Art. 148. Tra i membri del consiglio vengono cooptati anche uomini e donne in rappresentanza delle istituzioni cattoliche di beneficenza, al fine di una più efficace attuazione degli obiettivi del consiglio.

 

Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti

Art. 149. Il consiglio rivolge la sollecitudine pastorale della chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto; parimenti, procura di seguire con la dovuta attenzione le questioni attinenti a questa materia.

Art. 150. 1. Il consiglio s’impegna perché nelle chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza spirituale, se necessario anche mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti, ai nomadi e alla gente del circo.

2. Favorisce parimenti presso le medesime chiese la cura pastorale in favore dei marittimi sia in navigazione che nei porti, specialmente per mezzo dell’Opera dell’apostolato del mare, della quale esercita l’alta direzione.

3. Svolge la medesima sollecitudine verso coloro che hanno un impiego o prestano il loro lavoro negli aeroporti o negli aerei.

4. Si sforza affinché il popolo cristiano, soprattutto in occasione della celebrazione della giornata mondiale per i migranti e i profughi, acquisti coscienza delle loro necessità e manifesti efficacemente la sua solidarietà nei loro confronti.

Art. 151. Si impegna affinché i viaggi intrapresi per motivi di pietà o di studio o di svago favoriscano la formazione morale e religiosa dei fedeli, e assiste le chiese locali perché tutti coloro che si trovano fuori del proprio domicilio possano usufruire di un’assistenza pastorale adeguata.

 

Pontificio consiglio della pastorale per gli operatori sanitari

Art. 152. Il consiglio manifesta la sollecitudine della chiesa per gli infermi aiutando coloro che svolgono il servizio verso i malati e sofferenti, affinché l’apostolato della misericordia, a cui attendono, risponda sempre meglio alle nuove esigenze.

Art. 153. 1. Spetta al consiglio far conoscere la dottrina della chiesa circa gli aspetti spirituali e morali della malattia e il significato del dolore umano.

2. Esso offre la sua collaborazione alle chiese locali, perché gli operatori sanitari possano ricevere l’assistenza spirituale nell’esplicare la loro attività secondo la dottrina cristiana, e perché inoltre a coloro che svolgono l’azione pastorale in questo settore non manchino i sussidi adeguati nel compimento del proprio lavoro.

3. Favorisce l’attività teorica e pratica, che in questo campo svolgono in vari modi sia le organizzazioni cattoliche internazionali, sia le altre istituzioni.

4. Segue attentamente le novità in campo legislativo e scientifico che riguardano la salute, al precipuo fine che se ne tenga opportunamente conto nell’opera pastorale della chiesa.

 

Pontificio consiglio dell’interpretazione dei testi legislativi

Art. 154. La funzione del consiglio consiste soprattutto nell’interpretazione delle leggi della chiesa.

Art. 155. Spetta al consiglio proporre l’interpretazione autentica, confermata dall’autorità pontificia, delle leggi universali della chiesa, dopo aver sentito nelle questioni di maggior importanza i dicasteri competenti circa la materia in esame.

Art. 156. Questo consiglio è a disposizione degli altri dicasteri romani per aiutarli affinché i decreti generali esecutivi e le istruzioni, che essi devono emanare, siano conformi alle norme del diritto vigente e redatti nella dovuta forma giuridica.

Art. 157. Al medesimo, inoltre, devono essere sottoposti per la revisione da parte del dicastero competente, i decreti generali degli organismi episcopali perché siano esaminati sotto l’aspetto giuridico.

Art. 158. A richiesta degli interessati, esso decide se le leggi particolari e i decreti generali, emanati da legislatori al di sotto della suprema autorità, siano conformi alle leggi universali della chiesa.

 

Pontificio consiglio per il dialogo inter-religioso

Art. 159. Il consiglio favorisce e regola i rapporti con i membri e i gruppi delle religioni che non sono comprese sotto il nome cristiano e anche con coloro che in qualsiasi modo sono dotati di senso religioso.

Art. 160. Il consiglio si adopera affinché si svolga in modo adeguato il dialogo con i seguaci di altre religioni, e favorisce diverse forme di rapporto con loro; promuove opportuni studi e convegni perché ne risultino la reciproca conoscenza e stima e perché, mediante un lavoro comune, siano promossi la dignità dell’uomo e i suoi valori spirituali e morali; provvede alla formazione di coloro che si dedicano a questo tipo di dialogo.

Art. 161. Quando lo richieda la materia, nell’esercizio della propria funzione, esso deve procedere di comune intesa con la Congregazione della dottrina della fede e, se necessario, con le Congregazioni delle chiese orientali e per l’evangelizzazione dei popoli.

Art. 162. Presso il consiglio è costituita una commissione per promuovere i rapporti con i musulmani dal punto di vista religioso, sotto la guida del presidente del medesimo consiglio.

 

Pontificio consiglio per il dialogo con i non credenti

Art. 163. Il consiglio manifesta la sollecitudine pastorale della chiesa verso coloro che non credono in Dio e non professano alcuna religione.

Art. 164. Esso promuove lo studio dell’ateismo e della carenza di fede e di religione, indagandone le cause e le conseguenze per quanto riguarda la fede cristiana, con l’intento di fornire sussidi adeguati all’azione pastorale, valendosi soprattutto della collaborazione delle istituzioni culturali cattoliche.

Art. 165. Stabilisce il dialogo con gli atei e con i non-credenti, ogni volta che costoro siano aperti a una sincera collaborazione; partecipa a convegni di studio su questa materia per mezzo di persone veramente esperte.

 

Pontificio consiglio della cultura

Art. 166. Il consiglio favorisce le relazioni tra la Santa Sede e il mondo della cultura, promovendo in particolare il dialogo con le varie culture del nostro tempo, affinché la civiltà dell’uomo si apra sempre di più al Vangelo, e i cultori delle scienze, delle lettere e delle arti si sentano riconosciuti dalla chiesa come persone a servizio del vero, del buono e del bello.

Art. 167. Il consiglio ha una sua peculiare struttura, nella quale, insieme al presidente, esistono un comitato di presidenza e un altro comitato di cultori delle diverse discipline, provenienti dalle varie parti del mondo.

Art. 168. Il consiglio assume direttamente iniziative appropriate concernenti la cultura; segue quelle che sono intraprese dai vari istituti della chiesa e, ove sia necessario, offre loro la sua collaborazione. D’intesa con la Segreteria di stato, esso s’interessa in programmi di azione che gli stati e gli organismi internazionali intraprendono per favorire l’umana civiltà e nell’ambito della cultura partecipa, secondo opportunità, agli speciali convegni e favorisce i congressi.

 

Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali

Art. 169. 1. Il consiglio si occupa delle questioni che riguardano gli strumenti di comunicazione sociale, affinché, anche per mezzo di essi, il messaggio della salvezza e l’umano progresso possano servire all’incremento della civiltà e del costume.

2. Nell’adempimento delle sue funzioni, esso deve procedere in stretto collegamento con la Segreteria di stato.

Art. 170. 1. Il consiglio attende alla precipua funzione di suscitare e sostenere tempestivamente e adeguatamente l’azione della chiesa e dei fedeli nelle molteplici forme della comunicazione sociale; di adoperarsi perché, sia i giornali e gli altri scritti periodici, sia gli spettacoli cinematografici, sia le trasmissioni radiofoniche e televisive siano sempre più permeati di spirito umano e cristiano.

2. Con speciale sollecitudine esso segue i quotidiani cattolici, le pubblicazioni periodiche, le emittenti radiofoniche e televisive, perché realmente corrispondano alla propria indole e funzione, divulgando soprattutto la dottrina della chiesa, quale è proposta dal magistero, e diffondendo correttamente e fedelmente le notizie di carattere religioso.

3. Favorisce le relazioni con le associazioni cattoliche, che operano nel campo delle comunicazioni.

4. Si adopera perché il popolo cristiano, specialmente in occasione della celebrazione della giornata delle comunicazioni sociali, prenda coscienza del dovere, che spetta a ciascuno, di impegnarsi affinché tali strumenti siano a disposizione della missione pastorale della chiesa.

 

VI. UFFICI

Camera apostolica

Art. 171. 1. La Camera apostolica, alla quale è preposto il cardinale camerlengo di santa romana chiesa, con la collaborazione del vice-camerlengo e degli altri prelati di camera, svolge soprattutto le funzioni che sono a essa assegnate dalla speciale legge relativa alla sede apostolica vacante.

2. Quando è vacante la sede apostolica, è diritto e dovere del cardinale camerlengo di santa romana chiesa di richiedere, anche per mezzo di un suo delegato, da tutte le amministrazioni dipendenti dalla Santa Sede le relazioni circa il loro stato patrimoniale ed economico, come pure le informazioni intorno agli affari straordinari, che siano eventualmente in corso, e di richiedere, altresì, dalla Prefettura degli affari economici della Santa Sede il bilancio generale consuntivo dell’anno precedente, nonché il bilancio preventivo per l’anno seguente. Egli è tenuto a sottoporre tali relazioni e computi al collegio cardinalizio.

 

Amministrazione del patrimonio della sede apostolica

Art. 172. Spetta a questo ufficio di amministrare i beni di proprietà della Santa Sede, destinati a fornire fondi necessari all’adempimento delle funzioni della curia romana.

Art. 173. L’ufficio è presieduto da un cardinale, assistito da un determinato numero di cardinali, e consta di due sezioni, quella ordinaria e quella straordinaria, sotto la guida di un prelato segretario.

Art. 174. La sezione ordinaria amministra i beni che le sono affidati, avvalendosi, quando sia opportuno, della collaborazione di esperti; cura la gestione del personale della Santa Sede; sovraintende alla direzione amministrativa degli enti che fanno capo a essa; provvede a quanto è necessario per l’attività ordinaria dei dicasteri; cura la contabilità e redige il bilancio consuntivo e preventivo.

Art. 175. La sezione straordinaria amministra i beni mobili propri e quelli a essa affidati da altri enti della Santa Sede.

 

Prefettura degli affari economici della Santa Sede

Art. 176. Spetta alla prefettura la vigilanza ed il controllo sulle amministrazioni che dipendono dalla Santa Sede o che a essa fanno capo, quale che sia l’autonomia di cui possano godere.

Art. 177. La prefettura è presieduta da un cardinale, assistito da un determinato numero di cardinali, uno dei quali funge da presidente, con la collaborazione di un prelato segretario e di un ragioniere generale.

Art. 178. 1. Esamina le relazioni circa lo stato patrimoniale ed economico, nonché i bilanci consuntivi e preventivi delle amministrazioni di cui all’articolo 176, controllando, se lo ritiene opportuno, scritture contabili e documenti.

2. Redige il preventivo e il bilancio consolidato della Santa Sede e li sottopone all’approvazione della superiore autorità entro i tempi stabiliti.

Art. 179. 1. Esercita la vigilanza circa le iniziative economiche delle amministrazioni; esprime il parere circa i progetti di maggior importanza.

2. Indaga circa i danni, che in qualsiasi maniera siano stati apportati al patrimonio della Santa Sede, al fine di promuovere azioni penali o civili, se sarà necessario, presso i competenti tribunali.

 

VII. ALTRI ORGANISMI DELLA CURIA ROMANA

Prefettura della casa pontificia

Art. 180. La prefettura si occupa dell’ordine interno relativo alla casa pontificia e dirige, per quanto attiene alla disciplina e al servizio, tutti coloro che costituiscono la cappella e la famiglia pontificia.

Art. 181. 1. Essa assiste il sommo pontefice sia nel palazzo apostolico sia quando viaggia in Roma o in Italia.

2. Cura l’ordinamento e lo svolgimento delle cerimonie pontificie, esclusa la parte strettamente liturgica, della quale si occupa l’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice; stabilisce l’ordine di precedenza.

3. Dispone le udienze pubbliche e private del sommo pontefice, consultandosi, tutte le volte che lo esigano le circostanze, con la Segreteria di stato, sotto la cui guida predispone tutto quanto dev’essere fatto, quando dallo stesso pontefice sono ricevuti in solenne udienza i capi di stato, gli ambasciatori, i ministri degli stati, le pubbliche autorità ed altre persone insigni per dignità.

 

Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice

Art. 182. 1. Spetta all’ufficio preparare quanto è necessario per le celebrazioni liturgiche e le altre sacre celebrazioni, che sono compiute dal sommo pontefice o in suo nome, e dirigerle secondo le vigenti prescrizioni del diritto liturgico.

2. Il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie è nominato dal sommo pontefice per cinque anni; i cerimonieri pontifici, che lo coadiuvano nelle sacre celebrazioni, sono del pari nominati dal segretario di stato per lo stesso periodo.

 

VIII. GLI AVVOCATI

Art. 183. Oltre gli avvocati della Rota romana e gli avvocati per le cause dei santi, esiste un albo degli avvocati, abilitati ad assumere, a richiesta delle persone interessate, il patrocinio delle cause presso il Supremo tribunale della Segnatura apostolica e a prestare altresì la loro opera nei ricorsi gerarchici dinanzi ai dicasteri della curia romana.

Art. 184. Possono essere iscritti in questo albo dal cardinale segretario di stato, udita una commissione stabilmente costituita a tale scopo, quei candidati che si distinguono per la loro adeguata preparazione, comprovata da vari titoli accademici, e insieme per l’esempio di vita cristiana, per l’onestà dei costumi e per la capacità di trattare gli affari. Nel caso che questi requisiti vengano a mancare, essi saranno radiati dall’albo.

Art. 185. 1. Soprattutto dagli avvocati, iscritti in questo albo, è costituito il corpo degli avvocati della Santa Sede, i quali potranno assumere il patrocinio delle cause, a nome della Santa Sede o dei dicasteri della curia romana, dinanzi ai tribunali sia ecclesiastici che civili.

2. Essi sono nominati per un quinquennio dal cardinale segretario di stato, udita la commissione di cui all’art. 184; tuttavia, per gravi motivi, possono essere rimossi dall’incarico. Compiuto il settantacinquesimo anno di età, cessano dall’incarico.

 

IX. ISTITUZIONI COLLEGATE CON LA SANTA SEDE

Art. 186. Esistono alcuni istituti, sia di antica origine che di nuova costituzione, i quali, pur non facendo parte propriamente della curia romana, prestano tuttavia diversi servizi necessari o utili allo stesso sommo pontefice, alla curia e alla chiesa universale e in qualche modo sono connessi con la sede apostolica.

Art. 187. Tra gli istituti di tale genere si distingue l’Archivio segreto vaticano, nel quale sono conservati i documenti relativi al governo della chiesa, perché siano innanzitutto a disposizione della Santa Sede e della curia nel compimento del proprio lavoro, e perché poi, in base a concessione pontificia, possano rappresentare per tutti gli studiosi di storia fonti per la conoscenza, anche profana, di quelle regioni che fin nei secoli passati sono strettamente connesse con la vita della chiesa.

Art. 188. Quale insigne strumento della chiesa per lo sviluppo, la conservazione e la divulgazione della cultura, è stata costituita dai sommi pontefici la Biblioteca apostolica vaticana, la quale nelle sue varie sezioni offre tesori ricchissimi di scienza e di arte agli studiosi che ricercano la verità.

Art. 189. Per la ricerca e la diffusione della verità nei vari settori della scienza divina e umana sono sorte in seno alla chiesa romana diverse accademie, tra le quali si distingue la Pontificia accademia delle scienze.

Art. 190. Tutte queste istituzioni della chiesa romana si reggono secondo proprie leggi quanto alla costituzione e all’amministrazione.

Art. 191. Di origine abbastanza recente, pur rifacendosi in parte a esempi precedenti, sono la Tipografia poliglotta vaticana, la Libreria editrice vaticana, i quotidiani, i settimanali e i mensili, tra i quali si distingue L’Osservatore romano, la Radio vaticana e il Centro televisivo vaticano. Questi istituti dipendono dalla Segreteria di stato o da altri uffici della curia romana secondo le rispettive leggi.

Art. 192. La Fabbrica di San Pietro continuerà ad occuparsi di tutto quanto riguarda la basilica del principe degli apostoli sia per la conservazione e il decoro dell’edificio, sia per la disciplina interna dei custodi e dei pellegrini che vi entrano per visitarla, secondo le proprie leggi. In tutti i casi necessari i superiori della fabbrica agiscono d’intesa col capitolo della stessa basilica.

Art. 193. L’Elemosineria apostolica svolge a nome del santo padre il servizio di assistenza verso i poveri e dipende direttamente da lui.

Stabilisco che la presente costituzione apostolica sia, ora e in avvenire, stabile, valida ed efficace, consegua perfettamente i suoi effetti a partire dal giorno 1 marzo 1989, e che ne sia curata la piena osservanza, in tutti i particolari, da parte di coloro cui essa è diretta, per il presente e per il futuro, nonostante qualsiasi circostanza in contrario, anche se meritevole di specialissima menzione.

Dato a Roma, presso San Pietro, alla presenza dei cardinali radunati in concistoro, nella vigilia della solennità dei ss. apostoli Pietro e Paolo, il giorno 28 del mese di giugno dell’anno mariano 1988, decimo di pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

 

ALLEGATO I

Il significato pastorale della visita "ad limina apostolorum", di cui agli articoli 28-32

Lo spirito pastorale, preminente nella revisione della costituzione apostolica sulla curia romana, ha anche portato a una più intensa valorizzazione delle visite "ad limina apostolorum", facendo sì che si ponesse in maggiore evidenza l’importanza pastorale che esse hanno raggiunto nella odierna vita della chiesa.

1. Come è noto, queste visite sono compiute periodicamente, quando alle "soglie degli apostoli" giungono tutti i vescovi che presiedono nella carità e nel servizio alle chiese particolari in ogni parte del mondo, in comunione con la sede apostolica.

Esse, da una parte, offrono ai vescovi l’occasione di rafforzare la consapevolezza della propria responsabilità di successori degli apostoli e di sentire più a fondo la loro comunione gerarchica col successore di Pietro; dall’altra rappresentano un momento centrale dell’esercizio del ministero universale del santo padre, che in tale circostanza riceve i pastori delle chiese particolari, suoi fratelli nell’episcopato, e tratta con essi le questioni concernenti la loro missione ecclesiale.

2. Le visite "ad limina" sono realizzazione visibile di quel movimento o circolazione vitale tra chiesa universale e chiese particolari, che teologicamente si può definire come una certa quale "perichoresis", oppure paragonare al movimento di diastole-sistole, per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore.

Troviamo la traccia di una prima visita "ad limina" nella lettera di san Paolo ai Galati, dove egli parla della sua conversione e del suo cammino verso l’apostolato per i pagani, e - benché fosse apostolo chiamato e istruito immediatamente dal Signore risorto - dice: "In seguito ... andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni..." (1,8). "Dopo 14 anni andai di nuovo a Gerusalemme... esposi loro il Vangelo, che io predico per i pagani... per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano" (2,2).

3. L’incontro col successore di Pietro, primo custode del deposito di verità trasmesso dagli apostoli, tende a rinsaldare l’unità nella stessa fede, speranza e carità, e a far conoscere e apprezzare sempre di più l’immenso patrimonio di valori spirituali e morali, che tutta la chiesa, in comunione col vescovo di Roma, ha diffuso nel mondo intero.

Nella visita "ad limina" si incontrano due persone, il vescovo di una chiesa particolare e il vescovo di Roma, successore di Pietro, ciascuno con la sua responsabilità inderogabile, ma non come persone isolate: ciascuno infatti rappresenta a suo modo il "noi" della chiesa, il "noi" dei fedeli, il "noi" dei vescovi, che in un certo senso costituiscono l’unico "noi" nel corpo di Cristo. Nella loro comunione, comunicano i loro fedeli, comunicano la chiesa universale e chiese particolari.

4. Per tutti questi motivi, le visite "ad limina" sono, in se stesse, espressione di quella sollecitudine pastorale, che opera nella chiesa intera. Si tratta infatti dell’incontro dei pastori della chiesa, uniti tra di loro nell’unità collegiale, che si fonda sulla successione apostolica. In questo collegio, infatti, tutti e ciascuno dei vescovi manifestano ed ereditano la sollecitudine di Gesù Cristo, buon pastore.

Tale è il più profondo senso dell’apostolato - e di fare apostolato - nella chiesa, specie per quanto riguarda i vescovi, uniti al successore di Pietro. Infatti, ciascuno di essi è centro dell’apostolato integrale di ciascuna delle chiese particolari, unite, in pari tempo, con la dimensione universale della chiesa intera. Questo apostolato integrale esige e abbraccia il contributo di tutti coloro che nella chiesa, sia universale sia particolare, edificano il corpo di Cristo: dei sacerdoti, delle persone consacrate a Dio - religiosi e religiose -, dei laici.

5. Considerate da questo punto di vista, le visite "ad limina" sono pure un momento particolare di quella comunione, che decide così profondamente della sostanza della chiesa, com’è mirabilmente descritta nella costituzione dogmatica sulla chiesa, specie nei capitoli II e III. Oggi, quando la società umana tende a una più effettiva unificazione, e la chiesa sa di essere "segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (LG 1), appare indispensabile promuovere e favorire una continua comunicazione tra le chiese particolari e la sede apostolica, specie con la condivisione della sollecitudine pastorale circa problemi, esperienze, sofferenze, orientamenti e progetti di lavoro e di vita.

Nell’ambito dell’incontro dei pastori, a Roma, si attua un particolare e splendido "scambio di doni", tra ciò che nella chiesa è particolare, ossia locale, e ciò che è universale, secondo il principio della cattolicità; in virtù di questa, infatti, "le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la chiesa, di maniera che il tutto e le singole parti s’accrescono con l’apporto di tutte, che sono in comunione le une con le altre, e coi loro sforzi verso la pienezza dell’unità" (LG 13).

Inoltre, anche da questo punto di vista, le visite "ad limina" hanno per scopo non solo una reciproca informazione, ma anche la crescita e il consolidamento di una formazione collegiale del corpo (organismo) della chiesa, che costituisce una particolare unità nella diversità.

Il movimento di questa comunicazione ecclesiale è duplice. Da una parte c’è la convergenza verso il centro e fondamento visibile dell’unità che, nell’impegno e nella responsabilità personale di ogni vescovo e con lo spirito della collegialità si esprime nei gruppi e nelle conferenze; dall’altra c’è l’ufficio "concesso singolarmente a Pietro" (LG 20) a servizio della comunione ecclesiale e dell’espansione missionaria, affinché nulla sia lasciato di intentato per promuovere e custodire l’unità della fede e la disciplina comune alla chiesa intera, e si ravvivi la coscienza che la cura d’annunziare ovunque il vangelo appartiene principalmente al corpo dei pastori.

6. Dall’insieme di tali principi, sopra descritti, che chiarificano questo importante processo, si deduce con quale significato debba essere inteso e praticato questo apostolico "vedere Pietro".

Anzitutto, la visita assume un significato sacrale, nella visita e nella preghiera dei vescovi ai sepolcri dei santi Pietro e Paolo, pastori e colonne della chiesa romana.

La visita ha poi un significato personale, poiché ciascun vescovo incontra personalmente il papa.

Infine, vi è un significato "curiale", cioè comunitario, in quanto i vescovi hanno colloqui anche con i responsabili dei dicasteri, dei consigli e uffici della curia romana: e questa costituisce una "comunità" più strettamente legata al papa sul terreno del "ministero petrino", rivolto alla sollecitudine per tutte le chiese (cf. 2Cor 11,28).

La visita fatta ai dicasteri da parte dei vescovi, che compiono la visita "ad limina", ha un duplice scopo:

- da una parte si dà accesso ai rispettivi organismi della curia romana, e a quei problemi dei quali questi direttamente si occupano conforme alle loro competenze e secondo le loro speciali capacità;

- d’altra parte i vescovi, dall’ambito di tutto il mondo, ove si trova ciascuna chiesa particolare, vengono introdotti ai problemi della comune sollecitudine pastorale della chiesa universale.

Tenendo presente questa speciale angolatura, la Congregazione per i vescovi, d’intesa con le congregazioni direttamente interessate al problema, sta elaborando un "direttorio" di prossima pubblicazione, per l’opportuna preparazione, remota e prossima, delle visite "ad limina".

7. Ogni vescovo - in forza della natura del proprio "ministero" - è chiamato e invitato alla visita delle "soglie degli apostoli".

Prendendo in considerazione il fatto che i vescovi, nell’ambito dei rispettivi territori (paesi oppure regioni), si sono uniti per formare una conferenza episcopale - unione collegiale che si fonda su amplissime e valide ragioni (cf. LG 23) - è particolarmente conveniente che le visite "ad limina" si svolgano conforme a questa stessa chiave collegiale, con un significato ecclesiale molto chiaro.

I rispettivi organi della sede apostolica, e specialmente le nunziature e le delegazioni apostoliche, sono ben disposte alla collaborazione per accordare e organizzare tali visite.

Sintetizzando quanto è stato finora sottolineato, l’istituto delle visite "ad limina", di grande importanza per la sua antichità e per il chiaro significato ecclesiale, è strumento di grandissima utilità ed espressione concreta della cattolicità della chiesa, dell’unità del collegio dei vescovi, fondata sul successore di Pietro e significata dal luogo del martirio dei principi degli apostoli: e perciò non se ne può ignorare il valore teologico, pastorale, sociale e religioso.

Tale istituzione dev’essere pertanto conosciuta e avvalorata in ogni modo, specialmente in questo momento della storia della salvezza, nel quale i contenuti e il magistero del concilio ecumenico Vaticano II risplendono di sempre maggiore luce.

 

ALLEGATO II

I collaboratori della sede apostolica come costituenti una comunità di lavoro, di cui agli articoli 33-36

1. La caratteristica saliente, che ha improntato la revisione della costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae per adeguarla alle esigenze emerse negli anni seguenti alla sua promulgazione, è stata il mettere nel giusto rilievo la fisionomia pastorale della curia romana, e l’indole specifica vista in questa luce, delle attività che gravitano intorno alla sede apostolica per fornirle gli strumenti atti all’esercizio della missione del papa, voluta da Cristo Signore.

Il servizio, infatti, che il sommo pontefice offre alla chiesa è quello di "confermare nella fede i fratelli" (cf. Lc 22,32), pastori e fedeli della chiesa universale, al fine che sia nutrita e salvaguardata la comunione ecclesiale, nella quale "vi sono legittimamente delle chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità (s. Ignazio Ant., Ai Romani, introduzione: Patres apostolici, ed. Funk, Tubinga I, 252), tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto le serva" (LG 13).

2. A tale servizio petrino, che si irraggia a tutto il mondo con un’azione costante che esige l’apporto di uomini e di mezzi in tutta la chiesa, collaborano in modo diretto, e si può dire anche privilegiato, tutti coloro che, in vari incarichi, operano nella curia romana, come nei diversi organi che compongono la struttura organizzativa della sede apostolica: sia nell’ordine episcopale come sacerdotale, sia come membri di famiglie religiose e di istituti secolari maschili e femminili, sia come fedeli del laicato cattolico, uomini e donne, chiamati a questi incarichi.

Deriva pertanto da questa composizione una fisionomia essenziale e una complessità di compiti, che non trovano riscontro in nessun altro ambito della società civile, con la quale, per la stessa propria natura, la curia romana non può essere comparata: e ciò costituisce la ragione fondamentale di quella comunità di lavoro di tutti coloro che, nutriti di una medesima fede e carità, come "un solo cuore e un’anima sola" (At 4,32), compongono le menzionate strutture di collaborazione. Collaborando a qualunque titolo e in qualsiasi forma con il papa, garante principale della comunione ecclesiale, quanti coadiuvano la sua missione universale, sono chiamati a costituire anch’essi una comunione di intenzioni e di propositi, di principi e di norme, alla quale meglio di ogni altra si adatta il titolo di comunità.

3. La "Lettera del sommo pontefice Giovanni Paolo II circa il significato del lavoro prestato alla sede apostolica", del 20 novembre 1982, si è soffermata sulle caratteristiche di questa comunità di lavoro. Ne ha rilevato l’unitarietà pur nella diversità dei compiti, che affratella quanti in tal modo "partecipano realmente all’unica ed incessante attività della sede apostolica" (n. 1), deducendo da questo fatto la necessità di avere "la consapevolezza di tale specifico carattere delle loro mansioni: consapevolezza... che è sempre stata tradizione e vanto di chi ha voluto dedicarsi al nobile servizio" (ib.). E il documento ha aggiunto: "Questa considerazione tocca sia gli ecclesiastici e i religiosi che i laici; sia coloro che occupano posti di alta responsabilità che gli impiegati e gli addetti a lavori manuali, cui sono assegnate funzioni ausiliarie" (ib.).

La lettera ha richiamato poi la natura specifica della Santa Sede, che pur costituendo uno strumento sovrano al fine di garantire l’esercizio della libertà spirituale e "l’indipendenza reale e visibile" (n. 2) della Santa Sede medesima, è uno stato "atipico" (ib.), che la diversifica da ogni altro; e ha delineato le conseguenze pratiche di questa situazione sul piano economico: in special modo l’assenza totale sia di contributi economici derivanti dai diritti propri degli altri stati, sia di attività economica produttiva di beni e di rendite: talché "la base primaria per il sostentamento della sede apostolica è rappresentata dalle offerte spontaneamente elargite" (ib.), in una solidarietà universale, proveniente da tutta la cattolicità e anche da fuori di essa, che mirabilmente esprime quella comunione di carità, a cui la sede apostolica presiede nel mondo, e di cui essa stessa vive.

Da un tale stato di cose scaturiscono alcune conseguenze sul piano pratico e nel quotidiano comportamento di chi collabora con la Santa Sede: "lo spirito di parsimonia", la "disponibilità a tener sempre conto delle reali, limitate possibilità finanziarie della medesima Santa Sede e della loro provenienza" (n. 3), la "profonda fiducia nella Provvidenza": e tutto ciò deve unirsi alla convinzione, per i dipendenti, "che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima sede apostolica si collocano in una luce particolare" (n. 5).

4. La retribuzione del lavoro prestato, spettante ai dipendenti sia ecclesiastici che laici della Santa Sede secondo le loro specifiche condizioni di vita, è regolata dalle norme fondamentali della dottrina sociale della chiesa, sulle quali il magistero pontificio, a partire dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII, fino alle encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, si è espresso nel modo più completo.

La Santa Sede, pur nell’accennata scarsità dei mezzi economici a sua disposizione, cerca in ogni modo di adempiere la sua grave responsabilità nei riguardi dei propri collaboratori - anche favorendo alcune facilitazioni di ordine pratico - nella caratteristica, sopra indicata dalla lettera del santo padre, di quella "atipicità" sua propria, che la priva di comuni possibilità di proventi economici che non siano quelli donati dalla carità universale. La Santa Sede è tuttavia ben consapevole - e la menzionata lettera vi fa chiaro accenno - che una attiva collaborazione di tutti, con particolare riguardo ai dipendenti laici, sia necessaria perché vengano sempre tutelati i principi e le norme, i diritti e i doveri originati dalla retta applicazione della "giustizia sociale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro" (n. 4). In tale prospettiva, la lettera ha ricordato l’azione che, a tale scopo, possono offrire le associazioni di prestatori d’opera, come l’"Associazione dipendenti laici vaticani", allora recentemente costituita nel quadro di un fruttuoso dialogo tra le diverse istanze al fine di promuovere lo spirito di sollecitudine e di giustizia. Peraltro, la stessa lettera ha posto in guardia dal pericolo che tali organismi possano travisare lo spirito fondamentale che deve ispirare la comunità di lavoro prestato alla sede di Pietro, dicendo: "Non risponde... alla dottrina sociale della chiesa lo slittamento di questo tipo di organizzazioni sul terreno della conflittualità a oltranza o della lotta di classe; né esse debbono avere impronta politica o servire, palesemente o occultamente, interessi di partito o di altre entità miranti a obiettivi di ben diversa natura" (n. 4).

5. Il santo padre ha espresso al tempo stesso la certezza che associazioni, come quella menzionata, non avrebbero mancato di "tener presente in ogni caso il particolare carattere della sede apostolica nell’impostare i problemi concernenti il lavoro e nello sviluppare un dialogo costruttivo e continuo con gli organi competenti" (cf. n. 4).

Poiché era particolarmente sentita dai dipendenti laici la necessità di regolare la fisionomia delle prestazioni d’opera e tutto l’insieme dei problemi del lavoro, il santo padre ha disposto che fossero preparati "gli opportuni documenti esecutivi, per assecondare, tramite convenienti norme e strutture, la promozione di una comunità di lavoro secondo i principi esposti" (cf. ib.).

A questa sollecitudine del supremo pastore corrisponde ora l’istituzione dell’"Ufficio del lavoro della sede apostolica" (ULSA), che viene promulgata con apposito "motu proprio" unitamente al documento che ne descrive e specifica la composizione, la competenza, i compiti, gli organi direttivi e consultivi con le norme specifiche per il retto, efficace e spedito funzionamento di tale ufficio, che, essendo di nuova creazione, necessita di un determinato periodo di attività "ad experimentum" per collaudarne l’effettiva incidenza. Il menzionato motu proprio e il regolamento del nuovo Ufficio del lavoro sono pubblicati contemporaneamente con la promulgazione della costituzione apostolica per il rinnovamento della curia romana.

6. Lo scopo principale e predominante di questo ufficio - al di là delle finalità pratiche per le quali è stato voluto - è soprattutto quello di promuovere e garantire all’interno delle varie componenti dei collaboratori della sede apostolica, specialmente laici, quella comunità di lavoro delle cui caratteristiche devono distinguersi quanti sono chiamati all’onore e alla responsabilità di servire il ministero di Pietro.

È da sottolineare ancora una volta che tali collaboratori debbono nutrire e coltivare in se stessi una particolare coscienza ecclesiale, che li abiliti sempre più all’adempimento del loro incarico, qualunque sia: incarico che non è semplicemente un rapporto di "dare e avere" come con gli enti esistenti nella società civile, ma un servizio prestato a Cristo, "venuto non per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28).

Pertanto, tutti i dipendenti, ecclesiastici e laici, debbono proporsi come titolo di onore, e con senso di sincera responsabilità davanti a Dio ed a se stessi, di vivere in modo esemplare la propria vita di sacerdoti e di laici, com’è proposta dai comandamenti divini, dalle leggi ecclesiali, e dai documenti del concilio Vaticano II - in particolar modo Lumen gentium, Presbyterorum ordinis e Apostolicam actuositatem. Questa, peraltro, è una libera decisione, che permette di accettare in piena consapevolezza responsabilità, che hanno un riflesso non solo nell’ambito personale dei singoli, ma anche in quello delle rispettive famiglie, e nello stesso clima della comunità di lavoro, composta dai dipendenti della Santa Sede.

"Dobbiamo cercare di sapere "di quale spirito siamo" (cf. Lc 9,55 Volg.)", conclude la lettera del santo padre: e la ricerca della propria autenticità umana e cristiana deve indurre, ciascuno e tutti, a mantenere fedelmente quegli impegni, liberamente assunti nel momento in cui sono stati chiamati a collaborare con la Santa Sede.

7. Affinché siano tenuti presenti i principi, che il santo padre ha tratteggiato nella menzionata lettera circa il significato del lavoro prestato alla sede apostolica, indirizzata al cardinale segretario di stato - scritto che deve costituire la base e il riferimento per ogni rapporto di collaborazione e di intesa all’interno della comunità di lavoro che coopera con la sede apostolica - essa si pubblica, qui di seguito, nel testo integrale.

 

LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II CIRCA IL SIGNIFICATO DEL LAVORO PRESTATO ALLA SEDE APOSTOLICA

Al venerabile fratello Agostino Casaroli,

segretario di stato.

1. La sede apostolica, nell’esercizio della sua missione, ricorre all’opera valida e preziosa della particolare comunità costituita da quanti - uomini e donne, sacerdoti, religiosi e laici - si prodigano, nei suoi dicasteri e uffici, al servizio della chiesa universale.

Ai membri di questa comunità sono assegnati incarichi e doveri, ciascuno dei quali ha una propria finalità e dignità in considerazione, sia del contenuto oggettivo e del valore del lavoro svolto, sia della persona che lo compie.

Questo concetto di comunità applicato a coloro che coadiuvano il vescovo di Roma nel suo ministero di pastore della chiesa universale, ci permette innanzitutto di precisare il carattere unitario dei pur diversi compiti. Tutte le persone, infatti, chiamate a svolgerli, partecipano realmente all’unica ed incessante attività della sede apostolica, e cioè a quella "sollecitudine per tutte le chiese" (cf. 2Cor 11,28) che già dai primi tempi animava il servizio degli apostoli e che in misura precipua è oggi prerogativa dei successori di san Pietro nella sede romana. È molto importante che quanti sono associati, in qualsiasi modo, alle attività della sede apostolica, abbiano la consapevolezza di tale specifico carattere delle loro mansioni; consapevolezza, del resto, che è sempre stata tradizione e vanto di chi ha voluto dedicarsi al nobile servizio.

Questa considerazione tocca sia gli ecclesiastici e i religiosi che i laici, sia coloro che occupano posti di alta responsabilità che sia gli impiegati e gli addetti a lavori manuali, cui sono assegnate funzioni ausiliarie. Essa riguarda, sia le persone addette più direttamente al servizio della stessa sede apostolica, in quanto prestano la loro opera presso quegli organismi, il cui insieme viene appunto compreso sotto il nome di "Santa Sede", sia quanti sono al servizio dello Stato della Città del Vaticano, che alla sede apostolica è così intimamente legato.

Nella recente enciclica Laborem exercens ho ricordato le principali verità del "vangelo del lavoro" e della dottrina cattolica sul lavoro umano, sempre viva nella tradizione della chiesa. Bisogna che a queste verità si conformi la vita della singolare comunità che opera sub umbra Petri, in così immediato contatto con la sede apostolica.

2. Per inserire adeguatamente questi principi nella realtà, occorre tener presente il loro significato oggettivo e, contemporaneamente, la natura specifica della sede apostolica. Quest’ultima - benché, come ho sopra accennato, le sia strettamente connessa l’entità designata come lo Stato della Città del Vaticano - non ha la configurazione dei veri stati, che sono soggetto della sovranità politica di una data società. D’altra parte lo Stato della Città del Vaticano è sovrano, ma non possiede tutte le ordinarie caratteristiche di una comunità politica. Si tratta di uno stato atipico: esso esiste a conveniente garanzia dell’esercizio della spirituale libertà della sede apostolica, e cioè come mezzo per assicurare l’indipendenza reale e visibile della medesima nella sua attività di governo a favore della chiesa universale, come pure della sua opera pastorale rivolta a tutto il genere umano; esso non possiede una propria società per il cui servizio sia stato costituito, e neppure si basa sulle forme di azione sociale che determinano solitamente la struttura e l’organizzazione di ogni altro stato. Inoltre, le persone che coadiuvano la sede apostolica, o anche cooperano al governo nello Stato della Città del Vaticano, non sono, salvo poche eccezioni, cittadini di questo né, conseguentemente, hanno i diritti e gli oneri (in particolare quelli tributari) che ordinariamente scaturiscono dall’appartenenza a uno stato.

La sede apostolica - mentre per ben più importanti aspetti trascende i ristretti confini dello Stato della Città del Vaticano fino a estendere la sua missione a tutta la terra - nemmeno sviluppa, né può sviluppare, l’attività economica propria di uno stato; ed esulano dalle sue finalità istituzionali la produzione di beni economici e l’arricchimento da redditi. Accanto ai redditi propri dello Stato della Città del Vaticano e ai limitati cespiti costituiti da quanto rimane dei fondi ottenuti in occasione dei Patti lateranensi, come indennizzo per gli stati pontifici e i beni ecclesiali passati allo stato italiano, la base primaria per il sostentamento della sede apostolica è rappresentata dalle offerte spontaneamente elargite dai cattolici di tutto il mondo, ed eventualmente anche da altri uomini di buona volontà. Ciò corrisponde alla tradizione che trae origine dal Vangelo (cf. Lc 10,7) e dagli insegnamenti degli apostoli (cf. 1Cor 9,11.14). Conformemente a questa tradizione - che in rapporto alle strutture economiche dominanti nelle varie epoche, ha assunto nei secoli forme diverse - si deve affermare che la sede apostolica può e deve usufruire dei contributi spontanei dei fedeli e degli altri uomini di buona volontà, senza ricorrere ad altri mezzi che potrebbero apparire meno rispettosi del suo peculiare carattere.

3. I suddetti contributi materiali sono l’espressione di una costante e commovente solidarietà con la sede apostolica e con l’attività da essa svolta. A tanta solidarietà, cui va la mia profonda gratitudine, deve corrispondere, da parte della stessa sede apostolica, dei suoi singoli organi e delle persone che in essi lavorano, un senso di responsabilità commisurato alla natura dei contributi, da utilizzare solo e sempre secondo le disposizioni e la volontà degli offerenti: per l’intenzione generale che è il mantenimento della sede apostolica e del complesso delle sue attività; oppure per scopi particolari (missionari, caritativi, ecc.), quando questi siano stati precisati.

La responsabilità e la lealtà di fronte a quanti, col loro aiuto, si fanno solidali con la sede apostolica e ne condividono in qualche maniera la pastorale sollecitudine, si estrinsecano nella scrupolosa fedeltà a tutti i compiti e doveri assegnati, come pure nello zelo, nella laboriosità e nella professionalità che debbono distinguere chiunque partecipa alle attività della medesima sede apostolica. È necessario, altresì, coltivare sempre la retta intenzione così da amministrare oculatamente, in ragione del loro scopo, sia i beni materiali che vengono offerti sia quanto, con tali beni, è da essa acquisito e conservato, inclusa la salvaguardia e la valorizzazione della preziosa eredità della sede di Pietro nel campo religioso-culturale ed artistico.

Nell’uso dei mezzi destinati a questi scopi, la sede apostolica e coloro che con essa direttamente collaborano devono distinguersi non solo per lo spirito di parsimonia, ma anche per la disponibilità a tener sempre conto delle reali, limitate possibilità finanziarie della medesima Santa Sede e della loro provenienza. Ovviamente, tali interiori atteggiamenti dovranno essere ben connaturati, mediante la formazione, nell’animo dei religiosi e degli ecclesiastici; ma neppure debbono mancare in quei laici che, per libera scelta, accettano di lavorare per e con la sede apostolica.

Inoltre, tutti quelli che hanno particolari responsabilità di direzione negli organismi, uffici e servizi della sede apostolica, come gli stessi addetti alle diverse funzioni, sapranno congiungere questo spirito di parsimonia a un impegno costante per rendere sempre più valide le diverse attività, tramite un’organizzazione del lavoro impostata, da una parte, sul pieno rispetto delle persone e del contributo valido che ciascuno fornisce secondo le proprie competenze e funzioni; e dall’altra, sull’uso di strutture e strumenti tecnici appropriati, affinché l’attività svolta corrisponda sempre meglio alle esigenze del servizio della chiesa universale. Ricorrendo a tutto ciò che l’esperienza, la scienza e la tecnologia insegnano, ci si adopererà affinché le risorse umane e finanziarie vengano usate con maggior efficacia, evitando lo spreco, la ricerca di interessi particolari e di privilegi ingiustificati, promovendo allo stesso tempo buoni rapporti umani in ogni settore ed il vero e giusto interesse della sede apostolica.

A tali impegni si dovrà unire una profonda fiducia nella Provvidenza, che attraverso le offerte dei buoni non lascerà venir meno i mezzi per poter perseguire gli scopi propri della sede apostolica. Qualora la mancanza di mezzi impedisse la realizzazione di qualche obiettivo fondamentale, si potrà fare uno speciale appello alla generosità del popolo di Dio, informandolo delle necessità non sufficientemente note. In via normale, però, converrà accontentarsi di quanto i vescovi, sacerdoti, istituti religiosi e fedeli offrono spontaneamente, giacché essi stessi sanno vedere o intuire i giusti bisogni.

4. Fra coloro che collaborano con la sede apostolica molti sono gli ecclesiastici, i quali, vivendo in celibato, non hanno a loro carico una famiglia propria. Spetta a essi una remunerazione proporzionata ai compiti svolti e tale da assicurare un decoroso sostentamento e consentire l’adempimento dei doveri del proprio stato, comprese anche quelle responsabilità che in certi casi possono avere di venire in aiuto ai propri genitori o ad altri familiari a loro carico. Né debbono essere trascurate le esigenze del loro ordinato rapporto sociale, in particolare e soprattutto l’obbligo di soccorrere i bisognosi: obbligo che, a motivo della loro vocazione evangelica, è per gli ecclesiastici e i religiosi più impellente che per i laici.

Anche la remunerazione dei dipendenti laici della sede apostolica deve corrispondere ai compiti svolti, tenendo al tempo stesso in considerazione la responsabilità che essi hanno di sostenere le loro famiglie. In spirito di viva sollecitudine e di giustizia si dovrà dunque studiare quali sono i loro oggettivi bisogni materiali e quelli delle loro famiglie, inclusi quelli attinenti all’educazione dei figli e a una congrua assicurazione per la vecchiaia, al fine di provvedervi convenientemente. Le indicazioni fondamentali in questo settore si trovano nella dottrina cattolica sulla remunerazione per il lavoro. Indicazioni immediate per la valutazione di circostanza si possono attingere dall’esame delle esperienze e dei programmi della società e, in particolare, della società italiana, alla quale appartiene di fatto e in seno alla quale, comunque, vive la quasi totalità dei dipendenti laici della sede apostolica.

Per promuovere tale spirito di sollecitudine e di giustizia, in rappresentanza di quanti lavorano all’interno della sede apostolica, potranno svolgere un compito valido di collaborazione associazioni di prestatori d’opera, come l’Associazione dipendenti laici vaticani sorta recentemente. Simili organizzazioni, che all’interno della sede apostolica assumono un carattere specifico, costituiscono una iniziativa conforme alla dottrina sociale della chiesa, che vede in esse uno degli strumenti atti a meglio garantire la giustizia sociale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Non risponde tuttavia alla dottrina sociale della chiesa lo slittamento di questo tipo di organizzazioni sul terreno della conflittualità a oltranza o della lotta di classe; né esse debbono avere impronta politica o servire, palesemente o occultamente, interessi di partito o di altre entità miranti a obiettivi di ben diversa natura.

Esprimo fiducia che associazioni come quella, ora esistente, sopra ricordata - ispirandosi ai principi della dottrina sociale della chiesa - svolgeranno una funzione proficua nella comunità di lavoro operante in solidale sintonia con la sede apostolica. Sono anche certo che, nell’impostare i problemi concernenti il lavoro e nello sviluppare un dialogo costruttivo e continuo con gli organi competenti, esse non mancheranno di tener presente in ogni caso il particolare carattere della sede apostolica, come indicato nella parte iniziale della presente lettera.

In relazione a quanto esposto, vostra eminenza vorrà preparare gli opportuni documenti esecutivi, per assecondare, tramite convenienti norme e strutture, la promozione di una comunità di lavoro secondo i principi esposti.

5. Nell’enciclica Laborem exercens facevo rilevare che la dignità personale del lavoratore richiede di esprimersi in un particolare rapporto col lavoro che gli è affidato. A questo rapporto - realizzabile oggettivamente in diversi modi a seconda del tipo di lavoro intrapreso - si perviene soggettivamente quando il lavoratore, pur svolgendo un’attività "retribuita", la vive come esercitata "in proprio". Trattandosi qui di lavoro compiuto nell’ambito della sede apostolica e perciò caratterizzato dalla fondamentale specificità sopra accennata, tale rapporto esige una sentita partecipazione a quella "sollecitudine per tutte le chiese" propria della cattedra di Pietro.

I dipendenti della Santa Sede devono, pertanto, avere la profonda convinzione che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima sede apostolica si collocano in una luce particolare.

Il concilio Vaticano II ci ha offerto copiosi insegnamenti sul modo con cui tutti i cristiani, ecclesiastici, religiosi e laici, possono - e devono - fare propria questa sollecitudine ecclesiale.

Sembra quindi necessario, specialmente per quanti collaborano con la sede apostolica, approfondire la coscienza personale prima di tutto dell’universale impegno apostolico dei cristiani e di quello risultante dalla vocazione specifica di ognuno: del vescovo, del sacerdote, del religioso, del laico. Le risposte, infatti, alle odierne difficoltà nel campo del lavoro umano vanno cercate nella sfera della giustizia sociale; ma occorre ricercarle, altresì, nell’area del rapporto interiore col lavoro che ciascuno è chiamato a compiere. Pare evidente che il lavoro - qualunque esso sia - svolto alle dipendenze della sede apostolica esiga ciò in misura tutta speciale.

Oltre all’approfondito rapporto interiore, questo lavoro, per essere vantaggioso e sereno, richiede un reciproco rispetto, basato sulla fratellanza umana e cristiana, da parte di tutti e per tutti coloro che vi attendono. Solo quando è alleata con una tale fratellanza (cioè con l’amore dell’uomo nella verità), la giustizia può manifestarsi come vera giustizia. Dobbiamo cercare di sapere "di quale spirito siamo" (cf. Lc 9,55 Volg.).

Queste ultime questioni, appena accennate, non si possono formulare adeguatamente in termini amministrativo-giuridici. Ciò non esime, tuttavia, dalla ricerca e dallo sforzo necessari per rendere operante - proprio nella cerchia della sede apostolica - quello spirito del lavoro umano, che proviene dal Signore nostro Gesù Cristo.

Nell’affidare questi pensieri, signor cardinale, alla sua attenta considerazione, invoco sul futuro impegno, richiesto dalla loro messa in opera, l’abbondanza dei doni della divina assistenza, mentre di cuore le imparto la mia benedizione, che volentieri estendo a tutti coloro che offrono il proprio benemerito servizio alla sede apostolica.

Dal Vaticano, 20 novembre 1982.


  Magistero pontificio - Copertina