Come per BK

Un viaggio, di notte

 

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Questo racconto è nato da una costola di “BK’s night” ep. 13 di Laura, e sviluppa in una scena autonoma la situazione da lei narrata nell’episodio n. 13, una crisi tra Oscar e André che segna un passaggio cruciale del loro rapporto. Può essere letto a partire da BK oppure, se preferite, in modo autonomo. Le autrici sono entrambe molto curiose di conoscere i vostri pareri sull’effetto sliding doors

 

Si era addormentato. L’aveva stretta, tenuta ferma sotto di lui, aveva fatto del suo corpo ciò che voleva senza parlare. Poi si era addormentato.

Dormiva ancora, una mano avvolta intorno al suo braccio e il viso sulla sua spalla, dietro di lei. Il respiro le arrivava sul collo irregolare, inquieto. Poteva udirlo, anche. Era un respiro rotto, pesante. E anche lui pesava: quello non era l’abbandono tenero, pieno di gioia, delle altre volte.

Aveva bevuto, aveva bevuto tanto. Quell’odore di alcol non era il suo odore. Di quella mano che la stringeva Oscar sentiva il potere, la forza, anche così, nel sonno. Non percepiva amore, non ne provò conforto. Solo paura di non riuscire a sottrarsi ancora.

E c’era una cosa che la sconvolgeva più di tutte. André non era stato attento. Era venuto dentro di lei, per la prima volta da quando facevano l’amore, senza prendere alcuna precauzione.

Ma non era stata una cosa condivisa. Non era stato come Oscar l’aveva immaginato, desiderato, tante volte. Fare l’amore con lui senza nessun freno, sentirlo in sé, dirgli quanto lo amava: non era stato così. Quel momento meraviglioso che aveva così a lungo sognato, di cui avevano sussurrato insieme, a volte, negli istanti più intimi, appassionati, ora le sembrava come calpestato, umiliato dai fatti. Era questo che l’aveva ferita. Di più, molto di più di qualsiasi paura delle conseguenze. Lei non aveva partecipato a quella scelta.

Lo aveva solo sentito gemere forte, un gemito che per un istante le era sembrato pianto. Aveva avvertito il suo braccio avvolgerla, la sua mano salda che le serrava il ventre. Poi un ultimo movimento, che sapeva quasi di rabbia. E un tremito disperato, oscuro. Per un momento, un momento solo, subito dopo, le aveva sfiorato la spalla in una carezza, così impercettibile da sembrare un moto involontario del corpo. Poi niente, più niente. Un silenzio buio, senza spiegazioni. E adesso dormiva.

 

Sentì le lacrime salire agli occhi, ed era rabbia, umiliazione, dolore. In un singhiozzo scivolò sotto di lui e staccò da sé quella mano, senza dolcezza. Senza il garbo silenzioso che aveva usato altre volte per non svegliarlo, e che tante volte André aveva usato con lei. Vide la camicia di lui sulla sedia ma non la prese come faceva, spesso, quando si alzava dopo l’amore, perché le sue camicie erano più grandi, e le piaceva come scendevano sul suo corpo. Si avvolse in fretta, invece, in un lenzuolo tirato via dal letto. Si sedette su quella sedia. Distante, di fronte a lui, un gomito appoggiato sul tavolo, la mano a sorreggere il capo. A guardarlo.

Dormiva. La candela accesa sul comodino gli illuminava il viso nella penombra. Era bellissimo, il suo viso, anche adesso. Non poté fare a meno di provare una stretta al cuore, e rabbia, e turbamento, ancora, perché non aveva potuto impedire a se stessa di pensarlo. Ugualmente.

Ma fu la tristezza a prevalere alla fine, e il pianto. Un pianto indifeso, mai provato prima. I singhiozzi, soffocati all’inizio, poi impossibili da trattenere. Pianse così, restando seduta, davanti a lui che dormiva.

 

Perché lo aveva fatto? Perché? Per quale motivo aveva preso il suo amore e lo aveva avvilito in quel modo? Perché aveva voluto usarla? Si sentì come se lui la odiasse. Peggio, come se la disprezzasse.

 

E faceva male.

 

Perché lei non riusciva a odiarlo, invece. Non poteva proprio, nemmeno ora. Lo guardava dentro quel letto, da solo, guardava le linee armoniose della sua schiena e le braccia rilassate e forti... le stesse braccia che, nella stretta appassionata del desiderio, l’avevano sempre fatta sentire protetta, sua. Guardava le dita dritte e maschili delle sue mani, che sempre sapevano carezze lievissime, se si posavano sulla sua pelle. Il suo corpo nudo, snello, abbandonato tra le lenzuola. E non provava altro che amore, per lui. Soltanto quello. Un amore ferito, desolato, ma amore.

 

Fu quel pianto a tradirla. I singhiozzi che cercava di soffocare la vinsero, e svegliarono André.

 

Sembrava un sonno profondo, il suo: eppure si riscosse, in pochi momenti. Sollevò il capo con un’espressione dolorosa, seria, e aprì gli occhi verso di lei. Ma sembrò che quello sguardo le passasse attraverso, tanto era distante, vuoto.

Lui però no, non era distante, non più. “Oscar... - disse con voce turbata, impaurita -. Oscar!”

Si sollevò, mise i piedi per terra. Ogni suo movimento era rallentato, doloroso, come se gli costasse una fatica immane. Strinse gli occhi e si passò la mano sulla fronte. “Oscar, ti prego...”

Sembrava stordito. Stordito dall’alcol, da se stesso.

Non le chiese la ragione di quei singhiozzi, lui la sapeva. “Oscar, perdonami, io...”. Il tono era affranto, era una supplica il nome di lei ripetuto così, come se non sapesse cos’altro dire. E c’era dolore, cura infinita: André veniva sempre sconvolto dal sentirla piangere, semplicemente non lo reggeva. Lei lo sapeva, questo.

E stavolta era stato lui a provocare quel pianto.

“Oscar, aspetta, per favore... aspetta...”

Così, seduto sul letto, allungò la mano a cercare i pantaloni. Un movimento strano, esitante, quasi a tentoni, nella penombra. Oscar lo notò, ma era il dolore, il turbamento, ad avere la meglio su lei. Lo vide prenderli, infilarli, come misurando i gesti, eppure con fretta. Con un moto rabbioso, mentre cercava di raddrizzarne il verso. “Oscar, Oscar!”

Lei si era allontanata da quella sedia, era fuggita vicino alla finestra. Lo guardava da lì, piangendo.

 

“Oscar, io non volevo... ti prego amore...”, e c’era pena ed angoscia nel suo volto smarrito. Si era alzato, adesso, e aveva uno sguardo sperduto, stava in piedi vicino al letto come se esitasse a muoversi, il viso rivolto verso la sedia vuota: “Ti prego, ascolta”, e con la mano si appoggiò alla spalliera del letto, per andare dove aveva udito i suoi singhiozzi: poi finalmente si staccò e mosse alcuni passi verso quel punto, ansiosi ed incerti. Oscar vide la scena dall’esterno, come in un sogno: dirigendosi dove lei non era, dove non poteva non vedere che non era, la stava chiamando. La cercava come se le sue mani - tese, ora, in avanti – dovessero incontrarla tra poco. “Oscar, aspetta, non piangere, Oscar...”

Non finì quella frase. C’erano gli stivali, sul suo percorso, abbandonati a terra. Inciampò e cadde, disteso, umiliato.

 

“ANDRÉ!”

 

Ma sentire la voce di lei alle sue spalle fu peggio. Si alzò sulle ginocchia e rimase fermo, le mani per terra, senza parole.

 

“ANDRÉ! ANDRÉ!”

 

Corse da lui, su lui, gridando il suo nome: “André, amore... André!”

Lo abbracciò, il viso accanto al suo, le mani attorno al suo corpo. Lo sollevò, si rialzò: lui si faceva guidare, docile, un’espressione terrea, lontana, sul volto.

“André, ma perché non me l’hai detto, amore... perché...”

Nacquero lacrime sulle sue ciglia e le inondarono il viso, non riusciva a trattenerle mentre lo baciava, gli bagnava le guance col pianto, mentre lo faceva sedere sul letto, di nuovo, vicino a lei, e lo abbracciava, gli parlava: “Perché...”

 

Non la vedeva, non vedeva più. Oscar comprendeva tutto, adesso. Il suo strano comportamento degli ultimi tempi, il suo sottrarsi quasi scontroso, a volte. La disperazione che leggeva al fondo dei suoi sorrisi, anche di quelli che le dedicava per rassicurarla. E l’abbraccio quasi aggressivo di quella sera: il suo volerla tenere, sentire sua, il suo bisogno febbrile di cercare conforto, dentro di lei, come se prenderla e prenderla ancora potesse portare una tregua nel protrarsi continuo di quel dolore. E il suo silenzio. La sua paura di parlargliene. La certezza insopportabile che l’avrebbe persa.

“Sono qui – disse allora, e fu la prima cosa -. Sono qui, André, sarò sempre con te...”

 

“Mi dispiace, Oscar, scusa... scusa per tutto”. Parlava come se quello che lei aveva appena visto non fosse accaduto, come se per lui fosse più importante far cessare il suo pianto. E come - anche - se quella realtà non riuscisse proprio ad accettarla, e volesse metterla da parte contro l’evidenza, solo tacendone. “E’ che ti sentivo ridere, in mezzo ai tuoi amici, e sentivo le tue parole... lontano da me... e tu sei così bella, io lo so quanto sei bella, e non potevo... Ho avuto paura, sono stato geloso. Perdonami, l’ho fatta pagare a te. Perdonami, ti prego, se tu non mi perdoni io non potrò più vivere...”

 

Quanto era distante quel dolore, ormai? Quanto poco contavano adesso nel cuore di Oscar le lacrime che aveva versato poco prima? “André, ma cosa dici, amore... di cosa parli, di cosa... Perché non me l’hai detto, André?”.  Lo abbracciava, gli prendeva le mani. Lui aveva un volto come confuso, come se quelle parole non volesse udirle, riceverle, e non potesse evitarlo, tuttavia. Infine dovette accettare, davanti alle mani di lei che lo carezzavano, davanti ai suoi baci e a quel tono nuovo nella sua voce, più addolorato, traboccante d’amore. Rimase in silenzio e inspirò per non piangere, poi chinò il capo. Poche lacrime uscirono dai suoi occhi, mentre taceva.

“Da quanto, amore, da quanto è così? – gli chiese ansiosa, dolce, abbracciandolo ancora -. Perché mi hai tenuto fuori da questo, André, perché non hai voluto che ti fossi vicina? Io potevo...”

“Cosa, Oscar? Cosa potevi fare? – e c’era una traccia amara di rabbia nella rassegnazione di quella risposta -. Non si può fare niente, niente...”. Le sue mani, che la scaldavano sempre, adesso tremavano, gelate.

“Andremo dal dottore, farò tutto...”

Lasciò il suo abbraccio, in un rifiuto sofferto.

“Ci sono stato, dal dottore - disse acre, come rivolto a sé -. L’unica cosa che potresti fare è l’infermiera a un invalido”.

“André, no... Cosa dici, amore mio? E’ per questo che non mi hai detto niente? E’ per questo? Ma tu sai quanto ti amo, André? Lo sai davvero, quanto?”

E anche lei era come se se ne rendesse conto, adesso, con un’evidenza e una forza che non aveva mai capito: “Tu sei tutto per me, amore, tutto. Tu sei l’unica cosa importante in questa vita, l’unica che dia un senso a ciò che sta intorno, che mi faccia andare avanti ogni giorno. Ti prego...”

Sembrava che quelle parole non le avesse udite. Mise la testa tra le mani: “Che succederà adesso...” - aveva mormorato, soltanto.

“Non succederà nulla di male, André, nulla, te lo prometto”. Lo abbracciò di nuovo, lo tenne stretto, le labbra tra i suoi capelli.

“Ma non capisci che ora cambia tutto? - disse lui, sfinito da quel dolore, senza muoversi, come se quella fosse l’ultima occasione che aveva per sentire addosso l’abbraccio, le labbra di lei -. Cambierà tutto, tutto... E impazzisco, ma è meglio così, per te, per me... Io non voglio essere un peso, per te, non voglio farti pena. Non posso essere debole, e sta accadendo, non posso farci niente... Io ti ho sempre protetto, Oscar, lo capisci? Lo capisci, questo?”

 

Lo capiva, sì, lo capiva bene. Lo sapeva, soprattutto, da sempre. Era stata la presenza di André a darle sempre la forza, a farla arrivare fino a quel punto. Quel meccanismo assurdo che era la sua vita non avrebbe mai funzionato, senza di lui. L’aveva sempre protetta.

“Ma non dagli altri, André – mormorò con un’inaspettata dolcezza nella voce, una dolcezza che stupiva anche lei -. Da me stessa, amore. Tu mi hai protetto da me stessa”.

Sollevò il capo, si volse a lei: “Oscar...”

Lo fece prima che lui potesse finire: gli si accostò, lo sfiorò con le labbra, baciò per prima la sua bocca, quasi trattenendolo, perché non potesse sottrarsi, perché lasciasse che fosse il suo amore a decidere, non l’amarezza che aveva dentro. Lo baciò a lungo, profondamente, sospirando piena d’ardore, tenendogli le braccia, le mani, morbida e abbandonata, completamente sua.

“Oscar...”

“No, non parlare... non parlare André...”

Lui resisté pochissimo a quel suo bacio, a quelle carezze appassionate - non resisteva mai, non lo sapeva fare -, se ne lasciò travolgere. Lasciò che col peso del suo corpo lei lo spingesse, la schiena sul letto, con gli occhi chiusi sentì le proprie mani prendere vita e stringerla, cercarla. Avvertì le labbra di lei sul petto in piccoli baci tenerissimi, brucianti, il suo respiro salire sul collo, sulla bocca, ancora, le sue mani spogliarlo e liberarla del lenzuolo che l’avvolgeva. Era nuda, sopra di lui, e lo stava trascinando in un flutto vorticoso, dimentico...

 

Ma volle guardarla. Lo faceva sempre quando la prendeva, gli  piaceva nutrirsi dell’estasi sul suo viso, annegare nei suoi occhi che nuotavano nel piacere. Volle guardarla.

 

“André... - disse affannata, dolente, sollevando il capo su lui -. Cosa c’è, André...”

Si era fermato. Aveva girato il viso e c’erano lacrime addolorate, nei suoi occhi. Non la stringeva più.

“Amore...” – cercò di rompere quel silenzio.

“Scusa, scusami Oscar...”. C’era una pena disperata nel tono con cui lo disse, che non si spense avvertendo il bacio di lei sulla guancia. Gli costò molto, moltissimo: “Io non ti vedo, non ti vedo...” - pianse, in un soffio.

Anche lei si fermò, allora: c’era una sofferenza atroce nel suo cuore, a vederlo così, a saperlo così. Un’angoscia che era iniziata nell’istante in cui lo aveva visto cadere, lontano da sé, chiedendole scusa. Ma c’era il suo corpo, sotto di lei, e c’era il suo dolore. Io ti ho sempre protetto, le aveva sussurrato, quasi piangendo, ed era come se adesso il non poterlo fare lo distruggesse. C’era il suo amore, e la sua paura, disperata e bisognosa di tutto come non era mai stata. Fu quella paura a trasformare in coraggio il dolore di lei, a darle la forza per sorreggere tutti e due.

Gli prese il viso tra le mani, lo girò dolcissima verso il suo, ed iniziò a sfiorarlo e con le labbra, a coprirlo di minuscole carezze sottili, di baci morbidi che sempre approdavano alla sua bocca, tremante.

Si sporse sopra di lui, coprendolo un istante col proprio corpo, con il viso verso la candela, sul comodino. Soffiò.

Nella stanza fu buio, e odore di cera, la penombra della luna, fuori, che entrava dalla finestra. Oscar gli prese la mano, in quell’oscurità che il silenzio di lui rendeva irreale, sospesa,  portò il palmo alle labbra, lo sfiorò in un bacio. Poi l’accostò al suo corpo, al suo seno, guidando quella carezza, con gemiti lievi, sul suo viso.

“Sì, tu mi vedi - mormorò in un fremito -. Tu mi vedi, come ti vedo io...”

 

Nel buio, in quel buio che aveva dentro tutta la luce delle loro anime, fecero l’amore per la prima volta come non avevano mai fatto. Come se ogni gesto, ogni sospiro, ogni bacio fosse un incontro nuovo, come se nel contatto dei loro corpi potessero leggere tutto l’uno dell’altra. E non importava, non importava davvero che gli occhi vedessero, in quell’abbraccio, perché era un codice diverso, più puro, che li stava guidando. Un istinto che sapeva di sé, un ritmo che si scopriva in ogni nuovo respiro, e aveva il potere di spiegare ogni cosa. Fu quella notte che André lo comprese, davvero.

E comprese che non sarebbe accaduto tutto quello che temeva di loro, che quel dolore profondissimo e triste non l’avrebbe portata via. Comprese che non l’avrebbe perduta, perché lei poteva sentire il suo cuore, e aveva regolato su quello tutto il ritmo della propria vita.

Comprese davvero, per la prima volta davvero, che Oscar lo amava, e che si era presa cura di lui fin dall’inizio, proprio nello stesso modo in cui da sempre aveva vegliato su lei.

 

“Ti amo”, le disse con un tono che non aveva mai usato, mentre ascoltava il proprio corpo vibrare, sotto di lei, e sentiva la gioia dei suoi gemiti dolcissimi, e sentiva che avrebbe potuto amarla per tutta la notte senza fermarsi, perché una forza infinita era entrata in lui. Ti amo, le disse avvolgendola tra le braccia, per custodirla, come faceva sempre, perché amarla era da sempre per lui un altro modo di proteggerla, ancora. E si girò su di lei, delicato e forte, le sfiorò le braccia tremanti risalendo ai suoi polsi, li cinse appassionato con le mani fermandoli sul cuscino. La prese a lungo, trattenendola piano, la bocca sopra la sua, a inseguire la sua, in un bacio profondo  e dolce, e continuo, che non le permise di staccarsi neanche quando i suoi gemiti si fecero più ansiosi e i movimenti più tesi, e quando forte, tenero sopra lei, la fece venire così, tenendole i polsi, al buio.

Non si era mai concesso con questo abbandono al suo abbraccio, non aveva mai avuto meno pensiero di trattenersi, di resistere al piacere che lei gli dava. Eppure scoprì che proprio questa passione infondeva in lui un’infinita capacità di amarla: fece l’amore abbracciandola dolcemente senza potersi fermare, lo fece a lungo, come non aveva mai fatto, senza nasconderle la sua gioia, i suoi respiri ansiosi, accendendola ancora, e ancora, col suo bisogno di lei. Era come se dentro quel buio, che solo la luna illuminava, da fuori, potesse leggere i desideri di lei con più chiarezza di quanto non fosse mai stato. Era come se con ogni carezza potesse dare una risposta precisa a quegli aneliti ansiosi, ancora prima che nascessero, nel suo corpo, nel suo cuore. Fu André a guidare quell’incontro notturno, come infinito nell’oscurità piena d’amore di quella stanza, nella quale, oramai, era scomparso tutto il resto, e c’erano solo loro due. “Amore...” le disse, sfiorandola con le labbra, mentre lei apriva gli occhi, in un immoto stupore, e senza aspettare la prese ancora, con tutto se stesso, e le rubò gemiti inaspettati, e, dandosi a lei, di nuovo, con immensa felicità poté portarla una volta ancora al piacere, sentendo le sue mani sottili che stringevano le sue spalle.

 

Fu una notte di passione completa, la prima notte nella quale davvero seppero tutto l’uno dell’altra. E quando Oscar lo sentì felice, immensamente felice, dentro di sé, quando capì che in quella gioia infinita stava arrivando al piacere, quando avvertì che si sarebbe allontanato, perché l’amava, allora volle che quel momento non finisse mai più, che quel dono meraviglioso fosse un dono completo, quello che aveva così a lungo sognato, quello di cui avevano sussurrato insieme, negli istanti più intimi, appassionati, preziosi. “Non andartene – gli disse piena d’amore, e di passione, tenendolo stretto a sé -. Non andartene, amore...”. E benché lui sembrasse dire di no, e resistere, e cercare di sfuggire a quella richiesta, senza però riuscire a scostarsi, come rimandando sempre di un poco il momento di doverla lasciare; benché lui stesse gemendo indifeso, travolto, abbandonandosi alle sue braccia; benché tenesse gli occhi chiusi e la supplicasse e continuasse a sentirsi in lei, dicendo “ti prego...”, senza più avvertire altro che lei, senza capire cosa stesse facendo, lei lo serrò più stretto con le braccia e ripeté “non andartene” e lo implorò d’esser suo senza ascoltare nient’altro che il cuore battere nel suo petto, e alzò il capo con le labbra a cercare la sua bocca che tremava, e la baciò tenera, appassionata, finché lo vinse, e lo sentì abbandonarsi, lo sentì cedere, e lo sentì darsi, colma di gioia, in un tremito sconvolgente, intensissimo, dolce, dentro di lei.

 

E in quel momento, per la prima volta, comprese che nient’altro mai avrebbe contato più di questo, nella sua vita, e desiderò che quella notte rimanesse per sempre, insieme ai loro cuori, nella loro storia. Desiderò che quella notte con lui le avesse dato un figlio. Un figlio suo, il figlio di André.

FINE

 

Nota.

Queste pagine nascono da un dono, un dono che mi è stato fatto, e sono testimoni della scoperta di un’affinità e dell’inizio di un’amicizia. Le dedico a Laura, come contraccambio per avermi dato il privilegio di leggere l’anteprima del suo BK,  per avermi chiesto consiglio, per aver seguito la mia fantasia che ricamava sulle sue note struggenti – perché sempre mi viene voglia di raccontare, quando leggo lei - per avermi chiesto di scrivere, io, questa scena parallela al racconto che lei andava scrivendo, perché le infinite storie possibili nei nostri cuori e nelle nostre vite s’incontrassero, una volta almeno, e potessero specchiarsi l’una nell’altra.

Queste pagine le ho scritte così, come sapevo e come l’anima mi ha dettato, nei frammenti di giorni convulsi in cui avrei dovuto fare tutt’altro, nelle ore della notte lente a passare, che scorrevano dolci, insieme alle parole sul foglio, inframezzate dalle lettere attese e dai consigli che ci siamo scambiate. Le dedico a lei, e un poco anche a me, e a tutti quelli che, come noi, credono ancora che la scrittura possa portare dolcezza e cercare risposte più sensate alle domande che ci facciamo, estenuare il cuore e dargli conforto. E accendere una luce, nel buio.

 

Alessandra

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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