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a Roma una mostra su Italo Svevo

Aperta a Roma la mostra dedicata allo scrittore Italo Svevo 
Un intellettuale borghese in lotta con se stesso 
Tonino Bucci 

E' un destino insolito quanto indicativo della coscienza intellettuale italiana del primo Novecento quello che spetta a Italo Svevo. Quanto questa anomalia sia sintomatica del carattere profondo degli intellettuali italiani, è un elemento già inscritto nella doppia cittadinanza dello scrittore, nato in una città come Trieste, per un verso integrata nello sviluppo economico e culturale dello Stato asburgico - nell'area germanica - per un altro legata all'Italia dalla questione della lingua. La vita e il percorso formativo di Svevo somiglia a una trama labirintica in cui convivono esperienze tra loro opposte: gli studi nel collegio bavarese di Segnitz, l'attività borghese negli affari, le vocazioni letterarie destinate a infrangersi spesso dinanzi a frustrazioni e fallimenti fino a tarda età. Tutti questi aspetti si riflettono peraltro nella mostra dedicata, a partire da ieri, allo scrittore triestino "La coscienza di Svevo" che ne ripercorre l'itinerario culturale attraverso le varie tappe delle sue letture. Da quelle, appunto, condotte nel collegio di Segniz a quelle delle assidue visite nella biblioteca civica "Attilio Hortis" della sua città, fino allo studio di volumi di psicologia - da cui Svevo trarrà l'ispirazione freudiana delle sue opere mature. Visitabile a Roma nel complesso dei Dioscuri (via Piacenza 1) fino al 6 febbraio, la mostra è in realtà la tappa ulteriore di un ciclo di iniziative analoghe - dal titolo "Da libro a libro" - sulle biblioteche dei grandi scrittori, dedicate negli anni passati a Pascoli, Pirandello, Ungaretti, Verga e Manzoni. 
«Se si confrontano i volumi superstiti della biblioteca personale di Svevo, molti sono andati distrutti a causa dei bombardamenti dell'ultima guerra, con quelli degli altri grandi scrittori italiani, ad esempio Pirandello e Pascoli, ci si accorge che tutti si occupavano di psicologia». Annamaria Andreoli, studiosa sveviana intervenuta ieri alla presentazione della mostra, prova così a trarre ipotesi di letture dal progetto complessivo "Da libro a libro" ideato da Francesco Sicilia, direttore generale per i beni librari e gli istituti culturali. «Molto prima dell'incontro con Freud, accertabile intorno al 1908 e nel contesto di interessi che contemplano più voci in ambito psichiatrico - scrive ancora Andreoli nel catalogo della mostra sveviana pubblicato da De Luca editori - Svevo è sulla via di quell'autoanalisi che gli farà ammettere, riconsiderandolo a oltre trent'anni di distanza, la sostanza "veramente autobiografica" di Una vita (1892), il primo romanzo. Né bisogna attendere le scoperte peripezie di Zeno (1923) perché la scrittura venga intesa come terapia». Il genere narrativo del romanzo si intreccia, dal fondo del Novecento, con la vocazione della letteratura a farsi luogo dell'introspezione, del linguaggio che, a un tempo, rimuove e svela nelle sue crepe i contenuti inconsci della psiche. Così la Coscienza di Zeno è intessuto di una scrittura fatta di ammissioni e ritrattazioni, di giuramenti solenni smentiti nel momento stesso in cui vengono formulati, di continue elisioni e spostamenti del discorso. «Fra le letture condotte nella biblioteca triestina, che ogni giorno risarciscono Svevo della trita routine bancaria, sono senz'altro decisive quelle che lo inducono a guardare alla letteratura come a un gioco di specchi in cui riflettere i turbamenti a cui saprà dare il nome di nevrosi». 

Allo stessa maniera appare nevrotica la condizione stessa di Svevo, lacerato in una doppia vita di cui l'una - quella da borghese laborioso attaccato al proprio benessere sociale e domestico - predomina sulla seconda - quella marginale di scrittore votato al fallimento e agli insuccessi. «Se Tonio Kröger è un borghese sviato dall'arte - scrive Claudio Magris tra i contributi del catalogo - che l'arte dunque riesce almeno parzialmente ad allontanare dall'attività borghese, Svevo è un artista che la vita borghese è stata sul punto di deviare dalla poesia, o almeno dalla sua passione esclusiva, e di rinserrare nei propri ranghi. La vittoria dello spirito borghese, differita ed elusa da Svevo con una dissimulata guerriglia quotidiana di gesti e di sentimenti, si delinea sino all'ultimo come un esito inesorabile della condizione umana». Del resto, questa scissione attiene, in qualche misura, alla figura tipica dell'intellettuale borghese italiano che non riesce a tradurre la propria attività economica - dominante nella società - nella produzione di una cultura davvero "nazionale e popolare". Anzi, l'unico modo di autorappresentarsi è di essere portatore di una cultura autonoma, separata dal rozzo lavoro e talmente lontana da un'identità nazionale italiana da figurarsi come cosmopolita. «La vita vera si è esiliata dal reale per rifugiarsi nell'analisi della realtà, nella riflessione su se stessa... Svevo esemplifica questa latitanza della vita nei due motivi della vecchiaia e dell'inettitudine, assunti a simbolo dell'individuo nella tarda civiltà borghese».

[Liberazione, 22 novembre 2002]