Il Sole 24 ore Domenica
26 Novembre 2000 cultura digitaled
Multimedialità, bambini insegnano
di Luca Toschi
Partiamo da un dato. La scuola
elementare è molto più avanti nell’alfabetizzazione multimediale
delle scuole superiori. Una recente conferma è venuta dalla
Mediateca Regionale Toscana, fondazione facente capo alla Regione
Toscana, forte collaboratrice della Rai, impegnata in prima linea
nel campo dei nuovi linguaggi. Consegnando alla fine dell’anno
scolastico 1999-2000 i riconoscimenti-premio («Abc Media») per i
migliori multimedia realizzati nelle scuole — i partecipanti erano
centinaia —, ha denunciato che creatività e sperimentazione
multimediale sono presenti principalmente nelle scuole elementari.
Viceversa, a mano a mano che si risale verso le superiori, si
potranno trovare siti Web o Cd-Rom meglio realizzati da un punto di
vista informatico, ma il rapporto fra elaborazione dei contenuti e
uso specifico del linguaggio multimediale è pretestuoso: quello che
conta è acquisire competenze software, come valore assoluto e non
relativamente a un obiettivo comunicativo.
I ragazzini delle elementari, viceversa, hanno stupito per la loro
capacità essenziale, concreta di scrivere con le immagini, di usare
la musica, lo "speakerato" con un’espressività delle
voci sorprendente, dicendo cose che altri linguaggi, non
multimediali, non avrebbero potuto dire meglio. Del resto, pur
essendo interessati ai videogiochi, a loro piace anche giocare a
nascondino, con la pasta di pane, con la carta e i colori. Hanno
voglia di diversità, di varietà. E un linguaggio multimediale
espresso da necessità così determinate, da bisogni così
impellenti e così liberi, è un esempio di vitalità per gli
studenti più grandi. Vi si trova quella ragion d’essere che tanti
editori illustri, che pure stanno facendo soldi a palate in edicola
con Cd-Rom vari — supporto nuovo per vecchie idee —, non sono
riusciti a trovare.
Più o meno nei giorni stessi in cui «Abc Media» pressava i
docenti a riflettere circa l’uso di sistemi multimediali, sulle
rive del Tevere, Microsoft, per bocca di Sirmi (una società di
consulenza e di ricerche di mercato), presentava al ministro Tullio
De Mauro il primo rapporto sulla diffusione di Internet e delle
nuove tecnologie nelle scuole italiane (www.microsoft.it). In
sintesi si affermava che il «Piano di Sviluppo delle Tecnologie
Didattiche 1997-2000», varato dal ministero della Pubblica
istruzione, aveva permesso alla scuola italiana di cambiare marcia
rispetto agli anni precedenti; ma, attenzione, gli altri Paesi
europei come Gran Bretagna, Francia e Danimarca erano ancora
lontani. La ricerca poi sciorinava dati, alcuni dei quali
importanti. Innanzitutto, nelle scuole ogni 23 studenti c’è un
computer con caratteristiche medio-basse (processore Pentium e Ram
da 16 a 64 Mb); ma l’istituto dichiara il proprio impegno ad
aggiornare le macchine. Qui dominano gli applicativi di office
automation (scrivere, archiviare, far di conto, comunicare con
Internet, e-mail: leggi Microsoft) e pacchetti per la creazione di
multimedia. In secondo luogo, nel 77,3% delle scuole pubbliche
inferiori si registra la presenza di aule e laboratori
d’informatica; quelle private si fermano al 68,3 per cento. La
percentuale aumenta molto nelle scuole superiori: 98,6% pubblico,
70,4% privato. Per quanto riguarda Internet, infine, il 61,2% degli
istituti inferiori ha un collegamento web (contro il 45,8% delle
scuole private). Mentre sono 93,1% le scuole superiori pubbliche
collegate in rete e il 63,2% quelle private. Certo, il divario con
la Danimarca è ancora immenso (1 pc ogni 10 studenti); meno male
che c’è la Francia (1 ogni 21 studenti).
Ma il problema non va posto soltanto in termini numerici. Perché la
quantità conta, ma quando è chiaro l’uso che si vuole farne. In
proposito, è significativo un altro dato, presente nell’indagine
e relativo all’uso di Internet: solo poco meno del 12% delle
scuole ha un proprio sito, e questo è definito di «carattere
prevalentemente informativo»: il che significa usato come un
qualcosa fra la brochure e la newsletter; l’interazione pressoché
inesistente, nemmeno per velocizzare la burocrazia.
Eccoci al punto. Ma parliamo prima d’impresa. Uno dei mali che
affliggono le imprese, impegnate nel cercare di rinnovare il proprio
sistema di comunicazione alla luce della multimedialità, è che gli
investimenti nell’innovazione non sempre hanno il rientro
immaginato; non solo: la comunicazione interattiva crea forti
conflittualità all’interno delle aziende stesse.
La multimedialità non consente restyling. Questo è il punto che la
rende nuova davvero. Pensare di usare un sito web come una brochure
più efficiente, o le e-mail come la posta di una volta, solo molto
più veloce e senza pagare i francobolli, è un errore difficile da
sradicare dalla mentalità corrente. Il problema dell’e-commerce
nasce qui. La comunicazione esterna, infatti, se sceglie la
multimedialità comporta un ripensamento di tutta l’organizzazione
interna all’azienda. Comunicazione esterna e comunicazione interna
oggi come mai sono diventate tutt’uno.
La scuola non può sfuggire a questa logica. La comunicazione
multimediale non è fare meglio quello che già si faceva. Un film
interattivo non è Roma città aperta con un menu che informa su
quante furono le vittime delle Fosse Ardeatine. La televisione
interattiva non è il nostro solito apparecchio, ma più piatto e
con un telecomando che non finisce più. Qui ci si trova davanti a
uno spazio, quello virtuale, che quanto più si rivela autonomo da
quello reale, tanto più lo travolge con trasformazioni epocali. E
aggettivo non fu mai usato più a proposito. La scuola che si
appresta a divenire multimediale non è, e non sarà più la solita
scuola, se vuol essere multimediale.
Cambiando gli strumenti per esprimere e per comunicare, cambia
tutto. Questa trasformazione va a ridefinire le strutture portanti
della comunità, dell’essere gruppo fra gruppi. Le strutture
interattive già stanno travolgendo steccati, categorie
tradizionali. Per questo ci vuole molta progettualità, insieme a
una ritrovata voglia d’imparare facendo, sperimentando. Un testo
multimediale, per esempio, sarà un testo che uscirà sempre più
dallo spazio in cui si trova il lettore, e si diramerà, si radicherà
nella rete. È lì perché è, contemporaneamente, anche altrove. I
confini dell’esperienza sono e sempre più saranno ridisegnati. E
così la scuola.
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