IL MEDALGIONE DI NEMESI

IN VISTA DEL PALAZZO

VENTISETTESIMO CAPITOLO

 

Rix aveva finalmente trovato la soluzione. Abbassò le braccia, ancora tese dopo il colpo della rete di ghiaccio. Guardò Mentres negli occhi e sorrise, con un sorriso amaro, che lui non comprese.

Perché sorridi?

Perché ho trovato la soluzione!

Fece esplodere il suo cosmo in un bagliore accecante che avvolse sia lei sia Mentres, lasciando Hyoga all'esterno.

Mentres si era coperto il viso dietro le braccia incrociate, pensando che quello fosse un nuovo colpo. Quando si accorse che Rix aveva prodotto solo luce rimase alquanto sorpreso.

Cos'hai fatto?

Niente domande. Ora devi solo ascoltare.

Chiuse gli occhi e si concentrò. Quasi immediatamente iniziò una musica dolce e delicata che avvolse entrambi, facendo sentire Mentres al sicuro e a proprio agio.

Dopo poco tempo Rix iniziò a cantare, seguendo la melodia.

 

Erano già alcuni minuti che i due erano avvolti da quella strana luce, Hyoga aveva anche provato ad entrarci, perché non si sentiva del tutto tranquillo, ma aveva ricevuto una potente scossa elettrica. Si era messo, allora, a camminarci intorno, cercando un varco o, per lo meno, un punto da cui fosse visibile l'interno.

La luce comprendeva uno spazio circolare di, almeno, dieci metri di diametro. Da nessun punto del perimetro era visibile l'interno. Hyoga riusciva a sentire una flebile musica provenire dall'interno, ma non afferrava le parole della canzone.

Ritornò al punto di partenza, e dopo poco la luce esplose. Per alcuni secondi nulla fu più visibile.

Quando gli occhi del cavaliere del cigno poterono vedere nuovamente, Rix si fece avanti per rassicurarlo.

Sono riuscita nel mio intento. Ora siamo aumentati!

Cosa vuoi dire?

Rix non rispose, fece solo cenno di guardare sulla sua destra. Nel punto indicato si trovava Mentres, che li guardava.

Ma…

Non ora, cavaliere. Dobbiamo sbrigarci a raggiungere il castello di Ares.

Puoi indicarci la strada più breve?

Certo, sacerdotessa. Seguitemi!

Hyoga notò strani sguardi tra i due, ma non ci fece molto caso. Ora dovevano raggiungere Ares.

Nel frattempo Megrez, Thor e Seiya proseguivano la loro corsa dopo aver lasciato Shaka in meditazione.

Avevano percorso poco più di tre chilometri quando due cosmi malvagi nelle vicinanze li fece fermare.

Di chi saranno questi cosmi?

Non di cavalieri di Ares. Non percepisco la sua influenza nei loro cosmi!

È vero. Allora ci sono altri cavalieri come Colomba!

Una voce forte e boriosa interruppe Megrez, mentre due figure apparivano dall'ombra.

Si cavalieri, ma voi non ne vedrete altri dopo di noi!

Ne sei convinto, piccolo borioso?

Ne siamo convinti!

Intervenne l'altro con voce più cupa e cavernosa.

Il primo era un ragazzo con i capelli arancio e gli occhi neri e un'espressione di fastidiosa e odiosa boria. Alto, muscoloso e armonico nel fisico, ma insopportabile per il suo modo di porsi. L'armatura era di un colore tra il marrone e l'amaranto, tre gemme rosate, due tonde sul petto e una triangolare sulla cinta, ricordavano il muso di una formica, aiutati dalle antenne poste sull'elmo.

Quello che aveva parlato per secondo era un omone enorme quasi quanto Thor, con l'occhio sinistro sfregiato da una profonda cicatrice verticale. Come il suo compagno, aveva un'aria boriosa e insopportabilmente sicura di sé. Aveva l'elmo sotto il braccio e i cavalieri non riuscirono a vederlo. L'armatura era marrone e rossa, piena di spuntoni, con un solo coprispalla sulla destra. Era impressionante nell'insieme di selvaggia forza e violenza.

Appena li vide Thor esclamò:

Quello grosso è mio! Non ho spesso l'occasione di misurarmi con uno della mia stazza!

Megrez si rivolse ai due cavalieri.

Possiamo almeno sapere chi siete, prima di cominciare a combattere!

Certo! L'ultimo desiderio di un cavaliere è sacro!

I due scoppiano in una fragorosa risata, che risuonò per tutta la zona circostante. I cavalieri non risposero alle provocazioni, la rabbia in battaglia non porta mai nulla di buono.

Io sono Granata della formica, e lui è Polifemo. Siamo due cavalieri di Efesto, fratello del dio contro cui, scioccamente, vi siete messi!

Noi siamo…

Non c'interessa chi siete, cavalieri! Vogliamo solo le vostre teste!

Allora venite a prenderle!

Thor e Seiya si fecero avanti per combattere contro i due boriosi cavalieri, prima di andare Thor sussurrò a Megrez:

Tu vai. Devi essere al suo fianco!

Il cavaliere di Asgard non ebbe il tempo di replicare, perché il combattimento era già iniziato.

Appena entrambi i cavalieri di Efesto furono occupati, Megrez li aggirò con cautele e corse in direzione del potentissimo cosmo di Ares.

Il gruppo di Mizar, Artax, Shiryu, Shun e Ikki andava ad andatura più lenta, a causa delle ferite di Ikki, che camminava sorretto dal fratello.

Non potete aspettare me! Andate avanti! Correte!

Sei ferito, non potresti far fronte ad un altro attacco!

Resterò io con lui! Lui mi ha protetto tante volte. Adesso tocca a me! Andate avanti. Noi arriveremo!

E sia.

I tre si misero subito a correre, recuperando subito il tempo perso. Ad una decina di chilometri da dove avevano lasciato Shun e Ikki un cosmo oscuro e cattivo li avvolse.

I cavalieri non si fermarono, sperando di riuscire a passare senza doversi scontrare con altri cavalieri innocenti, ma non andò come speravano.

Spazzando via le anime che aveva di fronte con un forte vento un cavaliere si fece aventi e gli si presentò:

Cavalieri fermatevi! Dovete scontrarvi con me. Io sono Ascalfo del Barbagianni, cavaliere della signora dei campi Demetra.

Ascalfo era un uomo brutto e basso, con i capelli bianchi con riflessi celesti, gli occhi piccoli contornati da un viola acceso. Il fisico era atletico, ma tutt'altro che bello da vedere. L'armatura grigia, che aveva due grandi gemme azzurre sul petto e delle grandi ali che nascevano dalle spalle, contribuiva ad imbruttire la figura ricurva dell'uomo. Tralasciando l'aspetto fisico, però, il cosmo di Ascalfo era potentissimo e malvagio.

Artax si fece immediatamente avanti. Già nello scontro precedente non aveva potuto combattere, e non era nel suo stile restare con le mani in mano. Quest'avversario era suo.

Sarò io il tuo avversario, cavaliere del Barbagianni!

Come preferisci! Gli altri possono andare avanti se vogliono. Odio far aspettare la gente. Li raggiungerò io appena avrò finito di farti a pezzi ragazzino!

Artax serrò i pugni fino a farsi male, ma non rispose alla provocazione anzi approfittò della boria del cavaliere per far andare avanti i compagni, con la silenziosa promessa che sarebbe stato lui a raggiungerli dopo lo scontro.

 

Rix, Hyoga e Mentres stavano correndo da molto tempo. Nessun cavaliere aveva ancora sbarrato loro la strada, e questo sembrò molto strano al cavaliere del Cigno, anche se non ne fece parola con i suoi compagni. Aveva l'impressione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, che qualcosa stonasse con l'intera situazione.

Lui conosceva il segreto di Rix, ma era convinto che lei non poteva…… No! Rix non l'avrebbe mai fatto. Se fosse stato quello il suo scopo non li avrebbe fatti arrivare fino a quel punto, aveva tutto il potere occorrente per fermarli.

Mentres lesse i pensieri del cavaliere del cigno e gli rivolse un'occhiata sarcastica, di cui però lui non s'avvide. Quel cavaliere non gli era mai piaciuto. Se fosse degno del titolo che portava non avrebbe lasciato che Rix si fosse scontrata contro di lui, sapendo che aveva poche speranze. Non capiva proprio cosa ci avesse trovato in lui la sua Rix.

La sacerdotessa si avvide subito dei pensieri dei suoi compagni, e non fece nulla per calmarli o spiegare le sue motivazioni e i suoi scopi. I loro pensieri facevano parte del suo piano, quei due le servivano così.

Poco tempo dopo i tre si bloccarono: il palazzo di Ares era difronte a loro.

Il cuore e i polmoni di Megrez erano messi a dura prova in quella corsa. Non poteva permettere che Rix arrivasse sola al palazzo, poteva succederle di tutto senza che sapesse nulla. Doveva diglielo prima di entrare, prima che Ares potesse… No, non voleva pensarci! Rix non sarebbe morta.

Finalmente Megrez trovò il gruppo di Rix. Erano difronte a lui erano fermi e guardavano…guardavano la loro meta. La reggia di Ares.

 

Tra Shiryu e Mizar non sprecavano certo parole. Stavano correndo come forsennati. I cosmi dei loro amici erano vicinissimi alla fonte del potere di Ares. Dovevano raggiungerli, potevano essere in pericolo.

Bruciarono in poco tempo i chilometri che li dividevano ed infine si trovarono anche loro difronte al palazzo del dio della guerra.

Quel maniero enorme si stagliava difronte ai loro, sconcertati, occhi.