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Benedetto XIV
Magnae nobis


È stato causa di grande meraviglia e di non minore dolore il fatto che dalla relazione di uomini degni di fede e da sicura comunicazione di uomini seri abbiamo imparato che in codesto Regno di Polonia ha preso forza una certa falsa, diffusa opinione: cioè che da questa Sede Apostolica (che Noi dirigiamo per divina volontà, pur senza Nostro merito) furono concesse e spedite, e tuttora si concedono e si sogliono spedire, certe dispense matrimoniali in cui sono tolti gli impedimenti canonici che si oppongono a contrarre matrimonio validamente, anche se uno dei contraenti, o ambedue, professano apertamente una setta eretica. E poiché questo è stato pensato e diffuso per offesa e intollerabile calunnia, penseremmo di venire meno all’officio del Nostro ministero apostolico se a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti coloro cui giungerà questa Lettera, non rendessimo manifesto quale sia in questo genere di cose la costante regola di agire di questa Sede Apostolica e la costante consuetudine; se non ammonissimo con forza e nel nome della divina misericordia, Voi tutti, anche singolarmente, di codesto Regno di Polonia (sempre eminente per fede e religione) nonché i Presuli ordinari, a leggere con attenzione le lettere delle dispense matrimoniali che vengono spedite da questa Sede e da questa Curia per gli abitanti di codesto Regno, e ad invitarvi a che vi adoperiate affinché esse vengano considerate con la massima cura dai Vostri Vicari e dai vostri funzionari. Noi abbiamo la certezza, e questo lo chiariremo subito, che se su questo argomento si è sbagliato, non accadde per colpa della Sede Apostolica e dei suoi ufficiali, ma degli Ordinari locali e dei loro ministri, che non si curarono di leggere quelle lettere o di riflettere su di esse.

Né è necessario affrontare la questione quando si può abbondantemente dimostrare l’antichità di quella regola per cui la Sede Apostolica sempre disapprovò i matrimoni dei cattolici con gli eretici. Ma quanto a questo saranno sufficienti alcune considerazioni, con le quali possiamo dimostrare che la stessa disciplina e regola furono costantemente osservate fino ai nostri tempi, e vigoreggiano non meno integre presso di Noi e la Sede Apostolica, e sono religiosamente custodite. È quello che di se stesso e dei suoi tempi ha attestato il nostro Predecessore di felice memoria Urbano VIII nella sua Lettera apostolica del 30 dicembre 1624 che si legge presso il cardinale Albizio nel libro intitolato De inconstantia in Fide, c. 37, n. 127, dove così scrive: "Giustamente crediamo che i matrimoni di cattolici con eretici si debbano sempre evitare e, per quanto sta in Noi, intendiamo tenerli lontani dalla Chiesa Cattolica". Né meno chiaramente espose il suo parere il Nostro Predecessore di pia memoria Papa Clemente XI nella Lettera scritta il 25 giugno 1706 e stampata nella Raccolta dei suoi Brevi e Lettere, divulgata a Roma nel 1724 dove, a p. 321, così si legge: "Stimiamo essere di somma importanza per la Chiesa di Dio, per la Sede Apostolica, per i Nostri Predecessori e per i Sacramenti che non si trasgrediscano le regole secondo le quali i cattolici devono evitare il matrimonio con gli eretici, a meno che non richieda questo il bene di tutta la Comunità Cristiana". In altra Lettera del 23 luglio 1707, pubblicata nella stessa Raccolta a p. 391, scrive: "La Chiesa aborrisce da questi matrimoni che portano con sé molte imperfezioni e non poco di spirituale pericolo".

Crediamo anche che sia abbastanza chiaro il Nostro giudizio su questo argomento nel rescritto decretale emesso per Nostra autorità il 4 novembre 1741 e stampato nel tomo I del Nostro Bollario (n. 34, par. 3), le cui parole sono le seguenti: "Sua Santità si addolora moltissimo che vi siano tra i cattolici coloro che impazziscono per un insano amore, non detestano questi riprovevoli matrimoni che Santa Madre Chiesa sempre condannò e proibì e non pensano di astenersi. Loda assai lo zelo di quei Vescovi che, proponendo più severe pene spirituali, cercano di costringere i cattolici a non congiungersi con gli eretici con questo sacrilego vincolo; esorta ed ammonisce seriamente tutti i Vescovi e i Vicari apostolici, i Parroci, i Missionari e tutti gli altri fedeli Ministri di Dio e della Chiesa che stanno in quelle parti, soprattutto dell’Olanda e del Belgio, affinché i cattolici di ambo i sessi, per quanto possono, si astengano da siffatte nozze che tornano a danno delle loro anime, e si diano da fare per mutare le nozze stesse nel migliore dei modi e impedirle efficacemente". In subordine, qualora sia già stato contratto il matrimonio di un cattolico con un eretico, si stabilisce: "Ciò deve indurre nell’animo dello sposo cattolico, sia maschio sia femmina, di fare Penitenza per il gravissimo peccato che ha compiuto e chieda perdono a Dio e cerchi secondo le sue forze di trarre al grembo della Chiesa cattolica l’altro coniuge lontano dalla vera Fede e così guadagnare la sua anima; ciò sarebbe quanto mai opportuno per impetrare il perdono per il crimine commesso, sapendo del resto, come si è detto sopra, che si è legati in perpetuo dal vincolo di questo matrimonio".

A queste regole per così dire fondamentali della Sede Apostolica, risponde prima di tutto la stessa norma di comportamento confermata dall’uso costante. Infatti tutte le volte che capita di ricorrere ad essa, sia per ottenere la semplice facoltà di contrarre matrimonio tra persone, una delle quali professa l’eresia, sia inoltre per ottenere la dispensa di qualche grado o di altro impedimento canonico, esistente tra i contraenti, non si concede né licenza né dispensa se non con questa espressa legge e con questa condizione: cioè che prima sia stata abiurata l’eresia. Ché anzi il Nostro Predecessore di venerata memoria, Papa Innocenzo X, andando più avanti, comandò e mise in guardia di non concedere siffatte dispense se non fosse stato informato, con documenti autentici, che l’errore eretico era stato abiurato dal contraente eterodosso. Ciò lasciò testimoniato il lodato cardinale Albizio, allora assessore della Congregazione dell’Inquisizione Universale, nel succitato trattato De inconstantia in Fide (cap. 18, n. 44). Il citato Predecessore Clemente XI nella Congregazione del Sant’Officio da lui presenziata il 16 giugno 1710 comandò che fosse proibito per lettera all’Arcivescovo di Malines di concedere alcuna licenza o dispensa per i matrimoni tra un contraente cattolico e un altro eretico se non si fosse avuta in precedenza l’abiura dell’eresia; e decretò che fossero duramente ammoniti i teologi che avevano espresso opinioni contrarie a questa prassi, come tramandò Vincenzo, di buona memoria, Cardinale di Santa Romana Chiesa, soprannominato Pietra, nel suo commento alla Costituzione XII di Giovanni XXII (tomo 4, p. 76, n. 14).

Ché se si trovano alcuni esempi di Romani Pontefici che concessero licenze di contrarre matrimonio, o anche di dispensa da un impedimento, senza porre la condizione di abiurare prima l’eresia, diciamo che queste condizioni prima di tutto furono rarissime; e la maggior parte di esse furono fatte per matrimoni fra Augusti Principi e non senza un grave motivo che riguardava il pubblico bene. Inoltre furono sempre adottate le opportune cautele in modo che il coniuge cattolico non potesse essere pervertito dall’eretico, anzi sapesse che egli era tenuto, secondo le sue forze, a recuperare costui dall’errore. Inoltre la prole di ambo i sessi che fosse nata dal matrimonio sarebbe stata educata nella santità della Religione Cattolica. Infine è facile riconoscere che nel genere di queste concessioni non c’è alcuna possibilità di errore per coloro che le eseguono, a meno che essi vogliano mancare scientemente in qualcosa e manchino al loro dovere volontariamente. Da ultimo, da ciò che è stato detto risulta apertamente che in tutti i casi nei quali si chiedono facoltà o dispense alla Sede Apostolica per matrimoni di un uomo cattolico, o donna cattolica, con una donna eretica, o uomo eretico: la stessa Sede Apostolica, come sopra dicemmo, sempre disapprovò e condannò questi matrimoni, come anche ora li disprezza e detesta, se non sono preceduti dall’abiura dell’eresia.

Tutte le volte che per qualche probabile causa si chiedono dispense per matrimoni che sono da contrarre tra eretici, questo non viene mai detto espressamente nella richiesta. Non potendo i Ministri della Sede Apostolica e gli Ufficiali saperlo indovinando, a chiudere la bocca di chi parla a vanvera e di chi calunnia basterebbe dire questo: che non si concede alcuna dispensa che non sia diretta ad un esecutore determinato, al quale viene dato il mandato di conoscere la verità di tutto ciò che è esposto, e faccia sortire, come effetto, la dispensa, servatis servandis. Non essendo lecito a costui di ignorare che i matrimoni dei cattolici con gli eretici sono disapprovati e condannati dalla Sede Apostolica, facilmente può conoscere quale dei due contraenti che ha il difetto dell’eresia (e di cui non si ha alcuna menzione nella lettera di dispensa) fu nascosto alla Sede Apostolica; appartiene al suo ufficio sospendere l’esecuzione di questa lettera, e notificare per lettera, con la dovuta deferenza, al Romano Pontefice o ai suoi ufficiali il motivo di questa sospensione, così come il Nostro Predecessore Papa Alessandro III prescrive una volta di fare all’Arcivescovo di Ravenna in una sua lettera che, a perenne effetto, fu riportata nel Codice delle Decretali, capitolo Si quando, de Rescriptis, dove si legge: "Considerando diligentemente la qualità dell’affare per il quale ti si scrive, o osservi attentamente il mandato nostro, o per iscritto esponi una causa ragionevole per cui non puoi obbedire: perché se tu non lo farai, sopporteremo con sofferenza ciò che Ci è stato riferito con malvagia insinuazione".

Ma non si ferma qui l’attenzione della Sede Apostolica e dei suoi Ufficiali. Se si chiede la dispensa per rimuovere l’impedimento canonico di un matrimonio per una ragionevole causa, si faccia presente che si appartiene a quelle regioni nelle quali i cattolici vivono frammisti agli eretici, e non si può constatare con certezza che ambedue i postulanti o uno di essi soltanto professano la Religione Cattolica; i suddetti ufficiali, interpretando onestamente il pensiero del Pontefice, presumono sempre che l’uno e l’altro postulante siano cattolici, perché le loro domande presentate nella richiesta (la chiamano Supplica) da sottoporre alla firma del Pontefice, si esprimono con queste parole: "I predetti richiedenti, che sono fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e vivono e intendono vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana, ecc.; con cui combaciano altre parole che si scrivono in parte al condizionale a maggiore cautela, e cioè: Finché i predetti richiedenti vivano fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e intendano vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana".

Premesso ciò, a buon diritto chiediamo: poiché le lettere di dispensa matrimoniale furono concepite con queste espressioni e furono spedite con questo senso, se poi venga in chiaro che i contraenti erano eretici, o uno cattolico e l’altro eretico, e tuttavia la dispensa viene mandata ad esecuzione, di chi sarà la colpa e chi a buon diritto potrà essere accusato della dispensa accordata a chi era indegno? Forse colui che in buona fede e con le opportune cautele e con giuste condizioni la concesse, oppure colui che, non avendo tenuto in nessuna considerazione le condizioni o non avendo premesso nessun accertamento sui contraenti, permise che la dispensa, contro la volontà del concedente, ottenesse un ingiusto effetto?

Ma qualcuno dirà che non tutte le lettere di dispensa sono spedite munite di queste clausole dal momento che nello stesso Regno di Polonia, da alcuni anni in qua, qualche dispensa fu inviata da Roma senza alcuna condizione. L’aspetto di questi fatti che Noi abbiamo presenti nella mente, vogliamo qui chiarire. La dispensa era a favore dell’età di una ragazza cui mancavano sei mesi per raggiungere i dodici anni, che per le donne costituiscono l’età legittima per contrarre matrimonio. In quella concessione fu detto che "l’astuzia suppliva così l’età, che a buon diritto la ragazza poteva sposarsi". Pertanto, più che una dispensa, questa era una lettera chiarificatrice, dal momento che la facoltà di sposarsi prima dell’età prescritta, ogni volta che l’astuzia supplisce l’età, deriva dalla stessa disposizione delle leggi e dei Canoni. Ché, anzi, i Vescovi e gli Ordinari con diritto personale possono pronunciarsi sulla questione, che è di fatto: se cioè la furberia, come si dice, supplisce l’età e di conseguenza si può concedere il permesso di contrarre matrimonio, non è necessario ricorrere alla Santa Sede se non per maggiori solennità dell’atto "e perché non succeda che per la minore età dei contraenti si discuta della validità del matrimonio", come dice la formula che si suole usare nello scrivere le lettere declaratorie sulla minore età. Se infatti i Canonisti insegnano che è cumulativo il diritto tra la Sede Apostolica e i Giudici ordinari di conoscere e di pronunciarsi su questo argomento, cioè se l’astuzia supplisca l’età, è solo della Sede Apostolica il diritto di concedere la dispensa al matrimonio all’impubere che, a motivo dell’età, non è ancora maturo per la copula coniugale, ma tuttavia ha tale uso della ragione da capire l’importanza e la natura del matrimonio. Infatti, per la validità del matrimonio, come si richiede l’uso di ragione per diritto naturale e divino, così si richiede la potenza in atto all’atto coniugale dal diritto Canonico. Il Romano Pontefice è sopra il diritto Canonico: ma un Vescovo qualunque è inferiore al diritto e quindi non può derogare alle sue leggi.

Ma, tralasciata questa questione se la licenza di contrarre matrimonio prima dell’età legittima quando l’astuzia supplisca l’età, è da vedere se si tratta di una dispensa o piuttosto di una dichiarazione, e perciò se ci si debba accostare agli atti della grazia e della giustizia. Oltre a ciò, si deve vedere se nelle Lettere Apostoliche scritte su questo argomento (quantunque quelle parole e quelle condizioni che si è soliti apporre nelle altre dispense qui non si leggano) siano tuttavia presenti altre parole equipollenti. Secondo il valore di queste Lettere, l’Esecutore delegato (qualora un contraente o ambedue siano colpiti da eresia, e ciò non è espresso nella supplica al concedente, né per altra via si è potuto saperlo) è tenuto ad astenersi dal dare attuazione. Di questo non si può dubitare, se si sta attenti a ciò che in seguito è richiesto nelle Lettere all’Esecutore: "Di informarsi diligentemente dei permessi e di vedere se veramente e legittimamente consti che in questo impubere l’astuzia supplisca al difetto dell’età". Allo stesso si comanda che permetta al richiedente, "purché non osti altro impedimento canonico, di contrarre matrimonio con un uomo non escluso per qualche norma oppure in forza di qualche dispensa apostolica, osservata la forma del Concilio di Trento". Con queste parole s’impone all’Esecutore quella legge che poco consente all’impubere di godere l’effetto della dispensa o della declaratoria, se avrà indagato che lo stesso ha in animo di contrarre nozze vergognose con un eretico.

Il Nostro discorso si fa troppo lungo, più di quanto all’inizio di questa Lettera Ci eravamo proposti; ma non Ce ne pentiamo minimamente. Infatti Ci sta molto a cuore, e interessa molto alla Religione Cattolica e alla Sede Apostolica, che non si ignori la realtà dei fatti e che le false dicerie diffuse contro la Sacra Cattedra di Pietro non siano credute; se si compiono cose contro i Sacri Canoni, non se ne attribuisca la responsabilità a chi non l’ha.

Perché la fine della Nostra Lettera torni là dove ebbe il principio, a Te, Venerabile Fratello e a tutti i Presuli Ordinari di codesto Regno, ancora raccomandiamo fortemente di disporre che dai vostri Ufficiali siano considerate attentamente le Lettere di dispensa che vi sono inviate per l’esecuzione, né vogliate ritenere superfluo – se in esse sembri esservi qualcosa di abnorme o di nuovo – dissertare sulla verità o falsità di esse. Infatti è molta la malizia dell’uomo sulla terra e a Noi non è dato sapere fin dove possa arrivare l’audacia dei falsari. Giunse inoltre al Nostro orecchio che vi fu un tale il quale, disattendendo l’impedimento di grado, unì in matrimonio un uomo eretico con una donna cattolica; ed avendo saputo che la sua azione era criticata, non si peritò di affermare che in tale occasione era dotato della Dispensa Apostolica che aveva ricevuta da Roma; ed essendo stato invitato a produrre la lettera di dispensa, non poté mai mostrarla perché non l’aveva mai ricevuta. Ma Noi, in verità, che abbiamo un giudizio più positivo dell’inclita Nazione Polacca (che abbracciamo con affetto di paterna carità) e dei Presuli consacrati di codesto Regno (che tutti e singolarmente teniamo in grande considerazione), non crediamo che un delitto così efferato sia mai stato tollerato.

A Te, Venerabile Fratello e al Gregge a Te affidato impartiamo con tutto il cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1748, anno ottavo del Nostro Pontificato.


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