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Il Messaggero-22 OTTOBRE 2001

 

L’odio rischia di scardinare la democrazia
di RENATO MINORE

Il filosofo Remo Bodei parla della fragilità dei Paesi industrializzati di fronte all’emergenza terrorismo. E di un pericolo reale e temibile

Con l'attentato di New York e tutto quello che è venuto dopo, l'attacco all'Afghanistan e il terrorismo batteriologico, un sistema di vita dominato dalle macchine ha dimostrato la sua estrema fragilità. Il filosofo Remo Bodei si interroga su questo aspetto: "E' un sistema, il nostro, che si è dimostrato esile, vulnerabile, precario al massimo".

Professore, c'è' stato un effetto sorpresa che continua con il terrore di questi ultimi giorni per l'antrace e altre armi simili. Tutte le nostre città appaiono fragili, fragilissime. Tutte possono essere colpite.

"I sistemi di vita tanto più sono complessi, più sono vulnerabili. Tutto il nostro mondo industrializzato può ora ricevere - lo sappiamo - questi colpi tremendi dall'esterno. Il ritorno a tecnologie di basso livello (come hanno fatto i terroristi) provoca quello scontro di cui leggevamo a scuola: tra i romani e i cartaginesi, tra la balena inglese e l'elefante napoleonico. Sono scale diverse. Ci ritenevamo sostanzialmente immuni rispetto alla violenza endemica del mondo".

L'attentato ha dimostrato che siamo immersi in un contesto globale?

"Il problema è che stanno disorganizzando dall'interno i nostri sistemi. Non eravamo più abituati ad avere paura. In larga parte del mondo si vive nella paura della guerra. Noi avevamo una specie di cordone ombelicale. Oggi l'incertezza deriva dalla trasmissione di questi germi pericolosissimi di natura batteriologica. Oppure subdolamente vengono assaltati i sistemi di tipo finanziario. Uno si trova o più povero o più incerto o più malato. Salta una delle basi del nostro comportamento: la fiducia nelle istituzioni e quella reciproca. Si vive nel sospetto che è delle situazioni di emergenza. Si pensi alla Rivoluzione francese o allo stalinismo. Abbiamo questo nemico invisibile che fa serpeggiare una terribile incertezza".

Una guerra senza confini. Che tipo di guerra è quella senza confini? Le energie omicide del presente non si lasciano ricondurre in alcun modo ad alcuna tradizione, hanno sintomi assolutamente contemporanei?

"Con queste armi biologiche che sono relativamente a basso costo e diffondono la paura a livello capillare, la guerra non ha più fronti. E' difficile estirpare il terrorismo, quando è così ramificato, non sai da che parte proviene. E' un tipo di guerra che non ha di fronte eserciti che combattono lungo linee definite. Diffonde incertezza e paura nelle popolazioni come una specie di pulviscolo. Pulviscolare è il germe dell'antrace".

Per Arthur Miller non è un'offensiva del Terzo Mondo contro gli Stati Uniti. E' una guerra di arrabbiati che odiano la vita, che amano la morte. Il grande Satana non è l'Occidente né l'Islam, ma l'odio e il fanatismo. E' d'accordo sulla risposta che è stata finora data?

"Un atto così grave non poteva restare senza risposta. Diceva Machiavelli: "Gli stati non si governano con i pater noster". Non rispondere sarebbe equivalso a mostrare debolezza. Il linguaggio delle armi e quello della benevolenza e della pace non coincidono. Miller dice una mezza verità. Certamente c'è un intento nichilista molto forte, c'è voglia di distruggere. A testa fredda dobbiamo capire perché l'Occidente si sia attirato grandi odii, capirne le radici. Noi abbiamo un modo di vita (i diritti civili, la separazione tra stato e chiesa, il modo di trattare le donne) che va difeso. Dobbiamo però guardare al lato oscuro del nostro preteso universalismo. Trovo rozza l'opposizione tra superiorità e relativismo. Abbiamo valori che per noi sono da difendere e da estendere in paesi che vorrebbero maggior libertà. La radice dell'odio è però quella forma di umiliazione che a torto o a ragione certi paesi sentono nei confronti dell'Occidente".

Esiste il rischio che la tutela dei diritti civili "debba sedersi una fila più indietro"?

"Nei momenti di isterismo si tende a fare di ogni erba un fascio sostituendo la retorica al ragionamento. I diritti civili vanno mantenuti, non si deve proporre una caccia indiscriminata per l'appartenenza a una religione. E' pericoloso e non serve a cacciare davvero i terroristi".

L'Occidente è pronto ad accettare le migliaia di morti - morti sul campo di battaglia o colpiti dai bacilli nelle nostre città - che possono essere vittime di una rappresaglia?

"La guerra del Kosovo è stata l'unica guerra della storia in cui i vincitori non hanno avuto morti. Anche nel Golfo è accaduta la stessa cosa. Gli americani sono abituati a contare in modo molto alto il valore della vita umana. La forza dei terroristi nasce dal fatto che sono disposti a morire. Questo provocherà un cambiamento. Dovremmo accettare una nuova etica del sacrifico. Oggi la minaccia riporta le armi e il sacrificio in prima linea. Il problema è di accettare un cambiamento di mentalità così veloce e di renderlo plausibile. La gente non ha voglia di morire per Kabul".

L'undici settembre è una sorta di spartiacque tra prima e dopo?

"Ha introdotto un elemento nuovo, l'odio a cui le democrazie si erano disabituate. Noi siamo cresciuti nella mitezza e nella tolleranza. Erano disincentivati tutti gli atteggiamenti di aggressività oltre certe soglie, come un ring in cui i pugili non potevano dare colpi sotto la cintura. Meglio ragionare che propugnare i valori assoluti, "ultimi" che hanno provocato le guerre di religione. Le democrazie nascono in difesa dei valori penultimi. L'unico valore ultimo della democrazia è quello di compatibilità degli stili di vita".

La democrazia è dunque questa tolleranza, questa compatibilità. Se sono musulmano e tu sei cristiano, ci teniamo privatamente la nostra fede e non la imponiamo agli altri con la violenza. Ora tutto può cambiare?

"L'odio scatenato dall'attentato scardina le difese immunitarie della democrazia. L'altro diventa il nemico, il male assoluto contro cui si combatte. Aristotele diceva che la differenza tra l'ira e l'odio è che nell'ira puoi fare il male che hai ricevuto all'altro, nell'odio lo vuoi annientare".

Cambia anche il nostro senso di appartenenza a una istituzione, a uno stato?

"E' possibile che, almeno nei nostri paesi, si abbia una sorta di strabismo. Da un lato ciascuno di noi è più insicuro e pensa a se stesso, vive più isolato. Dall'altro avrà sempre più bisogno di quella protezione dello stato che era dato per spacciato. C'è un ritorno alla grande dello stato. Abbiamo vissuto anche in Italia sussidarietà, privatizzazione, il "facciamo da noi". Lo stato sembrava un vecchio arnese o il classico guardiano notturno. Oggi può tornare lo stato "massimo", non quello minimo. Cioè una democrazia a cemento armato che ha dentro l'acciaio".