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The Last Days
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globul2a.gif (67 byte) Survivors of the Shoah Visual History Foundation
globul2a.gif (67 byte) The Last Days
globul2a.gif (67 byte) Steven Spielberg and Shoah Foundation Present CD-ROM of Holocaust Survivors' Testimonies
globul2a.gif (67 byte) Altri links

Gli studenti delle classi quarte e quinte del nostro liceo hanno assistito alla proiezione del documentario The Last Days.
Questo è lo spazio per le loro considerazioni,
ma è anche uno spazio aperto
a tutti coloro che vogliono intervenir
e
Spedite da qui le vostre considerazioni

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pallino_rosso.gif (419 byte) Continuare la discussione già iniziata nelle classi

Il 15 novembre le classi quarte e quinte del nostro liceo hanno assistito alla proiezione del documentario  “Gli ultimi giorni” costruito  sulle testimonianze di sopravvissuti alla Shoah.  
Il lavoro si inserisce  nella attività della Survivors of the Shoah visual history foundation, 
istituita nel 1994. La fondazione ha appunto il compito di raccogliere e archiviare interviste con  chi alla Shoah è sopravvissuto o ne è in qualche modo stato testimone:  più di 50.000 testimonianze, in 57 nazioni e in 31 lingue, sono state raccolte.

Attingendo a queste fonti il documentario ricostruisce le vicende di cinque  sopravvissuti, ebrei ungheresi attualmente cittadini americani. Il racconto dei protagonisti si concentra soprattutto sull’ultimo anno di guerra - dal marzo 1944, quando la Germania invade l’Ungheria, sua vecchia alleata che sta però avviando trattative di una pace separata con gli Alleati, al maggio 1945-  ed ha come momento culminante la deportazione e la permanenza nei lager. 
Ma  lo scenario proposto è molto più ampio: si spinge indietro, agli anni  di piena e riconosciuta cittadinanza e all’emergere dell’antisemitismo, e arriva ad oggi, agli anni della memoria, dell’impegno al ricordo, dell’elaborazione della sofferenza.
Molte, e molto intense, le emozioni   che attraversano le testimonianze: il dolore del lutto, la nostalgia di un passato felice, l’orrore di fronte alla violenza, l’umiliazione, il rifiuto del proprio annientamento, la pietà… Si aprono questioni di forte rilevanza esistenziale ed etica: l’identità individuale e collettiva dei protagonisti annientata dal lager e tuttavia tenacemente ricostruita (pensiamo alle bambine che nelle latrine del lager intonano le preghiere e ritrovano in qualche modo una loro dignità); l’esigenza, per i sopravvissuti, di non dimenticare e di fare della propria esperienza il perno di una rinnovata identità (pensiamo al loro attuale impegno nell’alimentare fra le nuove generazioni la memoria e la conoscenza della Shoah); la responsabilità dei singoli ( il dottor Munch e i suoi esperimenti sui deportati)…
Molti, infine, gli spunti di riflessione su aspetti più specificamente storiografici, sia metodologici che tematici: il peso delle fonti orali nella ricerca e le modalità del loro uso; le origini dell’antisemitismo e il suo ruolo nell’ideologia nazista; la conoscenza -o meno- da parte della popolazione civile, e delle stesse comunità ebraiche, di quanto avveniva nei lager; la funzione dei  Sonderkommando; l’organizzazione dei campi; gli esperimenti medici sui prigionieri.

 Ci piacerebbe che la discussione su questi temi, già iniziata nelle classi, potesse circolare; che le osservazioni, gli apprezzamenti, le critiche già emersi potessero arricchirsi nel confronto collettivo.

Giuseppina Caputo
insegnate di storia e filosofia nel corso C

pallino_rosso.gif (419 byte) Riflessioni sul silenzio di tanti
L’umanità durante la seconda Guerra Mondiale non ha dato la prova della sua crudeltà e del suo stato ancora primitivo, ma ne ha dato conferma, mostrando quanto cammino dovrà essere percorso prima di arrivare alla consapevolezza di cosa sia la vita umana, e di che grande dono rappresenti.
Alle soglie del nuovo millennio si è giunti a condannare definitivamente ciò che i nazifascisti hanno compiuto durante la guerra, i milioni di persone ebree condannate ingiustamente a morte, le migliaia di deportati, non saranno dimenticate grazie alla coscienza dell’uomo che ha mostrato la sua pietà di fronte la ferocia dell’uomo. I libri di storia non saranno più mutilati, i film sullo sterminio rimarranno per sempre impressi nelle nostre menti, lo sguardo vacuo di uomini non più umani, privati dell’orgoglio, della dignità, nonché di ogni forza vitale, fino ad essere privati della vita, che a quel punto forse non era più tanto importante.
Steven Spielberg è forse il regista più illustre che abbia sviluppato nei suoi film un tema così delicato, mostrandone con maestria tutti i lati più drammatici e disumani, ed è inutile cercare di esprimere a parole ciò che significano quelle immagini, le montagne di cadaveri, i corpi scheletrici dei pochi sopravvissuti, il loro dolore, quei campi infernali. A chiunque consiglio di andare a vedere una delle opere di questo mirabile regista americano, affinché ognuno possa prendere coscienza dell’arretratezza del genere umano, consapevoli però che lo sterminio degli ebrei non fu l’unico, basti pensare alle popolazioni indiane d’America, cancellate una dopo l’altra, come animali in via d’estinzione, schiavizzati e poi annullati. Se qualcuno poi pensa che oggi finalmente possiamo godere di una qualche maturità si sbaglia di grosso perché proprio mentre sono qui a scrivere c’è probabilmente un tibetano la cui vita viene spenta da un cinese che, magari proprio come qualche tedesco, combatte per un odio che non è il suo; ma c’è una cosa che mi inquieta, forse di più, ed è che probabilmente nessun tibetano mai avrà l’opportunità di descrivere le sofferenze del proprio popolo come Spielberg, quei patimenti che poi saranno dimenticati ingiustamente, come i patimenti di milioni di deportati nei campi di sterminio in Siberia dell’allora governo sovietico, uccisi dal freddo tra altrettante atroci sofferenze di quelle degli ebrei; forse Hitler aveva ragione a dire che la storia non giudica i vincitori?
Quasi ancora meno notizia, e a torto, fecero le immagini risalenti ai primi anni novanta quando in Bosnia serbi avevano realizzato dei campi di concentramento, dove lo spettro di quel virus di pazzia e di disumanità già incombeva sui corpi di quelle persone omai strette in una morsa insopportabile della fame. Troppo poco si disse e troppo poco si dice, quando non vengono ricordate quelle vite spente nelle fredde steppe dell’est o nelle ancor più vicine nel tempo e nello spazio regioni balcaniche; nessuno mai probabilmente ci parlerà con la stessa pietà, con la stessa drammaticità di queste persone, come è stato fatto per gli ebrei, e perché mi chiedo: forse perché sono stati diversi i motivi che hanno condotto a tali atrocità? Beh, se di fronte alla vita umana si fa ancora distinzione per le ragioni a causa delle quali quella è tolta, allora mi rendo conto che la strada di cui parlavo prima è ancora molto lontana e il cammino è ancora arduo, e purtroppo ci sarà ancora il rischio di non arrivare mai, come si è rischiato dopo la seconda Guerra Mondiale.
Mi piacerebbe invece che Steven Spielberg ora che ha già compiuto vari capolavori sullo sterminio degli ebrei, si dedicasse anche alla storia di altri popoli che sono stati trattati analogamente, perché tutto si deve sapere e tutti devono essere giudicati.


Tommaso Coli, V B