Il presepio

All'epoca dei greci era solito donare una statuina di terracotta a Demetra dispensatrice di abbondanza e, in seguito, con l'avvento di Roma lo stesso dono era destinato a Cerere. Quegli ex-voto impastati con l'argilla venivano realizzati nel reticolo dei vicoli napoletani, tutt'intorno alla zona che oggi chiamiamo San Gregorio Armeno. Le figurine pagane di ventiquattro secoli fa erano dette stipi votive. Considerarle antenate dei pastori da presepio è un azzardo di fantasia, eppure è un fatto che in quel limitato perimetro urbano sia continuata una specifica tradizione artigianale. Ancora oggi San Gregorio Armeno, con le sue botteghe, con le sue bancarelle, è il luogo del Natale napoletano, la meta obbligatoria di una passeggiata sentimentale alla ricerca di un pezzo nuovo da collocare sul presepio. Il Protovangelo di Giacomo narra che nell'istante stesso in cui nacque Gesù tutto il mondo precipitò nell'immobilità più assoluta. Il presepio racconta quell'attimo che cambiò la storia. Eppure il presepio è tutt'altro che immobilità, non è mai uguale, anno dopo anno si modifica e si arricchisce, specchio continuo degli usi e dei costumi di chi lo cura. Le famiglie napoletane se lo tramandano di generazione in generazione. E se si vuol essere fedeli fino in fondo alla tradizione bisogna collocare i re magi molto lontano dalla grotta e farli avanzare a poco a poco. Tanta ricchezza di personaggi fu estranea all'origine del culto della Natività. I testi evangelici si limitano a raccontare della nascita di Gesù, dell'annuncio ai pastori, dell'adorazione dei Magi. Nuovi elementi destinati a diventare tradizionali vennero aggiunti via via dai Vangeli apocrifi. zoom Erano già cominciate attorno all'ottavo secolo sacre rappresentazioni in costume sulla nascita e la resurrezione di Cristo. All'inizio le recite, assai severe, si tennero all'interno delle chiese, ma poi arrivarono nelle piazze coinvolgendo intere città. Fatalmente il connotato religioso si affievolì e presero il sopravvento elementi di vita sociale. Di questa trasformazione si indignò nel 1207 papa Innocenzo III. Siamo ben dentro i confini del teatro e del folclore devoto e tuttavia è rilevante sottolineare che qui comincia a svilupparsi una raffigurazione plastica della Natività, qui comincia la contaminazione fra il sacro e il profano. Maria e Giuseppe col Bambino, i re Magi vestiti alla palestinese per la prima volta convivono con figure venute dal popolo, vestite in maniera contemporanea. Molti indicano una data precisa della tradizione del presepio e cioè il 24 dicembre 1223 quando San Francesco d'Assisi scelse di onorare il Natale in modo originale. Da tre lustri erano state proibite le sacre rappresentazioni, Francesco d'Assisi, venuto a Greccio, chiese una dispensa al papa Onorio III e ricostruì, presso una grotta nei boschi, la scena della natività; a pochi minuti dalla mezzanotte, i rintocchi delle campane richiamarono a quella grotta tutti gli abitanti di Greccio e dintorni; Francesco all'improvviso sentì un peso tra le braccia, abbassò lo sguardo e vide che il bambinello si era materializzato tra le sue mani; molti devoti di Greccio quella notte giurarono di averlo visto anche loro. Da allora in poi la tradizione dilagò dappertutto. Nel 1458 Martino Simone de Jadena realizzò un presepio a figure staccate per la chiesa di Sant'Agostino della Zecca, purtroppo perduto. Una leggenda tramandata da Proto di Maddaloni dice che un presepio di legno a figure separate fu scolpito a fine 1300 per le clarisse, ma in assenza di prove, le prime raffigurazioni plastiche della Natività a Napoli sono sul sepolcro di marmo del cardinale Arrigo Minutolo nel Duomo e sulla tomba di Maria d'Aragona in Sant'Anna dei Lombardi. Al Museo di San Martino sono conservate le straordinarie figure in legno realizzate nel 1478 da Pietro e Giovanni Alemanno, padre e figlio di evidente origine padana. Sono le superstiti di trentanove statue commissionate da messer Jaconello Pepe per la chiesa di San Giovanni a Carbonara, il Pantheon degli Angioini, dipinte e dorate nel 1484 da Antonietta di Gennaro e Francesco di Felice. Presepi simili, alla fine del Quattrocento, erano esposti a Napoli nelle chiese di Santa Maria la Nova, dell'Annunziata e di Sant'Eligio. Era pure spuntato qualche artista locale di buona vena come Pandolfello da Solofra che aveva realizzato un presepio per la cappella di Bajani a Montoro in Irpinia. zoom Fu un altro lombardo, Pietro Belverte, a inaugurare il Cinquecento partenopeo del presepe scolpendo ventotto figure per i frati di San Domenico Maggiore. La Sacra Famiglia fu sistemata in una grotta di autentiche pietre, altra novità, scandalosa per l'epoca, fu l'introduzione di una taverna nello scenario. Erano maturi i tempi per l'irrompere di un genio napoletano: Giovanni Merliano detto Giovanni da Nola, di cui possiamo ancora ammirare le statue superstiti del suo primo presepe nella chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina. San Gaetano da Thiene, quando arrivò a Napoli, contribuì alla diffusione del presepe; ne costruì personalmente uno per il Natale dei pazienti dell'Ospedale degli Incurabili. Alla fine del Cinquecento anche i conventi fecero a gara per allestire presepi sempre più grandiosi. Dopo i primi due decenni del secolo avvenne la grande svolta; le statue a tutto tondo lasciarono il posto a manichini di legno vestiti di stoffa, con occhi di vetro o pasta vitrea e imponenti parrucche. I prototipi erano stati creati mezzo secolo prima in Germania, ma i manichini napoletani non ebbero rivali per opulenza e dimensioni. Dopo non molto tempo l'altezza fu ridotta arrivando ad una media di 70 cm. Furono gli scolopi della Duchesca ad esporre i manichini più apprezzati a partire dal 1627. Gli scolopi approntarono una serie di importanti novità. Furono i primi a rinunciare alle installazioni fisse, smontando il presepio ogni anno e rimontandolo il Natale successivo. Inoltre inventarono una bella prospettiva in lontananza: il gioco delle diverse misure dei pastori, i più grandi in primo piano, i più piccoli sugli sfondi. Il presepio napoletano guadagnò in teatralità nel 1660 grazie ad una trovata di Michele Perrone. Pur conservando testa e arti di legno i manichini ebbero un'anima flessibile in fil di ferro avvolto nella stoppa. Così le figure potevano torcere il busto, inchinarsi, inginocchiarsi, accentuando la sensazione di movimento. Infine, a fine secolo, le teste dei manichini vennero modellate nella terracotta, altro passaggio verso il vero presepio napoletano. Gli artigiani si ispirarono al più crudo realismo, sul presepio definitivamente dominò il popolo: tavernari, cantanti da concertino, pezzenti, nani. Molto più numerosi i personaggi femminili comprese le contadine col gozzo e le vedove con la testa rapata secondo l'usanza longobarda sopravvissuta nelle province. Le famiglie nobili e ricche cominciarono a fare a gara per esporre un presepe degno di lode, rivolgendosi ai migliori artisti sulla piazza di cui ricordiamo Pietro Ceraso, Giacomo Colombo, Nicola Fumo, Andrea Falcone e Bartolomeo Ranucci. A volte lo scenario occupava intere stanze. I presepi più minuscoli e preziosi venivano invece custoditi in armadietti a vetro detti " scarabattole ", oppure sotto una calotta di vetro a volte decorata da un fondale di astri e di stelle. zoom Il primo re ad avere in dono un presepio fu Filippo V nel 1702. Quando il figlio Carlo salì sul trono di Napoli e della Sicilia, garantì una spinta eccezionale all'arte e alla diffusione del presepio. Carlo era imparentato con i monarchi di tutta Europa e la sua passione per il presepe fu contagiosa. La diffusione del presepio anche nelle fasce più emarginate ebbe inevitabili riflessi sulla produzione. Accanto agli artisti che producevano per i signori e per i luoghi della fede, si moltiplicarono semplici artigiani impegnati a rifornire il popolo minuto. Capofila della schiera degli artisti fu Giuseppe Sanmartino, il più grande scultore napoletano del Settecento ricordato specialmente per il Cristo Velato della Cappella Sansevero e per le tante leggende ad esso correlate. Nella sua scia avanzarono artisti di notevole talento quali: Francesco Celebrano, Domenico Antonio Vaccaro e altri. La richiesta era così ampia, nel secolo d'oro, che tutta la Napoli artigianale s'impegnò nella produzione di presepi toccando alte vette di specializzazione. Specialisti della cera realizzarono strabilianti cestini di frutta e di verdura. Per i costumi sarti importanti come Mastro Matteo e Nicola Ferri si ispirarono ai disegni folcloristici di pittori di buon livello e il valore dell'oreficeria di un solo presepe nobiliare fu valutato in ventimila ducati. Il presepio diventò un documento della vita popolare: in alcuni scenari figurano miseri carruoccioli - carrettino di legno a quattro ruote - a ironica imitazione degli aristocratici volantini tirati da cani e capretti. Il presepio fu anche una galleria di ritratti della nobiltà e della borghesia, giacché molti artisti, a cominciare dal Sanmartino, diedero ad alcune figure le sembianze dei loro mecenati. zoom Il declino del presepio coincise con il tragico fallimento della Repubblica napoletana del 1799. Il rilancio fu avviato da Ferdinando II, ma gli artigiani non erano più quelli di una volta. Grandi artisti a tutto campo al presepio non si accostarono più. Ma generazioni di abili artigiani sopravvissero nelle loro botteghe. Mai la gente napoletana rinunciò al presepio neanche nei momenti di crisi. La tradizione resistette perfino all'invasione della plastica. Agli inizi degli anni Ottanta don Peppino Ferrigno, maestro tuttora in attività, chiese ai parroci dei rioni popolari di pronunciarsi dall'altare a favore della terracotta. La battaglia fu vittoriosa. Oggi San Gregorio Armeno è tornato il crocevia della meraviglia natalizia. Anche molti giovani si sono accostati all'antica arte. Le tecniche sono quelle di una volta, ma sono cambiati i sistemi di propaganda. E' vero, il presepe continua ad essere un giudice infallibile dell'affetto dei napoletani: soltanto chi è molto amato, come Totò, Eduardo, Massimo Troisi, ha diritto di comparire accanto a Razzullo e Sarchiapone, a Benino, ai musicanti. Però c'è anche un ammiccamento a sentimenti diffusi ma lontanissimi dalla tradizione. Negli ultimi anni sono apparse nelle vetrine e sulle bancarelle le figurine di Madre Teresa di Calcutta e di Lady Diana, perfino dello stilista Versace; niente da scandalizzarsi, il presepe tollera tutto.