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Giovanni XXIII
Pacem in terris


INTRODUZIONE

L’ordine nell’universo

1. La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio.

I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio.

2. Ma i progressi scientifici e le invenzioni tecniche manifestano innanzitutto la grandezza infinita di Dio che ha creato l’universo e l’uomo. Ha creato l’universo, profondendo in esso tesori di sapienza e di bontà, come esclama il Salmista: "O Signore, Dio nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!" (Sal 8,1). "Quanto sono grandi le opere tue, o Signore! Tu hai fatto ogni cosa con sapienza"; (Sal 104,24) e ha creato l’uomo intelligente e libero, a sua immagine e somiglianza, (cf. Gen 1,26) costituendolo signore dell’universo: "Hai fatto l’uomo - esclama ancora il Salmista - per poco inferiore agli angeli, lo hai coronato di gloria e di onore; e lo hai costituito sopra le opere delle tue mani. Hai posto tutte le cose sotto i suoi piedi" (Sal 8,5-6).

L’ordine negli esseri umani

3. Con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza.

Sennonché il Creatore ha scolpito l’ordine anche nell’essere degli uomini: ordine che la coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire: "Essi mostrano scritta nei loro cuori l’opera della legge, testimone la loro coscienza" (Rm 2,15). Del resto come potrebbe essere diversamente? Ogni opera di Dio è pure un riflesso della sua infinita sapienza: riflesso tanto più luminoso quanto più l’opera è posta in alto nella scala delle perfezioni (cf. Sal 18,8-11).

4. Una deviazione, nella quale si incorre spesso, sta nel fatto che si ritiene di poter regolare i rapporti di convivenza tra gli esseri umani e le rispettive comunità politiche con le stesse leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali di cui risulta l’universo; quando invece le leggi con cui vanno regolati gli accennati rapporti sono di natura diversa, e vanno cercate là dove Dio le ha scritte, cioè nella natura umana.

Sono quelle, infatti, le leggi che indicano chiaramente come gli uomini devono regolare i loro vicendevoli rapporti nella convivenza; e come vanno regolati i rapporti fra i cittadini e le pubbliche autorità all’interno delle singole comunità politiche; come pure i rapporti fra le stesse comunità politiche; e quelli fra le singole persone e le comunità politiche da una parte, e dall’altra la comunità mondiale, la cui creazione oggi è urgentemente reclamata dalle esigenze del bene comune universale.

 

I - L’ORDINE TRA GLI ESSERI UMANI

Ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri

5. In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna.

 

I diritti

Il diritto all’esistenza e ad un tenore di vita dignitoso

6. Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà (cf. enc. Divini Redemptoris di Pio XI).

Diritti riguardanti i valori morali e culturali

7. Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione.

Scaturisce pure dalla natura umana il diritto di partecipare ai beni della cultura, e quindi il diritto ad un’istruzione di base e ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica. Ci si deve adoperare perché sia soddisfatta l’esigenza di accedere ai gradi superiori dell’istruzione sulla base del merito; cosicché gli esseri umani, nei limiti del possibile, nella vita sociale coprano posti e assumano responsabilità conformi alle loro attitudini naturali e alle loro capacità acquisite (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

Il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza

8. Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico. Infatti, come afferma con chiarezza Lattanzio: "Siamo stati creati allo scopo di rendere a Dio creatore il giusto onore che gli è dovuto, di riconoscere lui solo e di seguirlo. Questo è il vincolo di pietà che a lui ci stringe e a lui ci lega, e dal quale deriva il nome stesso di religione" (Divinae institutionis, lib. IV, c. 28, 2 PL, 6,535). Ed il nostro predecessore di i. m. Leone XIII cosi si esprime: "Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora. Siffatta libertà rivendicarono con intrepida costanza gli apostoli, la sancirono con gli scritti gli apologisti, la consacrarono gran numero di martiri col proprio sangue" (Enc. Libertas praestantissimum di Leone XIII).

Il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato

9. Gli esseri umani hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna; come pure il diritto di seguire la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

La famiglia, fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società. Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilità e facilitano l’adempimento della sua specifica missione.

I genitori posseggono un diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione (cf. enc. Casti connubii di Pio XI).

Diritti attinenti il mondo economico

10. Agli esseri umani è inerente il diritto di libera iniziativa in campo economico e il diritto al lavoro (cf. Radiomessaggio di Pentecoste di Pio XII, 10).

A siffatti diritti è indissolubilmente congiunto il diritto a condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione; e, per quanto concerne le donne, il diritto a condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze e con i loro doveri di spose e di madri (cf. enc. Rerum novarum di Leone XIII).

Dalla dignità della persona scaturisce pure il diritto di svolgere le attività economiche in attitudine di responsabilità (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII). Va inoltre e in modo speciale messo in rilievo il diritto ad una retribuzione del lavoro determinata secondo i criteri di giustizia, e quindi sufficiente, nelle proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al lavoratore ed alla sua famiglia, un tenore di vita conforme alla dignità umana. In materia, il nostro predecessore Pio XII cosi si esprimeva: "Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e consegue il diritto naturale in ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli: tanto altamente è ordinato per la conservazione dell’uomo l’impero della natura" (cf. Radiomessaggio di Pentecoste di Pio XII). Scaturisce pure dalla natura dell’uomo il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi: "diritto che costituisce un mezzo idoneo all’affermazione della persona umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi, un elemento di consistenza e di serenità per la vita familiare e di pacifico e ordinato sviluppo nella convivenza" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Torna opportuno ricordare che al diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale (cf. ivi, p.t 430).

Diritto di riunione e di associazione

11. Dalla intrinseca socialità degli esseri umani fluisce il diritto di riunione e di associazione; come pure il diritto di conferire alle associazioni la struttura che si ritiene idonea a perseguire gli obiettivi delle medesime; e il diritto di muoversi nell’interno di esse di propria iniziativa e sulla propria responsabilità per il concreto perseguimento di detti obiettivi (cf. enc. Rerum novarum di Leone XIII).

Nell’enciclica Mater et magistra a ragione è detto che la creazione di una ricca gamma di associazioni o corpi intermedi per il perseguimento di obiettivi che i singoli esseri umani non possono efficacemente perseguire che associandosi, si rivela un elemento necessario e insostituibile perché sia assicurata alla persona umana una sfera sufficiente di libertà e di responsabilità (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Diritto di emigrazione e di immigrazione

12. Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1952). Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale.

Diritti a contenuto politico

13. Dalla dignità della persona scaturisce il diritto di prender parte attiva alla vita pubblica e addurre un apporto personale all’attuazione del bene comune. "L’uomo, come tale, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo nella vita sociale, ne è invece e deve esserne e rimanerne il soggetto, il fondamento e il fine" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1944).

Fondamentale diritto della persona è pure la tutela giuridica dei propri diritti: tutela efficace, imparziale, informata a criteri obiettivi di giustizia.

"Dall’ordinamento giuridico, voluto da Dio, promana l’inalienabile diritto dell’uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritti, protetta contro ogni arbitrario attacco" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

 

I doveri

Indissolubile rapporto fra diritti e doveri nella stessa persona

14. I diritti naturali testé ricordati sono indissolubilmente congiunti, nella stessa persona che ne è il soggetto, con altrettanti rispettivi doveri; e hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile.

Il diritto, ad esempio, di ogni essere umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi in vita; il diritto ad un dignitoso tenore di vita con il dovere di vivere dignitosamente; e il diritto alla libertà nella ricerca del vero è congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza della medesima sempre più vasta e profonda.

Reciprocità di diritti e di doveri fra persone diverse

15. Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto. Infatti ogni diritto fondamentale della persona trae la sua forza morale insopprimibile dalla legge naturale che lo conferisce, e impone un rispettivo dovere. Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l’altra.

Nella mutua collaborazione

16. Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri. Ciò richiede che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti ed attuati; ma richiede pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla creazione di ambienti umani, in cui diritti e doveri siano sostanziati da contenuti sempre più ricchi.

Non basta, ad esempio, riconoscere e rispettare in ogni essere umano il diritto ai mezzi di sussistenza: occorre pure che ci si adoperi, secondo le proprie forze, perché ogni essere umano disponga di mezzi di sussistenza in misura sufficiente.

La convivenza fra gli esseri umani, oltre che ordinata, è necessario che sia per essi feconda di bene. Ciò postula che essi riconoscano e rispettino i loro vicendevoli diritti ed adempiano i rispettivi doveri, ma postula pure che collaborino tra loro nelle mille forme e gradi che l’incivilimento acconsente, suggerisce, reclama.

In attitudine di responsabilità

17. La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno.

Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.

Convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà

18. La convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità, conformemente al richiamo dell’apostolo Paolo: "Via dunque da voi la menzogna e parli ciascuno col suo prossimo secondo verità, poiché siamo membri gli uni degli altri" (Ef 4,25). Ciò domanda che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri. Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo giustizia o nell’effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata dall’amore, atteggiamento d’animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare.

19. La convivenza umana, venerabili fratelli e diletti figli, deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante.

Ordine morale che ha per fondamento oggettivo il vero Dio

20. L’ordine tra gli esseri umani nella convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani.

Sennonché l’ordine morale - universale, assoluto ed immutabile nei suoi principi - trova il suo oggettivo fondamento nel vero Dio, trascendente e personale. Egli è la prima Verità e il sommo Bene; e quindi la sorgente più profonda da cui soltanto può attingere la sua genuina vitalità una convivenza fra gli esseri umani ordinata, feconda, rispondente alla loro dignità di persone (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942). In materia, con chiarezza si esprime san Tommaso: "La ragione umana è norma della volontà, di cui misura pure il grado di bontà, per il fatto che deriva dalla legge eterna, che si identifica con la stessa ragione divina... È quindi chiaro che la bontà della volontà umana dipende molto più dalla legge eterna che non dalla ragione umana" (Summa Theol., I-II, q. 19, a. 4; cf a. 9).

Segni dei tempi

21. Tre fenomeni caratterizzano l’epoca moderna.

Anzitutto l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici. Nelle prime fasi del loro movimento di ascesa i lavoratori concentravano la loro azione nel rivendicare diritti a contenuto soprattutto economico-sociale; la estendevano quindi ai diritti di natura politica; e infine al diritto di partecipare in forme e gradi adeguati ai beni della cultura. Ed oggi, in tutte le comunità nazionali, nei lavoratori è vividamente operante l’esigenza di essere considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell’altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o persone in tutti i settori della convivenza, e cioè nei settori economico-sociali, in quelli della cultura e in quelli della vita pubblica.

22. In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.

23. Infine la famiglia umana, nei confronti di un passato recente, presenta una configurazione sociale-politica profondamente trasformata. Non più popoli dominatori e popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti.

24. Gli esseri umani, in tutti i paesi e in tutti i continenti, o sono cittadini di uno stato autonomo e indipendente, o stanno per esserlo; nessuno ama sentirsi suddito di poteri politici provenienti dal di fuori della propria comunità umana o gruppo etnico. In moltissimi esseri umani si va cosi dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica.

Al contrario è diffusa assai largamente la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità n,aturale. Per cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana informata ai principi sopra esposti. Quando, infatti, negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli.

25. E quando i rapporti della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che vivono nell’intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con gli altri.

 

II - RAPPORTI TRA GLI ESSERI UMANI E I POTERI PUBBLICI ALL’INTERNO DELLE SINGOLE COMUNITÀ POLITICHE

Necessità dell’autorità e sua origine divina

26. La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente.

Tale autorità, come insegna san Paolo, deriva da Dio: "Non vi è infatti autorità se non da Dio" (Rm 13,1-6). Il quale testo dell’Apostolo viene commentato nei seguenti termini da san Giovanni Crisostomo: "Che dici? Forse ogni singolo governante è costituito da Dio? No, non dico questo: qui non si tratta infatti di singoli governanti, ma del governare in se stesso. Ora il fatto che esista l’autorità e che vi sia chi comanda e chi obbedisce, non proviene dal caso, ma da una disposizione della Provvidenza divina" (In Epist. ad Rom., c. 13, vv. 1-2, homil XXIII). Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere "società che si sostenga, se non c’è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l’autorità che regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio" (Enc. Immortale Dei di Leone XIII).

27. L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e l’ultimo fine. "Lo stesso ordine assoluto degli esseri e dei fini che mostra l’uomo come persona autonoma, vale a dire soggetto di doveri e di diritti inviolabili, radice e termine della sua vita sociale, abbraccia anche lo Stato come società necessaria, rivestita dall’autorità, senza la quale non potrebbe né esistere, né vivere... E poiché quell’ordine assoluto, alla luce della sana ragione, e segnatamente della fede cristiana, non può avere altra origine che in un Dio personale, nostro Creatore, ne consegue che la dignità dell’autorità politica è la dignità della sua partecipazione all’autorità di Dio" (cf. Radiomessaggio natalizio, di Pio XII, 1944).

28. L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti. Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale: nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del proprio spirito.

29. L’autorità umana pertanto può obbligare moralmente soltanto se è in rapporto intrinseco con l’autorità di Dio, ed è una partecipazione di essa (cf. enc. Diuturnum illud di Leone XIII).

In tal modo è pure salvaguardata la dignità personale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai poteri pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nel suo vero significato è un atto di omaggio a Dio creatore e provvido, il quale ha disposto che i rapporti della convivenza siano regolati secondo un ordine da lui stesso stabilito; e rendendo omaggio a Dio, non ci si umilia, ma ci si eleva e ci si nobilita, giacché servire Deo regnare est. (cf. ivi, p. 278; e enc. Immortale Dei, di Leone XIII).

30. L’autorità, come si è detto, è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza, poiché "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini"; (At 5,29) in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso. "La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza" (Summa Theol., I-II, q. 93, a. 3 ad 2).

31. Tuttavia per il fatto che l’autorità deriva da Dio, non ne segue che gli esseri umani non abbiano la libertà di scegliere le persone investite del compito di esercitarla; come pure di determinare le strutture di poteri pubblici, e gli àmbiti entro cui e i metodi secondo i quali l’autorità va esercitata. Per cui la dottrina sopra esposta è pienamente conciliabile con ogni sorta di regimi genuinamente democratici (cf. enc. Diuturnum illud di Leone XIII).

L’attuazione del bene comune: ragione d’essere dei poteri pubblici

32. Tutti gli esseri umani e tutti i corpi intermedi sono tenuti a portare il loro specifico contributo all’attuazione del bene comune. Ciò comporta che perseguano i propri interessi in armonia con le sue esigenze; e adducano, allo stesso scopo, gli apporti - in beni e servizi - che le legittime autorità stabiliscono, secondo criteri di giustizia, nella debita forma e nell’ambito della propria competenza; e cioè con atti formalmente perfetti e i cui contenuti siano moralmente buoni o, almeno, ordinabili al bene.

Però l’attuazione del bene comune costituisce la stessa ragione di essere dei poteri pubblici; i quali sono tenuti ad attuarlo nel riconoscimento e nel rispetto dei suoi elementi essenziali e secondo contenuti postulati dalle situazioni storiche (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

Aspetti fondamentali del bene comune

33. Vanno certamente considerati come elementi del bene comune le caratteristiche etniche che contraddistinguono i vari gruppi umani (cf. enc. Summi Pontificatus di Pio XII). Però quei valori e quelle caratteristiche non esauriscono il contenuto del bene comune. Il quale nei suoi aspetti essenziali e più profondi non può essere concepito in termini dottrinali e meno ancora determinato nei suoi contenuti storici che avendo riguardo all’uomo, essendo esso un oggetto essenzialmente correlativo alla natura umana (cf. enc. Mit brennender Sorge di Pio XI).

34. In secondo luogo quello comune è un bene a cui hanno diritto di partecipare tutti i membri di una comunità politica, anche se in grado diverso a seconda dei loro compiti, meriti e condizioni. I poteri pubblici quindi sono tenuti a promuoverlo a vantaggio di tutti senza preferenza per alcuni cittadini o per alcuni gruppi di essi, come insegna il nostro predecessore Leone XIII. "Né in veruna guisa si deve far sì che la civile autorità serva all’interesse di uno o di pochi, essendo essa invece stabilita a vantaggio di tutti" (Enc. Immortale Dei di Leone XIII: Acta Leonis). Però ragioni di giustizia e di equità possono talvolta esigere che i poteri pubblici abbiano speciali riguardi per le membra più deboli del corpo sociale, trovandosi esse in condizioni di inferiorità nel far vedere i loro diritti e nel perseguire i loro legittimi interessi (cf. enc. Rerum novarum di Leone XIII).

35. Ma qui dobbiamo richiamare l’attenzione sul fatto che il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo: tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito. Per cui i poteri pubblici si devono adoperare ad attuarlo nei modi e nei gradi che ad essi convengono; in maniera tale però da promuovere simultaneamente, nel riconoscimento e nel rispetto della gerarchia dei valori, tanto la prosperità materiale che i beni spirituali (cf. enc. Summi pontificatus di Pio XII).

I principi sono indicati in perfetta armonia con quanto abbiamo esposto nella Mater et magistra: "il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Ma gli esseri umani, composti di corpo e di anima immortale, non esauriscono la loro esistenza né conseguono la loro perfetta felicità nell’ambito del tempo. Per cui il bene comune va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del loro fine ultraterreno ed eterno (cf. enc. Quadragesimo anno di Pio XI).

Compiti dei poteri pubblici e diritti e doveri della persona

36. Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l’adempimento dei rispettivi doveri. "Tutelare l’intangibile campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compito dei suoi doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere" (cf. Radiomessaggio di Pentecoste).

Per cui ogni atto dei poteri pubblici, che sia od implichi un misconoscimento o una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane per ciò stesso destituito d’ogni valore giuridico (cf. enc Mit brennender Sorge di Pio XI).

Armonica composizione ed efficace tutela dei diritti e doveri della persona

37. È quindi compito fondamentale dei poteri pubblici disciplinare e comporre armonicamente i rapporti tra gli esseri umani in maniera che l’esercizio dei diritti negli uni non costituisca un ostacolo o una minaccia per l’esercizio degli stessi diritti negli altri, e si accompagni all’adempimento dei rispettivi doveri; ed è ancora compito loro tutelare efficacemente o ripristinare l’esercizio di tali diritti (cf. enc. Divini Redemptoris di Pio XI).

Dovere di promuovere i diritti della persona

38. È inoltre un’esigenza del bene comune che i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri. Infatti l’esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell’epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l’adempimento dei rispettivi doveri.

39. È perciò indispensabile che i poteri pubblici si adoperino perché allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale; e quindi perché siano sviluppati, in proporzione dell’efficienza dei sistemi produttivi, i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile, l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi ricreativi. E devono anche provvedere a che si dia vita a sistemi assicurativi in maniera che, al verificarsi di eventi negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita dignitoso; come pure affinché a quanti sono in grado di lavorare sia offerta una occupazione rispondente alle loro capacità; la rimunerazione del lavoro sia determinata secondo criteri di giustizia e di equità; ai lavoratori, nei complessi produttivi, sia acconsentito svolgere le proprie attività in attitudine di responsabilità; sia facilitata la istituzione dei corpi intermedi che rendono più articolata e più feconda la vita sociale; sia resa accessibile a tutti, nei modi e gradi opportuni, la partecipazione ai beni della cultura.

Equilibrio fra le due forme di intervento dei poteri pubblici

40. Il bene comune esige che i poteri pubblici, nei confronti dei diritti della persona, svolgano una duplice azione: l’una diretta a comporre e tutelare quei diritti, l’altra a promuoverli. In materia però va posta la più vigilante attenzione perché le due azioni siano saggiamente contemperate. Si deve quindi evitare che, attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare che, nell’intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi all’assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il genuino esercizio. "Dev’essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà della iniziativa personale dei singoli cittadini, ma per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile, nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Allo stesso principio devono ispirarsi i poteri pubblici nello svolgimento della loro multiforme azione diretta a promuovere l’esercizio di diritti e a renderne meno arduo l’adempimento di doveri in tutti i settori della vita sociale.

Struttura e funzionamento dei poteri pubblici

41. Non si può stabilire, una volta per sempre, qual è la struttura migliore secondo cui devono organizzarsi i poteri pubblici, come pure il modo più idoneo secondo il quale devono svolgere le loro specifiche funzioni, e cioè la funzione legislativa, amministrativa, giudiziaria.

Giacché la struttura e il funzionamento dei poteri pubblici non possono non essere in relazione con le situazioni storiche delle rispettive comunità politiche: situazioni che variano nello spazio e mutano nel tempo. Però riteniamo rispondente ad esigenze insite nella stessa natura degli uomini l’organizzazione giuridico-politica della comunità umana, fondata su una conveniente divisione dei poteri in corrispondenza alle tre specifiche funzioni dell’autorità pubblica. In essa infatti la sfera di competenza e il funzionamento dei poteri pubblici sono definiti in termini giuridici; e in termini giuridici sono pure disciplinati i rapporti fra semplici cittadini e funzionari. Ciò costituisce un elemento di garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri.

42. Però affinché l’accennata organizzazione giuridica-politica delle comunità umane arrechi i vantaggi che le sono propri, è indispensabile che i poteri pubblici si adeguino nei metodi e nei mezzi alla natura e complessità dei problemi che sono chiamati a risolvere nell’ambiente in cui operano; ed è pure indispensabile che ognuno di essi svolga la propria funzione in modo pertinente. Ciò comporta che il potere legislativo si muova nell’ambito dell’ordine morale e della norma costituzionale, e interpreti obiettivamente le esigenze del bene comune nell’incessante evolversi delle situazioni; che il potere esecutivo applichi le leggi con saggezza nella piena conoscenza delle medesime e in una valutazione serena dei casi concreti; che il potere giudiziario amministri la giustizia con umana imparzialità, inflessibile di fronte alle pressioni di qualsivoglia interesse di parte, e comporta pure che i singoli cittadini e i corpi intermedi, nell’esercizio dei loro doveri, godano di una tutela giuridica efficace tanto nei loro vicendevoli rapporti che nei confronti dei funzionari pubblici (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1942).

Ordinamento giuridico e coscienza morale

43. Un ordinamento giuridico in armonia con l’ordine morale e rispondente al grado di maturità della comunità politica, di cui è espressione, costituisce, non v’è dubbio, un elemento fondamentale per l’attuazione del bene comune.

Però la vita sociale, nei nostri tempi, è così varia, complessa e dinamica, che gli ordinamenti giuridici, anche se elaborati con competenza consumata e lungimirante avvedutezza, sono sempre inadeguati.

Inoltre i rapporti fra i singoli esseri umani; fra i singoli esseri umani e i corpi intermedi da una parte, e i poteri pubblici dall’altra; come pure i rapporti fra gli stessi poteri pubblici nell’interno della compagine statale, presentano zone spesso così delicate e nevralgiche, che non sono suscettibili di essere disciplinate con quadri giuridici ben definiti. Per cui le persone investite di autorità per essere, nello stesso tempo, fedeli agli ordinamenti giuridici esistenti, considerati nei loro elementi e nella loro ispirazione di fondo, e aperti alle istanze che salgono dalla vita sociale; come pure per adeguare gli ordinamenti giuridici all’evolversi delle situazioni e risolvere, nel modo migliore, i sempre nuovi problemi, devono avere idee chiare sulla natura e sull’ampiezza dei loro compiti; e devono essere persone di grande equilibrio e di spiccata dirittura morale, fornite di intuito pratico, per interpretare con rapidità e obiettivamente i casi concreti, e di volontà decisa e vigorosa per agire con tempestività ed efficacia.

La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica

44. È un’esigenza della loro dignità di persone che gli esseri umani prendano parte attiva alla vita pubblica, anche se le forme con cui vi partecipano sono necessariamente legate al grado di maturità umana raggiunto dalla comunità politica di cui sono membri e in cui operano.

Attraverso la partecipazione alla vita pubblica si aprono agli esseri umani nuovi e vasti campi di bene, mentre i frequenti contatti fra cittadini e funzionari pubblici rendono a questi meno arduo cogliere le esigenze obiettive del bene comune; e l’avvicendarsi dei titolari nei poteri pubblici impedisce il loro logorio e assicura il loro rinnovarsi in rispondenza dell’evolversi sociale.

Segni dei tempi

45. Nell’organizzazione giuridica delle comunità politiche nell’epoca moderna, si riscontra anzitutto la carta dei diritti fondamentali degli esseri umani: carta che viene, non di rado, inserita nelle costituzioni o che forma parte integrante di esse.

In secondo luogo si tende pure a fissare in termini giuridici, per mezzo della compilazione di un documento denominato costituzione, le vie attraverso le quali si formano i poteri pubblici; come pure i loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza, i modi o metodi secondo cui sono tenuti a procedere nel porre in essere i loro atti.

Si stabiliscono, quindi, in termini di diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pubblici; e si ascrive ai poteri pubblici il compito preminente di riconoscere, rispettare, comporre armonicamente, tutelare e promuovere i diritti e i doveri dei cittadini.

Certo non può essere accettata come vera la posizione dottrinale di quanti erigono la volontà degli esseri umani, presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima ed unica donde scaturiscono diritti e doveri, donde promana tanto l’obbligatorietà delle costituzioni che l’autorità dei poteri pubblici (cf. epist. apost. Annum ingressi di Leone XIII).

46. Però le tendenze, di cui si è fatto cenno, sono pure un segno indubbio che gli esseri umani, nell’epoca moderna, hanno acquistato una coscienza più viva della propria dignità: coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla vita pubblica, esige pure che i diritti della persona - diritti inalienabili e inviolabili - siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed esige inoltre che i poteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti da norme costituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni nell’ambito di quadri giuridici.

 

III - RAPPORTI FRA LE COMUNITÀ POLITICHE

Soggetti di diritti e di doveri

47. Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche.

Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale.

Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale.

Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: "udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale disaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri" (Sap 6,2-4).

48. Infine è pure da ricordare che anche nella regolazione dei rapporti fra le comunità politiche, l’autorità va esercitata per attuare il bene comune, che costituisce la sua ragione di essere. Elemento però fondamentale del bene comune è il riconoscimento e il rispetto dell’ordine morale. "L’ordine tra le comunità politiche ha da essere innalzato sulla rupe incrollabile e immutabile della legge morale, manifestata dal Creatore stesso per mezzo dell’ordine naturale e da lui scolpita nei cuori degli uomini con caratteri incancellabili... Quale faro splendente, essa deve, coi raggi dei suoi principi, dirigere il corso dell’operosità degli uomini e degli Stati, i quali avranno da seguirne le ammonitrici, salutari e proficue segnalazioni, se non vorranno condannare alla bufera e al naufragio ogni lavoro e sforzo per stabilire un nuovo ordinamento" (cf. Radiomessaggio di Pentecoste, 1941).

Nella verità

49. I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella verità. La quale esige anzitutto che da quei rapporti venga eliminata ogni traccia di razzismo; e venga quindi riconosciuto il principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di natura; per cui ognuna di esse ha il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo, ad essere la prima responsabile nell’attuazione del medesimo; e ha pure il diritto alla buona reputazione e ai dovuti onori.

Fra gli esseri umani molto spesso sussistono differenze, anche spiccate, nel sapere, nella virtù, nelle capacità inventive, nel possesso di beni materiali. Ma ciò non può mai giustificare il proposito di far pesare la propria superiorità sugli altri; piuttosto costituisce una sorgente di maggiore responsabilità nell’apporto che ognuno e tutti devono addurre alla vicendevole elevazione.

Così le comunità politiche possono differire tra loro nel grado di cultura e di civiltà o di sviluppo economico; però ciò non può mai giustificare il fatto che le une facciano valere ingiustamente la loro superiorità sulle altre; piuttosto può costituire un motivo perché si sentano più impegnate nell’opera per la comune ascesa.

50. Non ci sono esseri umani superiori per natura ed esseri umani inferiori per natura; ma tutti gli esseri umani sono uguali per dignità naturale. Di conseguenza non ci sono neppure comunità politiche superiori per natura e comunità politiche inferiori per natura: tutte le comunità politiche sono uguali per dignità naturale, essendo esse dei corpi le cui membra sono gli stessi esseri umani. Né va quindi dimenticato che i popoli, a ragione, sono sensibilissimi in materia di dignità e di onore.

Inoltre la verità esige che nelle molteplici iniziative rese possibili dai progressi moderni nei mezzi espressivi - iniziative attraverso le quali si diffonde la mutua conoscenza fra i popoli - ci si ispiri a serena obiettività: il che non esclude che sia legittima nei popoli una preferenza di far conoscere gli aspetti positivi della loro vita. Vanno però respinti i metodi di informazione con i quali, venendo meno alla verità, si lede ingiustamente la riputazione di questo o di quel popolo (cf. Radiomessaggio di Pio XII, 1940).

Secondo giustizia

51. I rapporti fra le comunità politiche vanno inoltre regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre che il riconoscimento dei vicendevoli diritti, l’adempimento dei rispettivi doveri.

Le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; ed hanno pure il diritto alla buona riputazione e ai debiti onori: di conseguenza e simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra i singoli esseri umani, agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre. Cade qui opportuno il detto di sant’Agostino: "Abbandonata la giustizia, a che si riducono i regni, se non a grandi latrocini?" (De civitate Dei, lib. IV, c. 4: PL, 41,115; cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1939).

Certo, anche tra le comunità politiche possono sorgere e di fatto sorgono contrasti di interessi; però i contrasti vanno superati e le rispettive controversie risolte, non con il ricorso alla forza, con la frode o con l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani, con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive e l’equa composizione.

Il trattamento delle minoranze

52. Dal XIX secolo una tendenza di fondo assai estesa nell’evolversi storico è che le comunità politiche si adeguano a quelle nazionali. Però, per un insieme di cause, non sempre riesce di far coincidere i confini geografici con quelli etnici: ciò dà origine al fenomeno delle minoranze e ai rispettivi complessi problemi.

Va affermato nel modo più esplicito che una azione diretta a comprimere e a soffocare il flusso vitale delle minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è quando viene svolta per farle scomparire.

Risponde invece ad un’esigenza di giustizia che i poteri pubblici portino il loro contributo nel promuovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed iniziative economiche (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1941).

53. Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come conseguenza di una reazione al loro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere portati, non di rado, ad accentuare l’importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a porli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’umanità fosse in funzione di ciò che e proprio della nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una condizione che consente loro l’arricchimento di se stessi con l’assimilazione graduale e continuata di valori propri di tradizioni o civiltà differenti da quella alla quale essi appartengono. Ciò però si verificherà soltanto se essi sapranno essere come un ponte che facilita la circolazione della vita nelle sue varie espressioni fra le differenti tradizioni o civiltà, e non invece una zona di attrito che arreca danni innumerevoli e determina ristagni o involuzioni.

Solidarietà operante

54. I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana.

Ciò importa non solo che le singole comunità politiche perseguano i propri interessi senza danneggiarsi le une le altre, ma che mettano pure in comune l’opera loro quando ciò sia indispensabile per il raggiungimento di obiettivi altrimenti non raggiungibili: nel qual caso però occorre usare ogni riguardo perché ciò che torna di utilità ad un gruppo di comunità politiche non sia di nocumento ad altre, ma abbia anche su esse riflessi positivi.

Il bene comune universale inoltre esige che le comunità politiche favoriscano gli scambi, in ogni settore, fra i rispettivi cittadini e i rispettivi corpi intermedi.

55. Sulla terra esiste un numero rilevante di gruppi etnici, più o meno accentuatamente differenziati l’uno dall’altro. Però gli elementi che caratterizzano un gruppo etnico non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti: ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. Né va dimenticato che se, in virtù delle proprie peculiarità etniche, gli esseri umani si distinguono gli uni dagli altri, posseggono però elementi essenziali comuni, e sono portati per natura a incontrarsi nel mondo dei valori spirituali, la cui progressiva assimilazione apre ad essi possibilità di perfezionamento senza limiti. Deve quindi essere loro riconosciuto il diritto e il dovere di vivere in comunione gli uni con gli altri.

Equilibrio tra popolazione, terra e capitali

56. Come è noto, vi sono sulla terra paesi che abbondano di terreni coltivabili e scarseggiano di uomini; in altri paesi invece non vi è proporzione tra le ricchezze naturali e i capitali a disposizione. Ciò pure domanda che i popoli instaurino rapporti di mutua collaborazione, facilitando tra essi la circolazione di capitali, di beni, di uomini (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni: XXIII).

Qui crediamo opportuno di osservare che, ogniqualvolta è possibile, pare che debba essere il capitale a cercare il lavoro e non viceversa.

In tal modo si offrono a molte persone possibilità concrete di crearsi un avvenire migliore senza essere costrette a trapiantarsi dal proprio ambiente in un altro; il che è quasi impossibile che si verifichi senza schianti dolorosi, e senza difficili periodi di riassestamento umano o di integrazione sociale.

Il problema dei profughi politici

57. Il sentimento di universale paternità che il Signore ha acceso nel nostro animo, ci fa sentire profonda amarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici: fenomeno che ha assunto proporzioni ampie e che nasconde sempre innumerevoli e acutissime sofferenze.

Esso sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v’è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell’ordine della convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella sfera di libertà e assicurarne l’immunità.

Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.

Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra.

58. Siamo lieti di cogliere l’occasione per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tutte le iniziative suscitate e promosse dalla solidarietà umana e dall’amore cristiano allo scopo di rendere meno doloroso il trapianto di persone da un corpo sociale ad un altro.

E ci sia pure consentito di segnalare all’attenzione e alla gratitudine di ogni animo retto la multiforme opera che in un campo tanto delicato svolgono istituzioni internazionali specializzate.

Disarmo

59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. "Non si deve permettere - proclama Pio XII - che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1941).

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante.

È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?

È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra" (cf. Radiomessaggio di Pio XII, 24 agosto 1939).

63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.

Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde.

Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulle loro fatiche, affinché apportino risultati positivi.

Nella libertà

64. I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre o di indebita ingerenza. Tutte invece devono proporsi di contribuire perché in ognuna sia sviluppato il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa, e l’impegno ad essere la prima protagonista nel realizzare la propria ascesa in tutti i campi.

L’ascesa delle comunità politiche in fase di sviluppo economico

65. Una comunanza di origine, di redenzione, di supremo destino lega tutti gli esseri umani e li chiama a formare un’unica famiglia cristiana. Per tale ragione nell’enciclica Mater et magistra abbiamo esortato le comunità politiche economicamente sviluppate a instaurare rapporti di multiforme cooperazione con le comunità politiche in via di sviluppo economico (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Possiamo ora costatare con soddisfazione che il nostro appello ha riscosso una larga favorevole accoglienza; e ci arride la speranza che ancor più per l’avvenire esso contribuisca a far sì che i paesi meno provvisti di beni pervengano, nel tempo più breve possibile, ad un grado di sviluppo economico che consenta ad ogni cittadino di vivere in condizioni rispondenti alla propria dignità di persona.

66. Ma non è mai abbastanza ripetuto che la cooperazione, di cui si è fatto cenno, va attuata nel più grande rispetto per la libertà delle comunità politiche in fase di sviluppo. Le quali comunità è necessario che siano e si sentano le prime responsabili e le principali artefici nell’attuazione del loro sviluppo economico e del loro progresso sociale.

Già il nostro predecessore Pio XII proclamava che "nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali non vi è posto per la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa. Se è inevitabile che i grandi Stati, per le loro maggiori possibilità e la loro potenza, traccino il cammino per la costituzione di gruppi economici fra essi e le nazioni più piccole e deboli, è nondimeno incontestabile - come di tutti, nell’ambito dell’interesse generale - il diritto di queste al rispetto della loro libertà nel campo politico, alla efficace custodia di quella neutralità nelle contese tra gli Stati, che loro spetta secondo il gius naturale e delle genti, alla tutela del loro sviluppo economico, giacché soltanto in tal guisa potranno conseguire adeguatamente il bene comune, il benessere materiale e spirituale del proprio popolo" (cf. Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 1941). Pertanto le comunità politiche economicamente sviluppate, nel prestare la loro multiforme opera, sono tenute al riconoscimento e al rispetto dei valori morali e delle peculiarità etniche proprie delle comunità in fase di sviluppo economico; come pure ad agire senza propositi di predominio politico; in tal modo portano "un contributo prezioso alla formazione di una comunità mondiale nella quale tutti i membri siano soggetti consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, operanti in rapporto di uguaglianza all’attuazione del bene comune universale" (Enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Segni dei tempi

67. Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato.

Vero è che sul terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall’orrore che suscita nell’animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia.

Però tra i popoli, purtroppo, spesso regna ancora la legge del timore. Ciò li sospinge a profondere spese favolose in armamenti: non già, si afferma - né vi è motivo per non credervi - per aggredire, ma per dissuadere gli altri dall’aggressione.

È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni.

 

IV - RAPPORTI DEGLI ESSERI UMANI E DELLE COMUNITÀ POLITICHE CON LA COMUNITÀ MONDIALE

Interdipendenza tra le comunità politiche

68. I recenti progressi delle scienze e delle tecniche incidono profondamente sugli esseri umani, sollecitandoli a collaborare tra loro e orientandoli verso una convivenza unitaria a raggio mondiale. Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose. Per cui sono aumentati enormemente e si sono infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche; come pure fra i poteri pubblici delle medesime. Mentre si approfondisce l’interdipendenza tra le economie nazionali: le une si inseriscono progressivamente sulle altre fino a diventare ciascuna quasi parte integrante di un’unica economia mondiale; e il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, e la pace all’interno di ciascuna comunità politica è in rapporto vitale con il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, la pace di tutte le altre comunità politiche.

Nessuna comunità politica oggi è in grado di perseguire i suoi interessi e di svilupparsi chiudendosi in se stessa; giacché il grado della sua prosperità e del suo sviluppo sono pure il riflesso ed una componente del grado di prosperità e dello sviluppo di tutte le altre comunità politiche.

Insufficienza dell’attuale organizzazione dell’autorità pubblica nei confronti del bene comune universale

69. L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune della intera famiglia umana.

Nei tempi passati si poteva, a ragione, ritenere che i poteri pubblici delle differenti comunità politiche potessero essere in grado di attuare il bene comune universale; o attraverso le normali vie diplomatiche o con incontri a più alto livello, utilizzando gli strumenti giuridici, quali, ad esempio, le convenzioni e i trattati: strumenti giuridici suggeriti dal diritto naturale, e determinati dal diritto delle genti e dal diritto internazionale.

70. In seguito alle profonde trasformazioni intervenute nei rapporti della convivenza umana, da una parte il bene comune universale solleva problemi complessi, gravissimi, estremamente urgenti, specialmente per ciò che riguarda la sicurezza e la pace mondiale; dall’altra parte i poteri pubblici delle singole comunità politiche, posti come sono su un piede di uguaglianza giuridica tra essi, per quanto moltiplichino i loro incontri e acuiscano la loro ingegnosità nell’elaborare nuovi strumenti giuridici, non sono più in grado di affrontare e risolvere gli accennati problemi adeguatamente: e ciò non tanto per mancanza di buona volontà o di iniziativa, ma a motivo di una loro deficienza strutturale.

Si può dunque affermare che sul terreno storico è venuta meno la rispondenza fra l’attuale organizzazione e il rispettivo funzionamento del principio autoritario operante su piano mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale.

Rapporto fra contenuti storici del bene comune e struttura e funzionamento dei poteri pubblici

71. Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione e il funzionamento dei poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente. Ciò postula che gli organi nei quali l’autorità prende corpo, diviene operante e persegue il suo fine siano strutturali e agiscano in maniera da essere idonei a tradurre nella realtà i contenuti nuovi che il bene comune viene assumendo nell’evolversi storico della convivenza.

Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni; di poteri pubblici cioè, che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale. Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti.

Poteri pubblici istituiti di comune accordo e non imposti con la forza

72. I poteri pubblici, aventi autorità su piano mondiale e dotati di mezzi idonei a perseguire efficacemente gli obiettivi che constituiscono i contenuti concreti del bene comune universale, vanno istituiti di comune accordo e non imposti con la forza. La ragione è che siffatti poteri devono essere in grado di operare efficacemente; però, nello stesso tempo, la loro azione deve essere informata a sincera ed effettiva imparzialità; deve cioè essere un’azione diretta a soddisfare alle esigenze obiettive del bene comune universale. Sennonché ci sarebbe certamente da temere che poteri pubblici supernazionali o mondiali imposti con la forza dalle comunità politiche più potenti non siano o non divengano strumento di interessi particolaristici; e qualora ciò non si verifichi, è assai difficile che nel loro operare risultino immuni da ogni sospetto di parzialità: il che comprometterebbe l’efficacia della loro azione.

Le comunità politiche, anche se fra esse corrano differenze accentuate nel grado di sviluppo economico e nella potenza militare, sono tutte assai sensibili quanto a parità giuridica e alla loro dignità morale. Per cui, a ragione, non facilmente si piegano ad obbedire a poteri imposti con la forza; o a poteri alla cui creazione non abbiano contribuito; o ai quali non abbiano esse stesse deciso di sottoporsi con scelte consapevoli e libere.

Il bene comune universale e i diritti della persona

73. Come il bene comune delle singole comunità politiche, così il bene comune universale non può essere determinato che avendo riguardo alla persona umana. Per cui anche i poteri pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona: con un’azione diretta, quando il caso lo comporti; o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie specifiche funzioni.

Il principio di sussidiarietà

74. Come i rapporti tra individui, famiglie, corpi intermedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunità politiche, nell’interno delle medesime, vanno regolati secondo il principio di sussidiarietà, così nella luce dello stesso principio vanno regolati pure i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunità politiche e i poteri pubblici della comunità mondiale. Ciò significa che i poteri pubblici della comunità mondiale devono affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale; problemi però che per la loro ampiezza, complessità e urgenza i poteri pubblici delle singole comunità politiche non sono in grado di affrontare con prospettiva di soluzioni positive.

I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza (cf. Discorso ai giovani di A.C.I. di Pio XII, 12).

Segni dei tempi

75. Come è noto, il 26 giugno 1945, venne costituita l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU); alla quale, in seguito, si collegarono gli istituti intergovernativi aventi vasti compiti internazionali in campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario. Le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza.

Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà.

Su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale. In esso infatti viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell’attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati.

Auspichiamo pertanto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite - nelle strutture e nei mezzi - si adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti; e che arrivi il giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone; e che perciò sono diritti universali, inviolabili, inalienabili. Tanto più che i singoli esseri umani, mentre partecipano sempre più attivamente alla vita pubblica delle proprie comunità politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di tutti i popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di essere membra vive di una comunità mondiale.

 

V - RICHIAMI PASTORALI

Dovere di partecipare alla vita pubblica

76. Ancora una volta ci permettiamo di richiamare i nostri figli al dovere che hanno di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica; e di adoprarsi quindi, nella luce della fede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone il loro perfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello soprannaturale.

Competenza scientifica, capacità tecnica, esperienza professionale

77. Non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo. A tale scopo è necessario inserirsi nelle sue istituzioni e operare validamente dal di dentro delle medesime. Però la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i suoi contenuti scientifico-tecnici.

Per cui non ci si inserisce nelle sue istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti.

L’azione come sintesi di elementi scientifico-tecnico professionali e di valori spirituali

78. Amiamo pure richiamare all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica, l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano; e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.

A tale scopo si richiede certamente che gli esseri umani svolgano le proprie attività a contenuto temporale, obbedendo alle leggi che sono ad esse immanenti, e seguendo metodi rispondenti alla loro natura; ma si richiede pure, nello stesso tempo, che svolgano quelle attività nell’ambito dell’ordine morale; e quindi come esercizio o rivendicazione di un diritto, come adempimento di un dovere e prestazione di un servizio; come risposta positiva al disegno provvidenziale di Dio mirante alla nostra salvezza; si richiede cioè che gli esseri umani, nell’interiorità di se stessi, vivano il loro operare a contenuto temporale come una sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali.

Ricomposizione unitaria nei credenti tra fede religiosa e attività a contenuto temporale

79. Nelle comunità nazionali di tradizione cristiana, le istituzioni dell’ordine temporale, nell’epoca moderna, mentre rivelano spesso un alto grado di perfezione scientifico-tecnica e di efficienza in ordine ai rispettivi fini specifici, nello stesso tempo si caratterizzano non di rado per la povertà di fermenti e di accenti cristiani.

È certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano e si ritengono cristiani; e non è dubbio che, in parte almeno, lo erano e lo sono. Come si spiega? Riteniamo che la spiegazione si trovi in una frattura nel loro animo fra la credenza religiosa e l’operare a contenuto temporale. È necessario quindi che in essi si ricomponga l’unità interiore; e nelle loro attività temporali sia pure presente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica.

Sviluppo integrale degli esseri umani in formazione

80. Ma pensiamo pure che l’accennata frattura nei credenti fra credenza religiosa e operare a contenuto temporale, è il risultato, in gran parte se non del tutto, di un difetto di solida formazione cristiana. Capita infatti, troppo spesso e in molti ambienti, che non vi sia proporzione fra istruzione scientifica e istruzione religiosa: l’istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad attingere gradi superiori, mentre l’istruzione religiosa rimane di grado elementare. È perciò indispensabile che negli esseri umani in formazione, l’educazione sia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di pari passo con la continua sempre più ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il metodo idoneo secondo cui svolgere in concreto i loro compiti (cf. enc. Mater et magistra di Giovanni XXIII).

Impegno costante

81. Riteniamo opportuno di fare presente come sia difficile cogliere, con sufficiente aderenza, il rapporto fra esigenze obiettive della giustizia e situazioni concrete; di individuare cioè i gradi e le forme secondo cui i principi e le direttive dottrinali devono tradursi nella realtà.

E l’individuazione di quei gradi e di quelle forme è tanto più difficile nell’epoca nostra, caratterizzata da un dinamismo accentuato. Per cui il problema dell’adeguazione della realtà sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette mai una soluzione definitiva. I nostri figli pertanto devono vigilare su se stessi per non adagiarsi soddisfatti in obiettivi già raggiunti.

Anzi per tutti gli esseri umani è quasi un dovere pensare che quello che è stato realizzato è sempre poco rispetto a quello che resta ancora da compiere per adeguare gli organismi produttivi, le associazioni sindacali, le organizzazioni professionali, i sistemi assicurativi, gli ordinamenti giuridici, i regimi politici, le istituzioni a finalità culturali, sanitarie, ricreative e sportive alle dimensioni proprie dell’era dell’atomo e delle conquiste spaziali: era nella quale la famiglia umana è già entrata e ha iniziato il suo nuovo cammino con prospettive di un’ampiezza sconfinata.

Rapporti fra cattolici e non cattolici in campo economico-sociale-politico

82. Le linee dottrinali tracciate nel presente documento scaturiscono o sono suggerite da esigenze insite nella stessa natura umana, e rientrano, per lo più, nella sfera del diritto naturale. Offrono quindi ai cattolici un vasto campo di incontri e di intese tanto con i cristiani separati da questa Sede apostolica quanto con esseri umani non illuminati dalla fede in Gesù Cristo, nei quali però è presente la luce della ragione ed è pure presente ed operante l’onestà naturale. "In tali rapporti i nostri figli siano vigilanti per essere sempre coerenti con se stessi, per non venire mai a compromessi riguardo alla religione e alla morale. Ma nello stesso tempo siano e si mostrino animati da spirito di comprensione, disinteressati e disposti ad operare lealmente nell’attuazione di oggetti che siano di loro natura buoni o riducibili al bene" (Ivi, p. 456).

83. Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio.

84. Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?

85. Pertanto, può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e i gradi dell’eventuale consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e utili al vero bene della comunità, sono problemi" che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale, sia individuale che sociale. Perciò, da parte dei cattolici tale decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono od operano nei settori specifici della convivenza, in cui quei problemi si pongono, sempre tuttavia in accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive della autorità ecclesiastica. Non si deve, infatti, dimenticare che compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell’ordine etico e religioso, ma anche di intervenire autoritativamente presso i suoi figli nella sfera dell’ordine temporale, quando si tratta di giudicare dell’applicazione di quei principi ai casi concreti (Ivi, 456; cf enc. Immortale Dei di Leone XII; enc. Ubi Arcano di Pio XI, 1922).

Gradualità

86. Non mancano anime particolarmente dotate di generosità, che, trovandosi di fronte a situazioni nelle quali le esigenze della giustizia non sono soddisfatte o non lo sono in grado sufficiente, si sentono accese dal desiderio di innovare, superando con un babro solo tutte le tappe; come volessero far ricorso a qualcosa che può rassomigliare alla rivoluzione.

Non si dimentichi che la gradualità è la legge della vita in tutte le sue espressioni; per cui anche nelle istituzioni umane non si riesce ad innovare verso il meglio che agendo dal di dentro di esse gradualmente.

"Non nella rivoluzione - proclama Pio XII - ma in una evoluzione concordata sta la salvezza e la giustizia. La violenza non ha mai fatto altro che abbattere, non innalzare; accendere le passioni, non calmarle; accumulare odio e rovine, non affratellare i contendenti; e ha precipitato gli uomini e i partiti nella dura necessità di ricostruire lentamente, dopo prove dolorose, sopra i ruderi della discordia" (cf. Discorso agli operai italiani di Pio XII).

Compito immenso

87. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio.

88. Certo, coloro che prestano la loro opera alla ricomposizione dei rapporti della vita sociale secondo i criteri sopra accennati non sono molti; ad essi vada il nostro paterno apprezzamento, il nostro pressante invito a perseverare nella loro opera con slancio sempre rinnovato. E ci conforta la speranza che il loro numero aumenti, soprattutto fra i credenti. È un imperativo del dovere; è un’esigenza dell’amore. Ogni credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto più lo sarà, quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio.

Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l’ordine voluto da Dio. "Vuole l’anima tua - si domanda sant’ Agostino - vincere le tue passioni? Sia sottomessa a chi è in alto e vincerà ciò che è in basso. E sarà in te la pace: vera, sicura, ordinatissima. Qual è l’ordine di questa pace? Dio comanda all’anima, l’anima al corpo; niente di più ordinato" (Miscellanea Augustiniana...).

Il Principe della pace

89. Queste nostre parole, che abbiamo voluto dedicare ai problemi che più assillano l’umana famiglia, nel momento presente, e dalla cui equa soluzione dipende l’ordinato progresso della società, sono dettate da una profonda aspirazione, che sappiamo comune a tutti gli uomini di buona volontà: il consolidamento della pace nel mondo.

Come vicario - benché tanto umile ed indegno - di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace, (cf. Is 9,6) abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.

90. È questa un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto. Affinché l’umana società sia uno specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto dall’alto. Per questo la nostra invocazione in questi giorni sacri sale più fervorosa a colui che ha vinto nella sua dolorosa passione e morte il peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri ed ha riconciliato l’umanità col Padre celeste nel suo sangue: "Poiché egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola... E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai vicini" (Ef 3,14-17).

E nella liturgia di questi giorni risuona l’annuncio: "Surgens Iesus Dominus noster, stans in medio discipulorum suorum, dixit: "Pax vobis, alleluia"; gavisi sunt discipuli, viso Domino" (Resp. ad Mat., in feria VI infra oct. Paschae). Egli lascia la pace, egli porta la pace: "Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat ego do vobis" (Gv 14,27).. Questa è la pace che chiediamo a lui con l’ardente sospiro della nostra preghiera.

91. Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace.

In pegno di questa pace e con l’augurio che essa irraggi nelle cristiane comunità a voi affidate, specialmente a beneficio dei più umili e più bisognosi di aiuto e di difesa, siamo lieti di dare a voi, venerabili fratelli, ed ai sacerdoti del clero secolare e regolare, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli delle vostre diocesi, particolarmente a coloro che porranno ogni impegno per mettere in pratica le nostre esortazioni, la benedizione apostolica, propiziatrice dei celesti favori. Infine, per tutti gli uomini di buona volontà, destinatari anch’essi di questa nostra lettera enciclica, imploriamo dal sommo Iddio salute e prosperità.

Dato a Roma, presso S. Pietro, l’11 aprile 1963.


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