parigi parigi a me va bene per non tornare più..
così dicevi perché i miei occhi pieni di stazioni e chiese ritornassero blu


ecco forse non tornare più.
da dove? da dove partire e dove fermarsi per non tornare più.
tutte le parole che conosco si accumulano sulle braccia e sulle gambe mentre scrivo parlo guardo, provo a vivere senza troppe domande.
domande non bisognerebbe farsele, per non finire inghiottiti da una poltrona di sincerità, magari nudi, senza pelle nè protezione.
quale vita? quale scelgo se posso scegliere?
posso viaggiare posso studiare posso sperimentare come se non fossi carne e ossa ma pongo da plasmare.
posso odiare. so odiare e allontanare e rovinare rapporti. ma non ho ancora imparato ad accettare la realtà: una dieci mille.
posso raccontare storie. che parleranno sempre e comunque di me.
e posso pensare. oppure no.
creare muovere disfare e fare alla ricerca di cosa? in attesa di cosa? di poter osservare per una volta sola il mondo da quel mare di cartapesta di "una giornata ideale per i pescibanana" un attimo solo.
le onde
le nuvole
quanto si può essere normali pensando di essere speciali.
quante sere passate dietro il bancone appoggiata alla mia stanchezza a impilare ricordi e
sensazioni
che per me contano ancora. e gli altri le hanno gettate via: raccolta differenziata.
come accantonare una parte di me. ma non riesco non riesco non riesco.
e allora parto. basta andare lontano e continuare a cercare.
voglio smettere di cercare.
fermarmi a parigi. in quel museo dove i bambini stanno sul pavimento a disegnare quadri, dove i grandi li guardano in silenzio.
capire gli altri. fare a meno degli altri. avere bisogno degli altri. vedere gli altri allontanarsi forse non sono mai stati vicini.
e spingere via tutto.
e salutare.
senza inchino.
sono solo parole.

in fondo si può fare a meno di un sacco di cose: l'amore.



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