<Liceo Rodolico - Firenze> <Guerra> <Esercizi>

Esercizio 1: "I'm willing to give him to you"

La frase che segue è tratta dal discorso di Bush all'inizio dell'attacco all'Afghanista; occupa circa il 7% dell'intero messaggio; può essere utile per chiarire lo spirito che il presidente coglie nel suo paese e la concezione che egli ha del rapporto fra "popolo" e "stato".
Analizzate la frase, ovviamente nel contesto dell'intero discorso.

"I recently received a touching letter that says a lot about the state of America in these difficult times, a letter from a fourth-grade girl with a father in the military.
"'As much as I don't want my dad to fight,' she wrote, 'I'm willing to give him to you.'
"This is a precious gift. The greatest she could give. This young girl knows what America is all about.

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Esercizio 2: fedeli e infedeli

La frase che segue è tratta dal discorso di Osam Bin Laden dopo l'attacco USAall'Afghanista.
Analizzate la frase, ovviamente nel contesto dell'intero discorso.

"Dico loro che questi fatti hanno diviso il mondo in due campi: quello di chi ha fede e quello degli infedeli. Dio ci protegga e vi protegga da loro."

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Esercizio 3: responsabili?

In che misura siamo responsabili della Shoa? In che misura lo siamo della situazione attuale?
Commenta il seguente articolo del filosofo Gianni Vattimo

 

Gianni Vattimo, Noi non c'entravamo

(La Stampa, 7 ottobre 2001)

Responsabilità globale davanti ai nuovi orrori

Dunque, se anche guerra sarà, una guerra di cui del resto già ora non sappiamo nulla, né se è già scoppiata, né come e dove si combatte o si combatterà, l'informazione sul suo svolgimento non sarà molto diversa da com'è ora. Bush e i suoi capi militari ci hanno già avvertito: niente più dirette della Cnn dalle città bombardate o dai deserti percorsi da carri armati, niente più "briefing" dei comandanti in zone di operazione, speriamo anche niente più interviste agli eventuali Cocciolone prigionieri del nemico. Tanto meglio per la serenità delle nostre cene e per la tranquillità dei bambini.

O forse no: è fatale che i media, lasciati a corto di immagini e notizie dal fronte, si rivolgano alla tragedia umanitaria che si delinea fin d'ora come di proporzioni bibliche: centinaia di migliaia di persone che cercano di fuggire dall'Afghanistan minacciato, dove fame e siccità che da anni lo devastano sono destinate a diventare ancora più intollerabili; i campi profughi del Pakistan in cui si "vive" accatastati in bidonville di fango e stracci; bambini gonfi di denutrizione e malattie, i cui virus sono seminati da quel terrorista supremo che è la miseria.

Come reagiremo a questa nuova ondata di orrori? Ci sarà certamente chi, non senza qualche buona ragione, troverà che i mezzi di informazione fanno di tutto uno spettacolo, davanti al quale il senso di pena e di impotenza si trasforma inevitabilmente in una soddisfazione morbosa, come in un teatro tragico dove non c'è catarsi, ma solo il dubbio piacere di sentirsi capaci di provare pietà... Penso a certe pagine di Jonas o di Hannah Arendt, sulla responsabilità "radicale" che, paradossalmente (perché non ne abbiamo colpa), ci cade addosso quando rievochiamo Auschwitz, i gulag, i massacri di cui è costellato il secolo appena concluso.

L'insofferenza per cui a un certo punto ci sembra di dover reagire pensando ad altro, per evitare di cadere preda di sentimenti morbosi (perché inutili, perché solo reazione da anime belle che guardano ma non c'entrano..), è forse la tentazione caratteristica del nostro mondo della comunicazione generalizzata. Il fatto è che ci ribelliamo alla consapevolezza di non esser più soltanto cittadini di un paese, di una regione, di un continente; a un mondo di visibilità totale, di possibilità di distruzione totale, di globalizzazione tecnologica, commerciale, esistenziale, si addice solo una responsabilità totale.

Non possiamo più dire che non c'entriamo, e magari metterci il cuore in pace partecipando a una sottoscrizione benefica. La globalità della minaccia terroristica è forse solo l'aspetto esterno di questa nuova dimensione della nostra esistenza, che merita di preoccuparci ancora di più che i pericoli materiali a cui d'ora in avanti saremo più esposti.

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