IL MEDAGLIONE DI NEMESI
LO SCONTRO
TRENTAQUATTRESIMO CAPITOLO
Rix era ormai
uscita allo scoperto, e questo era bastato per dare ad Ares l'illusione di aver
già vinto. Il suo volto era già esultante per la vittoria non ancora compiuta.
Il corpo esanime di
Megrez era ai suoi piedi. Anche lui l'amava, e come tutti coloro che le
volevano bene aveva avuto un destino triste…chissà perché…
Questa era stata
la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, poteva perdonargli l'averla messa
al mondo con il solo intento di avere un giorno il suo potere, infondo le aveva donato la vita;
poteva perdonargli l'averla separata da suo fratello e dalla sua famiglia,
forse li avrebbe davvero contaminati con il potere oscuro che si celava in lei,
ma questo era davvero troppo. Non doveva…non doveva colpire i suoi amici.
La musica iniziò
ad aumentare notevolmente, mentre l'enorme palazzo continuava a crollare, poco
alla volta. Anche il ritmo stava mutando, prima, anche se nel pieno della
battaglia, aveva una cadenza ritmica più soffice e delicata; adesso rifletteva
tutta la rabbia, la frustrazione e la stanchezza morale di Rix. Era stanca…
stanca di soffrire per quel misero e meschino essere, stanca di vedere gli
altri che soffrivano per e con lei, era stanca di veder morire gli amici.
La boria di Ares
diminuiva man mano che la musica aumentava, fino a divenire una smorfia d'autentico
terrore.
Il corpo di Rix
era avvolto da un'aura rosso fuoco, aveva lo sguardo fisso sul suo obiettivo;
la rabbia e il furore non erano mai buoni consiglieri in battaglia, ma questa
volta Rix non aveva potuto trattenersi.
Mime era uscito
allo scoperto e stava aiutando i feriti a mettersi in un punto più riparato.
La musica
raggiunse presto il suo culmine e il cosmo di Rix esplose in un boato terrificante.
Bastò quello per distruggere definitivamente la sicurezza, e la stabilità, di
Ares, che finì dalla parte opposta della sala.
Prima che potesse
rimettersi in piedi Rix gli era addosso e già stava per conficcargli la spada
nel petto e porre fini alla sua spregevole vita, quando un colpo disperato la
raggiunse alla spalla sinistra. Ares riuscì a sferrare alcuni calci potenti e
precisi allo stomaco della sacerdotessa, ma lei non si mosse minimamente, aveva
subito colpi molto peggiori durante l'addestramento.
Il dio fuggì
gettandosi sul lato, ma Rix non lo lasciò certo fuggire senza colpirlo alla
gamba destra.
I colpi
continuavano a susseguirsi precisi, potenti e diretti; ma nessuno dei due
riusciva ad avere la meglio.
Mime e Mentres
incrociarono quasi per caso gli occhi, ma la loro fu un'intesa immediata.
Scattarono ai lati opposti della sala, ad est il primo e ad ovest il secondo.
-
Rix!
La chiamarono
quasi contemporaneamente e lei riuscì ad afferrare le loro intenzioni. Dopo
aver scambiato ancora qualche colpo diretto con il suo avversario fuggi con un
salto acrobatico e si disporre a nord. Appena fu in posizione i tre emanarono
contemporaneamente la loro musica…
Mentres utilizzò i
suoi poteri di maestro della cetra, Mime la sua inseparabile lira e Rix il suo
cosmo. L'impatto al centro della sala delle tre musiche, così diverse eppure
accomunate da un obiettivo, creò un colpo potentissimo. La sala fu investita da
ogni genere di nota possibile, ma alla fine Ares era ancora lì.
Era stato ferito,
e anche gravemente, poco e nulla rimaneva della sua sacra armatura; ma lui era
ancora lì, e ancora in grado di far male.
-
Questi trucchi non funzionano con me!
Era furente anche
lui. Lui, un dio, era stato messo in difficoltà da un gruppo di ragazzini; sua
figlia lo aveva rifiutato e ora si opponeva a lui, non c'era nulla che potesse
ripagarlo di un simile affronto, neanche la loro morte.
-
Come preferite allora padre. Avrei preferito
non utilizzare mai e per nessuno scopo la sacra arma tramandatami dal sacerdote
che mi ha preceduto a Ramnunte, ma tu non mi dai scelta… Mime, Mentres portate
via i feriti…
-
Ma…
-
Portateli via e andatevene anche voi…
Non osarono più
protestare. Non immaginavano neppure cosa volesse fare, ma erano sicuri che se
non li voleva lì aveva i suoi motivi.
Diede il tempo ai
feriti di uscire da un varco nella parete ovest, creatasi durante lo scontro.
Ares aveva avuto l'idea di fermarli e di ucciderli, ma era troppo curioso di
sapere cosa avrebbe fatto la musica maledetta.
-
Ora che siamo soli, saresti così gentile da
smetterla di giocare e di arrenderti? Sono disposto a risparmiarti se passerai
dalla mia parte… dopotutto sono tuo padre, non è naturale che tu mi combatta!
-
Smettila di parlare a vuoto, infame! E prega
Zeus di non lasciare qui nell'Ades il tuo spirito!
-
Ahahaha! Tu hai intenzione di uccidermi? Uccidere
me? Una divinità! Sei pazza!
-
Forse dimentichi cos'è l'arma che ho in
pugno.
Disse mostrandogli
la spada nera. Un lampo di paura passo negli occhi rossastri del dio, ma subito
si riprese.
-
Devi prima riuscire ad usarla!
Ares si mise sulla
difensiva, aspettandosi un attacco diretto, a spada tratta. Sorprendentemente,
invece, Rix piantò con forza la spada nel pavimento, guardò Ares negli occhi,
estremamente dubbiosi sul daffarsi, e si portò una mano alla fronte, sfiorando
il suo diadema.
-
Sai se fossi in te implorerei pietà…
-
Non credo proprio! Devi ancora colpirmi.
Non rispose. Con l'indice
e il pollice sfilò dolcemente il diadema, con la mano sinistra afferrò un capo,
e con la destra l'altro, si voltò lateralmente verso il dio e portò il piede
destro avanti e il sinistro dietro. Distese il diadema, che ormai era una
catenella, vicino al viso, in modo che fosse ben tesa.
-
Cosa diavolo hai intenzione di fare,
sacerdotessa?
L'ironia era
palpabile nelle sue parole, ma l'ingigantirsi del cosmo di Rix lo fece tacere. Ma
non si accorse che non era solo il cosmo a cambiare, anche il diadema stava
lentamente cambiando forma, era divenuto una freccia!
-
Questo è per tutte le tue vittime innocenti!
Freccia di Nemesi!
Aveva le lacrime
agli occhi quando lasciò che quella freccia fosse scoccata dal suo cosmo, e le
lacrime scendevano giù per le guance quando arrivò al petto di Ares… in fondo…
era suo padre!
Riprese la spada e
si avvicinò al corpo immobile, riverso sul pavimento, ma ancora in vita. Stava piangendo.
Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così difficile ucciderlo; uccidere
la persona che le aveva rovinato la vita.
Ora era li, sul quel
pavimento nero come la sua anima; il sangue fluiva svelto dalla ferita nel
pieno petto, da cui usciva la freccia, tornata ad essere una semplice
catenella, ma ancora vivo, ancora in grado di parlare, e di soffrire… ma anche
di far soffrire.
-
A…aiutami… ti prego… sono tuo padre…
-
Non posso! Non posso lasciarti in vita, tu
non cambierai mai, sei nato malvagio e tale resterai fino alla fine!
Stava piangendo. Non
avrebbe voluto, ma le faceva male vedere quello che era suo padre naturale
morire, solo e disperato.
-
Allora sai che… che ti dico… tu non vali
nulla… ah… non ti ho mai voluto… tu non sei niente!
Con un ultimo
singhiozzo e con lacrime disperate affondò la nera lama nel petto di
quell'orribile essere.
Un lampo nero come
la notte senza luna invase la stanza appena la spada affondò nel già ferito
petto. Quando la luce tornò nell'enorme stanza qualcosa di oscuro e vuoto uscì
dal cadavere di quello che era stato il dio della guerra. Zeus aveva ascoltato
le sue preghiere, e l'animo, per quanto oscuro e corrotto di Ares stava volando
verso i campi elisi.
Ares non c'era
più. Il dio della guerra era stato ucciso e non avrebbe ucciso più; mai più.