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Gregorio XVI
Quod litteris


Nella lettera inviata a te, il diletto figlio Felice Lamennais accennava di voler scrivere direttamente a Noi; ora la sua annessa epistola, che egli Ci fece pervenire da Parigi il giorno cinque di questo mese, dimostra che da lui è stato rapidamente rispettato tale impegno. Con quale sentimento l’abbiamo letta può facilmente comprenderlo al primo sguardo la tua fraternità. Tosto vedrai delusa quella buona speranza che egli aveva infuso nella lettera precedente quando chiedeva che gli si suggerissero le parole con cui potesse più chiaramente testimoniare la sua filiale obbedienza in modo che di essa fossimo pienamente convinti. Avvertendo infatti quanto le decisioni e i sentimenti del suo animo ivi espressi siano discordanti da quelli che (secondo il monito del santo Leone Magno) devono essere palesati "senza ambiguità" e con assoluta franchezza, dichiarammo, nel risponderti, quanto sappiamo che tu hai trasmesso a lui. Abbiamo pertanto convenuto che sia assolutamente ingiusto tacere su di una questione di tanta importanza, in nome di quella sollecitudine che Ci sospinge ad applicare in fretta i rimedi quando si tratti della salute delle anime; perciò, per mezzo del Nostro Venerabile Fratello Bartolomeo, Vescovo di Ostia, Cardinale decano di Santa Romana Chiesa (al quale eravamo ricorsi per comunicare al Lamennais la lettera enciclica) manifestammo a lui la Nostra amarissima delusione per quel suo nuovo atteggiamento, come tu stesso hai appreso dalla annessa epistola dello stesso Cardinale.

Tuttavia ritenemmo opportuno scrivere a te, Venerabile Fratello, come a colui che scegliemmo interprete del Nostro pensiero per ammonire Lamennais con paterno affetto e che chiamiamo a testimonio del sommo dolore di cui siamo afflitti: dolore che avvertiamo tanto più acutamente, quanto più, con la maggiore benevolenza richiamammo quel diletto figlio perché, reggendosi sui dettami della verità, della rettitudine e dell’onestà, ponesse fine a questa tristissima questione ed estirpasse dalla casa d’Israele lo scandalo che, come dice il Pontefice San Nicola, "corrompe la concordia utile in ogni circostanza". D’altronde gridiamo amorevolmente che il cuore del Nostro paterno affetto é ancora spalancato per lui, e da lui aspettiamo quel cumulo di gioia per mezzo del quale egli possa finalmente rispondere ai Nostri voti ed ai Nostri consigli con pari fede e sincerità. È nostro compito ora affidare la soluzione di questa questione che riguarda la Chiesa a Colui che comanda ai venti e può ottenere che si plachino.

Siano dunque solleciti i Vescovi nel vigilare assiduamente perché si diffonda ovunque, e di giorno in giorno più efficacemente, la dottrina riposta nella Nostra lettera enciclica, che promulgammo richiamandoci alle santissime regole delle scritture, della tradizione, dei canoni, dei padri e della disciplina, conforme al divino volere. Quindi accadrà (per dirla con San Leone Magno) "che Noi siamo ansiosi di salvare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, raccoglieremo il frutto del Nostro insegnamento e Ci compiaceremo delle opere tue e dei tuoi confratelli. Vogliamo pertanto che sia compito vostro come Nostro... far sì che l’errore non trovi seguaci o li perda se li ha trovati". E perché ciò accada presto, invochiamo con assidua e umile preghiera dall’Autore di ogni buon consiglio la protezione celeste e a te, Venerabile Fratello, e al gregge affidato alle tue cure impartiamo con molto affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 29 novembre 1833, anno terzo del Nostro Pontificato.


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