Per Umberto Galimberti

inondare l'Espresso di e-mail | L'insegnamento è come la virtù: premia se stesso | Lettera aperta al prof. Galimberti |

 

 

 

 

Cari colleghi,
dopo aver letto l'ultimo numero dell'Espresso penso che la GILDA, in qualità di associazione professionale a tutela dell'immagine della professione docente, dovrebbe esporre querela all'autore dell'articolo.
Intanto non compriamo più l'Espresso e inondiamolo di e-mail.
Ciao
Angelo Scebba

L’insegnamento è come la virtù: premio a se stesso.
Considerazioni in merito all’intervista di Galimberti

Insegno da ventisei anni e trovo che l’intervista rilasciata da Umberto Galimberti all’Espresso si presti ad alcune considerazioni.
Si dice che “ l’insegnante fa un lavoro autorealizzativo, non alienato”. L’affermazione potrebbe, sia pure  in qualche misura, essere condivisa: possiamo anche concedere che il nostro lavoro sia, per certi aspetti,  privilegiato , se non altro perché il contatto con le giovani generazioni costituisce un punto di osservazione sulla società,  a cui - personalmente - rinuncerei malvolentieri. Ma da questo non consegue che  il lavoro dell’insegnante non debba avere un adeguato riconoscimento economico, e adeguato proprio alla delicatezza  e alla complessità di questo contatto con i giovani. Che senso ha affermare che un lavoro gratificante- ammesso poi che l’insegnamento lo sia del tutto, e per tutti- non debba essere ben pagato? Un medico, un magistrato -per citare professioni che come quella dell’insegnante comportano una grande responsabilità- che svolgano volentieri il loro lavoro, non hanno forse diritto a vederlo riconosciuto anche economicamente, che poi vuol dire socialmente? E che dire del docente universitario, la cui funzione non è solo quella di fare ricerca, ma, appunto, di insegnare?
Si dice poi che l’insegnamento richiede doti di particolare equilibrio e saggezza. E’ indubbio che un insegnante saggio ed equilibrato sia migliore di uno che non lo è, ma - ancora una volta - siamo sicuri che questa considerazione non si estenda ad altre professioni, e in particolare a quelle che comportano particolari assunzioni di responsabilità? Addirittura, dice Galimberti,  chi non è un vero maestro (“che educa”), ma un semplice professore (“che spaccia della merce”) non dovrebbe insegnare. Effettivamente avere come guida un autentico mastro è un formidabile privilegio, ma come tale eccezionale e fortuito. Quanti Socrate ha avuto l’antichità? E d’altra parte quanti onesti insegnanti che, pur senza possedere doti straordinarie, hanno contribuito alla formazione dei cittadini?
E ancora, gli insegnanti guadagnerebbero fin troppo per quello che fanno. Tutte le professioni possono essere svolte in vario modo , con livelli molto differenti di preparazione, attitudine, disponibilità, motivazione. Non si capisce perché questa considerazione debba valere solo per gli insegnanti e possa giustificare che il riconoscimento economico sia adeguato al livello più basso. Che poi, per basso che sia, comporta pur sempre una laurea e una abilitazione.
Infine, se è vero che qualche adolescente può essere stato rovinato dai suoi insegnanti, non mancano purtroppo  casi di mala sanità o errori giudiziari, casi che ragione vuole vengano imputati alla responsabilità dei singoli e non alla natura di un’intera categoria.

Giuseppina Caputo

LETTERA APERTA AL PROF. GALIMBERTI

 

Vorrei rispondere alle affermazioni del prof. Galimberti nella sua intervista all’Espresso sullo stipendio degli insegnanti con la massima «freddezza» possibile (le sue dichiarazioni suscitano forti reazioni emotive e chiamano all’invettiva): per questo farò ricorso a uno «schemino»:

1. Il prof. Galimberti, per la sua posizione nella società e per le sue professioni, ha un compito educativo ben superiore a quello di qualsiasi insegnante di scuola: le sue riflessioni raggiungono milioni di persone e incidono nella formazione dell’opinione pubblica. Quindi al prof. Galimberti toccano gli stessi obblighi che lui richiede agli insegnanti: educare e non spacciare merce.

1.1 Educare non significa soltanto «trasmettere» bene la Gerusalemme Liberata o insegnate Leopardi «mettendo in gioco emotività, passione, amore»; educare è prima di tutto, come diceva Kant a proposito dell’illuminismo, aiutare i giovani (e anche i non giovani) a uscire dalla minore età, a usare la loro testa, ad avere il coraggio della critica.

1.1.1 L’autonomia e la critica sono la negazione del conformismo, dell’assecondare l’opinione dei piú. Chi piú ha amato l’umanità – da Cristo a Nietzsche – ha rifiutato lo spirito del gregge, ha condannato la menzogna dei pochi che si impone come verità ai molti.

2. I molti, nella nostra società della tecnica, credono che le macchine siano piú importanti degli uomini: dal sondaggio dell’Espresso emerge che per il 73% degli italiani eventuali «fondi consistenti da dedicare alla scuola» dovrebbero essere impiegati per «rinnovare e aggiornare edifici e materiale scolastico», mentre soltanto il 21% sostiene che dovrebbero essere utilizzati per gli insegnanti.

2.1 Il prof. Galimberti, che pure in piú di un’occasione ha espresso le sue critiche alla società della tecnica, in questo caso asseconda e favorisce la tendenza della comune opinione: buone macchine possono sostituire in maniera vantaggiosa cattivi insegnanti.

3. L’insegnante «lavora con materiale umano, forma individui», sostiene giustamente Galimberti, e quindi, proprio perché protagonista di un processo di formazione, l’insegnante fa un «lavoro autorealizzativo», come quello dell’artista che crea costantemente qualcosa di nuovo, trasforma la realtà, porta alla luce ciò che non c’era (o che era nascosto).

3.1 Il «materiale umano» di cui dispongono gli insegnanti non è però la docile creta o il resistente marmo che si trovano davanti gli scultori; è, come dice lo stesso Galimberti, «un mondo di alcol, discoteche, droga, dissipazione del tempo e di comupter»; è un mondo dove «c’è visibilità totale delle cose ma mancano i codici per dare un senso alle cose».

3.1.1 Quello dell’insegnante risulta pertanto in assoluto il lavoro piú difficile che si possa pensare: contrastare, interpretandolo criticamente, il mondo di cui al punto precedente, prodotto dall’affermazione di un pensiero totalitario portato avanti dai padroni del mondo (della scienza, della tecnica, della cultura, delle comunicazioni, della politica, ecc.); e, contestualmente, fornire ai giovani gli strumenti per interpretare autonomamente e dare un senso a questo mondo.

3.1.1.1 Ne consegue la ovvietà del fatto che la stragrande maggioranza degli insegnanti non sia in grado di assolvere a questo compito, che va ben al di là di insegnare bene Leopardi o Tasso.

3.2 L’esperienza che Galimberti ha fatto per 15 anni nelle medie, nei tecnici e nelle magistrali, risale sicuramente – per motivi anagrafici – agli anni Settanta; e posso assicurargli che il «materiale umano» presente oggi nelle scuole è ben diverso da quello che lui ha conosciuto. Del resto non dovrebbe essere difficile rendersene conto osservando quello che gli arriva all’Università.

3.2.1 Domanda per inciso: all’Univestità viene meno il compito dell’educatore a vantaggio di quello di «spacciatore di merce», seppure preziosa e di alta qualità?

3.2.1.1 Altra domanda per inciso: i colleghi universitari di Galimberti si meritano tutti (o in maggiornaza), per il lavoro che fanno e per l’orario che svolgono, stipendi ben piú alti di quello di un operaio?

4. Il prof. Galimberti sostiene che il lavoro dell’insegnante non è un «lavoro alienato». In termini strettamente economici (e secondo il punto di vista dell’economia marxista), sicuramente no. In termini piú generali – e Galimberti sa bene che l’alienazione non è soltanto un fatto esclusivamente economico – il lavoro dell’insegnante può essere fortemente alienato e alienante.

4.1 Se alienazione è impiegare parte delle nostre energie (della nostra vita) in qualcosa di altro da noi, dal quale non ci torna in tutto (o almeno in parte) l’equivalente dell’energia impiegata, allora il lavoro dell’insegnante è davvero alienato.

4.1.1 Anche laddove il «materiale umano» è disponibile e malleabile, laddove cioè gli studenti danno l’impressione di non essere materiale (o risorsa) umana, ma persone vive, desiderose di cambiare e di crescere, molto spesso il lavoro dell’insegnante è stritolato dal mondo esterno che attacca e aggredisce la scuola.

4.1.1.1 La scuola che cerca di uscire dal ghetto, di integrarsi con il mondo, perché fa parte del mondo e perché è l’unico modo per interpretarlo e per dargli un senso, viene poi ricacciata in quel ghetto in maniera infamante dal buon senso comune di cui si fanno portavoce l’Espresso e il prof. Galimberti.

5. Giudichino gli studenti quali sono gli insegnanti che meritano stipendi piú alti. La proposta di Galimberti è affascinante e profondamente giusta, ma si scontra con la realtà di quel mondo di «alcol, discoteca, droga, ecc.» del punto 3.1 che fa degli studenti una massa composita, ma sostanzialmente omogenea alla società (di cui del resto sono parte).

5.1 Due tipi di insegnante trarrebbero vantaggio da questa prassi: gli insegnanti «amati» perché fanno il loro lavoro con passione, perché sono percepiti dagli studenti come maestri; e gli insegnanti «amati» perché lasciano fare, perché non contrastano le tendenze (innaturali, forse, ma fortemente presenti) al conformismo, al non fare, alla furbizia, ecc. Ci rimetterebero sicuramente i tantissimi insegnanti onesti, capaci, ma che non riescono a suscitare «amore».

6. Nella scuola ci sono insegnanti «pazzi, nevrotici e incazzati» che rovinanno i giovani loro affidati.

6.1 Nella scuola italiana ci sono situazioni che ora è di moda chiamare «di fronteria», a contatto diretto con la criminalità organizzata, ma molto piú diffusamente con condizioni di disagio sociale e di disperazione difficilmente immaginabili.

6.1.1 Per cento insegnanti pazzi che rovinano la scuola e i giovani che la frequentano, ce n’è almeno uno che è entrato nella scuola sano e ne è uscito pazzo.

6.1.1.1 La scuola non è la fonderia, ma anche la scuola fa male a chi ci sta dentro, studenti e insegnanti.

7. Il lavoro degli insegnanti e quello degli studenti deve aspirare davvero a diventare una attività autorealizzativa. Sostengo da tempo che la scuola deve essere un luogo in cui si coniugano fatica e piacere, in cui, se non amore, fra studenti e insegnanti intercorra comunque la stima.

7.1 Può uno studente stimare l’appartenente a una categoria, alla quale si addossano tutti i mali della società, che è regolarmente e scientificamente ingiuriata e sbeffeggiata, anche se nel medesimo tempo le si chiedono tutti i rimedi (dall’educazione stradale alla lotta contro la pedofilia)?

7.2 Forse ha davvero ragione il prof. Galimberti quando dice che l’aumento di stipendio non è la cosa piú importante per gli insegnanti. È molto piú importante la loro dignità e il rispetto che essa merita. Ma, come lei sa bene, professore, il mondo della scienza e della tecnica è il mondo dominato dalle merci e dal denaro; e chi non ha soldi non può avere rispetto e stima: anche per questo chiediamo e vogliamo forti aumenti di stipendio. E allora, riconquistata la stima delle masse, dei sondaggi, dei settimanali e dei professori universitari, lavoreremo ancora meglio.

 

Luciano Ardiccioni