Panikkar,
il dialogo nonostante tutto
di OTTAVIO ROSSANI
Corriere della sera, 21 ottobre 2001
Il
teologo cattolico rifiuta l'idea della violenza. E spiega perché la guerra non
ha futuro
Raimon
Panikkar, 83 anni, fisico asciutto, fasciato da vesti indiane, con i sandali, è
entrato nelle "Giornate del centro Pio Manzù" a Rimini (fino a
domani), portando una ventata di fiducia. Mentre gli scienziati parlano di
prospettive catastrofiche per il cattivo uso dei risultati delle ricerche,
mentre i politici non sanno ipotizzare come finirà lo scontro con il terrorismo
internazionale, Raimon Panikkar, sacerdote cattolico, teologo, filosofo, fine
traduttore dei Veda dal sanscrito (Rizzoli), introduce la parola
"dialogo". E un suo libro è appunto L'incontro indispensabile. Il
dialogo delle religioni (Jaca Book 2001). Nel clima di depressione generale in
cui si analizza lo choc mondiale dell'attacco alle Twin Towers, questo
sacerdote, che è andato vicino allo zucchetto da vescovo ("per due volte
me la sono scampata!", dice sorridendo), sostiene che le religioni devono
parlare tra loro rispettando le proprie specificità, che è salvifico il
"dialogo intrareligioso". Nato a Barcellona, madre spagnola e padre
indiano, ha vissuto in Europa, in America e 25 anni in India. Oggi vive a
Tavertet, in Catalogna, quando non è in viaggio.
"Dialogo
intrareligioso vuol dire che bisogna scoprire in se stessi il terreno in cui
l'induista, il musulmano, l'ebreo e l'ateo possono trovare un posto. Se non apro
il mio cuore, se non vedo che l'altro non è altro ma parte di me, non potrò
mai dialogare con lui". Il mondo va male: che si deve fare per farlo andare
meglio? "Non ho ricette". Ma qualche indicazione i suoi libri la
danno.
"La
cosa più importante è quella che è vera in questo istante. Viviamo il
momento". Sembra epicureismo, il suo. "No. È consapevolezza". Se
fosse così semplice, il mondo dovrebbe trovarsi meglio di come è, no?
"Nella tradizione cattolica il mondo è una valle di lacrime. Gran parte
della spiritualità buddista sta nel trovare pace e felicità in un mondo di
sofferenza". Ma qualcosa gli uomini devono fare con la volontà e con la
ragione... "Non si lotta contro il male. Per trovare rimedio contro una
bomba non si usa un'altra bomba. Se per combattere il male si usano le stesse
armi, non si trova il bene ma si produce ancora più male. Il Vangelo dice:
"Non resistere al Maligno"". Che cosa bisogna fare, quindi?
"Bisogna trasformare. Cominciando a trasformare il piccolo male che c'è in
me. Se non trovo pace dentro di me, trasformandomi, come posso comunicare pace
agli altri? Non è un discorso morale, ma antropologico". E questa
guerra... "Ancora non è tanto grande, ma lo diventerà". È una
profezia? "Non sono profeta. Questo è solo senso comune, vedere le
cose". Cioè? "Le bombe non servono. Ci vuole il dialogo per trovare
l'accordo". Ma se l'altro è sordo? "Presunzione pensare che l'altro
sia sordo. L'odio e la vendetta non portano da alcuna parte, non
costruiscono".
Lei parla all'uomo religioso o all'uomo laico? "A tutti. Pico della Mirandola scrisse: Dio ha creato l'uomo a metà, perché lui potesse completarsi. Destino e felicità in qualche modo sono nelle nostre mani. Questa è la specificità dell'uomo, che altrimenti sarebbe una scimmia sviluppata che usa la forza". Ma questo dialogo di cui lei parla come arma per conquistare la pace, che cos'è? "Nel vecchio inglese si diceva intercourse , cioè conversare ma anche fare l'amore. Una volta nelle università si insegnava l'arte della retorica, cioè come saper parlare. Oggi stiamo cinque ore davanti a un computer e cinque minuti con una persona". Tutto quindi resta com'è! "No. Se raggiungo la serenità, questo è più contagioso di qualsiasi antrace". E Dio? "Se capisci Dio, allora non è Dio. L'uomo ha fede quando riconosce che oltre la realtà c'è qualcosa di trascendente. Dice il poeta Tagore: quando un figlio nasce vuol dire che Dio non ha ancora perso la speranza nell'umanità. I poeti esprimono meglio i sentimenti nascosti che ogni uomo ha".