+
Gregorio XVI
Quae nuncia


Carissimi figli in Cristo, le notizie che sono state riportate recentemente da codeste regioni Ci hanno recato non lieve dolore e contemporaneamente consolazione. Abbiamo saputo infatti che mentre è ancora in atto, anzi diviene sempre più crudele, la persecuzione dei pagani contro i cristiani, nella regione orientale del Tonchino sono stati uccisi di spada gli esimii presuli Ignazio Delgado, Nostro Vicario, Vescovo della Chiesa di Milopotamos, e Domenico Henares, suo coadiutore, Vescovo di Fessei, insieme con altri operatori della Chiesa. Ci è stato inoltre annunciato che nel Vicariato occidentale il Nostro Vicario, ugualmente stimato, Giuseppe Maria Havard, Vescovo di Castoria, è morto consumato dalle fatiche e dai disagi, e che parecchi altri ministri di Cristo sono stati stroncati dalla spada dei persecutori, e altri infine sono stati uccisi nella Cocincina.

Sarebbe stato certamente necessario rallegrarsi del fatto che la Chiesa di Dio abbia riportato nuovi e insigni trionfi sull’empietà dei gentili, e che tanti santissimi e validissimi uomini abbiano combattuto fino alla morte in difesa della divina Religione di Cristo, tuttavia abbiamo provato grandissimo dolore considerando in quale e quanto grave pericolo vi trovavate voi tutti, amatissimi figli. Di qui, non solo in nome della universale sollecitudine dalla quale siamo spinti verso tutte le Chiese, ma anche in nome di quel peculiare affetto con cui vi seguiamo, rivolgiamo costì, verso di voi, l’animo Nostro e tutte le preoccupazioni, in modo da mettere altri capi ed altri reggitori che guidino sulla via di Dio al posto di coloro che ora non ci sono più.

Frattanto,nel timore che venuti meno i pastori si disperdano le pecore del gregge, e che impauriti dalle minacce dei persecutori, dagli apparati e dalla crudeltà delle torture vi perdiate d’animo, non abbiamo cessato di pregare per voi Dio Ottimo Massimo, affinché fortificati dall’aiuto celeste siate in grado di resistere agli assalti degli empi.

Il medesimo motivo, inoltre, Ci ha indotto a farvi giungere questa lettera, con la quale vi abbracciamo con paterno amore e vi esortiamo e preghiamo nel nome di Dio che custodiate inviolato quell’inestimabile dono di Dio che avete ricevuto, cioè la fede cattolica.

Non temete mai, come Cristo insegna, "coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima: ma temete colui che può mandare in perdizione, all’inferno, l’anima e il corpo"; non abbiate timore di un temporaneo e lieve tormento, sapendo quale eterna grandezza di gloria si operi in voi. Guardate, vi prego, verso Gesù Cristo, santissimo e divino fondatore della fede, che vi ha chiamati dalle tenebre alla meravigliosa luce della sua Religione e che per procurare a voi la salvezza ha dato la vita fra aspri tormenti. Rivolgete lo sguardo agl’incliti esempi dei Vescovi, i quali, per assolvere degnamente la loro funzione di pastori, non hanno esitato a dare la loro vita per voi. E se ci sono stati per caso fra di voi alcuni (come abbiamo saputo, non senza grande dolore, che ci sono stati) che, colpiti da eccessivo terrore delle torture, hanno raggiunto tale punto di empietà da vergognarsi di testimoniare Cristo davanti agli uomini, li esortiamo e li preghiamo a lavare con le lacrime del pentimento una colpa tanto detestabile, e a cercare d’implorare con ogni mezzo il perdono dalla misericordia di Dio.

E voi, dilettissimi figli in Cristo, che vi siete tenuti lontani dal compiere una colpa così grande, non perdetevi d’animo per le gravi difficoltà che state sostenendo; tale infatti è la provvidenza di Colui che, generosissimo e sapientissimo, regge tutte le cose e che permette che siano tormentati da molte e diverse avversità coloro che egli abbraccia con speciale predilezione. Guardate il cielo; per coloro che combattono valorosamente, si prepara la corona dell’immortalità: i giorni della lotta per voi saranno brevi, ma godrete alla fine della medesima eterna felicità di cui è beato Dio. Ché anzi, anche in questo itinerario di vita mortale, non sempre i cristiani devono sopportare il dolore, ma i migliori di essi solitamente ricevono più amarezze che consolazioni. Né per questo sarete sempre oppressi da questa acerba tribolazione, ma liberi alla fine da ogni timore e come salvati da una furiosa tempesta, mentre onorerete in pace il Dio vero, rivolgerete a Lui perenne riconoscenza per la tranquillità raggiunta. Ed ora a voi tutti, che vi affidate a Dio onnipotente, impartiamo con amore l’Apostolica Benedizione, auspice di celeste aiuto.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 4 agosto 1839, anno nono del Nostro Pontificato.


  Magistero pontificio - Copertina