il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.

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INGRATI E RICONOSCENTI
 
"Se mangiate con il cucchiaio pensate alle vostre dita"
(proverbio Banusu - nazione: Repubblica Democratica del Congo)

 
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
di YUKARI SAITO
 
Caro Presidente, visto che Lei dichiara di appoggiare le operazioni militari americani e italiane, esigo una risposta alle seguenti domande:
- da quando alla parte lesa e' consentito di partire alla caccia di un criminale senza l'intervento della polizia, o di investirsi del ruolo della polizia?
- da quando la Giustizia si permette di non dimostrare le prove ne' al sospettato ne' alle vittime ma soltanto farle circolare tra gli autoproclamati poliziotti?
- da quando la Giustizia consente a chi si sente minacciato di uccidere ogni potenziale criminale, sia persona che stato?
- da quando la Costituzione, a cui tutti i membri del Governo e il Capo dello Stato hanno giurato fedelta', vale meno degli accordi militari internazionali su cui il popolo italiano non e' stato consultato?
Siamo in lutto anche per le Nazioni Unite e per la Costituzione italiana, nonche' per la benedetta civilta' che si fonda sul rispetto della legge, che e' uguale per tutti, e sulla vita umana considerata come un valore inviolabile e un diritto uguale per tutti.
E saremmo davvero in lutto per la saggezza secolare dell'umanita', se ci lasciassimo convincere che non ci sia alcuna possibilita' di lottare contro il terrorismo se non al fianco dei bombardieri americani. Ora che siamo davanti ad un enorme rischio di far espandere la Palestina per tutto il mondo, Lei e' davvero pronto per prendersi, nei confronti del popolo italiano (e anche dei suoi figli e nipoti), tutta la responsabilita' delle conseguenze del suo consenso all'intervento militare?
(Yukari Saito e' una prestigiosa giornalista giapponese residente in Italia, amica della nonviolenza)
 

 
Appuntamenti da non perdere
 

29/10/01 - San Pietro in Cariano (VR) - Settimana della letteratura dominicana/2

Prosegue il palinsesto legato alla valorizzazione della letteratura dominicana. Alle ore 11, Rafael García Romero incontra gli studenti del Liceo Scientifico Statale “Primo Levi” di San Pietro in Cariano.

29/10/01 - Verona - Chiesa e globalizzazione

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Unità delle chiese e globalizzazione». Relatore: don Mario Aldighieri (pastorale migranti - Cremona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

30/10/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sulla globalizzazione

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico sulla globalizzazione. «Una voce fuori dal coro» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatore: Diego Marani, redattore della rivista comboniana "Nigrizia". Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

30/10/01 - Verona - Settimana della letteratura dominicana/3

Ore 10.30. Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero incontrano gli studenti dell’Istituto Tecnico “Marco Polo” di Verona. Ore 12.30: conferenza stampa alla Libreria Rinascita, Corso Porta Borsari, 32 (per informazioni: tel. 045 594611) per il lancio della collana “Alfabeti”, con l’editore Pierluigi Perosini e gli autori Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero.

31/10/01 - Legnago (VR) - Giornata del teatro
 
In occasione della "GIORNATA NAZIONALE DEL TEATRO" il Comitato ARCI di Legnago presenta mercoledì 31 ottobre 2001 alle ore 21 al TEATRO SALIERI - Legnago: «Una Delle Ultime Sere di Carnovale» Commedia in tre atti di Carlo Goldoni . In un paese delle mille città  che desideriamo multiculturali, multietniche, sicure, solidali e gentili l’associazionismo di promozione culturale e l’associazionismo teatrale  sono in grado di creare autentica socializzazione e  di incidere positivamente  nella vita  delle comunità Se è vero che il teatro è nato per esprimere  il riflesso  fantastico dell’esistenza umana, le comunità  del nuovo millennio devono attrezzarsi, anche attraverso mezzi fantastici,  per rielaborare e forgiare  socialità e solidarietà. L’associazionismo culturale e teatrale  può,  in virtù di un’azione esterna ai meccanismi commerciali   contribuire a svelare il volto autentico delle Arti Performative  a centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese; fornisce strumenti di confronto  culturale attraverso la poesia e la scena. L’associazionismo culturale e teatrale praticano  un percorso culturale dove lo spettatore vuole essere parte attiva di un  progetto che favorisce le relazioni e il confronto di idee e esperienze. Il circuito che l’associazionismo culturale e teatrale mettono a disposizione rappresenta nel nostro Paese una delle poche risorse disponibili per la ricerca e la sperimentazione  di nuove forme espressive.
 
06/11/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sulla finanza etica

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico inerente la finanza etica. «Un approccio alternativo alla finanza» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatore: Riccardo Milano della Banca Etica. Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

11/11/01 - Cà Fornelletti, Valeggio sul Mincio (VR) - Banca Etica

Domenica 11 novembre, dalle ore 10.00 si terrà a Cà Fornelletti (Valeggio sul Mincio) un  incontro sul tema:"NUOVI STILI DI VITA: I
PERCHÉ DELLA BANCA ETICA". L'appuntamento è aperto a tutti. Organizzazione: "Gruppo Brasile '98"


11/11/01 - Pian Cansiglio - 14° raduno alpinisti ed ambientalisti

Programma. Ore 10.00 – 10.30 - Raduno in località La Crosetta - all’inizio della Foresta per chi proviene da Vittorio Veneto. Si consiglia di lasciare l'automobile in Pian Cansiglio, nei parcheggi del ristorante "La Genziana" e del Rifugio Sant'Osvaldo. Ore 10.30 - Partenza da La Crosetta, davanti alla Casa Forestale, ed imbocco, dopo qualche centinaio di metri, della strada forestale verso la Candaglia. Percorsi circa due chilometri si imbocca il sentiero a sinistra, indicato da un cartello in legno "strada dei Slipari"; un vecchio sentiero recuperato dai forestali del Friuli-Venezia Giulia, che attraversa un bellissimo bosco di faggio, abete rosso e abete bianco, in un ambiente carsico con rocce modellate ricoperte di muschi e licheni. Dopo circa un chilometro, il sentiero si innesta sul sentiero naturalistico "O" in Val Palazzo che ci porta rapidamente sulla strada, prima sterrata, poi asfaltata, di fianco al campo da golf e nei pressi del "bus de la lum". Da qui si raggiunge la Statale 422, in centro al Pian Consiglio; ore 12 - Raduno sul prato tra il rifugio Sant'Osvaldo e i ruderi della Caserma Bianchin, per pranzo al sacco e brevi interventi sui temi del raduno. Chi ritorna al punto di partenza a piedi, può seguire i sentieri naturalistici M-N, attraverso Le Code, Lame dei Negadi, I Bech. Ore 14.30 - Incontro presso il Centro di educazione ambientale Vallorch di Veneto Agricoltura per un dibattito sulle seguenti proposte: L’istituzione, in occasione del 2002, anno internazionale della Montagna, di un'area protetta nella Foresta regionale del Consiglio; L’individuazione, come proposto dalle associazioni ambientaliste, di una Riserva Naturale Regionale, come prima tappa verso un' eventuale area protetta più vasta, che coinvolga la Regione Friuli V. G., i Comuni e le Comunità Montane contigue; La costituzione di un coordinamento gestionale con la Regione Friuli V.G., che possa portare, in futuro, o alla creazione di un'area protetta confinante, oppure ad un'unica gestione; La restituzione, da parte del Ministero della Difesa, dopo anni di rinvii, dell'area della Caserma Bianchin al demanio regionale, sventando il tentativo di inserirla nell'elenco dei beni da alienare, con il conseguente pericolo di speculazione. Organizzazione: CAI Veneto e Friuli Venezia- Giulia, WWF Veneto e Friuli V. G., Legambiente Friuli V. G., Mountain Wilderness, Ecoistituto del Veneto "A. Langer". Per informazioni:   Ecoistituto del Veneto Alex Langer  041.935666  dalle 17 alle 18  da lunedì a venerdì; Toio de Savorgnani 0438.581989

13/11/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sul commercio equo e solidale

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico sul commercio equo e solidale. «Iniziative e idee per un consumo più consapevole» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatori: Mauro D'Ascanio e Lorenzo Moretti della cooperativa "La Rondine" di Verona. Nel corso della serata la bottega del mondo "El Ceibo" metterà a disposizione prodotti equi e solidali. Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

19/11/01 - Verona - Contro la violenza

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Un decennio contro la violenza». Relatore: don Letizia Tommasone (pastora valdese - Verona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

dal 23 al 30/11/01 - Verona - XXI Rassegna Cinema Africano

05/12/01 Giornata nazionale del Volontariato

10/12/01 - Verona - Spiritualità ebraica

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «I doni della spiritualità ebraica». Relatore: Amos Luzzato (presidente comunità ebraiche - Venezia). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.


in primo piano 

Profughi e rifugiati: i dannati in terra
di
Shorsh Surme (direttore del periodico kurdo "Hetaw" (sole)
 
Sono oltre 28 milioni di essere umani che percorrono attualmente il nostro pianeta, recando un fardello insopportabile, sono i profughi dei quali chi vive nel benessere facilmente si dimentica. In questi ultimi anni, precisamente dopo il crollo del muro di Berlino, il disfacimento dell'impero Sovietico, e la guerra del Golfo  molte cose sono  peggiorate, basti pensare alla guerra del ex Jugoslavia, ai conflitti nel continente nero dalla Somalia al Ruanda, alle repressioni del governo Turco, del governo iracheno e del governo iraniano nei confronti dei Kurdi, oppure alle immigrazioni di massa degli Albanesi e dei nord africani. Gli spostamenti in massa di popolazioni si possono dividere in due grandi categorie. Da una parte quelli che sono la diretta conseguenza della violenza dell'Uomo, della sua volontà di dominare, della intolleranza verso i suoi simili. Rientrano in questa importante categoria in particolare gli spostamenti, dei rifugiati, cioè di quegli individui la cui vita o libertà sarebbe in pericolo se fossero costretti a ritornare nel loro Paese di origine. Dall'altra parte ci sono invece gli esodi che sono la conseguenza di calamità naturali, di sottosviluppo, di povertà ma anche di catastrofi ecologiche. In questo caso le popolazioni in fuga non sono costituite da rifugiati in cerca di asilo, ma più semplicemente da essere umani in difficoltà che hanno bisogno di aiuto. Può sicuramente ammettersi che sia nell'uno che nell'altro caso, la gente è obbligata a lasciare il proprio Paese per una questione di sopravvivenza.
Non è sempre facile isolare una causa precisa di fuga dei rifugiati, poiché i motivi che inducono le persone a fuggire sono generalmente molto complessi. L'esodo può avere per causa diretta una persecuzione individuale, un conflitto armato, ma anche una campagna di repressione d'ordine politico, economico, etnico o religioso; minimo comune denominatore è l'assenza o l'inefficacia del sistema di protezione nazionale, a volte responsabile diretto della situazione di crisi. La grande maggioranza di rifugiati, oggi, non cerca di fuggire da atti di persecuzione individuale, pur tuttavia ancora presenti, ma dalla violenza generalizzata contro la popolazione civile, e dal radicale decadimento delle condizione di vita quotidiane che ne consegue.
Nella economia di quasi sussistenza, i conflitti violenti arrestano la produzione ed impediscono la distribuzione di generi alimentari; le conseguenze sono spesso drammatiche: carestia ed epidemia sono infatti pericoli ancora più gravi dello stesso conflitto armato, e determinanti per lo spostamento d'intere popolazioni. Anche cause di ordine ecologico, per cui paesi sottosviluppati vengono utilizzati come discariche di materie nocive, possono contribuire ad acutizzare la angoscia delle popolazioni. In effetti l'erosione del suolo, la siccità ed altri problemi ambientali, sono comuni, ad esempio, a gran parte del continente africano, continente dove, con il 10% degli abitanti del pianeta, si conta il 30% della popolazione mondiale di rifugiati. In casi estremi, come nel caso del Kurdistan sia  nella parte  irachena che quella turca o iraniana, la distruzione dell'ambiente naturale è stata impiegata, deliberatamente, come arma di guerra contro la popolazione Kurda. ( ad esempio la distruzione totale di ottomila villaggi con tutta la loro vegetazione e con la chiusura dei bacini naturali per rifornimento dell'acqua). Tra  le varie forme di conflitto esistente, quello etnico è divenuto, negli ultimi anni, la causa principale di fuga dei rifugiati, Naturalmente, pochi Stati moderni sono etnicamente omogenei: esistono infatti, almeno 5 mila gruppi etnici diversi, all'interno dei 180 Stati indipendenti che esistono oggi nel mondo; quindi il progetto di una eventuale costituzione di entità statali etnicamente pure, risulta palesemente improponibile. Ciò nonostante, le tensione di tipo etnico si prestano fin troppo facilmente ad essere strumento di talune fazioni, desiderose di estendere la propria influenza. Il conflitto etnico diviene, poi, probabile quando un solo gruppo detiene le leve del potere e se ne serve per favorire i propri interessi, a detrimento di quelli di altre componenti della popolazione nazionale: le popolazione di origine albanese del Kosovo  per esempio, non hanno alcun riconoscimento in una visione ultra-nazionalista di una "Grande Serbia" Cristiano-Ortodossa.
Non sempre, inoltre, i gruppi dominanti hanno avuto il consenso della maggioranza; il caso del Sud Africa, dove la pratica dell'apartheid escludeva la popolazione nera dai diritti di cittadinanza, è un esempio emblematico al riguardo. Violazioni gravi e massicce dei diritti umani, accompagnate da una flagrante mancanza dello Stato dall'obbligo di difendere i propri cittadini, costituiscono ancora la causa principale di fuga di molti rifugiati; assassinii, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni, infatti, hanno un profondo impatto sulla popolazione ed alimentano la spirale di paura e violenza che spingerà la gente a cercare rifugio presso i paesi vicini. Garantire il rispetto dei diritti umani quindi, è il migliore modo per eliminare le cause che costringono i rifugiati all'esilio. 
                                           

SOLIDARIETA' CONCRETA
 
Una luce di speranza dal quarto mondo
 
Mi chiamo Elisabetta Garuti, sono membro della Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini, fondata da Don Oreste Benzi. Sono la coordinatrice generale del progetto «Rainbow», un modello di intervento su larga scala che ha lo scopo di aiutare i bambini orfani dell'AIDS in Zambia Africa. Vi scrivo per rendervi nota una lettera che ho appena ricevuto da un obiettore di coscienza che sta svolgendo il proprio servizio civile all'interno del progetto. Mi sembra una lettera significativa, specialmente alla luce dei fatti drammatici che stanno accadendo nel primo mondo. Prima di  riprodurre la lettera penso sia bene accennare brevemente al modello del progetto ed al suo funzionamento. La lettera si riferisce in particolare al settore del microcredito.
Il modello «Rainbow» si articola in diversi settori di intervento che si possono riassumere nel seguente modo:
 
Centro di ascolto - Un centro nel quale i bambini possano trovare delle persone pronte ad ascoltare i loro problemi, e dove chiunque sia a conoscenza di situazioni di bambini in difficoltà ne possa fare la segnalazione.

Case famiglia di pronto soccorso - Sono case-famiglia per l’accoglienza immediata dei bambini segnalati al centro di ascolto o di bambini trovati in strada.

Gruppi di sostegno ed autosviluppo - In questi gruppi le madri di famiglia che hanno già accolto bambini orfani, possono discutere insieme riguardo ai problemi che incontrano con questi bambini toccati dal trauma della perdita dei genitori. Possono inoltre parlare dei problemi concreti che devono affrontare dovendo mantenere una famiglia più numerosa di quella che avevano in precedenza. (di solito già discretamente numerosa).  

Micro credito - Ogni famiglia partecipa ad un corso di formazione, della durata di due settimane,  per imparare la gestione di piccole attività economiche. Ogni corso prevede una parte teorica , una parte pratica e una parte informativa. Alla fine del corso, ogni partecipante, con l’aiuto degli insegnanti, prepara un preventivo di spesa per l’attuazione della attività economica scelta. Viene erogato il capitale iniziale necessario per l’attuazione della piccola attività economica scelta. Il denaro viene dato sotto forma di prestito, senza interessi e con particolari condizioni per la restituzione. La scelta di non imporre interessi sul prestito deriva dal fatto che il micro-credito viene utilizzato come tentativo di alternativa all’assistenza pura e come opera di sostegno a famiglie che vivono in uno stato di estrema difficoltà. Quando il capitale iniziale viene erogato alle famiglie, inizia un periodo, della durata indicativa di tre mesi, durante il quale le famiglie ricevono un supporto di tipo assistenziale in termini principalmente di cibo ed educazione.

Supporto per la scuola - Per i bambini che non riescono ad essere ammessi alle scuole ordinarie. Si possono prevedere diversi tipi di supporto: pagamento delle tasse scolastiche; richiesta di esenzione dalle tasse scolastiche per i bambini orfani; pagamento del salario di insegnanti aggiunti che possano insegnare nella scuola ordinaria; apertura di scuole private (community schools) laddove non ci sia nessuna possibilità di mandare I bambini nelle scuole ordinarie. Queste scuole potrebbero anche prevedere la creazione di laboratori per l’apprendimento di professionalità quali: agricoltura, meccanica, taglio e cucito, carpenteria ecc…

 (AFIF TEAMTEAM PER L’IDENTIFICAZIONE E LA FORMAZIONE DI FAMIGLIE AFFIDATARIE ED ADOTTIVE Per la ricerca, la formazione, ed il sostegno delle famiglie disponibili ad accogliere gli orfani provenienti dalle case di pronto soccorso.

INFO TEAM - per l’azione di sensibilizzazione e di informazione sia a livello dei media che a livello politico.

Ed ecco la lettera:

Ciao (...), in agosto ho finito di analizzare i training e la parte sulla selezione e formazione dei gruppi, e adesso seguo gli operatori di Savoir Faire nelle uscite di monitoring and evaluation nei compounds. Quello che non troverai nella ricerca sono le sensazioni che ho quando sono in giro a visitare le donne; tra gli inevitabili insuccessi ci sono però tante storie che rinnovano e rinforzano la fiducia in quanto si sta facendo. Così capita spesso di rientrare a casa molto più tardi di quanto programmato, perchè una signora vuole farci vedere l'orto e la serra di fiori che è riuscita a costruire, un'altra vuole che vediamo il suo libretto di risparmio (per la prima volta con cifre a 5 zeri, le rette dei figli non sono più un problema!), un'altra ancora insiste perchè andiamo a prendere una coca cola nel suo nuovo salotto, comprato l'altro mese. Scopro che a queste persone è stata data soltanto la possibilità di iniziare, tutto il resto, (capacità e voglia di fare) ce l'avevano già, e adesso ce la fanno da sole. Non proprio da sole: molte hanno mille altri progetti in testa , e ci spiegano cosa potrebbero realizzare con un secondo prestito, e quindi si programma insieme altreiniziative, ed è bello vedere persone motivate, che trasmettono fiducia e positività. Non penso certo che il microcredito sia la panacea ai mali del terzo mondo, credo però che sia ciò che di più concreto possiamo fare qui, perchè è qualcosa che parte da qui e che noi ci limitiamo a "implementare" e, nei limiti,  a migliorare. E' giusto indignarsi per quanto stiamo portando via aggratis da questi posti, per come sono trattati questi paesi nei consessi internazionali, ma personalmente ricavo più motivazioni nel vedere fare qualcosa, per quanto poco, piuttosto che piangersi addosso. Qui l'eco di quanto sta succedendo nel resto del mondo arriva molto debole, e forse è un'inconscia reazione all'attenzione che prestiamo ai loro morti: senza bombe nè attentati, qui ne muoiono a milioni, in silenzio, ogni giorno, quante volte ne sentiamo parlare da noi? Provo pietà per i morti di New York, un po' meno per il solito spettacolo che vedo sulle nostre televisioni, che mi sembra sia anche più pericoloso di quanto già atroce è successo.Ci vediamo a novembre a Rimini, intanto grazie ancora per la disponibilità e l'aiuto concessomi (gli operatori di Savoir Faire sono in gambissima!)
Alessandro

Per Informazioni: giboebetta@libero.it

MASSMEDIA e TAM TAM vari 

SITI DA VISITARE 
 
1) Il portale di San Bonifacio www.sanbonifacioonline.it
2) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
4) Agenzia giornalistica internazionale: www.fidest.net/   
5) Il paese delle donne: http://www.womenews.net
7) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
8) Pedagogisti on line www.educare.it
9) Notiziario femminile www.femmis.org
10) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
11) Agenzia giornalistica www.misna.org 
 
CARTA... in edicola
 
Il nuovo numero di Carta settimanale è in edicola. Perciò ve ne segnaliamo le proposte, sperando di esservi in questo modo utili. L'argomento di cui principalmente ci occupiamo è la guerra dell'informazione. Un'intervista a Curzio Maltese, opinionista di Repubblica, parla dei media italiani "con l'elmetto". Un campionario di citazioni dai giornali dei primi giorni di guerra mostra come nelle redazioni si siano scavate trincee. Un'altra intervista, al giornalista americano John Cooley, tratta di tutto ciò che tv e giornali non comunicano, a proposito di bin Laden e di talebani. Due pagine di siti internet offrono a ciascuno la possibilità di farsi la sua informazione. Naturalmente, l'assemblea fiorentina dei forum sociali occupa diverse pagine. Sempre sul tema della guerra, pubblichiamo una lettera del presidente delle Acli, Luigi Bobba, che risponde alle osservazioni critiche di Carta. Sul rapporto tra i cattolici e la guerra, e le differenti opinioni in proposito, intervengono don Renato Santoro, prete delle periferie di Firenze, Silvia Pochettino, dei Volontari per lo sviluppo, e Angelo Levati, delle Acli milanesi. Un ampio dossier illustra i problemi della casa nel nostro paese: la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, i rischi per chi è in affitto, la casa che non si trova ed è troppo cara, la drammatica questione di trovare casa per gli immigrati. Dall'Ecuador, un réportage racconta il congresso della Conaie, la confederazione indigena, che non solo si pronuncia contro la guerra e il terrorismo, ma discute di quale tipo di nazione possa comprendere in sé ogni tipo di diversità. Infine, il film "Genova. Per noi", la cui distribuzione in edicola (fatta da Carta insieme a manifesto, Liberazione e Unità) finisce con questo numero del settimanale, registrando un grande successo di diffusione, cioè circa 70 mila copie. Siamo andati a vederlo insieme agli studenti di un liceo romano: raccontiamo le loro impressioni. Sul settimanale c'è molto altro, per esempio le trenta pagine di segnalazioni dai cantieri sociali, ma questo messaggio è già troppo lungo.
 
UN APPELLO. SOLIDARIETA' AI MAGISTRATI IMPEGNATI CONTRO MAFIA E CORRUZIONE
 
Appello al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi Noi cittadini italiani chiediamo che i ministri dell'Interno e della Giustizia ripensino le scelte annunciate nelle scorse settimane e mantengano la tutela ai magistrati. La periodica rivalutazione di quali personalita' istituzionali abbiano bisogno di essere tutelate con l'assegnazione di una scorta e' una misura in se' giusta, anche per raggiungere l'obiettivo di impiegare al meglio le forze di polizia. Ma in questi giorni la decisione di eliminare le scorte ha colpito anche magistrati esposti a rischi reali. Cosi' sono rimasti senza una adeguata protezione molti magistrati palermitani impegnati nel contrasto a Cosa Nostra e, a Milano, Ilda Boccassini, magistrata che ha indagato sull'assassinio di Giovanni Falcone e che rappresenta l'accusa in processi con imputati Silvio Berlusconi e Cesare Previti. In questo momento, segnato da nuove leggi che indeboliscono i controlli di legalita' (come quelle sulle rogatorie internazionali, sul falso in bilancio, sul rientro dei capitali dall'estero), togliere le scorte a questi magistrati non solo li lascia privi di difesa, ma rischia di sembrare un segnale ostile e punitivo nei loro confronti. Come ha dichiarato il procuratore generale della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli, sembra che alcune decisioni siano state assunte "nel quadro di un'ostilita' contro i magistrati che continuano il lavoro di Mani pulite e che tengono alta nei confronti di tutti, senza timori e senza guardare in faccia nessuno, la bandiera della legalita'". Associazioni promotrici: Arci Milano, Arci Lombardia, Antimafia Duemila, www.societacivile.it, Omicron-Onlus (Osservatorio milanese sulla criminalita' organizzata al Nord), Coordinamento milanese Presidi e Insegnanti in lotta contro la mafia, Sciarpe Gialle,  L'altra Milano. Primi firmatari: Giovanna Borgese, Aldo Busi, Novella Calligaris, Antonino Caponnetto, Vincenzo Consolo, Lella Costa, Paolo Flores d'Arcais, Franco Fabbri, Dario Fo, Peter Gomez, Paolo Sylos Labini, Gianni Mina', Silvio Novembre, Ottavia Piccolo, Fernanda Pivano, Pippo Pollina, Andrea Purgatori, Franca Rame, Teresa Sarti, Pasquale Scimeca, Leo Sisti, Corrado Stajano, Marco Travaglio, Monica Zapelli. [Per contatti e adesioni: antimafiaduemila@antimafiaduemila.com, redazione@omicronweb.it]
 
VIAGGIO IN GUATEMALA
 
Viaggio di Gruppo in Guatemala dal 23 al 05 Gennaio 2002 organizzato in collaborazione con la Rete Radiè Resch di Solidarietà Internazionale e Cooperativa Kato - Ki di Chimaltenango.info@planetviaggi.it  www.planetviaggi.it

INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI

C’è ancora una guerra giusta?

di p. Gabriele Ferrari (il presente intervento sarà pubblicato sull numero si novembre della rivista "Testimoni" - Dehoniani

Questa guerra, dichiarata silenziosa, speciale, invisibile …(la si chiami come si vuole, sempre guerra è) è diventata uno spartiacque per la storia contemporanea e anche per ciascuno di noi, perché davanti ad essa dobbiamo farci un giudizio, prima di affermare che essa è un mezzo giusto, proporzionato, per rispondere alla sfida del terrorismo. Sono bastate queste due settimane di bombardamenti su Kabul e le altre città per far cadere l’illusione che essa potesse essere, secondo la promessa di Bush, una guerra “limitata”, “circoscritta” e “chirurgica”. Questa guerra, come quella del Golfo, ha già coinvolto altri stati e altre realtà, e si rivela sempre più una guerra globale: lo è per i civili afgani, colpiti “per errore” o insieme a obiettivi militari; lo è per i profughi; per il Pakistan, per Israele e per i palestinesi, per la Nigeria, e lo è infine per l’Occidente che si sente minacciato dalla guerra biologica, la vendetta spietata di Al Qaeda. Lo notiamo anche qui in Italia. Per quanto i ministri della sanità, della difesa e degli interni si susseguano sugli schemi della TV per invitarci a non cadere nel panico, e per quanto tutto sembri normale, sentiamo che normale non è più. Sappiamo che il fronte della guerra è lontano, ma sentiamo che esso è nello stesso tempo vicino a noi, perché questa è una guerra che si combatte tra due mondi e due civiltà. E noi, lo vogliamo o no, siamo in uno dei due. Era quello che temevamo, ed è proprio quello che sta succedendo.

Un’incredibile voglia di  guerra

Mi si permetta una constatazione, amara e incredibile. Nel corso dei telegiornali di queste settimane, mi è parso di cogliere un interrogativo, che è insieme preoccupazione: come mai a noi italiani non è chiesto di partecipare alla guerra? I conduttori pongono questa domanda ai loro invitati, agli esperti militari, ai politici, o ai giornalisti. Ma le risposte non li convincono. Il nostro primo ministro, rimasto per alcune settimane in lista d’attesa, è stato finalmente accolto alla Casa Bianca. E’ andato ad offrire tutta la disponibilità delle nostre forze militari, ma pare che sia rientrato con le classiche pive nel sacco…Che cosa dobbiamo fare per essere trattati come gli altri? “Se l’Italia vuol aver voce …” recita il titolo di un articolo apparso su un quotidiano ad alta tiratura lo scorso 15 ottobre u.s. Da dove viene questa smania di guerra?

“Dagli al pacifista!”  

Nello stesso tempo i giornali filogovernativi criticano senza alcun ritegno coloro che si dichiarano pacifisti e che osano dirsi in favore della pace, contro la guerra. Non si attacca il Papa, meno male! ma i pacifisti, i giovani (e meno giovani) della Marcia Perugia-Assisi, quelli sì, e come! Forse si sperava di aver una nuova occasione per poter gridare ancora contro i dimostranti no global dello scorso luglio, tacciati di pseudomoralismo antiamericano(!). Forse (Dio mi perdoni il giudizio temerario … ma mi pare così ovvio) si sperava di aver l’occasione per menare ancora un po’ le mani e il manganello … Ma non è successo nulla.  I soloni della guerra hanno moltiplicato gli articoli tra l’ironico e il rabbioso sul “pacifismo strumentale” dei cattolici (pardon, dei cattocomunisti!), su “Le ambiguità dei pacifisti”. Si sono domandati con intensa partecipazione:“Ma dove sono i bellicisti?”. Da dove vengono fuori quegli ingrati che osano criticare le scelte di Bush, un presidente improvvisato che si è trovato al vertice del mondo dopo un’elezione confusa oltre che rocambolesca, ma che oggi ha in mano i destini del suo paese e dei nostri.  

E’ possibile dissentire?

L’impressione è che oggi non si possa proprio dissentire. Una volta si chiamava questo «portare il cervello all’ammasso». Chi osa farlo è accusato di mancare di rispetto ai morti di Manhattan o alla sofferenza degli americani. Ma nessuno di quelli che dissentono dalla guerra intende giustificare l’orribile e deprecabile tragedia abbattutasi su New York e su Washington: essa è e rimane un crimine da condannare e da sanzionare. Ma la guerra scatenata da Bush era proprio necessaria? Può essere detta giusta? Personalmente non riesco ad accettarla e a giustificarla. Anche a ragionare solo da un punto di vista politico, lasciando fuori ogni valutazione morale di tipo religioso, la guerra non era la soluzione giusta. Che Bush scatenasse la guerra era proprio quello che volevano i terroristi, tanto è vero che il 7 ottobre, a poche ore dall’inizio dei bombardamenti, è stato puntualmente trasmesso il video preparato da Osama Ben Ladden sugli schermi della catena televisiva Al Jazeera. Dichiarando la guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono messi sullo stesso piano dei terroristi, togliendosi dalla posizione di vittime. Non bastano le porzioni alimentari sganciate sull’Afghanistan insieme con le bombe a mascherare un’aggressione che finisce per far danno alla popolazione civile.

Per eliminare le radici del terrorismo

Gli strumenti giusti per colpire i terroristi erano il controllo dei loro imponenti flussi finanziari e del riciclaggio internazionale, l’intelligence, la prevenzione, la vigilanza internazionale, il taglio di ogni complicità, l’isolamento internazionale, ma soprattutto il ricorso alla autorità delle Nazioni Unite, al Tribunale penale internazionale. Invece la guerra, lo possiamo già vedere, sta facendo scoppiare anche altrove nuove guerre interne (v. Nigeria, Pakistan, Indonesia …), e provocherà l’uscita dalla coalizione antiterroristica di paesi islamici moderati, convincendo molti paesi del Terzo Mondo che gli Stati Uniti fanno parte degli oppressori e dei nemici. Tutto questo mentre il most wanted  Ben Ladden, l’uomo più ricercato del momento, su cui c’è una altissima taglia, continua a tramare liberamente.  Che dovrebbero fare gli Stati Uniti e i loro alleati (noi compresi), se non nell’immediato, quanto meno nel medio termine? Dovrebbero programmare seriamente la risoluzione dei conflitti in corso, soprattutto quello palestinese. Lo ha detto chiaramente il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Michael Sabbah alla marcia della pace: in questo modo il 90% delle rivendicazioni terroristiche sarebbero state svuotate di contenuto. Dovrebbero cercare di abbattere finalmente il muro di povertà che separa il Sud dal Nord del mondo e che è apparso così chiaro nel corso del G8 di Genova.  Non sarà la guerra che potrà risolvere questi problemi. Una guerra non ha mai dato soluzione definitiva ai contenziosi, ma ha solo preparato altre guerre e nuove tensioni. Si deve invece prosciugare il bacino di cultura del terrorismo, bisogna dialogare, bisogna raggiungere degli accordi e dei compromessi e applicarli con la forza del consenso delle nazioni. Se questo valeva in passato, quanto più oggi in presenza di questa guerra nella quale il nemico non si vede, non perché nascosto nelle grotte dell’Afghanistan, ma perché potrebbe essere anche in casa propria, magari nell’appartamento accanto; perché si tratta di un nemico che usa le borsa e i mercati finanziari e ha un esercito internazionale di kamikaze istruiti proprio da coloro che poi ne sono le vittime, che invia le polverine dell’antrace attraverso il servizio postale nazionale.

Si può ancora parlare di guerra giusta? 

Una volta la guerra poteva essere giusta. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, che trasmette tutta la tradizione cattolica, ci ricorda quei principi che rendono possibile una guerra giusta: quando il danno causato dall’aggressore sia durevole, grave e certo; quando gli altri mezzi si siano rivelati impraticabili o inefficaci, quando ci siano fondate condizioni di successo; quando il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Queste condizioni sono applicabili oggi? Forse si potevano applicare alle guerre tradizionali dove i danni si spartivano tra i due eserciti. Già il Catechismo degli adulti è molto più restrittivo e ricorda una frase di Giovanni Paolo II: La guerra è “il mezzo più barbaro e più inefficace di risolvere i conflitti” (n. 1037)  Oggi non si usano più le armi tradizionali, ma quelle super-sofisticate; oggi c’è il rischio delle armi nucleari; oggi si lanciano missili dalle portaerei per colpire un nemico invisibile e spesso si mancano gli obiettivi malgrado la precisione chirurgica (si ricordi la guerra del Golfo), mentre i danni sono riversati su popolazioni inermi e innocenti. Pensiamo alle popolazioni dell’Afghanistan che pagano per Ben Ladden e per i Talebani, degli stranieri venuti dal Pakistan ad occupare la loro terra… Per ora le vittime, morti e feriti, sono i civili Afgani, vittime di tre guerre negli ultimi decenni! L’esperienza delle ultime guerre mostra che in qualunque tipo di guerra su cento persone che muoiono sette sono soldati e novantatre sono civili di cui 34 bambini! Oggi la guerra uccide essenzialmente civili indifesi. Può essere dichiarata giusta una simile guerra? Possiamo giustificarla solo per un dovere di gratitudine verso gli Stati Uniti che ci hanno liberati dai nazifascisti? Non bisognerà invece suggerire e praticare altre strade per risolvere i contenziosi internazionali?  

L’opinione cattolica in Italia

Secondo un sondaggio pubblicato sul n. 40 di Famiglia Cristiana, il 53 % dei cattolici italiani è favorevole all’intervento militare, ma il 68% non lo sarebbe più se questo dovesse provocare vittime tra la popolazione civile. Il Papa il giorno dopo dell’attentato, come in occasione della guerra del Golfo, dopo aver condannato con forza gli attentati, ha alzato la sua voce profetica: "Imploriamo il Signore, perché non prevalga la spirale dell’odio e della violenza" e ha subito chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di non far prevalere la vendetta e lo spirito di ritorsione. Le stesse cose ha detto di nuovo con molta forza nel messaggio per la giornata dei profughi pubblicato il 18 ottobre u.s. Ma ancora nel corso del viaggio papale in Kazakhstan, il portavoce della Santa Sede, quasi a correggere il papa da possibili malintesi, si è premunito di dire che "il papa non è un pacifista, perché si deve ricordare che in nome della pace si può arrivare anche a terribili ingiustizie”. E ripetendo l’antica teoria della guerra giusta, identificata con la legittima autodifesa, affermava che ci sono casi in cui l’autodifesa può portare alla morte di una persona: “O la gente che ha perpetrato un crimine è in situazione di non più nuocere ulteriormente… o il principio dell’autodifesa si applica con tutte le sue conseguenze". Qualche giorno dopo il presidente dei vescovi italiani, al consiglio permanente della CEI, dichiarava che, fuori di dubbio, esisteva “il diritto, anzi la necessità e il dovere” di combattere il terrorismo internazionale con i suoi promotori e difensori. E questo diritto/dovere doveva essere esercitato “non solo attraverso il ricorso alla forza delle armi – da mantenere sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate – ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo o possono dargli luogo". E’ facile notare in queste due affermazioni che l’antica giustificazione teologica della guerra, proprio al momento di applicarla, mostra il suo limite radicale di fronte al nemico invisibile, perché non si può immaginare di portare la guerra in tutto il mondo, là dove il terrorismo ha "promotori e difensori". Come non vedere nell’applicazione oggi della teoria della guerra giusta una colossale e tragica ipocrisia? Siamo davanti ad una teologia esatta e puntuale sul piano della forma e delle parole, ma che si sfalda immediatamente quando è confrontata, per esempio, alle molte vittime civili, alle folle senza tetto, ai profughi, agli innumerevoli bambini irakeni morti in questi dieci anni a causa delle conseguenze della guerra e dell’embargo ad essa collegato. Una simile teologia (se ancora può attribuirsi questo nome) non è forse una teologia di morte? Una contraddizione.

Per concludere

Per concludere vorrei riassumere in modo chiaro qualche punto di queste riflessioni. 1. Devo oppormi a ogni terrorismo che condanno con tutte le mie forze e devo chiedere che si cerchino, si giudichino e si condannino i responsabili di questi crimini. 2. Ma non posso accettare questa guerra neppure come legittima difesa, posto che in queste condizioni essa diventa un’altra più grave ingiustizia, “il modo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti” che ricade su persone completamente innocenti, un modo che non è proporzionato con il fine che mi prefiggo. 3. Essere per la pace non è essere contro gli americani e in favore dei terroristi. Essere per la pace non significa lasciar impuniti i colpevoli del terrorismo, ma cercare le strade coerenti con il vangelo e con i diritti dell’uomo. 4. Essere per la pace comporta chiedere che l’ONU si attivi e sia ascoltato anche dagli Stati Uniti, usare il Tribunale penale internazionale, cercare di risolvere i conflitti in atto e abbattere le barriere della povertà che oppongono il Sud al Nord del mondo. 5. Cercare la pace, almeno per chi si dice e vuol essere cristiano, è lasciarsi guidare dalla parola di Dio cui ci si appella sempre, a volte anche a sproposito, ma che si evita di chiamare in causa in questi momenti terribili, quando più è necessaria.

Senza veli alla guerra del greggio

"Coraggio:si parli di petrolio e senza falsi pudori". L'appello è lanciato da Massimo Riva dalle colonne de La Repubblica. Un po' nascosto nelle pagine dell'economia, senza neanche uno strillo in prima pagina (che di solito non si nega a uno dei principali editorialisti del quotidiano di piazza Indipendenza). Ma chiarissimo, nel titolo e nelle argomentazioni: "La guerra del greggio si fa, ma non si dice". La tesi: nella presente guerra oltre alla lotta al terrorismo è in ballo il controllo di un'area cruciale, quella che va dal Kazakistan al mar Rosso e nella quale "è concentrato il 65/70 per cento delle riserve di greggio del mondo intero". A questa "grande area islamica" si rivolgono gli appelli di bin Laden e seguaci. Di questa grande area è suddito (dal punto di vista energetico) il nostro mondo, la nostra produzione, il nostro consumo. "Se Osama bin Laden o chiunque altro al suo posto riuscisse a costruire - facendo leva sulla guerra santa contro gli infedeli - un fronte comune dei popoli e dei regimi che stanno tra il Kazakistan e il mar Rosso, non l'Opec ma il mercato petrolifero mondiale avrebbe trovato il suo padrone assoluto. Con conseguenze che è eufemistico definire devastanti per un'economia planetaria ancora così dipendente dalle forniture di greggio".
Argomenti ineccepibili. Ma allora perché, si chiede Riva, se ne parla così poco? Perché "un velo di ipocrisia" avvolge quest'argomento oggi come lo avvolgeva al tempo della guerra del Golfo? Perché "gli interventisti della sinistra evitano di usare l'argomento del petrolio nei loro dibattiti con i pacifisti" (che invece quell'argomento lo usano eccome, arrivando a conclusioni opposte a quelle belliche di Riva)? "Forse pesa ancora sulle loro coscienze l'antico vizio di considerare gli interessi economici come un frutto avvelenato della logica capitalista"? Rimettiamo i piedi per terra, compagni: la guerra del greggio si fa e si dice. (il Manifesto, 24/10/01)

L'ansia di sicurezza che cancella i diritti

di Stefano Rodotà

CONFESSO di provare disagio e irritazione di fronte a molti degli scritti che accompagnano la discussione cominciata con l'attacco alle Twin Towers. Ma non mi infastidiscono i luoghi comuni che riemergono in situazioni di emergenza, la retorica del dolore e delle emozioni, i commenti scritti con l'elmetto. Il disagio mi coglie soprattutto di fronte a scritti che pure largamente condivido, ma che, per l'autore o il tema affrontato, mi spingono a chiedere: perché solo adesso? Nelle discussioni di queste settimane, infatti, non si riflette soltanto la drammaticità d'un tempo nuovo. Compaiono questioni già note, e fino a ieri neglette; argomenti molte volte svolti, e fino a ieri considerati improponibili. Sì che si potrebbe essere spinti a concludere che, invece della radicale discontinuità di cui insistentemente si parla, stiamo spesso assistendo al ritorno di logiche e temi abbandonati. Il «nulla sarà come prima» diventa così l'obbligo di liberarsi di pregiudizi che, «prima», impedivano di guardare a realtà che già allora esistevano. La pagina bianca nella quale, dopo l'11 settembre, un mondo impietrito e impaurito sembrava precipitato, si rivela, invece, piena di segni trascurati per insipienza o presunzione, e sui quali oggi si è obbligati a tornare.Gli esempi sono ormai folla. Proclamano la necessità di uno Stato palestinese anche molti che avevano perseguito o appoggiato politiche, se non ostili a questa soluzione, certo distaccate e disattente. Preoccupate analisi sulla povertà escono dalla penna di personaggi che di questo tema s'erano liberati con una scrollata di spalle, che l'avevano liquidato come retorica «terzomondista». S'invoca la solidarietà, mentre ieri s'inneggiava ai pamphlets che la dileggiavano. L'intervento pubblico nell'economia viene invocato da sacerdoti dello Stato minimo e del liberismo estremo, e si riscoprono le virtù di quell'intervento non solo per fronteggiare situazioni di emergenza, ma come strumento indispensabile per regolare un ciclo economico negativo che le sole forze del mercato non sono in grado di correggere.
Chi pensa che questa diversa linea corrisponda meglio alle necessità del mondo dovrebbe dichiararsi soddisfatto. Faccio volentieri questa dichiarazione. Ma devo subito dopo interrogarmi sulla consistenza culturale e sulla tenuta politica di questo rovesciamento di posizioni. A guardar bene, taluni mutamenti erano cominciati già al tempo del G8 di Genova. Viviamo dunque in un mondo in cui, per aprire gli occhi sulla realtà, è necessario subire un trauma? Analizzando le conseguenze dell'«economia della paura», Paul Krugman ha sottolineato che l'attacco terroristico renderà possibili negli Stati Uniti interventi antirecessivi pubblici fino a ieri impensabili per la mancanza delle condizioni «politiche». Ma questo passare dalla congiuntura alle condizioni generali di funzionamento del sistema vuol dire che, insieme alle Twin Towers, sono crollati molti dei modelli interpretativi che nel decennio passato hanno orientato le dinamiche politiche, economiche, sociali. Oggi è indispensabile valutare quali altri modelli siano adeguati ai tempi che dovremo vivere. Sovrastati dalla tragedia della guerra, rischiamo di imporci una moratoria della riflessione sul futuro. Penso, invece, che rimanga attuale l'esempio di Lord Beveridge il quale, mentre le V2 tedesche cadevano su Londra, fiduciosamente scriveva il piano che avrebbe portato il suo nome e fondato il Welfare State. Ripartiamo dalla globalizzazione che qualcuno dà per sepolta proprio nel momento in cui il mondo si scopre unificato come mai era stato prima, visto che in ogni angolo del pianeta decisioni politiche, reazioni sociali, pulsioni esistenziali hanno i medesimi punti di riferimento, e si sviluppano partendo dalle stesse immagini che ci inviano le televisioni d'ogni paese. Chi ragiona in termini di fine della globalizzazione probabilmente ha ancora davanti agli occhi solo il modello della globalizzazione attraverso i mercati, che s'era voluto imporre come l'unico possibile. Ma proprio perché questo modello subisce i contraccolpi della nuova situazione, siamo obbligati a riconoscere che l'unificazione del mondo segue anche altre strade. Per la verità, avremmo dovuto accorgercene anche prima. Da tempo si sottolineava che, accanto alla globalizzazione attraverso il mercato, si scorgeva il modello della globalizzazione attraverso i diritti. Oggi si riconosce l'insufficienza analitica del primo modello, il suo essere fonte di conflitti non risolvibili al suo interno, e si accetta il confronto con l'altro. Si rende così più evidente l'esistenza di un potere doppiamente «asimmetrico», visto che il governo del mondo aveva finito con l'essere affidato ad un'unica superpotenza e al sistema delle imprese transnazionali, con un evidente deficit di democrazia ed una caduta di legittimazione di questi «governanti». Diventa così ineludibile il tema del modello di governo democratico del mondo.
Ma i neofiti della globalizzazione attraverso i diritti compiono la loro conversione in un momento scomodo. Non solo l'accettazione di quel modello implica che il valore di riferimento divenga il rispetto dei diritti fondamentali, e non più la sola logica di mercato. Rende anche più difficile affrontare il tema della guerra secondo gli schemi tradizionali, dunque senza attribuire un valore primario ai diritti di tutti coloro i quali possono essere vittime di azioni militari. E impone di guardare in modo meno sbrigativo alla questione dei rapporti tra libertà e sicurezza. Su questa tema bisognerà tornare perché la costruzione della democrazia è sempre stata legata all'espandersi delle libertà - dall'habeas corpus al diritto al silenzio dell'accusato, all'inviolabilità dei diritti fondamentali. Le democrazie non possono conoscere sospensioni delle garanzie costituzionali. Il bilanciamento tra valori può variare storicamente, ma esige sempre garanzie adeguate. E poiché si fanno continui riferimenti alle reazioni dell'opinione pubblica americana citando l'altissima percentuale della popolazione disposta ad accettare limitazioni dei diritti, vorrei ricordare che vi è una parte di quei sondaggi, taciuta nelle nostre cronache, che mostra come gli interpellati, con percentuali persino più alte, esigano garanzie per limitare nel tempo le restrizioni e controllare chi eserciterà i nuovi poteri. Le nostre discussioni rischiano d'essere inquinate da disinformazione. Si dovrebbe sapere che negli Stati Uniti non esistono documenti d'identità, fino a ieri non v'era nulla di paragonabile ad un ministero dell'Interno, i giudici autorizzavano solo il cinque per cento delle intercettazioni richieste dalla magistratura. Quali travisamenti può determinare una discussione americana trasferita in un'Europa dalle condizioni istituzionali quasi del tutto opposte? Si prospetta un'ingannevole ricetta: «meno privacy, più sicurezza». La formula è doppiamente ingannevole. Sul piano pratico, perché vi sono situazioni in cui solo una maggior tutela della privacy individuale può far crescere la sicurezza collettiva. Basta pensare alle liste dei passeggeri degli aerei, oggi accessibili per moltissimi soggetti, e che possono fornire informazioni preziose ai terroristi, sia indicando chi viaggia, sia svelando dati apparentemente innocui come le abitudini alimentari dei passeggeri che hanno richiesto un pasto speciale, e che possono rivelare che su quel volo si trova un gruppo di ebrei ortodossi.
Sul piano dei princìpi, il riferimento alla privacy induce a pensare che si tratti di poca cosa, di modesti sacrifici. E invece così non è, perché dietro quella parola si scorgono libertà essenziali del nostro tempo: le forme della comunicazione, le nuove possibilità di discriminazione, la costruzione stessa della personalità. La privacy, in questo suo più ricco significato, costituisce ormai un elemento essenziale della cittadinanza della nostra epoca, della «cittadinanza elettronica». Bisogna diffidare dell'argomento di chi sottolinea come il cittadino probo non abbia nulla da temere dalla conoscenza delle informazioni che lo riguardano. «L'uomo di vetro» è una metafora totalitaria, perché su di essa si basa poi la pretesa dello Stato di conoscere tutto, anche gli aspetti più intimi della vita dei cittadini, trasformando automaticamente in «sospetto» chi chieda salvaguardia della vita privata. (segnalazione di Paolo Veronese)

SETTE MILIONI DI AFGHANI RISCHIANO LA MORTE PER FAME
 
Premono davanti alla porticina, dove un addetto cerca di tenerle a bada. Qualcuna stringe tra le braccia un bambino, una mostra un bebe' avvolto in uno scialle. Riusciranno a entrare una a una: nel cortiletto sono ormai decine, attendono impazienti il proprio turno di mostrare un bambino ammalato a una delle dottoresse che presta servizio volontario in questo ambulatorio improvvisato. Siamo in un quartiere residenziale di Peshawar, dove una villetta e' la sede dell'Afghanistan Women Council, Consiglio delle donne afghane: dalla meta' di settembre sono subissate da richieste di aiuto, e la richiesta piu' pressante, ci dice la signora Fatana Gilani, e' il puro e semplice cibo: i rifugiati afghani, quelli che continuano ad arrivare nonostante tutte le frontiere chiuse, hanno fame. "Possibile che nessuno si renda conto? Ieri mattina, qui fuori, ho trovato tre o quattrocento donne che aspettavano, esasperate. Mi tiravano per la sciarpa: 'dove andiamo, cosa daremo da mangiare ai nostri figli, siamo appena arrivate da Kabul e abbiamo perso tutto'. Sono persone traumatizzate, hanno pagato contrabbandieri per arrivare a piedi attraverso le montagne, non hanno denaro, e qui trovano solo telecamere e giornalisti. Ormai vi odiano". Fatana Ishaq Gilani e' una bella signora sulla quarantina con un viso amaro. Lei appartiene a una famiglia di notabili; e' fuori dall'Afghanistan da 22 anni e ha cominciato il suo attivismo per i diritti delle donne negli anni '80. Ha partecipato a fondare il Consiglio delle donne afghane nel '93 per "dare alle donne il posto a cui hanno diritto nella societa' afghana" e difendere "i diritti civili e sociali delle donne". E' un'organizzazione indipendente, precisa, e non ha finanziamenti istituzionali ma solo donazioni private, beneficenza: con queste gestisce dal '92 un ambulatorio a Kabul oltre all'ambulatorio di Peshawar (l'assistenza e' gratuita); una scuola (Aryana High School) pure fondata nel '92, circa 5.000 scolari dalla prima alla dodicesima classe, attivita' culturali. Ma su tutto questo ora prevale l'urgenza: "Da meta' settembre 400 famiglie sono venute alla nostra porta a chiedere aiuto, significa alcune migliaia di persone. Ora abbiamo abbastanza per distribuire cibo a 200 famiglie per un mese, oltre a curare donne e bambini, ma i nostri mezzi sono limitati. Che posso dirle? Il mio paese e' distrutto, centinaia di migliaia di persone vagano in cerca di aiuto, chi puo' pagare un passeur fugge". Parliamo in un piccolo ufficio, ogni tanto un'assistente porge biglietti da visita di troupes televisive che chiedono di filmare. Alle pareti foto della signora Gilani in conferenza internazionali, accanto a dirigenti della Nazioni Unite, mentre riceve riconoscimenti... "In quante conferenza sui diritti umani siamo andate a parlare di cosa succede in Afghanistan! La realta' e' che prima dell'11 settembre non ci ascoltava nessuno. Finita la guerra contro l'Unione Sovietica c'era un paese da ricostruire, ma proprio allora il mondo ci ha dimenticato - salvo quelli che hanno continuato a dare armi e soldi ai mojaheddin, ogni paese ha sostenuto la fazione che gli era utile. I mojaheddin hanno continuato a combattersi in nome della religione mentre gli afghani sono scivolati sempre piu' nella miseria e la vita per le donne e' diventata impossibile. In Afghanistan il sangue scorre da oltre vent'anni". Le parole diventano un torrente: "Ora hanno deciso di bombardare questo paese gia' stremato. Ma si chiedono da dove sono venuti i Taleban e i loro protetti? Perche' sono stati zitti per ben cinque anni, e ora decidono che per cacciarli ci vogliono proprio le bombe?". Gilani e' scettica sul "governo di ampia coalizione" per l'Afghanistan post Taleban: "chiamano a negoziare sempre e solo i leader religiosi e i comandanti: sono proprio loro che hanno creato il disastro. Bisogna finirla con le barbe lunghe". La situazione umanitaria e' insostenibile, insiste Fatana Gilani: "Chiediamo di fermare subito questa guerra. Gli afghani stanno gia' morendo di fame, all'interno e anche qui nei campi profughi". Esasperata: "Perche' nessuno fa qualcosa? L'Unhcr? Perche' non riescono a distribuire cibo? Abbiamo chiesto all'Unicef di darci una mano, ed ecco tutto quello che ci hanno mandato", e indica un modesto scatolone di  medicinali. "E' venuta anche la vostra viceministro degli esteri: e' venuta con me a visitare un campo profughi, mi ha detto che il nostro lavoro e' tanto prezioso, si e' commossa, e' stata fotografata, ha promesso aiuti. Poi e' ripartita e non abbiamo visto nulla". Fatana Gilani parla di gente umiliata e costretta a mendicare. "Nel campo di Jalozai dall'inizio dell'anno e' morto un centinaio di donne, di malnutrizione e malattie". Gia', perche' ancor prima dei bombardamenti, decenni di guerra e tre anni consecutivi di siccita' avevano fatto dell'Afghanistan il paese forse piu' povero e certamente meno accessibile del mondo. Le Nazioni Unite stimano che 6 o 7 milioni di persone all'interno del paese non abbiano cibo se non quello distribuito dalle agenzie umanitarie, che pero' non hanno potuto o saputo fare molto. Nell'ultimo anno attorno a Peshawar i vecchi campi profughi si sono ingrossati e ne sono cresciuti di nuovi, "spontanei", maltollerati dalle autorita' pakistane, che hanno chiuso le frontiere. L'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr) ora e' impegnato in un braccio di ferro con il governo pakistano: Islamabad ha autorizzato la costruzione di un campo profughi presso Quetta, in Baluchistan, ma solo per i "casi vulnerabili". Il nodo della contesa e' il riconoscimento dello status di rifugiati ai fuggiaschi: questo spaventa il governo pakistano, che si trincera dietro i due o tre milioni di afghani gia' insediati qui, un onere di cui il Pakistan e' solo a farsi carico. Ora l'Acnur stima che tra 10 e 15mila persone stiano premendo ai confini; Islamabad chiede che le agenzie internazionali si occupino di loro oltreconfine, in territorio afghano. "Campi profughi oltre confine? E' pericoloso. E' lasciarli allo sbaraglio", commenta Nadia, giovane redattrice del bollettino mensile dell'associazione ("Zani-i-Afghan", "La donna afghana", dodici pagine in pashto e in dari). Ora anche lei si occupa soprattutto di far fronte al fiume quotidiano di richieste di aiuto. Come a prevenire una richiesta rituale, ci propone di parlare con qualche donna appena arrivata da Kabul. Ci presenta Sanisa, arrivata due settimane fa con i suoi nove figli, il marito e' stato rapito dai Taleban per mandarlo a combattere. Vive in casa di parenti, "ma sono troppo poveri per nutrire me e i miei figli e sono venuta qui a vedere se distribuiscono del cibo". Piange: una volta era un'impiegata statale, a Kabul, "poi quando la citta' e' stata presa dai Taleban ci hanno mandato via e mi sono guadagnata da vivere facendo la domestica, e vendendo un po' di ricami". Ora non ha notizie della madre e della sorella rimaste a Kabul. "Vuoi parlare con una donna che nella fuga ha perso suo figlio?", propone ancora Nadia. No, grazie, perche' infliggere a una donna disperata anche la sofferenza di raccontare forse per l'ennesima volta la propria tragedia? "Beh, i giornalisti di solito ce lo chiedono". [articolo di Marina Forti, inviata a Peshawar del quotidiano "Il manifesto", che ha pubblicato questo articolo il 26 ottobre]
 
LA GUERRA NON E' TERRORISMO?
di Paolo Ricca, pastore valdese
 
In giorni sinistri e luttuosi come questi si vorrebbe poter tacere anziche' dover parlare. Parlare, poi, a chi? Chi ascolta ancora? Il dialogo e' morto, schiacciato anch'esso sotto le macerie di New York e di Kabul. Probabilmente non era mai cominciato. Il terrorismo vuole dialogare? E si puo' dialogare col terrorismo? Comunque, ormai, ciascuno ascolta solo se stesso. In guerra, parlare e' inutile e quasi patetico. Parlano sul serio solo le bombe. Anche i kamikaze sono bombe, a terra e in volo. Esplodono. Il terrorismo e' guerra. La guerra non e' terrorismo? Il rischio di moltiplicare il terrore nell'intento di combatterlo era ovvio fin dall'inizio. E' cresciuto con l'inizio della "nuova guerra". Di questa guerra, che rassomiglia tanto alla vecchia, c'e' da temere, tra le altre cose, che diventi "totale", cioe' si estenda a macchia d'olio ad altri paesi - a quali? a quanti? La guerra e' come Mammona. Credi di tenerla a bada, ma presto ti prende la mano. Pensi di poterla controllare, ma e' lei, alla fine, che ti controlla. La guerra cresce su se stessa: la metti in movimento, poi ti travolge. Parallelamente - non c'e' da dubitarne - crescera' anche il terrore. "Giustizia senza guerra" era la parola programmatica lanciata dal Consiglio delle chiese degli USA all'indomani degli attentati dell'11 settembre. Oggi ancora, a un mese di distanza, sembra ancora la parola piu' responsabile che si possa dire in frangenti cosÏ funesti e situazioni cosi' complicate. C'e' in questa parola in primo luogo l'esigenza di "giustizia": e' un'esigenza categorica, da affermare senza remore, reticenze, esitazioni o eccezioni. Un crimine di inaudite proporzioni e' stato commesso: non lo si puo' subire passivamente senza scardinare il fondamento stesso di ogni convivenza civile. "Giustizia" puo' ovviamente significare cose diverse e il suo contenuto esatto, nel contesto attuale, dovra' essere precisato. Ma si esige "giustizia" senza deroghe ne' sconti. Ricordando, se necessario, la Tesi 5 del Sinodo di Barmen della Chiesa Confessante nel 1934, nella quale si dichiara che "lo Stato, nel mondo non ancora redento, ha il compito - senza escludere la minaccia e l'uso della forza - di provvedere al diritto e alla pace". "Forza" non significa necessariamente forza armata o militare. Il perseguimento della giustizia - sostiene il Consiglio delle Chiese USA - deve avvenire "senza guerra". Cio' non e' accaduto. La guerra e' sotto i nostri occhi, devastante e omicida. Ora si puo' discutere all'infinito se la guerra abbia mai risolto i conflitti che di continuo nascono in seno all'umanita'. Puo' darsi che in qualche caso li abbia risolti o almeno ne abbia facilitato la soluzione. Essa sembra comunque poco idonea a risolvere oggi il problema del terrorismo. Altre vie, forse piu' lunghe (ma anche questa guerra, ci e' stato detto e ripetuto, "sara' lunga") ma probabilmente piu' efficaci, avrebbero potuto e potrebbero ancora essere percorse per raggiungere l'obiettivo di sradicare il terrorismo. La guerra e' comunque una sconfitta. Lo e', in generale, per l'umanita' che continua a dimostrare di non saper convivere senza farsi del male, odiandosi e distruggendosi. Lo e', in particolare, per chi, malgrado tutto e contro tutto, continua a credere nella parola di Gesu' che "i mansueti", non i violenti, "erediteranno la terra", non il cielo (Matteo 5,5). Ma chi rendera' gli umani "mansueti"? Le chiese? Le religioni? Quanti fondamentalisti si allattano alle mammelle delle religioni? Non sarebbe l'ora che le religioni si rendano conto che esse sono anche serbatoi di fondamentalismi? Dove sono i loro figli "mansueti"?
 
 
 Detenzione preventiva?

"Bush ha firmato ieri la legge antiterrorismo, approvata giovedì sera dal Senato con 98 voti a favore e un solo contrario, e soprannominata pomposamente «legge del patriottismo americano». "Criticato dalle associazioni per la difesa dei diritti civili, che temono "anni di piombo" anche negli Stati Uniti, il provvedimento rafforza enormemente i poteri della polizia e del Fbi. "Gli stranieri potranno essere detenuti per sette giorni senza motivazione". (La Repubblica, 27-10-01).

"La legge amplia i poteri della polizia in tema di intercettazioni telefoniche, spionaggio della posta elettronica e controllo dell'uso di Internet, oltre ad aumentare i controlli alle frontiere, istituire reati equivalenti ai nostri «associazione sovversiva» e «fiancheggiamento» ed estendere la detenzione preventiva senza accuse fino a sette giorni (Bush l'aveva chiesta a tempo indefinito). (Il Manifesto, 27-10-01).

"... il giro di vite legislativo ha sollevato preoccupazioni sulle potenziali violazioni dei diritti civili e della Costituzione. "L'unico senatore a votare contro la legge, il democratico Russ Feingold, ha accusato la nuova legislazione di ampliare eccessivamente i poteri di perquisizione e di arresto senza espliciti collegamenti con sospette attività terroristiche" (IlSole24ore,27-10-01). Gli immigrati sospettati di legami terroristici potranno essere detenuti fino a sette giorni senza la formulazione di accuse; e la legge, "in alcune circostanze, concede proroghe per periodi di sei mesi"(IlSole24ore, 27-10-01).

 
3 ottobre 2001: il caso della terra va in tribunale
di Alex Zanotelli
a lotta per la terra a Korogocho e nelle baraccopoli di Korogocho continua con sempre nuovi colpi di scena. L'ultimo ed il più importante è che i proprietari delle baracche di Korogocho (costituitosi in associazione, il KOWA) hanno portato il P.C. (Provincial Commisioner, il prefetto di Nairobi) e il commissario per la terra, in tribunale. Il prefetto ha ricevuto lo scorso luglio l'ingiunzione del Tribunale, su sollecitazione del KOWA, con la proibizione di demolizione delle costruzioni e dello sgombero dei residenti di Korogocho. Il 20 luglio il prefetto aveva tuttavia ordinato ai 29 rappresentati democraticamente eletti dai 7 quartieri di Korogocho (2 a nome dei proprietari e 2 a nome degli affittuari) di proseguire con il censimento delle baracche. Dopo un'iniziale rivolta violenta dei proprietari il 20 luglio, i gruppi scelti hanno dato inizio al censimento che si è concluso alla fine di luglio. Un evento importante e significativo per la comunità. Ma i proprietari delle baracche che costituiscono il 10% dei 100.000 abitanti di Korogocho hanno continuato a fare pressione sul tribunale per una nuova ingiunzione che bloccasse l'operazione di raccolta dei dati. E così avvenne. Il 29 Agosto i proprietari delle baracche si sono incontrati con i rappresentati della comunità di Korogocho per dare il via al caso legale. Il prefetto (tramite il suo avvocato) annunciò che il censimento non sarebbe proseguito a Korogocho (era in atto la verifica baracca per baracca, dei dati raccolti con il censimento). Secondo noi è stato un grosso sbaglio l'aver annunciato questo, poiché l' ingiunzione della corte diceva solo che il governo non poteva demolire le baracche e cacciare gli abitanti. In corte apparve chiara l'obiettivo del KOWA: essi sostengono che la terra è loro e chiedono alla corte che dia a loro il diritto (title deed) alla terra di Korogocho. A livello legale tale richiesta è non costituzionale perché solo il presidente può dare il title deed della terra governativa. Ma le sorprese sono molte! E con un uomo come Moi ci si può aspettare di tutto! Ma visto che le corti sono i porta parola del regime non dovremmo trovare sorprese! A meno che il governo non voglia affossare il prefetto utilizzando la corte! Quello che riteniamo però importante è che finalmente la comunità si sta organizzando a Korogocho sul problema terra. Infatti il comitato dei 29 (democraticamente eletti) è diventato il punto di aggregazione del nuovo Korogocho! Nel giro di pochi giorni hanno raccolto 6.000 firme che hanno depositato in corte. È questa la grande novità di Korogocho: 'emergere lento, ma sicuro di una comunità decisa a lottare per la terra. Se un domani il governo si rifiuterà di dare la terra alla gente, si troverebbe davanti una comunità pronta a battersi perché tutti beneficino della terra. Il caso in corte di Korogocho diventa ora il precedente legale (legal precedent) per tutta Nairobi. Se la comunità di Korogocho la spunta prima in corte e poi con il governo. sarà "buona novella" per i baraccati della città. Ne hanno proprio bisogno, perché la situazione dei poveri della città continua a peggiorare. (fonte: Giovani e missione + www.namaste-ostiglia.it )
 
LA NOSTRA MARCIA
di Frei Betto, religioso cattolico, giornalista e saggista, è una delle voci più vive dell'America Latina
 
Domenica 14 ottobre ho partecipato alla marcia per la pace da Perugia ad Assisi. E' stata una marcia di tutti i popoli, dal momento che li' mi sono trovato al fianco di palestinesi, haitiani, brasiliani, donne afghane, kurdi, africani e asiatici. Ritmicamente le persone applaudivano, in una manifestazione esplicita di chi vuole non solo la pace, ma soprattutto la fine della guerra. Inutile che alcuni gruppi pretendessero una marcia apolitica. Non c'e' nulla di apolitico sotto il sole. Lo stesso Gesu' non e' morto di epatite in un letto, ma dopo due processi politici, dal momento che il suo messaggio spirituale aveva profonde - e scomode - ripercussioni politiche. Nella marcia tutte le realta' sociali presenti si sono unite in un solo partito politico: il Partito della Vita, contro le forze della morte. Parlare di pace in questo momento significa pronunciarsi contro il terrorismo dal volto invisibile e il terrorismo di stato. L'odioso attentato dell'11 settembre va esclusivamente a vantaggio di un settore della società: l'estrema destra. Umiliata nella sua vulnerabilita', la Casa bianca ha reagito con la stessa moneta, scegliendo la legge del taglione. Ma, nella guerra dell'occhio per occhio entrambi i contendenti finiscono sempre ciechi. E, per la prima volta nella storia, un impero muove guerra contro un uomo, senza curarsi affatto dei sacrifici che questo significa per il popolo afghano. Gli Stati uniti non hanno imparato nulla dalla propria storia. Persero in Corea, furono sconfitti in Vietnam, lasciarono l'Iraq senza aver rovesciato Saddam Hussein. Adesso s'impantanano in Afghanistan, dove hanno speso, nei soli due primi giorni di bombardamento, ventidue milioni di dollari. Una somma che equivale al Pil del paese attaccato. La marcia per la pace e' stata un appello alla nonviolenza attiva. Una pressione perche' la diplomazia prevalga sul furore bellico, il dialogo sull'odio, i negoziati sugli attacchi. E' stata anche la prima grande manifestazione contro l'attuale modello di globalizzazione - che sarebbe piu' esatto chiamare globo-colonizzazione - dopo Genova e dopo la distruzione del World Trade Center. Riassestati i rapporti di forza fra l'Est e l'Ovest con la fine della Guerra fredda, resta ora da impiantare la giustizia fra il Nord e il Sud. La pace sara' reale solo quando sara' figlia della giustizia, dicevano i cartelli affissi nelle vie di Perugia. Per il prossimo gennaio i combattenti per la pace del mondo hanno gia' un appuntamento marcato nel secondo Forum Social Mundial a Porto Alegre, in Brasile. La marcia continua.

ZOOM ASSOCIAZIONI
 
 
Volontari per i senza tetto 

La Comunità dei frati minori di San Bernardino, L'associazione "La Fraternità" di Verona, La Ronda della Carità invitano tutti gli interessati a: Proposta formativa per gruppi e volontari che si occupano di persone senza tetto. Gli incontri si terranno di venerdì dalle ore 18.00 alle 19.30  presso: sala conferenze del convento di San Bernardino in via A. Provolo 28 ; cappella San Francesco della chiesa  di San Bernardino l'ascolto della parola di Dio . Con il seguente programma: 

Data

Relatore

Argomento

 

 

 

02/11/2001

Sergio Pighi

Le regole della convivenza

16/11/2001

Frati di San Bernardino

Ascolto della parola di Dio

30/11/2001

Maurizio Zanon

Il lavoro in gruppo (ore 19.00 - 20.30)

18/01/2002

Jeanne Piere Piessou

La condizione dello straniero irregolare

08/02/2002

Renzo Fior

L’accoglienza

15/03/2002

Frati di San Bernardino

Ascolto della parola di Dio

05/04/2002

Valeria Marchesini

La situazione dei SFD e le risposte dei veronesi

19/04/2002

Frà Federico Righetti

La carità evangelica

Si tratta di una proposta di formazione semplice per qualificare insieme e meglio il nostro senso dell'accoglienza verso persone senza fissa dimora. Per informazioni rivolgersi a: Frà Giorgio Auletta tel. 045 596497; Maurizio Mazzi tel. 0437 0064001.
 
GREENPEACE IN AZIONE CONTRO GLI OGM: POLLI GIGANTI DI FRONTE AI SUPERMERCATI
 
27 Ottobre 2001 - Greenpeace lancia oggi in tutta Italia la campagna contro gli OGM nei mangimi. Attivisti dell'associazione sono stati presenti di fronte ai supermercati di Roma, Milano, Modena, Brescia, Napoli, Ravenna, Firenze, Bologna, Padova, Vicenza, Perugia, Lucca e Como distribuendo de'pliant che mettono in guardia i consumatori sul rischio di ritrovare gli OGM nel piatto attraverso i mangimi. A Roma e a Napoli alcuni attivisti indossavano enormi e variopinti costumi da pollo . L'azione, nella capitale, ha interessato il centro commerciale Auchan, a Casal Bertone:.  Lo slogan era "Non farti dare del pollo! Se non sai cosa ha mangiato. NO ai mangimi OGM". Greenpeace chiede ai cittadini di firmare la petizione rivolta al governo perché vari una legge sull'etichettatura dei prodotti animali ottenuti alimentando il bestiame con OGM.
Rispediti al mittente dai consumatori, gli OGM non hanno mai lasciato l'Italia e l'Europa, venendo largamente consumati dall'industria zootecnica. Soia, mais e colza costituiscono, insieme al cotone, il 99% delle coltivazioni OGM nel mondo e, mentre diminuiscono progressivamente le industrie alimentari che ancora ricorrono a materie prime OGM, il loro maggiore utilizzo avviene sotto forma di mangimi destinati a pollame, suini, bovini, pesci.
Gli OGM continuano dunque ad essere massicciamente introdotti nella catena alimentare attraverso la porta di servizio dei mangimi, una destinazione che non si manifesta chiaramente agli occhi dei consumatori, ma che produce sull'ambiente problemi identici: l'inquinamento genetico da piante geneticamente manipolate non muta infatti con gli utilizzi finali delle colture, siano esse consumate direttamente dall'uomo o per interposto animale. "Circa l'80% degli OGM che vengono importati finiscono nella mangimistica- sottolinea Luca Colombo, responsabile della Campagna OGM di Greenpeace Italia -I recenti   allarmi alimentari (mucca pazza, polli alla diossina) hanno dimostrato che la dieta del bestiame, oltre a riflettersi sulla qualita' dei prodotti zootecnici, puo' condurre a vere e proprie emergenze sanitarie. Queste scoppiano, purtroppo, a distanza di anni, non vorremmo che con gli OGM succedesse lo stesso. Gli OGM rappresentano l'ennesimo salto nel buio."
 
 
IL GOVERNO BRASILIANO SOSPENDE IL TAGLIO E L'ESPORTAZIONE DI MOGANO RAPPORTO GREENPEACE SUL TAGLIO ILLEGALE IN AMAZZONIA
 
Un successo per l'Amazzonia. In seguito alle denunce di Greenpeace, il governo brasiliano ha annunciato la sospensione di tutti i permessi per il taglio e l'esportazione del mogano, fino al termine di un'indagine nei depositi delle aziende del legname. Greenpeace chiede ai governi di tutto il mondo di bloccare ogni importazione di mogano brasiliano che non sia certificato: in un rapporto pubblicato oggi denuncia l'illegalita' crescente nel commercio del mogano, e chiede ai governi di tutto il mondo di fermarlo. Il rapporto, intitolato "Partners in Mahogany Crime", e' il risultato di mesi di investigazioni sul campo, lungo tutta la filiera dalla foresta alle compagnie di import-export, e si concentra sulle illegalita' e sulla corruzione che contraddistingue il settore: taglio di alberi in aree protette, permessi falsificati, false dichiarazioni sul contenuto dell'area forestale gestita (il volume di mogano viene sovrastimato in modo di aumentare il numero di alberi abbattuti). Foreste incontaminate, dove si trova il mogano di migliore qualita', vengono spazzate via sempre piu' dall'avanzata delle motoseghe. Le strade spianate nel cuore di foreste incontaminate aprono l'accesso a ulteriori tagli, all'insediamento agricolo e ai bracconieri.
"Finalmente il governo si e' mosso, ora ci vuole una moratoria sul taglio in tutta l'area del Middle Lands, il cuore dell'Amazzonia. I consumatori dovrebbero evitare di acquistare legno proveniente dall'Amazzonia, a meno che non sia certificato FSC (Forest Stewardship  Council). Tutto il mogano che non e' FSC e' sospetto" ha detto Paulo Addario, coordinatore della campagna di Greenpeace in Amazzonia, seriamente minacciato di morte nelle scorse settimane in seguito alle denuncie delle illegalita'.
La moratoria deve permettere la messa a punto di misure di protezione e di standard responsabili di gestione forestale. Greenpeace si appella anche ai governi di tutto il mondo affinché istituiscano un fondo di 15 miliardi di dollari per finanziare questi strumenti. "Sono quattro le grandi imprese (DLH Nordisk, Aljoma Lumber, J Gibson McIlvain Co Ltd e  Intercontinental Hardwoods Inc) che acquistano ti tre quarti del mogano  brasiliano. Il mogano viene poi impiegato per mobili, yacht, strumenti musicali e bare- afferma Sergio Baffoni, responsabile Campagna Foreste di Greenpeace Italia - L'Italia, invece, importa prevalentemente legno africano, anche quello spesso tagliato illegalmente".

IL 9 NOVEMBRE SIA SCIOPERO GENERALE

L’annichilimento che ha preso il corpo sociale dopo gli attentati dell’11 settembre sta lentamente scemando. Con molta fatica nei luoghi di lavoro la discussione si sta facendo più attenta, meno schiacciata dalle terribili immagini delle Twin Towers. Cresce la consapevolezza che l’avversario di classe, sta approfittando della guerra e dell’orrore per affondare i suoi denti nelle carni del corpo sociale.  La finanziaria di guerra, proposta dal governo dei ricchi rafforza certamente il legame stretto tra il no alla guerra e l’ostinata difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. L’attacco, violentissimo, che il governo e i padroni stanno portando al mondo del lavoro è null’altro che la conseguenza delle scelte del G8, quel G8 che in centinaia di migliaia abbiamo contestato a Genova e che ha segnato l’inizio di una fase di repressione propedeutica alla criminalizzazione di tutti coloro che osassero contestare ieri il G8 oggi la guerra, il WTO, la finanziaria. Lo scenario che si propone al mondo del lavoro è davvero terribile. Si combatte una guerra- che sta mietendo centinaia, forse migliaia di vittime civili in Afghanistan che si vanno a sommare a quelle di New York - che serve agli Stati Uniti a ridisegnare il proprio ruolo e la propria collocazione geopolitica nell’Asia del petrolio, del gas e dei corridoi in cui passano. Che nulla ha a che vedere con la ricerca e la punizione dei colpevoli della strage dell’11 settembre quanto piuttosto a provare ad utilizzare il vecchio ma collaudato metodo della guerra e quindi dell’economia di guerra per uscire da una recessione e una crisi economica molto simile a quella del ’29. Crolli di borsa che coinvolgono i piccoli risparmiatori, licenziamenti di massa a partire dalle compagnie aeree di tutto il mondo ma che stanno già aggredendo i settori del turismo e delle assicurazioni, cassa integrazione sono solo le prime avvisaglie del costo sociale di questa guerra. La finanziaria per il 2002 si inserisce perfettamente in questo quadro. Privatizzazioni ed esternalizzazioni di pezzi fondamentali delle tutele dei cittadini, scippo dei patrimoni immobiliari degli enti previdenziali che, con la scusa di sottrarli alla speculazione, vera, delle cooperative, vengono regalati alla speculazione finanziaria, definitivo smantellamento della previdenza pubblica, della scuola, della sanità che dovranno lasciare il passo al modernismo del privato, sgretolamento progressivo ed inarrestabile della funzione della pubblica amministrazione intesa come elemento di garanzia dei diritti uguali per tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, blocco per l’intero 2002 di qualsiasi assunzione, che non sia flessibile, interinale, a tempo ecc., nella pubblica amministrazione con buona pace di centinaia di migliaia di LSU e precari a vario titolo che da anni lavorano in nero negli uffici pubblici, attacco frontale all’autonomia negoziale delle parti nei contratti di secondo livello e stanziamenti da “pane e salame” per i contratti pubblici. Scomparse le decantate riduzioni delle aliquote IRPEF, si riducono gli stanziamenti per gli Enti Locali che dovranno pertanto inevitabilmente ricorrere a nuove tasse e gabelle locali. A questo poi si aggiunge il tentativo del governo, attraverso il Libro bianco di Maroni, di destrutturare e deregolamentare definitivamente il quadro delle tutele del lavoro, già pesantemente compromesse dalla suicida riforma “federalista” attuata dagli apprendisti stregoni del centro sinistra. Ci sono, ci sembra, mille buoni motivi per affrontare subito e con un momento generale di lotta le questioni che la fase ci pone davanti. Scegliere, di nuovo, di affrontarle separati, categorialmente, pensando che sia giusto, nella fase mutata, lavorare a strappare pezzettini di garanzie in più per il proprio settore nascondendo e nascondendosi così la realtà, ci sembra infantile, inconcludente e, ci si lasci dire, di “segno moderato”. E’ ipotizzabile che i lavoratori della sanità siano oggi da soli in grado di respingere il Patto di stabilità del sistema sanitario varato dal governo e che taglia 50.000 posti letto e 30.000 posti di lavoro? E’ ragionevole ipotizzare per i lavoratori del trasporto aereo una capacità categoriale di lotta tale da impedire i licenziamenti? Qualcuno può pensare che spetti ai lavoratori dell’INAIL o dell’ISTAT dare battaglia contro la privatizzazione di questi enti che, si badi bene, si occupano di tutela degli infortuni sul lavoro e di ricerca scientifica e non di pizza e fichi? Riteniamo che compito delle organizzazioni sindacali oggi sia quello di costruire il più vasto e forte movimento di risposta su questi terreni che sono strettamente intrecciati con la critica di massa alla guerra. Vogliamo dire con franchezza che riteniamo legittimi tutti gli scioperi che attraverseranno queste prossime settimane, così come francamente vogliamo dire che uno sciopero della scuola che affronti il “suo” pezzo di finanziaria, o quello della fiom che rivendica una piattaforma tutta interna alle compatibilità del 23 luglio, o gli appelli all’unità con quella sinistra sindacale che ancora una volta sta dimostrando tutta la sua subalternità alle scelte concertative, tutt’oggi rivendicate da Cgil, Cisl e Uil, ci sembrano un po’ poca cosa di fronte alla pesantezza dell’attacco e alla drammaticità degli scenari di guerra. Non c’è da parte nostra, come pure qualcuno lascia affiorare tra le righe dei tanti articoli pubblicati in questi giorni, voglia di egemonia o di piegare altri alle nostre scelte e alle nostre esigenze. La scelta del 9 novembre ci sembra corretta sia rispetto all’avvio della discussione al Senato sulla Legge finanziaria, sia rispetto all’escalation della guerra e all’appuntamento, che non abbiamo dimenticato, del WTO. C’è invece sicuramente la consapevolezza della necessità di una risposta alta e unitaria che abbiamo proposto a tutti ricevendo in cambio la conferma degli scioperi categoriali e proposte di nuovi scioperi generali, turandosi il naso sui compagni di viaggio, da tenersi nella seconda metà di novembre o a dicembre. Gli scioperi non sono come le ciliegie, una tira l’altra, soprattutto in una fase delicata come questa. Se ce ne saranno le condizioni politiche e la comprensione dei lavoratori non ci tireremo certo indietro, oggi ci sentiamo però di rilanciare l’invito a tutti perché il 9 novembre diventi una grande giornata di lotta con lo sciopero generale e la manifestazione nazionale a Roma - alla vigilia tra l’altro della parata guerrafondaia indetta da Berlusconi per il 10 - che vorremmo fosse fatta propria da tutti coloro che sono contro la guerra, la finanziaria, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. CANAVESI RENZO (SLAI-COBAS), LEONARDI PIERPAOLO (RDB), TIBONI PIERGIORGIO (CUB)  

ASSOCIAZIONE PROGETTI ALTERNATIVI

E' ATTIVO IL SITO www.paea.it DELL'ASSOCIAZIONE PAEA - PROGETTI ALTERNATIVI PER L'ENERGIA E L'AMBIENTE.TEMI TRATTATI DAL SITO : INFORMAZIONI SULL'ASSOCIAZIONE E SULLE SUE ATTIVITA', LA MOSTRA ITINERANTE, "CASA ECO-LOGICA", IL CENTRO "SOLARIA" SULLE TECNOLOGIE ALTERNATIVE, E LA PERMACOLTURA, DIDATTICA AMBIENTALE, FITODEPURAZIONE,  BIOEDILIZIA E CASE PASSIVE, RISPARMIO ENERGETICO E IDRICO, ENERGIE RINNOVABILI, CENTRI EUROPEI SULLE TECNOLOGIE ALTERNATIVE, DOCUMENTAZIONE.

SOAVE: «IL CERCHIO MAGICO»

Come abbiam già comunicato, nei giorni scorsi è iniziata l'attività del «Cerchio Megico», l'associazione di Soave che promuove varie attività con e per i bambini. La manifestazione di inaugurazione ha visto la partecipazione attiva di tanti bambini e bambine e di numerosi adulti: un segno chiaro della forte richiesta di vivere tempi e spazi da dedicare alla creatività e alla libera espressione per una migliore qualità della vita di tutti noi. «In questi giorni siamo felici di comunicarvi l'uscita del cd-rom: "Sogno Soave di piccolo segno" una favola a capriole tra fantasia e realtà, raccontata dai bambini di una classe della Scuola Elementare anche grazie al nostro apporto» spiegano le promotrici dell'iniziativa.Chi è interessato alla visione del cd, o vuol prendere contatto con il Cerchio Magico, contatti lbertinato@mbservice.it


POLITICA

Un referendum per la legalità

La legge sulle rogatorie, anziché ratificare un trattato con la Confederazione Elvetica, teso a rendere più rapida,  efficace, semplice, la collaborazione giudiziaria tra i due Stati nella lotta contro il crimine, soprattutto dei "colletti bianchi", vanifica di fatto l'acquisizione di prove che riguardano migliaia di processi (per corruzione, riciclaggio, traffico d'armi, pedofilia, terrorismo…) e per il futuro rende al limite dell'impraticabile le indagini per rogatoria. Un regalo alla delinquenza,  un rifiuto a globalizzare la lotta contro il crimine, che spinge l'Italia ai margini del mondo occidentale. Questa legge indegna, e oltretutto "pasticciata", ha l'unico effetto di garantire nuove prescrizioni,  e dunque ulteriori impunità, agli amici di Berlusconi e a Berlusconi medesimo. Un referendum è dunque necessario per abrogare tanta inciviltà giuridica. Un referendum che veda protagonista la società civile e non si riduca perciò a un mero scontro fra schieramenti di partito. Come cittadini, questo è il minimo che dobbiamo fare.

Roberto Benigni, Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, Dario Fo, Alessandro Galante Garrone, Rita Levi Montalcini, Dacia Maraini, Federico Orlando, Alessandro Pizzorusso, Franca Rame, Pietro Scoppola, Paolo Sylos Labini, Antonio Tabucchi

Chi intende aderire può farlo tramite l'e-mail di «MicroMega» (micromegaforum@katamail.com) o delle riviste «Il ponte», diretta da Marcello Rossi, e «Critica liberale»,  diretta da Enzo Marzo (ilponteed@iol.it md1736@mclink.it).

C'è una congiura buonista su Verona?

Qualcuno si ricorda del famigerato caso Marsiglia? Qualcuno si ricorda dei cori e dei bu-bu allo stadio Bentegodi? Qualcuno si ricorda delle polemiche nazionali su Verona città razzista? Qualcuno si ricorda dei cattolici tradizionalisti, delle loro pasque veronesi e messe in latino? Qualcuno si ricorda della campagna di boicottaggio del canone Rai annunciata (e mai portata avanti) dal Sindaco Sironi?  Allora si diceva che era in atto una congiura (ordita a Roma, con sede in Viale Mazzini e ramificazioni in tutte le redazioni dei quotidiani) contro la nostra città, vittima innocente di invidia e cattiveria altrui. Tanta acqua è passata sotto i ponti dell’Adige, ma Verona è ancora sulle prime pagine di tutti i quotidiani e al centro di molti servizi Rai. Questa volta , però, i capi della congiura sono diventati buoni. Forse si tratta di uno degli effetti collaterali del tragico 11 settembre. Tutti parlano bene di Verona, e di quel suo quartiere che si chiama Chievo. Verona, la città con due squadre modello. Verona, la città di provincia che ha una squadra con scudetto e l’altra capolista. Chievo-Verona, la squadra di quartiere i cui giocatori, tutti insieme, costano come le gambe di un VIP della Juve. Miracolo Chievo. Miracolo Hellas. Ma anche miracolo Verona. Il frate-Vescovo convoca i capi di tutte le religioni per una comune preghiera per la pace; in piazza Brà non riecheggiano più gli slogan nazisti di Forza Nuova, ma si sente solo il mantra buddhista e la nenia ebraica; sul Liston non arriva più l’eco dei proclami della Rosa dei Venti, ma solo quello di letture coraniche e bibliche; scout in divisa e ragazzi di parrocchia hanno rubato la scena a  gay e centri sociali.Nei servizi della Rai il bar della Pantalona ha preso il posto dei covi di naziskin; il torototela viene cercato e intervistato come una volta si faceva con Amos Spiazzi. Le dirette tivù non sono più affidate a Michele Santoro, ma a Sandro Ciotti. Verona la nera è diventata gialloblù. Verona bigotta è diventata ecumenica. La congiura è morta; viva la congiura. (Alberto Tomiolo - Candidato Sindaco di Verona)

Dov'è finito il PRG di Verona? 

Dopo l’ultimo Consiglio Comunale (Verona, ndr) di luglio la maggioranza aveva ribadito ancora una volta la volontà di concludere la legislatura approvando il nuovo PRG. L’estate è passata ed il Consiglio Comunale ha ripreso a riunirsi dopo la metà di settembre. La maggioranza ha però imposto la discussione su una delibera che modifica il regolamento; e dopo un mese di riunioni, che si sono concluse miseramente con la mancanza del numero legale, del dibattito sul PRG non si vede nemmeno l’ombra. I prossimi tre Consigli Comunali, programmati per i giorni 25, 26 e 31 ottobre non vedono all’ordine del giorno il punto sul Piano Regolatore. Durante l’ultima seduta dell’Ufficio di Presidenza che, a maggioranza, decide l’ordine dei lavori, ho chiesto che fine abbia fatto il Piano Regolatore; ho chiesto anche che il Sindaco e l’Assessore competente vengano alla prossima riunione dei capigruppo a riferire le loro intenzioni sul Piano. Mi è stato risposto con qualche risatina… come per dire “ecco il solito ingenuo che non ha capito i giochi della politica…”. Io non so quali siano questi giochi della politica, ma so che per mesi e mesi il Sindaco e la maggioranza hanno posto come punto qualificante di questa legislatura l’approvazione del PRG; so che l’ordine degli ingegneri e l’associazione dei costruttori hanno detto che senza il nuovo PRG la città resta ferma; so che vari gruppi di potere, in assenza di un Piano definito, stanno spingendo per far approvare varianti su varianti e ottenere nuove lottizzazioni a macchia di leopardo. Cemento che cola su Verona senza una visione unica, senza una regola, senza una programmazione. Qual è la verità? La maggioranza che guida questa Amministrazione, vuole o non vuole il Piano Regolatore? I voti per approvarlo in fretta ce li hanno: perché non li usano? Oppure, si preferisce  “tirare a campare” ancora qualche mese e sfogliare il carciofo foglia dopo foglia con tante varianti che fanno la gioia di piccoli e grandi speculatori? Qualcuno ha il coraggio di dire come stanno le cose? Dov’è finito il Piano Regolatore? Per trovarlo dobbiamo rivolgerci alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” Dobbiamo offrire una taglia a chi lo porterà in Aula, vivo o morto? Se una Amministrazione non riesce (o non vuole) far approvare il PRG, non è meglio che si dimetta e convochi i cittadini a nuove lezioni? Grazie, se qualcuno vorrà rispondermi seriamente, senza risatine… (Mao Valpiana -  Capogruppo Verdi della Colomba - Verona)

Circolo della Margherita

Caro amico, il risultato dell’ultima competizione elettorale segnala certamente una nuova attenzione  alla vita politica. Un'attenzione che non si sviluppa per i canali tradizionali degli iscritti ai Partiti ma ha notevoli riscontri a livello di elettorato se è vero, come è vero, che il differenziale di voti tra preferenze dei Partiti fondatori e simbolo della margherita è di circa il 30%. Chi è sensibile al futuro del quartiere, della città, della regione e del Paese, sta certamente attraversando un momento delicato e critico, per quanto riguarda il ruolo che, vorrebbe e, forse, dovrà svolgere tra la gente, nelle realtà associative, nelle istituzioni. Dobbiamo decidere più che in fretta quello che vogliamo fare e come fare.  Ti scrivo perché so che la Margherita con il suo animo sgombro da pregiudizi e con lo spirito di rappresentare una nuova stagione della politica italiana ti affascina, ma non sai come dire la “tua” e, forse, non credi che questo nuovo soggetto politico possa esprimere, realmente, qualcosa di nuovo. Un film già visto, penserai e non riesco poi a darti torto. Però, permettimi, voglio dirti una cosa: la Margherita, senza di te e altri come te, rischia realmente di avere di nuovo solo il nome ma niente più.  Qualcuno scriveva: «La Margherita è una scelta tesa a formare un "cartello" che da soggetto elettorale si vuole trasformare in "nuovo soggetto politico" (con la bacchetta magica), i cui soci fondatori sono quanto rimane di uno stantio "popolarismo" (Sturzo era avanti un bel po’ rispetto ai suoi emuli), i "liberal opportunisti" di Dini e i "ribaltonisti" di Mastella sempre pronti a cambiare casacca. Magari lasciando un pò di spazio (un posto non si rifiuta mai) al doppiogiochista D’Antoni o al "giustizialista" Di Pietro (se ritorna all’ovile). Ma che bella compagnia di riformatori! E’ questa la Margherita che vogliamo? Una compagine rissosa e conservatrice ?». Direi proprio di no, ed è proprio per questo che ti scrivo, la Margherita non vuole delegittimare  la cultura politica che contribuì alla costruzione dell’Italia, non vuole gettare via il bambino con l’acqua sporca,  ma vuole impedire certamente  che  apparati preoccupati più della loro sorte che  della  nazione possano tenere in ostaggio la politica italiana. La Margherita sicuramente trae origine dalla spinta unificante di quattro partiti in crisi, ma con una consapevolezza, quella di non lasciarla crescere con il solo ricorso alle consuetudini dei partiti classici, ma creando un’area politica adatta ad interpretare ed accogliere gli elettori non di partito, i gruppi sociali organizzati, le liste civiche le associazioni, i comitati e i giovani, non solo, dunque, un vestito nuovo, ma una politica nuova con gente nuova. Un gruppo di amici vicino all’associazionismo ha creduto, sin dall’inizio, che la Margherita potesse essere realmente l’ultima grande occasione per il centro del centro- sinistra, per affermare i propri valori e porsi, come una solida seconda gamba,  nell’Ulivo e con encomiabile sforzo sta cercando,sin da giugno scorso, di animare il dibattito per tentare di rendere autentico questo processo costituente, che dovrà vedere la nascita di un nuovo partito. Ancora qualcuno scriveva: «Non vogliamo come “Margherita” percorrere la strada del “nuovo” alla moda, più vecchia che mai, dell’attaccamento al potere, senza cultura e consistenza. Non vogliamo essere né sentirsi vuoti, veniamo da culture ricche e tuttora attualissime, come quelle ispirate dalla tradizione liberal democratica, federalista e quella cattolica popolare. proprio dall’incontro di queste culture, dal loro contaminarsi, può rinascere un nuovo umanesimo che concili finalmente economia, mercato, tecnica e umanità. E tutto questo, lo vogliamo ribadire con forza, sotto i venti della guerra, attraverso l’approfondimento culturale, lo spirito di tolleranza, il rispetto reciproco, il dialogo, il confronto , la proposta». E noi aggiungiamo: siamo stufi di sentire leader politici, eletti, segretari di partito tranciare giudizi su bipolarismo e alternanza, finanziamento  dei partiti e delle scuole private, la democrazia, il primato della persona sulla politica, la sicurezza, l’ecologia, la tolleranza il lavoro e altro senza verificare come la pensino coloro che hanno la presunzione di rappresentare. Caro amico ti chiedo scusa per essere entrato di prepotenza, con questo mio scritto, in casa tua, ma sulla base di queste considerazioni, insieme ad altri due amici ho deciso di creare un circolo della Margherita, una sfida e un’avventura alla quale ti chiedo di partecipare, e insieme apriremo banchetti sulle piazze, incontreremo la gente, distribuiremo materiale elaborato da gruppi di lavoro su temi di rilevanza sociale, e ancora, insieme, diremo la “nostra” sulla politica locale e nazionale.  Riappropriamoci della politica, anche tu hai diritto di dire la “tua” e non solo, su: cultura, educazione e formazione, diritto al benessere, volontariato, federalismo, istituzioni, sicurezza, ambiente, territorio e infrastrutture, mercato globale, giovani. Ti aspettiamo, venerdì 13 novembre alle ore 20,45, presso l’auletta della canonica di San Giovanni Evangelista via del Quadrato 2 Santa Lucia (Verona) per iniziare a “lavorare” insieme e con spirito di servizio, creare qualcosa di nuovo, comunque non mancare  anche se sei solamente curioso. Ciao Francesco Roncone, Gustavo Pasquali guspasq@tin.it


SORRISI (pochi) & CEFFONI
 
NON PUGNALATE LA PACE
 
Non divorate la pace.
Non rispondete alle montagne
di morti
con altre montagne
di morti.
Spegnete la fame nel mondo
di milioni
di bambini.
Accendete
il sorriso
sulla terra di Palestina
accendete il canto.
Non pugnalate
non pugnalate la pace
alle spalle.
Togliete il cappio di solitudine
al popolo irakeno
al popolo cubano.
Abbattete la notte agghiacciante
profonda
in cui vagano milioni di creature.
Non rispondete,
non rispondete ai morti
con infiniti roghi di altre vite.
Mordetevi el labbra forte
mordetevi forte il cuore.
Non inneggiate alla guerra.
Non inneggiate alla guerra.
 
FERRUCCIO BRUGNARO

 
PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(centrostampa@cdg.it - Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventotto anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da qualche tempo usufruisce di permessi premio e di lavoro esterno semilibertà svolgendo attività di Tutor presso la Comunità “Casa Del Giovane “di Pavia. E’impegnato in attività sociali e culturali con scuole, parrocchie, associazioni e movimenti culturali. E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, ha conseguito circa 80 premi letterari, pubblicando libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia. Ha pubblicato: “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli;  “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia. “Oltre il carcere” è un libro che tenta di camminare sull’esperienza dell’autore, senza per questo rimanere prigioniero della presunzione di insegnare nulla a nessuno.Ci sono pagine che raccontano quanto avviene e spesso non avviene all’interno del perimetro carcerario. Atteggiamenti e gesti che vorrebbero provocare in ognuno un cambiamento per raggiungere secondo le proprie capacità quella necessaria consapevolezza per rimediare alle ferite inferte alla vita. Avamposti della memoria per i più giovani, sui rischi della trasgressione, nell’affidarsi ai valori estremi delle passioni estreme, votate all’annientamento. C’è il progetto di un percorso comunitario che può diventare stile di vita al servizio degli altri, apprendendo l’arte dell’ascolto e della promozione umana, attraverso l’impiego del sapere e del sentire, per una rielaborazione delle proprie esperienze vissute.
SEPOLCRI IMBIANCATI

Oggi, nell’ascoltare alcune notizie alla televisione e leggendo accadimenti che paiono trovate cinematografiche, mi ritrovo a pensare alla condizione del detenuto e al ruolo di chi è preposto a vigilare ed educare. Forse quanto accaduto a Sassari non vuol dire nulla, certamente non significa molto per chi non era nel gruppo di quei malcapitati. Forse ciò che è accaduto è una sottigliezza di poco conto, dal momento che c’è chi scrive a caratteri cubitali che: non c’è da meravigliarsi, tanto nelle carceri americane ( guarda caso privatizzate ) accade anche di peggio, ma  nessuno si scandalizza. Chi usa questo metro di misura dimentica però di sottolineare che in quel paese, preso a modello, esiste la pena di morte che non risolve un bel nulla, che per le strade è un “far west”, che armi e droga sono un “business” e via discorrendo. Quanto  si è verificato a Sassari non è poi così sorprendente, al limite sono  una novità  “i colpi a freddo elargiti con alta professionalità “. Non mi stupisce perché ci sono passato anch’io.  Sebbene sia diventato  un residuato  in estinzione da tempo,  e comunque  andavo a cercarmele, nel senso che tutto ciò che di più sbagliato mi arrivava addosso, in risposta ai miei ripetuti errori, ribellioni e follie, era ciò che mi aspettavo. Ma a farmi amare la vita e gli altri è stato ben altro. Perché pratiche così vecchie riaffiorano ora, a distanza di tanti anni? Perché  proprio adesso che è cresciuta  la maturità della popolazione carceraria, e  impegno e cultura hanno creato ponti per un  contatto tra  “dentro” e  “fuori”? Proprio ora che Direttori, Operatori, Agenti di Polizia Penitenziaria e detenuti hanno lavorato duro per un carcere che non coincida solo con la fisicità della pena intesa solamente come punizione, come espressione o modello culturale basato sull'esclusione o su una pena che finisce per alterare profondamente la percezione del tempo, dello spazio e delle relazioni. Sarebbe facile rispondere attraverso una pseudo sociologia carceraria, oppure incancrenendo il dibattito sulla rieducazione e sulla sicurezza, per la più soddisfacente realizzazione delle finalità della pena, ma che sfugge a ogni regolamentazione giuridica e umana per i problemi endemici all’Organizzazione Penitenziaria: il sovraffollamento, la carenza del personale, di fondi. Tutto ciò va ad aggravare e annullare per molti versi, quella pari dignità di rilievo che invece dovrebbero avere la sicurezza e la rieducazione. Per cui inutile giocare a nascondino: il carcere risente di quanto in questi anni non è stato fatto per fare comprendere che è un preciso “interesse collettivo” guardarvi dentro e accertarvi tutto ciò che accade. Quando si parla di umanità ristretta c’è la propensione  a discuterne per fallimenti, mai per forza d’interventi, d’investimenti, mai per un tragitto di vita che rimane comunque una dimensione umana. Qualche tempo addietro, io stesso, come detenuto, mi sono sentito tutelato e anche  stimolato a continuare nel mio percorso di formazione e  di ricostruzione interiore, ascoltando le parole di un Ministro di questa Repubblica, il quale affermava: più sicurezza equivale a più possibilità di  rieducazione. Io penso che il carcere così com’è non rieduca affatto; ognuno all’interno è costretto a prendersi in braccio e   stringere i denti.  Mi prende il dubbio che sotto il concetto di  sicurezza in carcere si possano nascondere fatti  come quelli di  Sassari: e in chissà quanti altri istituti penitenziari della penisola. Forse potrebbe essere un buon viatico unire alla prima affermazione istituzionale, una seconda che giunge dalla base: con una reale rieducazione ci saranno più persone che renderanno meno impervia la strada per  quella fiducia reciproca capace di smantellare  ogni forma di ideologia che vuole poveracci contrapposti ad altri poveracci, allargando di fatto  il  mondo penitenziario. Occorre aggiungere che in riferimento alla rieducazione ben pochi investimenti sono stati effettuati, e persino in questo momento di grande amarezza non si riflette sulle urgenze del riformare e dell’investire,  ci si getta sul concetto di rafforzamento della sicurezza e di aumento degli organici di Polizia Penitenziaria, ma neppure una parola è spesa per denunciare un trattamento penitenziario inapplicabile per mancanza di Educatori, Assistenti Sociali, Psicologi, Criminologi:  figure fondamentali per poter attuare quel percorso di rinascita auspicato in ogni detenuto. Non una parola è sussurrata fin’anche sottovoce sugli spazi ristretti o inesistenti per lavorare e per impegnarsi quotidianamente. Soprattutto non una parola è davvero accolta per educare a una cultura di convivenza civile, di responsabilizzazione che coinvolga tutti, nessuno escluso. A mio avviso la strada da seguire non é quella della critica passiva sugli Agenti cattivi, sul fallimento del carcere come luogo di rieducazione e di recupero; ma appare pressante continuare a sensibilizzare la società civile sul problema del rapporto tra pena e carcere, allo scopo di far crescere nei detenuti, negli Agenti e nei  cittadini un profondo e obiettivo ripensamento culturale sulle funzioni e sulla validità del carcere, sul ruolo della pena, partendo dalla dignità della persona e dalle sue capacità e risorse.

Progetto Sorriso - Salvador

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.


altrePAROLE

Ogni uomo ha per prossimo tutti gli uomini. (Sant'Agostino)

... Ne deriva che la guerra non solo e' una catastrofe, ma puo' essere
seguita soltanto da una pace che costituisce in se' una nuova catastrofe. (Simone Weil)

Dal 6 agosto 1945 la liberta' degli uomini e' cambiata. Ognuno di noi, lo
voglia o no, e' diventato responsabile dell'uomo. E' responsabile non solo
di se stesso, ma del genere umano. (Hildgard Goss Mayr)

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