DA "REPUBBLICA"  del 2.11.2000
Cacciari:  "A scuola a 5 anni e salviamo le elementari"



VENEZIA - Nel suo ufficio al consiglio regionale, ha sul tavolo il testo della Riforma De Mauro, perché non si fida dei "si dice". Massimo Cacciari, 56 anni, da 15 professsore ordinario di estetica alle università di Venezia e di Lugano, ha insegnato per una vita, esattamente dal fatidico 1968, quando si piazzò primo in Italia al concorso per il liceo. Cominciò così, ma alla lunga la politica gli ha messo in aspettativa la scuola.
Fa subito una premessa: "Intanto, questa riforma conclude tutta una serie di provvedimenti del centrosinistra. Non è a sé stante". Poi entra nel merito: "Tutti ci ricordiamo il salto da elementari a medie, da queste al liceo, dal liceo all'università: erano tanti compartimenti stagni. Ora, lo sforzo di coordinare strettamente i diversi cicli, compresa la scuola d'infanzia, è molto positivo".
Questo funziona.
"Le perplessità sono altre, a cominciare dalla durata complessiva del ciclo d'istruzione".
Diventa di 12 anni.
"Appunto, scende da 13 a 12, e questo francamente non mi piace. Mi rendo conto dell'esigenza, certissima per la scuola italiana, di produrre giovani preparati in tempi più brevi: non è possibile avere laureati trentenni e che, in ogni caso, il ciclo preveda la laurea a 22-23 anni. Giusto ridurre i tempi, però si potevano trovare innovazioni più audaci, fra l'altro già felicemente sperimentate da centinaia di migliaia di famiglie italiane, come l'inizio del ciclo primario all'età di cinque anni".
Perfetta per i bambini d'oggi.
"Cominciando un anno prima, restavano i 13 anni complessivi. Mi lascia perplesso anche l'articolazione dei cicli".
Il cuore della riforma.
"Trovo troppo lungo il ciclo primario di sette anni. Questo mix di elementare e media è eccessivo anche rispetto alle tecniche e alla velocità di apprendimento: per i ragazzi di oggi io terrei un ciclo primario di alfabetizzazione di base di cinque anni".
Cambia tutto.
"Il fatto è che il ciclo successivo, cioè i cinque anni di secondario secondo la proposta, viene spezzato in due. E, qui, i primi due anni del secondario non si capisce bene cosa siano...".
Un limbo?
"Temo che siano la retorica sperimentalistica, del tipo "No al nozionismo, che bello che è sperimentare", temo la chiacchiera. Ma attenzione, perché questi due anni concluderebbero proprio la scuola dell'obbligo, all'età di quindici anni, e allora mi domando: se si conclude così, che cosa diamo in mano a 'sta gente?".
E Cacciari riforma De Mauro.
"Io farei così: cinque anni di ciclo primario, cinque di secondario uguali per tutti, in modo che dopo dieci anni, e non dopo nove, si arrivi alla fine dell'obbligo con un diploma. E, dopo, tre anni di liceo assolutamente caratterizzati: si butta via l'esame di Stato, che ormai non seleziona più niente e fa spendere a vanvera un mare di miliardi, e lo si sostituisce con un serio esame di accesso all'università".
Il centrodestra promette che, se vincerà nel 2001, butterà via l' intera riforma.
"Eh, questo è il refrain del Polo su qualsiasi iniziativa. Purtroppo siamo in campagna elettorale e, purtroppo, temi di questa portata andrebbero affrontati all'inizio della legislatura, non in zona Cesarini!".
Le riforme si fanno con gli insegnanti.
"È un punto totalmente oscuro. Sul riordino della scuola tu puoi inventare la legge più bella del mondo, ma se non hai un corpo docente che ha fatto bene i suoi studi, che è stato selezionato con cura e che percepisce uno stipendio decente, non combini nulla".
Fallimento preterintenzionale.
"La grande forza della riforma di Giovanni Gentile era la straordinaria sintonia tra il riordino dei cicli di studio, i programmi e il ruolo assegnato al corpo docente: un ruolo strategico".
Tutto si teneva.
"Gentile diceva loro: questa è la scuola dell'Italia del domani e voi docenti siete l'Italia del domani. Assieme a un carico straordinario di immagine, c' era per i docenti una adeguata gratificazione economica".
Senza questa, cede tutto.
"Mia zia, professoressa delle medie inferiori durante l'era Gentile, vedi fascismo, ha allevato con il suo stipendio e nient' altro tre bambini, li portava in vacanza d'estate e d'invero, eppure aveva i soldi non solo per comperarsi la casa ma anche per comperarne una a ciascuno dei tre figli! Capito qual era il suo potere d'acquisto? Così si fanno le riforme: ruolo, gratificazione, immagine, e perciò nel dopoguerra il corpo docente fu a lungo nostalgico".
Oggi si sente disossato.
"Al 90 per cento oggi è selezionato male e fortissimamente demotivato perché la sua condizione economica è indecente, con un crollo di ruolo sociale impressionante, che lo condanna al doppio lavoro. Ogni riforma fallirà se non si disegna la scuola del domani, dicendo come ri-selezionare il corpo docente, come pagarlo e cosa metter dentro la scuola per non farne un puro contenitore".
Il punto forte è il programma.
"E qui sta invece la debolezza dell' impianto, da Berlinguer in poi. La scuola del domani non può essere una lingua straniera più il computer. Dai, non basta, se non ha un valore simbolico la scuola ditemi voi che cosa mai deve averlo".
Come bussola, penso, una cultura europea.
"Non esiste una riforma della scuola dal solo lato tecnico-pragmatico. Noi dobbiamo, certo, guardare a una scuola italiana che sia avanguardia nella scuola europea perché, bene o male, la scuola di Gentile era assolutamente di avanguardia in quella Europa borghese e post-liberale. Ma vogliamo scherzare? Solo i licei francesi e tedeschi erano forse paragonabili ai nostri. Ovviamente, quel modello è superato".
Ma un modello è urgente, sostiene lei.
"Che cosa significa tutto questo modernismo pragmatico in circolazione: che una scuola moderna deve essere una scuola alla moda? Spero di no".
Lo speriamo.
"Giustissima l' insistenza di Berlinguer e degli altri nel dire che la scuola deve essenzialmente insegnare ad apprendere. Ma questo vuol forse dire che si ritiene, come fanno i pragmatisti alla moda, che l'insegnamento umanistico sia pura retorica? Io non lo penso. L'umanesimo è aiutarti ad affrontare la realtà con spirito critico. Se affronto il moderno, ho bisogno anche di qualcosa di diverso dal moderno; insomma, se ho la testa nel pallone non affronto criticamente il pallone, non gli do un calcio come si deve. Sono importanti o no la memoria, i classici, la lingua? Anche questo resta per ora oscuro nella riforma, non si capisce assolutamente".
L'insegnamento dell'italiano vale molto.
"È essenziale".
Nella lingua di Dante e San Francesco, Giovanni Spadolini identificava l'unità d'Italia.
"L'Italia, in larga misura, è una grande creazione intellettuale e culturale: in nessun altro paese europeo è così inestricabile l'idea dell'unità del paese dall' idea dell'unità della lingua. L'Italia è la lingua italiana; la vera unificazione italiana è linguistica, non sociale, politica, economica. Ma non è un fatto riduttivo, è un grande fatto: appunto Dante, Boccaccio, Petrarca, questa colossale triade che inventa nell'italiano l'Italia e nell' Italia l'italiano".
Quella riforma funzionò.