La sede di via Senese dispone dall'a.s. 2001-2002 di un'aula multimediale in rete; a partire dall'a.s. 2002-2003 anche la sede di via Baldovinetti dispone di una struttura analoga.
In questa pagina proporremo ipotesi di utilizzazione didattica dell'aula e interventi "teorici", informazioni, discussioni, ecc. su didattica e multimedialità
proposte operative interventi "teorici"
Indicazioni operative si trovano anche nella nostra pagina dedicata all'attività didattica (internet e l'informatica per la didattica). UMBERO ECO, "A scuola banchi a due piazze per i Pc"

Materiale multimediale pervenuto
alla nostra scuola
JEREMY  RIFKIN,  "Un Pc non sostituisce la realtà"

Un ipertesto sulla pace delle classi 1A, 1B, 2A, 2B e 2B
LUCA TOSCHI, Multimedialità, bambini insegnano

valutazione del software didattico a cura dell'INDIRE

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Il Sole 24 ore Domenica 26 Novembre 2000 cultura digitaled
Multimedialità,  bambini insegnano

di Luca Toschi

Partiamo da un dato. La scuola elementare è molto più avanti nell’alfabetizzazione multimediale delle scuole superiori. Una recente conferma è venuta dalla Mediateca Regionale Toscana, fondazione facente capo alla Regione Toscana, forte collaboratrice della Rai, impegnata in prima linea nel campo dei nuovi linguaggi. Consegnando alla fine dell’anno scolastico 1999-2000 i riconoscimenti-premio («Abc Media») per i migliori multimedia realizzati nelle scuole — i partecipanti erano centinaia —, ha denunciato che creatività e sperimentazione multimediale sono presenti principalmente nelle scuole elementari. Viceversa, a mano a mano che si risale verso le superiori, si potranno trovare siti Web o Cd-Rom meglio realizzati da un punto di vista informatico, ma il rapporto fra elaborazione dei contenuti e uso specifico del linguaggio multimediale è pretestuoso: quello che conta è acquisire competenze software, come valore assoluto e non relativamente a un obiettivo comunicativo.

I ragazzini delle elementari, viceversa, hanno stupito per la loro capacità essenziale, concreta di scrivere con le immagini, di usare la musica, lo "speakerato" con un’espressività delle voci sorprendente, dicendo cose che altri linguaggi, non multimediali, non avrebbero potuto dire meglio. Del resto, pur essendo interessati ai videogiochi, a loro piace anche giocare a nascondino, con la pasta di pane, con la carta e i colori. Hanno voglia di diversità, di varietà. E un linguaggio multimediale espresso da necessità così determinate, da bisogni così impellenti e così liberi, è un esempio di vitalità per gli studenti più grandi. Vi si trova quella ragion d’essere che tanti editori illustri, che pure stanno facendo soldi a palate in edicola con Cd-Rom vari — supporto nuovo per vecchie idee —, non sono riusciti a trovare.

Più o meno nei giorni stessi in cui «Abc Media» pressava i docenti a riflettere circa l’uso di sistemi multimediali, sulle rive del Tevere, Microsoft, per bocca di Sirmi (una società di consulenza e di ricerche di mercato), presentava al ministro Tullio De Mauro il primo rapporto sulla diffusione di Internet e delle nuove tecnologie nelle scuole italiane (www.microsoft.it). In sintesi si affermava che il «Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche 1997-2000», varato dal ministero della Pubblica istruzione, aveva permesso alla scuola italiana di cambiare marcia rispetto agli anni precedenti; ma, attenzione, gli altri Paesi europei come Gran Bretagna, Francia e Danimarca erano ancora lontani. La ricerca poi sciorinava dati, alcuni dei quali importanti. Innanzitutto, nelle scuole ogni 23 studenti c’è un computer con caratteristiche medio-basse (processore Pentium e Ram da 16 a 64 Mb); ma l’istituto dichiara il proprio impegno ad aggiornare le macchine. Qui dominano gli applicativi di office automation (scrivere, archiviare, far di conto, comunicare con Internet, e-mail: leggi Microsoft) e pacchetti per la creazione di multimedia. In secondo luogo, nel 77,3% delle scuole pubbliche inferiori si registra la presenza di aule e laboratori d’informatica; quelle private si fermano al 68,3 per cento. La percentuale aumenta molto nelle scuole superiori: 98,6% pubblico, 70,4% privato. Per quanto riguarda Internet, infine, il 61,2% degli istituti inferiori ha un collegamento web (contro il 45,8% delle scuole private). Mentre sono 93,1% le scuole superiori pubbliche collegate in rete e il 63,2% quelle private. Certo, il divario con la Danimarca è ancora immenso (1 pc ogni 10 studenti); meno male che c’è la Francia (1 ogni 21 studenti).

Ma il problema non va posto soltanto in termini numerici. Perché la quantità conta, ma quando è chiaro l’uso che si vuole farne. In proposito, è significativo un altro dato, presente nell’indagine e relativo all’uso di Internet: solo poco meno del 12% delle scuole ha un proprio sito, e questo è definito di «carattere prevalentemente informativo»: il che significa usato come un qualcosa fra la brochure e la newsletter; l’interazione pressoché inesistente, nemmeno per velocizzare la burocrazia.

Eccoci al punto. Ma parliamo prima d’impresa. Uno dei mali che affliggono le imprese, impegnate nel cercare di rinnovare il proprio sistema di comunicazione alla luce della multimedialità, è che gli investimenti nell’innovazione non sempre hanno il rientro immaginato; non solo: la comunicazione interattiva crea forti conflittualità all’interno delle aziende stesse.

La multimedialità non consente restyling. Questo è il punto che la rende nuova davvero. Pensare di usare un sito web come una brochure più efficiente, o le e-mail come la posta di una volta, solo molto più veloce e senza pagare i francobolli, è un errore difficile da sradicare dalla mentalità corrente. Il problema dell’e-commerce nasce qui. La comunicazione esterna, infatti, se sceglie la multimedialità comporta un ripensamento di tutta l’organizzazione interna all’azienda. Comunicazione esterna e comunicazione interna oggi come mai sono diventate tutt’uno.

La scuola non può sfuggire a questa logica. La comunicazione multimediale non è fare meglio quello che già si faceva. Un film interattivo non è Roma città aperta con un menu che informa su quante furono le vittime delle Fosse Ardeatine. La televisione interattiva non è il nostro solito apparecchio, ma più piatto e con un telecomando che non finisce più. Qui ci si trova davanti a uno spazio, quello virtuale, che quanto più si rivela autonomo da quello reale, tanto più lo travolge con trasformazioni epocali. E aggettivo non fu mai usato più a proposito. La scuola che si appresta a divenire multimediale non è, e non sarà più la solita scuola, se vuol essere multimediale.

Cambiando gli strumenti per esprimere e per comunicare, cambia tutto. Questa trasformazione va a ridefinire le strutture portanti della comunità, dell’essere gruppo fra gruppi. Le strutture interattive già stanno travolgendo steccati, categorie tradizionali. Per questo ci vuole molta progettualità, insieme a una ritrovata voglia d’imparare facendo, sperimentando. Un testo multimediale, per esempio, sarà un testo che uscirà sempre più dallo spazio in cui si trova il lettore, e si diramerà, si radicherà nella rete. È lì perché è, contemporaneamente, anche altrove. I confini dell’esperienza sono e sempre più saranno ridisegnati. E così la scuola.

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Giovedì, 19 Ottobre 2000 (kwscuola)

"A scuola banchi a due piazze per i Pc"
Laura Montanari

Umberto Eco debutta in chat e subito confessa: “Io non faccio mai chat, sarò un po’ snob ma le trovo dispersive, troppo frammentarie”. La Rai presenta allo Smau il nuovo portale internet di Rai educational e lo fa mandando in video-chat con gli studenti delle consulte proprio Umberto Eco: “Il primo computer io l’ho messo in casa nel 1983” racconta il professore.

“Buon pomeriggio sono Fabio, chatto da Firenze…” si apre così il dialogo virtuale fra il semiologo bolognese (ripreso da una telecamera che replica le immagini in rete) e studenti e insegnanti che digitano dai loro computer a domicilio. Una valanga di domande, molte che riguardano l’apprendimento su Internet: “Io incoraggio gli studenti a fare siti web che criticano altri siti web – spiega Eco -. Questo perché in Internet si trova di tutto e la cosa più difficile è capire l’attendibilità di un sito”. Serve una mappa, una guida qualcuno che stabilisca per esempio se le informazioni che si trovano su Carlo Magno ad un certo indirizzo di Rete sono vere o leggende. “Sul web viaggiano una miriade di informazioni, può capitare però che l’eccesso di informazione generi disorientamento: se mando uno studente in biblioteca a fare una ricerca torna magari con tre libri, se clicca su Internet alla stessa voce ne trova 10.000”.

Dunque come orientarsi? Con siti di monitoraggio, suggerisce Eco, con una specie di istituto di certificazione “qualcosa che mi dica che se anche quel sito è intitolato a Maria Goretti contiene davvero informazioni attendibili su Maria Goretti o contenuti di tutt’altro genere”. Il docente bolognese ha detto poi di ignorare quante siano le scuole che hanno già un collegamento Internet però “ho visto moltissimi siti di scuole e anche di ricerche fatte dagli studenti e messe in rete. Qualche anno fa con Berlinguer ad un convegno ci dicevamo che nelle classi ci vorrebbero banchi a due piazze, per farci stare in una il computer. Anche se capiterà che i bambini andranno a scuola e sapranno già usare la tecnologia…”.

Il ruolo della scuola resta comunque decisivo: “Non tutti avranno un loro computer, - ha detto Umberto Eco - i computer ancora costano cari, ma la scuola dovrà insegnare a tutti ad usarli per non creare classi nelle classi. Anche quando venne inventato il telefono non tutti lo possedevano, ma c’erano telefoni a gettone che tutti potevano usare, con la telematica può accadere la stessa cosa”.

Qualcuno dalla chat azzarda: “Non è che il libro scomparirà?”. Il professore sbuffa, fa per alzare gli occhi al cielo: “Sono un po’ stufo di rispondere a queste domande, ieri su Repubblica è uscito un articolo con un’intervista a Roger Chartier, storico della letteratura, sull’e-book, mi è venuto da sorridere perché se avessero intervistato me avrei detto le stesse identiche cose…qualsiasi persona di buon senso a queste domande generiche risponde allo stesso modo. Da centinaia di anni siamo abituati a leggere sui libri, vorrà dire che se ci abitueremo all’e-book invece che sfogliare con le dita le pagine, le cliccheremo…”. Eco ha aperto il dialogo in Rete su Rai Educational annunciando che a Bologna il 29 e il 30 ottobre si terrà un convegno dal titolo: “Informazione, conoscenza, verità” organizzato dall’Académie Universelle des Cultures e dalla scuola superiore di studi umanistici dell’Università di Bologna a cui parteciperanno i maggiori esperti del mondo dell’informazione.

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Giovedì, 19 Ottobre 2000 (kwscuola)

Rifkin, "Un Pc non sostituisce la realtà"
Valeria Pini

"E' necessario conservare la propria cultura. Il mondo che il computer offre a un bambino è piuttosto ristretto, è una semplice simulazione della realtà": così Jeremy Rifkin è intervenuto al convegno di apertura dello Smau toccando il tema dell'educazione.
A proposito di tecnologia e didattica. il presidente della Foundation on Economics Trends e della Greenhouse Foundation nonché teorico dell'era dell'accesso nel libro omonimo, è intervenuto ponendo l'accento sull'importanza delle esperienze culturali 'concrete' nella formazione dei più giovani.

"Bisogna utilizzare la tecnologia nel modo giusto - ha aggiunto Rifkin - Il computer non può diventare un sostituto delle nostre vite. E' necessario conservare la propria cultura. Ed anche qui è necessario fare un esempio e parlare di educazione e di didattica. Il mondo che il computer offre a un bambino è piuttosto ristretto, è una semplice simulazione della realtà. Secondo recenti studi è stato dimostrato che un bambino sperimenta sul campo quello che studia. Su Internet può trovare dati, ma per assorbirli deve vivere un'esperienza concreta. Il computer ci dà qualche cosa in più, non può essere un sostituto della vita reale".

Secondo Rifkin, "Ci stiamo muovendo dal mondo dei mercati a quello della Rete. Non ci saranno più venditori, né persone acquirenti. Quello che conterà sarà l'accesso a un determinato servizio, come ad esempio un abbonamento o un'iscrizione a un club. L'economia non girerà più, come è successo nell'era del capitalismo, intorno alla proprietà".

Per esporre la sua teoria, Rifkin si lancia in una serie di esempi: "Quando Stephen King mette il suo libro on line i suoi lettori possono leggerlo e qui il mercato diventa irrilevante. La Ford sta già lavorando a un sistema in cui la tecnologia è utilizzata per costruire un'economia di scala. Già da adesso esiste il leasing della macchina: non la compro, ma posso utilizzarla come se fosse mia. In futuro chi sceglierà una determinata vettura potrà accedere a un unico servizio. Avrà accesso a un unico pacchetto nel quale ci sarà anche l'assicurazione, la benzina, il parcheggio, il lavaggio…".

Ed è qui che il mercato lascia il campo all'accesso. "A questo punto l'azienda che fornisce sia la macchina che l'assicurazione - spiega Rifkin - ha interesse a evitare incidenti e fornire un mezzo sicuro". Ma non tutti i risvolti sono positivi. Secondo Rifkin esistono "reti buone" e "reti cattive". "Prendiamo, ad esempio, il caso della Monsanto che produce semi ogm (organismi geneticamente modificati). L'azienda offre questi prodotti agli agricoltori con un contratto di affitto. Alla fine ogni agricoltore finisce per accettare il sistema perché lo considera vantaggioso. E si crea una concentrazione di potere che in questo caso non crea un vantaggio. Infatti proprio contro la Monsanto è partita un'azione legale che sarà il più importante caso di antitrust, dopo quello di Microsoft ".

Dietro al "network commerciale" descritto da Rifkin, si nasconde un pericolo. In futuro la proprietà privata verrà sostituita da un sistema in cui pagheremo per accedere a svariati servizi. I prodotti non avranno più lo stessa importanza, ma anche la comunità finirà per trasformarsi in un prodotto in vendita. Anche la cultura e i rapporti fra persone si trasformeranno in merce. "Il rischio è che si arrivi a una perdita di umanità - dice Rifkin - Per questo è importante ripensare il ruolo delle istituzioni e dello Stato. E' necessario creare legami nuovi fra la società civile e lo Stato".

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