il Rimino - Riministoria

La Provincia che il duce non voleva
Lunga storia d'una giovane autonomia amministrativa

Visita di Mussolini a Rimini. Corteo delle autorità che sfilano, salita sul palco, discorso ufficiale. Ad un tratto, dalla folla entusiasta si alza una voce che proclama con la stessa grinta del Capo: «Vogliamo la provincia». Più che un desiderio, un ordine. Il duce, lo sguardo imperioso, forse nascondendo a malapena quel disgusto che nutriva naturalmente per la nostra città, è lapidario: «Sulla carta». Come dire, scordatevela. I saluti romani continuarono ad agitare la scena.

L'antico episodio (ripreso da memorie ascoltate in famiglia), mi ritorna in mente aprendo il volume edito dalla Provincia di Rimini, volume che ha lo stesso titolo dell'ente, ed in cui si illustrano i vari aspetti di una realtà che è storica, amministrativa, naturalistica e politica insieme. Il libro infatti si articola in una serie di saggi che esaminano questi singoli momenti i quali tutt'assieme costituiscono l'immagine riassuntiva di un lungo processo.


Si nasce
o si diventa?
Provincia si nasce o si diventa, verrebbe da domandarsi provocatoriamente, ricordando che da sempre Rimini è stata relegata a giocare ruoli secondari da altre città romagnole che, in un modo o nell'altro, giustificavano la loro superiorità nei nostri confronti.
Quando sento parlare delle buone intenzioni di quanti, come noi un tempo chiedevamo la provincia, adesso continuano a domandare la regione Romagna ben distinta dall'Emilia, mi viene da sorridere ricordando che mai i romagnoli si sono trovati d'accordo sull'organizzazione del loro territorio: abbiamo troppi campanili di pari altezza, ognuno dei quali non rinuncerebbe per nessuna ragione al mondo al primato che si attribuisce, vantando oneste e giuste benemerenze stratificatesi lungo l'arco storico. Pensate soltanto alla grandezza di Ravenna, che sarebbe quasi naturalmente portata ad assumere il ruolo di capoluogo regionale: ma credete che Forlì possa essere d'accordo?

Città di «rammolliti
ed affittacamere»
Esisteva per Rimini tutta una serie di antichi e buoni motivi che servivano a giustificare la richiesta della provincia. Ma se leggete il testo di Maria Rosa Pasini Rapini trovate elencati ostacoli e rifiuti che furono sempre presentati alle richieste della nostra città. Politica e deteriore folclore si mescolano in certi scritti fascisti (fase ante-marcia, 1921) che definiscono Rimini «città dei rammolliti e dei vili, paese di mercanti e di affittacamere» (per aver disertato il funerale dello squadrista Luigi Platania). Come poteva Mussolini non ricordare questi giudizi, confortato pure dalle opinioni ufficiali locali come quella del federale Ivo Oliveti che in un convegno indetto appunto sulla richiesta riminese, lanciò una specie di anatema chiedendo ai presenti: vi vergognate forse di appartenere alla provincia del Duce?


Nel 1959 esce
«La Provincia»
Sulle macerie della guerra rinasce la speranza che la Pasini documenta passo a passo, con i vari interventi, comitati, proposte. Nel 1959 esce anche un giornale, La Provincia, che si batte sull'argomento con il suo direttore Mimmo (Flaminio) Mainardi, di cui ebbi occasione di parlare recentemente in occasione della scomparsa. Va ricordata, al proposito, come fa la Pasini, anche la passione del prof. Luigi Silvestrini e di Flavio Lombardini che dirigeva il Corriere di Rimini.

Il primo passo fu l'istituzione del Tribunale nel 1962, grazie soprattutto all'opera dell'avv. Bonini. Nel 1974 nasce il Circondario. Infine nel 1992 arriva la benedetta provincia, con il decreto legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del primo aprile (niente «pesce», per una volta). Essa diventa operativa tre anni dopo, come ricorda Pier Giorgio Pasini nel «ritratto» che apre il volume, destinato a delineare le caratteristiche del Riminese, cioè di un territorio che ha avuto antiche descrizioni che l'autore ricorda: nel 1550 il bolognese fra Leandro Alberti parla di una «nobilissima» pianura; nel 1575 Francesco Sansovini scrive che la nostra terra «abbonda assai delle cose necessarie per il vivere dell'uomo»; nel 1617 Cesare Clementini illustra anche la scenografica immagine di sfondo dell'Appennino, definita «una sontuosa scena boschereccia».


Territorio
e cultura
Il lettore troverà in queste pagine di Pasini una suggestiva ricostruzione storica, ricca di spunti anche divertenti (come i motteggi che si scambiavano i paesi tra loro), che costituiscono una trama di eventi legati alla vita quotidiana della gente ed ai percorsi economici che l'autore analizza trattando prima di città e campagna, e poi del mare.

Merita di esser citata la sintesi che Pasini fa, scrivendo che il nostro territorio, per la sua breve dimensione e per la sua caratteristica di luogo di transito, solo raramente ha potuto sviluppare «una originale fisionomia culturale». Per questo motivo, aggiunge Pasini, la cultura di Rimini e del suo territorio «appare ibrida, incerta, attratta da poli diversi e quindi "provinciale": del resto come quella di tutta la Romagna e delle Marche, tra le quali il Riminese si trova incuneato».


Natura, arte,
ospitalità
A Rita Giannini è toccata la descrizione fisica, demografica ed economica, che costituisce una specie di trampolino di lancio verso il futuro, mentre Loris Bagli esamina beni naturali e paesaggio. Ovviamente, per un territorio come il nostro, natura ed economia sono elementi altamente interattivi, come osserva la Giannini: «Qui arte, storia, cultura, natura, ricettività, ospitalità sono così ben integrate, che insieme possono offrire ciò che altrove andrebbe cercato in molti luoghi diversi e lontani tra loro».


Gusto felliniano
nelle foto
Resta da parlare della sezione fotografica, affidata all'obiettivo di Luciano Liuzzi il quale ha suddiviso il suo lavoro in quattro sezioni, Paesaggi, Centri abitati, Storia e cultura, La gente. Questa scaletta nasce da una precisa scelta retorica. Prima viene la terra, con i campi, le nuvole di sfondo, l'agricoltura, i girasoli, l'alternarsi dei colori, prati, fiumi, colline, la riva del mare, i gabbiani. E' quasi una natura idillica, di una società preindustrale, dove il verde prevale sul cemento, dove le strade sono miracolosamente deserte ed un trattore disegna sui campi, graziosamente, come una penna sul foglio. Ma sappiamo che ci sono anche ben altri paesaggi, non meno interessanti come documento, non so: l'autostrada affollata di turisti od il mare che ha migliaia di bagnanti sulla spiaggia od in acqua. Questo è l'aspetto vero della nostra vita quotidiana che Liuzzi non considera per cantare sulle note più melanconiche e indubbiamente eleganti, come nelle scene invernali (la neve di piazza Cavour, dell'Arco), che ricalcano un poco l'Amarcord felliniano: dove la citazione nascosta è utile per ricostruire un clima passato, ma non serve a far capire quello presente.

Forse il capitolo più difficile da affrontare era quello della Gente: esso risulta alla fine descrittivo in alcune immagini di personaggi singoli, scarsamente corale, talora stereotipato, come il bagnino che vernicia l'insegna od il pescatore che accomoda la rete.

Forse sarebbe stato più utile, per il significato complessivo dell'opera, accompagnare le immagini al testo, e non farne una sezione a se stante, quando non tutto per un tema così vasto si può raccontare soltanto con degli scatti.

Antonio Montanari

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