9 marzo 2002

Una preside racconta: così ho visto cadere i ragazzi più fragili
 
Droga in classe
Il racconto di una preside
 
L'inchiesta della Nazione sul consumo di droga fra i nostri giovani nelle scuole prosegue e fa discutere. Sul tema ospitiamo un intervento della professoressa Erina Cini Bandini, preside del liceo scientifico «Niccolò Rodolico»
Erina Cini Bandini
Sono stata un'insegnante di Scienze Naturali e come tale referente alla salute per anni e sono Preside di Istituti superiori da quasi venti anni. Ho così frequentato corsi di aggiornamento, seminari, convegni sull'argomento droga e ho incontrato la maggior parte degli operatori campo anche perché molti sono stati chiamati nelle scuole in cui insegnavo o che dirigevo affinché loro parlassero da esperti agli studenti, ma i messaggi inviati dagli adulti fanno poca presa sui giovani. Questo è un argomento di cui non parlo volentieri perché mi spaventa. Le realtà nelle varie scuole sono diverse e il fenomeno e più o meno sviluppato a secondo il tipo di scuola. In uno dei primi seminari sull'argomento a cui ho assistito, organizzato dall'amministrazione provinciale credo ancora negli anni settanta, ho incontrato un operatore di un centro per il recupero dei tossicodipendenti. Un medico che al mattino faceva l'anestesista e che ci disse: ogni paziente ha livelli di soglia diversi riguardo alla droga che inietto per farli "addormentare".
Coloro che «partono» alla prima fiala appartengono alla categoria di quelli che una volta provata una sostanza sia essa tabacco, hashish, droga pesante di ogni tipo cade subito in assuefazione e nessuno di noi, prima di provare, può sapere a che categoria appartiene e, continuò, voi che operate nella scuola ditelo ai vostri studenti.
Io non ho fatto che dirlo e ripeterlo perché a questa categoria appartiene il 7% di coloro che si avvicinano a queste sostanze.
Tutti noi conosciamo persone che non possono smettere di fumare anche se affette da enfisema polmonare o da grossi problemi al cuore e le droghe leggere nel 7% dei casi catturano chi le usa con necessità sempre maggiori.
Ho conosciuto abbastanza studenti che hanno cominciato come tutti i loro compagni come per rito di iniziazione a farsi una «canna», e mentre per gli altri restava un rito saltuario, qualcosa che si poteva abbandonare in qualunque momento, per loro diventava una necessità sempre più pressante ed era necessario uscire di classe arrivavano sempre più tardi sempre più strani.
Diminuisce infatti il potere di concentrazione e la capacità di impegno, diminuisce il potere di inibizione con conseguenze diverse a seconda del carattere personale dello studente.
Allora cominciano ad avere un profitto sempre più scarso, ma con un po' di roba non importa più tanto.
Non è difficile individuare la causa di questo cambiamento e allora si mobilitano i docento, i C.I.C., si coinvolgono i genitori ma quel "7%" continua ad avere un rendimento sempre più scarso e alla fine la scuola non può più promuoverli, non può più aiutarli anche perché spesso smettono di venire.
Ho sentito una volta don Stinghi sostenere ad un'assemblea degli studenti che spesso i giovani si rifugiano nella droga perché la scuola li ha emarginati.
E' un gatto che si morde la coda: è la droga anche leggera che avvia il decadimento del profitto, e il decadimento del profitto e gli infiniti problemi che nascono sempre li spingono sempre più verso la droga.
I giovani si sentono onnipotenti, ognuno di loro è convinto di provare e di smettere in ogni momento ma non è così, i più fragili cadono, individuare di chi è la colpa non è facile.
Erina Cini Bandini

Preside del liceo scientifico
«Niccolò Rodolico»