il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.

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PAZIENTI E IMPAZIENTI
 
"Finché la noce non è cresciuta sull'albero non cade"
(proverbio Nyang - nazione: Camerun)

Mi sia consentito...
 
Nei giorni scorsi una persona molto autorevole ha svelato, in un luogo pubblico veronese, due (a mio avviso) verità sul conflitto in atto in Afghanistan. Ad ascoltarla non c'erano né personalità di destra, centro o sinistra, né i mass-media, ma centinaia di giovani under 30. Dato che oltre il 70 per cento dell'informazione, dall'editoria cartacea o affini (case editrici, quotidiani, periodici) a quella via etere (Tv, radio) e internet è nelle mani di aziende controllate dalla famiglia del presidente del Consiglio (con famiglia intendo, chiaramente, anche amici stretti e parenti); dato che fare politica non è propriamente simile a leggere un copione da recitare con disinvoltura, e ce ne accorgiamo quasi quotidianamente dalle improvvisate esternazioni del Cavaliere e dell'«allegra» compagnia al timone del Governo; dato che «il GRILLO parlante» è "povero in canna" e non fa teatro per informare e fare politica, mi sia consentito pronunciare e divulgare 2 + 1 probabili verità sulla crisi internazionale Occidente-Afghanistan, che pochi conoscono e che nessuno (o quasi) si azzarda ad approfondire e dire, dato che fan tremare i polsi: 1) l'atto terroristico perpetrato negli USA altro non è che un regolamento di conti tra due ricche e potenti famiglie, in passato socie in affari: la Bush (senior & junior e finanziatori vari di campagne elettorali) e  bin Laden; 2) motivazioni: puramente economiche, legate in primis al petrolio e, più in generale, al reperimento e controllo delle fonti energetiche mediorientali; 3) non sto scherzando. Agli scettici do solo un piccolo compitino per casa: scoprire come e perchè è morto il fratello di Osama.
il GRILLO parlante

 
Appuntamenti da non perdere
 
22/10/01 - Verona - Islam e pace: assemblea interreligiosa
 
Presso la Gran Guardia di Piazza Bra (Verona): un'assemblea interreligiosa, nel ricordo del primo incontro delle religioni ad Assisi (ottobre 1986), con la partecipazione di dodici rappresentanti delle religioni  presenti a Verona, compreso il vescovo Flavio Roberto Carraro. Inizio ore 21.

24/10/01 - Verona - Bellorio: «Allearsi col vento»

Il giorno 24 ottobre, alle ore 16.30, presso la Sala convegni di Cariverona, via Garibaldi 2, si terrà la presentazione ufficiale dell'ultimo romanzo di Gaetano Bellorio, "Allearsi col Vento", Edizioni Paoline 2001. L'incontro è stato organizzato dal Centro Universitario di Educazione alla Lettura dell'Università di Verona, insieme alla Società Letteraria. Interverranno nell'ordine: Franco Larocca (Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione), Maria Fiorenza Coppari (Giornalista, vice presidente ordine giornalisti del Veneto), Elisa Zoppei, del Centro di Educazione alla Lettura ed esperta in educazione alla lettura), Giancarlo Volpato (Direttore della biblioteca Frinzi dell'Università di Verona), Giuseppe Amari (Vescovo emerito di Verona), Peppina Monese (dei "Viaggi in Poltrona dell'ass. Fidapa-Vr Est), Paola Azzolini (Critico letterario e membro del Comitato scientifico della Società Letteraria), I lettori del progetto "Leggere in famiglia", che intervalleranno gli interventi con letture tratte dal romanzo.

27/10/01 - Verona - Rete Lilliput

A TUTTI GLI ADERENTI E SIMPATIZZANTI DELLA RETE LILLIPUT VERONA: sabato  27 ottobre alle ore 15.00 si terrà l'assemblea presso Sala Civica di Via Brunelleschi, 12 - zona Stadio - Verona. ORDINE DEL GIORNO: 1) Un anno di crescita - verifica dell'attività della rete. Dal settembre 2000 (data in cui abbiamo tenuto l'ultima assemblea in cui si è discusso della e sulla Rete) sono cambiate moltissime cose, sia nel mondo (Genova e Guerra), sia all'interno della Rete nazionale (Marina di Massa, assemblee macroregionali), sia nel gruppo di Coordinamento. L'idea che la Rete sia un luogo dove produrre proposte e perseguire progetti politici comuni è oggi assai più diffusa. Ormai superata dai fatti, invece, l'idea che la Rete sia un servizio informativo.  Con la stesura del documento "Verona capace di futuro" abbiamo individuato i contenuti, sia sulla parte globale, sia su quella locale. Siamo molto indietro, invece, nell'individuare i mezzi con i quali realizzare quei contenuti, soprattutto alla luce delle difficoltà e problematiche emerse nell'ultimo periodo. 2) Aspetti politici della Rete. Quale rapporto con il/i Social Forum? Quale posizione sulla guerra (un no generico può soddisfarci?)? Come affrontare le amministrative? Come relazionarci con la politica istituzionale e partitica? 3) Aspetti organizzativi della Rete. Necessità di potenziare le strutture operative (segreteria, notiziario, rapporti con l'esterno e l'interno della Rete). Verificare la gestione economica e individuare nuove forme di finanziamento. 4) Modalità operative - Quale seguito dare al documento "Verona capace di futuro". Ora che l'abbiamo scritto dobbiamo anche capire quale strategia darci per verificare la fattibilità del documento, con quali forze e sinergie, interne ed esterne, onde evitare di avere un'azione estemporanea e dettata dalla casualità degli avvenimenti. 

27-28/10/01 - Verona - Cinema ed educazione interculturale

Corso di formazione “Sguardi verso l’altrove” Presso Sala Comboni – Vicolo Pozzo 1 – Verona - Sabato 27 ottobre 2001, SEMINARIO, dalle ore 9.00 – 18.00 - Relatore: don Walter Lobina. Per una semiologia cinematografica. Guardare le immagini: il processo creativo ed espressivo del film; Educazione all'immagine ed esperienza filmica;Influsso del cinema e sua importanza come mezzo di comunicazione di massa; Il cinema come strumento di educazione interculturale. - Domenica 28 ottobre 2001 - Relatore: Patrizia Canova - Il cinema in una prospettiva di educazione interculturale:  sguardi verso l’altrove - alcune indicazioni metodologiche e progettuali per passare da un piano teorico a un piano maggiormente formativo-didattico; possibili itinerari di lavoro graduati anche in base ai diversi ordini scolastici, attraverso vari stimoli e la visione-analisi di sequenze filmiche; L’Africa raccontata dai media e dal cinema d’occidente: analisi e decostruzione di stereotipi e pregiudizi - stereotipi messi in scena nella rappresentazione dell’Africa da parte del cinema d’occidente, ma anche della pubblicità, delle inchieste tv. LABORATORI : Sugli stereotipi e pregiudizi: sabato 10 novembre  dalle 14.30 alle 19.00; Danza e cinema (usufruendo dei registi e critici cinematografici che saranno presenti per la rassegna): sabato 24 novembre dalle 14.30 alle 19.00. Si prevede un numero massimo di 60 partecipanti. Adesioni e informazioni alla Segreteria (0458033519) dal martedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.30 E’ un’iniziativa organizzata da MLAL - CMD - CINEMA AFRICANO in collaborazione al Coordinamento Veronese per l’educazione alla Mondialità, con il contributo dell’Unione Europea e con l’adesione del Centro Tante Tinte.

27/10/01 - Verona - Settimana della letteratura dominicana/1

Ore 17.30: Incontro con la letteratura dominicana nella Sala Arazzi di Palazzo Barbieri, Piazza Bra (per informazioni, tel. 045 8102105). Con il saluto di Michela Sironi, Sindaco di Verona, e di Enzo Melegari, presidente del Movimento Laici America Latina. Presentazione delle traduzioni italiane di narrativa dominicana attuale a cura di Susanna Regazzoni dell’Università di Venezia. Interventi di Marcio Veloz Maggiolo, Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero. Proiezione dei video letterari di Luis Martín Gómez A centinaia di metri da terra, Espresso Santo Domingo e Cafetera El Conde.

29/10/01 - San Pietro in Cariano (VR) - Settimana della letteratura dominicana/2

Ore 11. Rafael García Romero incontra gli studenti del Liceo Scientifico Statale “Primo Levi” di San Pietro in Cariano.

29/10/01 - Verona - Chiesa e globalizzazione

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Unità delle chiese e globalizzazione». Relatore: don Mario Aldighieri (pastorale migranti - Cremona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

30/10/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sulla globalizzazione

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico sulla globalizzazione. «Una voce fuori dal coro» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatore: Diego Marani, redattore della rivista comboniana "Nigrizia". Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

30/10/01 - Verona - Settimana della letteratura dominicana/3

Ore 10.30. Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero incontrano gli studenti dell’Istituto Tecnico “Marco Polo” di Verona. Ore 12.30: conferenza stampa alla Libreria Rinascita, Corso Porta Borsari, 32 (per informazioni: tel. 045 594611) per il lancio della collana “Alfabeti”, con l’editore Pierluigi Perosini e gli autori Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero.

31/10/01 - Legnago (VR) - Giornata del teatro
 
In occasione della "GIORNATA NAZIONALE DEL TEATRO" il nostro Comitato presenta mercoledì 31 ottobre 2001 alle ore 21 al TEATRO SALIERI - Legnago: «Una Delle Ultime Sere di Carnovale» Commedia in tre atti di Carlo Goldoni . Vi aspettiamo numerosi (Il Comitato Arci Legnago)
 
06/11/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sulla finanza etica

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico inerente la finanza etica. «Un approccio alternativo alla finanza» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatore: Riccardo Milano della Banca Etica. Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

13/11/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sul commercio equo e solidale

L'Associazione Underforum di Colognola ai Colli organizza un incontro pubblico sul commercio equo e solidale. «Iniziative e idee per un consumo più consapevole» è il titolo della serata che si terrà presso l'Aula magna della scuola elementare di via Naronchi con inizio alle ore 20,30. Relatori: Mauro D'Ascanio e Lorenzo Moretti della cooperativa "La Rondine" di Verona. Nel corso della serata la bottega del mondo "El Ceibo" metterà a disposizione prodotti equi e solidali. Per informazioni: underforum_it@yahoo.it oppure Mirco Piccoli (347 0583179).

19/11/01 - Verona - Contro la violenza

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Un decennio contro la violenza». Relatore: don Letizia Tommasone (pastora valdese - Verona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

dal 23 al 30/11/01 - Verona - XXI Rassegna Cinema Africano

10/12/01 - Verona - Spiritualità ebraica

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «I doni della spiritualità ebraica». Relatore: Amos Luzzato (presidente comunità ebraiche - Venezia). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.


in primo piano 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
 
Articolo 11    L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

SOLIDARIETA'
 
 
 UN SOGNO AFRICANO

Sognavo l’Africa fin dalla tenera età, da quando, forse, per la prima volta vidi un africano, o quando per la prima volta sentii parlare un missionario, appena tornato. Il desiderio di posare i miei piedi sulla terra africana ha sempre invaso i miei pensieri. Per mille motivi ho rimandato il viaggio, a tal punto, da far crescere in me la convinzione, che tutto ciò sarebbe rimasto solo il mio sogno. Un sogno però, che ho fatto maturare nel segreto del mio cuore, attraverso letture, testimonianze, incontri, conoscenze, relazioni, preghiere… Tutto ciò fino a quando un amico mi disse: “Federica…tu devi andare in Africa”. A quel punto, aprii gli occhi e capii che il mio sogno non poteva rimanere più tale. Capii finalmente che esso era nato con me ed era un dono di Dio.  Non è stato facile…tutto sembrava dirmi di starmene a casa, ma io, un po’ testarda, continuai a cercare, fino a quando una telefonata mi annunciò: “Vai in Rwanda!”. Rwanda... Quel poco che sapevo del Paese delle Mille Colline (soprannome che deriva dalla sua geografia) era relativo al genocidio del 1994, che aveva visto la morte di circa 800.000 persone, spesso a colpi di machete. Qualche attimo e accettai. Partii il 10 Luglio con altre sei persone, che, come me, volevano che i propri occhi vedessero che la vita non è solo quella, che comodamente ci è data di vivere qui, nel nostro ricco occidente. Il viaggio faceva parte delle esperienze brevi (3 settimane), che il Centro Missionario Diocesano di Verona organizza ogni anno. Fummo ospitati in una missione a Muhura, un villaggio situato a circa m 2000 di altitudine. Lì c’è un centro sanitario, un centro nutrizionale e una maternità. Il tutto è estremamente semplice, ma dopo qualche giorno, ci si rende conto di quanto sia prezioso. La strada che ho percorso per arrivarci, mi è servita in tutti i sensi, per farmi entrare nella vita africana. Due ore di macchina in strada sterrata, quasi impraticabile in alcuni tratti, ma che svelava il cuore dell’Africa vera. Quella che ogni giorno deve lottare per sopravvivere; quella che umilmente non si abbatte, non si scoraggia di fronte alle incomprensioni e ai km da percorrere per reperire l’acqua; quella che sa sorridere al sole che sorge, a un fiore che sboccia, alla pioggia che cade, anche se questa causerà la distruzione della casa; quella che sa accogliere il vecchio e il bambino senza calcolare ciò che comporterà; quella che accoglie Dio nel cuore e  lo dona nei gesti quotidiani. La mia giornata la trascorrevo al centro, con i malati e i bambini, con gli amici rwandesi che in ogni momento mi facevano sentire una di loro. “Tu ormai sei una musungu (bianca) rwandese”. Questa è stata la più bella frase che le mie orecchie hanno udito, perché così mi sentivo, a tal punto che ho rinviato, per quel che è stato possibile, il mio rientro in Italia. Mi sentivo una loro sorella, e ogni giorno risuonava in me la frase evangelica “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”(MT 12,50). L’Africa ti mette in gioco, in discussione, ti scuote, ti  tormenta, ti cattura…perché in ogni sguardo che incontri vedi che Dio ti ama e ama la vita di ogni uomo. E’ un mistero…come dice Alex Zanotelli “ è un mistero che consiste nel condividere le esistenze distrutte dei poveri, nell’accostare la morte da mattina a sera, perché proprio in questi istanti dolorosi avviene l’incontro con la vita: i poveri affermano incessantemente la loro voglia di danzare la vita, di credere che, nonostante tutto, la vita vince”. Questa è la convinzione che ho portato a casa, ed è la convinzione che accompagna ogni mio passo. Ritornare in Italia è stato sicuramente difficile. Come accettare le contraddizioni del nostro occidente? No, non è possibile! Come accettare le assurdità che ogni giorno lo sguardo scorge e le mani sfiorano? No, non è possibile! Come accettare l’orrore della violenza per la violenza? No, non è possibile! Come accettare l’indifferenza di chi non si chiede mai il perché? No, non è possibile ! Ora sono qui…in Italia…ma porto in me un sogno: Il mio ritorno in Africa.Tornerò la prossima estate. Inizierò un progetto estivo per i bambini del villaggio. Nel frattempo con un gruppo di ragazzi dai 14 anni in su, Gli amici di Muhura, produciamo oggetti con le perline. Questa attività ci permette di raccogliere fondi e di sensibilizzare quanti incontriamo. Il mio sogno, ora, sta diventando il nostro!!! (Federica fede.hygge@tin.it )


MASSMEDIA e TAM TAM vari 

SITI DA VISITARE 
 
1) Mensile Tempi di Fraternità www.tempidifraternita.it
4) Agenzia giornalistica internazionale: www.fidest.net/   
5) Rivista "Nigrizia":  www.nigrizia.it  
7) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
8) Pedagogisti on line www.educare.it
9) Notiziario femminile www.femmis.org
10) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
11) Agenzia giornalistica www.misna.org 
 
CARTA... in edicola

Gli argomenti principali dell'ultimo numero del settimanale «Carta», che trovate in edicola, sono due. In primo luogo, quello che abbiamo chiamato il Fattore P (come pace). Raccontiamo la lunga marcia del movimento antiliberista da Genova ad Assisi; i diecimila in piazza a New York contro la guerra; a Perugia, nell'incontro dell'Onu dei Popoli, abbiamo raccolto i racconti di tre testimoni della guerra globale, dalla Colombia, dalla Cecenia e dalla Macedonia; dal Panshir, Gino Strada, in una ampia intervista, spiega perché la sola scelta possibile sia "cessare il fuoco"; Paco Ignacio Taibo II, a sua volta intervistato da Carta, descrive la "guerra senza informazione"; ancora, un articolo di Tarso Genro, sindaco di Porto Alegre. Sempre a proposito di guerra, scriviamo una lettera ai giornalisti dell'Espresso a proposito dell'ultima copertina del settimanale, che incita all'"odio". Il secondo argomento è l'assemblea dei "social forum", sabato e domenica a Firenze. Un réportage racconta il forum di Bologna; da Brescia, un "autoritratto" del forum locale; come a Madrid stia nascendo un "social forum" su modello italiano; tutti gli indirizzi dei forum sociali italiani; infine, un lungo articolo, scritto da Pierluigi Sullo e discusso da tutto il gruppo di lavoro di Carta, sulle premesse, la natura, i possibili sviluppi dei "social forum" e il ruolo decisivo nel "fare la pace" che essi possono avere. Ancora per questa settimana, insieme al settimanale è acquistabile (al prezzo complessivo di 15 mila lire) il film "Genova. Per noi". Sappiamo che in molte città il video è esaurito, e si sta cercando di rifornire di nuovo le edicole.
 
BENVENUTO A... «IL LECITO»
 
Sta per nascere una nuova rivista bimestrale (6 numeri all'anno + 2 "speciali"). Si chiama IL LECITO, e si occuperà di "droghe". Il sito web e www.lecito.com. Il direttore sarà Michel Venturelli, giornalista, documentarista e criminologo svizzero. Questo l'indice del primo numero, che sarà in edicola a inizio novembre: Notizie dal mondo; Canapa medica (6 pagine a cura di ACT); Cannabusiness, la fiera tedesca della canapa; La piazza: Milano; L'avvocato (a cura di Angelo Averni); Intervista a don Gino Rigoldi; 6 pagine in ricordo di Giancarlo Arnao; Breve storia del tabacco; La cannabis a Lugano; L'Hemp Hotel di Amsterdam e altre notizie dal mondo del business della canapa; Note e consigli agriculturali (a cura del Giardiniere); Intervista con la pianta (di Cannabis); Intervista con un essere umano (Beppe Grillo); La storia della riscoperta dei funghi magici in Messico (cose di 50 anni fa); La riduzione del danno: eroina in Svizzera; Cose varie, curiosità, citazioni, numeri, recensioni, siti internet... (fonte: c.cappuccino@ntt.it)

INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI

Lingue e colori nell'Islam
       
"I talebani e Bin Laden rappresentano i loro interessi economici e politici. L'Islam non c'entra. L'Islam non è fondamentalista. E' una fede ricca che indica la strada della convivenza pacifica. Certo, al suo interno emergono tanti problemi, non sempre è evidente l'affermazione dei diritti  per tutti.  Ma la ricerca del miglior rapporto con l'altro è tema dominante nel Corano".  Così  il dr. Reza Mohaddes, musulmano sciita di origine iraniana, studioso contemplativo residente a Verona da molti anni, ha introdotto l'incontro promosso il 15 ottobre dal "punto pace" di Pax Christi presso la Chiesa valdese di Verona, affollata di esponenti di gruppi veronesi, alcuni dei quali appena tornati dalla grande marcia Perugia-Assisi. Sfogliando un Corano tormentato da frequenti consultazioni e citando numerose sure, l'esperto islamico ha presentato argomentazioni teologiche di grande respiro: la creazione è per tutti, Dio è  misericordia infinita che abbraccia ogni vivente, la diversità di "lingue" e "colori" è segno di Dio, la "reciproca conoscenza" tra i popoli  è voluta da Dio e fa parte dello "sforzo del miglior rapporto con l'altro". Per il relatore, le religioni non sono verità distinte e contrapposte ma diverse espressioni della stessa verità. La fede non è obbligatoria. La libertà di coscienza è un valore. Nell'esercizio della fede, la ragione è un criterio interpretativo pari al Corano, alla Tradizione e all'indicazione degli "esperti". La fede è come la fonte. Le tradizioni sono come i fiumi (spesso inquinati) che hanno bisogno di depurazione, cioè di un dinamismo innovatore capace di aggiornare il dato rivelato alla luce della ragione libera e dell'azione responsabile del credente. L'interpretazione della Rivelazione è sempre aperta. Alcuni elementi sono essenziali, intoccabili. Altri sono datati, storici. Altri sono allegorici, poetici. Usare violenza verso sé  e gli altri è violare la legge divina. L'omicidio-suicido dei terroristi a New York e Washington è assolutamente contrario alla legge islamica. Non è possibile nemmeno provocare qualche male a se stessi (anche un tatuaggio sarebbe sconveniente). L'unica violenza ammessa è quella della "legittima difesa" ma  "se sei costretto a punire, fallo senza ira e senza vendetta". "Chi ammazza l'innocente ammazza l'umanità". "Chi salva una vita salva il mondo". Jihad vuol dire, sostanzialmente e contemporaneamente,  sforzo, sopportazione, impegno. Fare "la guerra santa" significa tentare di far emergere la luce divina dal fango che in parte ci ricopre. Quindi, cercare di essere liberi. Esercitare la responsabilità personale. Aiutare i bisognosi. Ognuno è libero e responsabile di quello che fa. Durane la serata, ricca di domande e di dialogo, è stata letta  la  "lettera ai fratelli e alle sorelle che pregano Dio col nome di Allah", preparata da Pax Christi Italia e inviata giorni addietro alle comunità islamiche. In essa si rende omaggio alla "nobile tradizione islamica" e si auspica che dall'incontro di essa con la cultura laica occidentale  e con la tradizione cristiana  possano ricevere slancio "la cultura e la prassi del rispetto di ogni diversità e l'assunzione senza riserve, da parte di tutti, della Dichiarazione universale dei diritti umani, quale condizione indispensabile per creare nuovi comuni percorsi di pace". E' stato un bel segnale in un momento così terribile e aspro. Un segno  di pace. Simile a  quello del 22 ottobre presso la Gran Guardia di Piazza Bra: un'assemblea interreligiosa, nel ricordo del primo incontro delle religioni ad Assisi (ottobre 1986), con la partecipazione di dodici rappresentanti delle religioni  presenti a Verona, compreso il vescovo Flavio Roberto Carraro.  Insieme è possibile. Il popolo di Assisi continua a camminare. (Sergio Paronetto)
 
 LETTERA DI ETTORE MASINA

Non possiamo continuare a trascorrere le nostre serate, inerti, seduti davanti al teleschermo, scuotendo la testa e lasciandoci andare a qualche sospiro di pietà mentre vediamo i bambini che vagano affamati e terrorizzati per montagne riarse, calcinate da terribili inverni e da estati roventi; o marciscono in campi-profughi che sembrano, tanto sono disfatti e marcescenti, i resti di orribili tragedie di un antico passato. Basta guardare le guance di quei bellissimi bambini, erose da dermatiti, per leggervi una condanna per chi di noi, che creda nelle necessità della pace, non si alza e non dice: “Dovete ascoltare anche me”: quelle faccine sono il volto del secolo appena iniziato, il volto dei nostri bambini. Nord e Sud, più che mai, un solo futuro. Non dobbiamo stare zitti e lasciar parlare soltanto Berlusconi, con la sua cultura da “cummenda”, le sue orribili gaffes e le sue sfrontate bugie; né le ormai tragiche macchiette di don Baget Bozzo, cappellano di corte, prima di Craxi e adesso del duca di Arcore; o di Oriana Fallaci, che sventola il suo furore anti-arabo come il fantasma di Canterville agitava i suoi sudari insanguinati: neppure più razzismo, un delirio pagato milioni dal più “grosso” quotidiano italiano. Non dobbiamo limitarci ad ascoltare quei megafoni di guerra che sono diventati i giornalisti televisivi della RAI e di Mediaset. Dobbiamo parlare anche noi e non solo con i nostri intimi; uscire dalle nostre case per dialogare sommessamente con i nostri vicini e con i nostri compagni di lavoro, per gridare nelle piazze quello che in televisione non sentiamo mai dire, né alla radio, e che ben raramente leggiamo sui “grandi” giornali: che una guerra fatta mobilitando (e progettando di usare in varie parti del mondo, parola di Bush) una delle più grandi armate che la storia ricordi, non potrà mai essere “umanitaria” perché le armate non hanno occhi capaci di vedere gli umani; che non potrà mai essere “chirurgica” un’offensiva affidata a un gigantesco apparato militare perché un gigante in camera operatoria non può fare che disastri; che non può essere un’ “operazione di polizia” quella in cui i giudici e i poliziotti sono le parti lese; che l’ONU è stata ancora un volta vilipesa e beffata perché questa è una guerra degli Stati Uniti e un pochino – ma soltanto un pochino – della NATO essendo i paesi dell’Alleanza atlantica, per il momento, relegati al rango di semplici comparse; che la maggior parte dei governi islamici “moderati” è in realtà governata da dittature: l’Egitto o, peggio, la Siria e l’Arabia Saudita; il Pakistan o, peggio, la Turchia; e i popoli di quegli sciagurati paesi sono in crescente fermento contro i loro governi; cosicché l’adesione ai piani di Bush – a denti stretti quella di Islamabad, riottosa quella di Damasco, volonterosa quella del Cairo, automatica quella di Ankara – possono, da un momento all’altro rivelarsi illusorie mentre è del tutto prevedibile che, con la scusa del terrorismo, i dittatori induriranno la loro ferocia repressiva. E ancora: che gli armati dell’Alleanza del Nord (come denunziano le donne afghane in esilio) sono altrettanti fanatici che i talebani; che soltanto con una lunga lotta fra fazioni gli americani potranno mettere sul trono afghano uno dei tanti fantocci voluti dal genio della CIA (come quelli esperimentati, con tragici risultati a Panama, a Managua e a Mogadiscio per non parlare, naturalmente, di Santiago del Cile). E ancora: che non è nel futuro ma già nel presente il calvario del popolo afghano, al quale non rimane che una fuga collettiva nei deserti: una specie di esodo biblico, ma senza speranza perché in quell’immensa area non esistono Terre Promesse, esistono soltanto popoli affamati - e ricchi senza pietà che si appoggiano a spietati generali. E infine: che senza una radicale e drammaticamente urgente soluzione della questione medio-orientale che ormai va avviandosi alla caduta di Arafat (dopo di lui il Terrore), le masse islamiche continueranno a ritenere l’azione di Washington arbitraria, ipocrita ed imperialista. Poiché tutte queste cose sono sacrosantamente vere ma nessuno le dice, qualcuno deve pur dirle e quel qualcuno siamo noi. Trecentocinquant’anni fa, imperversando una vera e propria guerra di religione così scriveva a Pascal sua sorella Jacqueline: “So che si dice di non spettare a giovanette il compito di difendere la verità. Ma quando i vescovi dimostrano un coraggio da donzelle bisognerà pure che le donzelle abbiano un coraggio da vescovi. Può darsi che difendere la verità non sia compito nostro ma è certo dovere morire per essa”. Dono idealmente questa citazione non ai vescovi della Chiesa (benché Dio sa se i Sodano, i Ruini e i Maggiolini non ne avrebbero bisogno!) ma ai “vescovi di complemento”, quei laici che tengono cattedra sui giornali importanti. Tanto per fare un esempio: su “La Repubblica” è comparso un lungo articolo di Lucio Caracciolo a proposito della Marcia Perugia-Assisi. Caracciolo non è Berlusconi, prima di parlare pensa; ma, come dicevano gli antichi, quandoque dormitat et bonus Omerus, cioè talvolta persino il grande Omero, un po’ sonnolento, ha scritto brutti versi. Così Caracciolo ci prende il bavero senza conoscerci, facendosi un’immagine di comodo di noi che ci ostiniamo a credere che la pace sia sempre e in ogni occasione, anche la più ardua, superiore alla guerra. Caracciolo ci incasella in una delle seguenti tre categorie: 1) quella degli anacoreti, rispettabili; ma, dice, “non si può avere circolazione di idee fra chi sceglie di vivere nel proprio deserto immaginario e chi, bene o male, nuota nella società umana”; 2) quella degli impauriti; 3) quella degli sciocchi irresponsabili; tali saremmo perché, non volendo la guerra contro il terrorismo, ci assumeremmo la responsabilità della possibile morte di altri pacifici cittadini. Questi sciocchi credono (noi crederemmo) che “lo scontro con il terrorismo è affare degli americani”, “che la guerra in corso sia assimilabile ai grandi conflitti mondiali del Novecento”, infine “che la guerra è la negazione della politica”. Ora – dice Caracciolo a proposito della nostre supposte convinzioni - noi saremmo dei “potenziali suicidi che non si accorgono di essere anche loro nel mirino”. Quanto al secondo punto, dice l’articolista, la guerra  che stiamo vivendo è per definizione una guerra “non convenzionale, coperta” di cui non sapremo nulla (quindi: come faremo a giudicarla?)..Terzo: la guerra, questa guerra, “non è la negazione della politica, è l’estrema risorsa della politica. Oppure è follìa (….). La guerra si fa per difendersi e per restaurare la pace in un ambiente geopolitico possibilmente più stabile. Quanto meno americana e più globale sarà questa guerra, tanto più utile sarà (…). Altrimenti i pacifisti avranno avuto ragione, malgrado se stessi .Ma i vincitori non permetteranno loro di celebrare”. Sono passati 12 giorni dalla pubblicazione di questo articolo: la guerra è più che mai americana, essendo gli alleati della NATO (salvo la Gran Bretagna del fondamentalista Blair) relegati ai  margini; un’immensa armata “convenzionale” si dispiega dal Tagikistan al Golfo Persico; le città afghane vengono “convenzionalmente” bombardate; 7 milioni di donne, vecchi e bambini, a causa dei bombardamenti, non possono più essere raggiunti da aiuti alimentari e un numero spaventoso di essi è condannato alla morte per fame. Davvero tutto questo non somiglia alle altre guerre del XX secolo? E allora? Domenica noi non celebreremo una festa spensierata e infantile: sappiamo bene di essere anche noi “nel mirino”. Ma celebreremo convinzioni che a noi sembrano logiche, pulite, realistiche. Saremo magari degli anacoreti, ma don Giuseppe Dossetti, del quale Lei, caro Caracciolo, avrà certamente sentito parlare, amava ricordare che anche i monaci, se una città veniva colpita dalla peste, lasciavano i deserti per andare a servire i poveri. Non pensi che ci nascondiamo dietro  un dito. Noi crediamo che proprio perché Bin Laden ha dichiarato guerra a tutto il mondo e compiuto un orrendo crimine contro l’umanità se ne debba occupare l’ONU con un’operazione di polizia internazionale che lo assicuri alla giustizia, senza massacri di civili; crediamo che ben più della forza delle armi, che ha già fatto diventare Bin Laden, nell’immaginario di grandi masse islamiche, una specie di Robin Hood asiatico e rischia di trasformarlo in un martire, sarebbe di importanza fatale la morsa finanziaria sugli enormi capitali di cui dispone; ma essa andrebbe stretta non soltanto, come si è fatto, alle società a lui chiaramente riconducibili ma a tutte le zone nere dell’economia internazionale, là dove certamente sta il terrorismo e con il terrorismo inquinano la vita del globo il narcotraffico, il commercio delle armi e lo sfruttamento dei poveri. Noi crediamo che vadano spenti i focolai di disperazione accanto ai quali il fanatismo cova le sue orrende perversioni; crediamo che le somme orribili (uso la parola giusta: orribili, nel senso che fanno orrore) spese in questi giorni per dispiegare la Grande Armata potrebbero essere determinanti se impiegate per rimuovere le ingiustizie più atroci che connotano la Terra. Le pare davvero follìa, la nostra? Le pare che sia soltanto Lei, Caracciolo, a “nuotare nella società umana”? Tutti ci portiamo sulle spalle la croce di tante guerre inutili, del terrorismo nucleare, delle feroci ingiustizie comminate ai popoli poveri. Domenica noi faremo una marcia nel quieto panorama dell’Umbria di Francesco e di Capitini. Cammineremo per significare che non si può più stare immobili, attaccati come le ostriche alla carene dei vascelli delle violenze: quelle dei fuori-legge e quelle degli imperatori. Non si può più stare attaccati alle vecchie logiche che storpiano il buon senso e finiscono inevitabilmente per colpire i più indifesi.. E vede, Caracciolo, avremo certamente due grandi gioie: quella di ritrovarci in tanti e quella di sapere che – giustizia senza vendetta, pace nella giustizia, capacità di amarsi nelle differenze – questa nostra “demenza” è la ripulsa più radicale del terrorismo, il suo esatto contrario.(Ettore Masina)

ITALIA: Duomo di Milano, vietata l’omelia al femminile / 1

Omelia preclusa alle donne nel Duomo di Milano. Nella Giornata missionaria mondiale, che si terrà domenica 21 ottobre, le suore incaricate di preparare l’animazione della liturgia non potranno intervenire “né prima, né durante, né dopo l’omelia”. Per questa, inoltre, dovranno “farsi rappresentare da un confratello missionario”. È quanto si sono sentite rispondere le religiose in occasione dei preparativi della giornata, la cui organizzazione ogni anno è affidata a un ordine diverso. La motivazione risulterebbe essere che in Duomo non si accettano donne con tali compiti. Le religiose, appartenenti a un ordine missionario, hanno risposto mettendo al corrente dell’accaduto il cardinale Carlo Maria Martini. (L’intervento di suore o di missionarie laiche, durante l’omelia della giornata missionaria mondiale e in altre occasioni, è previsto e non è inusuale).
(S.M. 17/10/01, fonte: www.femmis.org)

In Duomo solo voci d'uomo / 2

“Credo nell’obbedienza alla Chiesa che è madre (anche se si esprime spesso con voce maschile) e con le mie consorelle saremo presenti in Duomo, parleranno per noi le testimonianze scritte sui libri e riviste, noi staremo in silenzio, con una sofferenza in più nel cuore che sicuramente ci accomuna ancor di più alla sorte di tante e tanti esclusi/e ed emarginate/e che abbiamo avuto la fortuna di conoscere nelle Chiese di missione.” E’ la sintesi di una lettera che una missionaria ha scritto al Cardinal Martini, dopo aver ricevuto un secco no da parte dei responsabili del Duomo, alla possibilità di dare una testimonianza missionaria e di esortare i fedeli ad un impegno missionario proprio di ogni battezzato. Semplicemente un veto a prendere la parola. Che ci spetta, non solo per normale avvicendamento di Istituti, ma soprattutto per diritto evangelico: “Andate e ammaestrate le genti”(vedi news: Duomo di Milano, vietata l’omelia al femminile).
E’ vero che la miglior predica è il silenzio. Ma un conto è saper tacere a tempo opportuno, altro è essere costrette a star zitte proprio nel giorno eccezionale dell’annuncio, della parola.
In tutto il mondo la Chiesa cattolica nel mese di ottobre celebra la giornata missionaria mondiale dandole una speciale connotazione: lasciando che la classica omelia venga sostituita da riflessioni missionarie, frutto di esperienze vissute. La parola viene perciò lasciata  “agli addetti del mestiere”, siano essi missionari sacerdoti, laici e anche suore.
Nel Duomo di Milano quest’anno, 2001,  c’è stato un distinguo. Siete suore (quindi donne), niente annuncio. Cercatevi supplenti, rigorosamente maschi.
Continuando la sua riflessione la missionaria si chiede: “La nostra vocazione ci abilita solo all’annuncio ai lontani, oppure devo pensare che la donna non è degna di educare alla fede?”
Abituate a denunciare oltre che a convivere con le discriminazioni che si consumano nei paesi del sud del mondo all’indirizzo delle donne, ci riempie di tristezza ma anche di preoccupazione dover assistere, pure a queste latitudini, a gesti così anacronistici.  Infinitesimali, ma sintomi di un latente riflusso storico.(ecappa - fonte: www.femmis.org)

Bambini troppo impegnati: basta corsi, meglio la Tv.

Di VERA SCHIAVAZZI

Almeno 45 minuti di totale relax dopo ogni attività, e soprattutto dopo la scuola. Tre quarti d’ora per non fare nulla che non sia dormire, guardare il soffitto, magari perfino la Tv, purché non ci siano obblighi. E’ il primo di una nuova serie di “comandamenti”, che arriva dalla Francia, a proposito del modo migliore per organizzare il tempo libero dei bambini, evitando di farlo assomigliare all’agenda di un ministro e cercando al tempo stesso di stimolare le loro intenzioni. Lo hanno scritto due psicologi, Francois Testu e Roger Fontaine (allievi di Francoise Dolto) nel loro ultimo libro “Il bambino e i suoi ritmi” che, uscito da poche settimane, fa discutere esperti e genitori e rivaluta persino gli esecrati cartoni televisivi come disimpegno tra un corso e l’altro. Dopo vent’anni di crescita continua delle attività extrascolastiche (si passa dalle 40 alle 48 ore settimanali impegnate tra scuola e corsi vari a mano a mano che l’età cresce, senza neppure considerare bambini e ragazzi che praticano uno sport a livello agonistico), sembra arrivato il momento dello “sboom”, o almeno quello di un’attenta riflessione critica. Ma se è vero che le attività praticate al di fuori della scuola non devono in nessun caso essere più di due, quali sono le età migliori per cominciare? E quali gli abbinamenti consigliati? Musica, scultura e pittura fanno parte di una grande famiglia che può essere abbinata a uno sport: nuoto, espressione corporea e preparazione alla danza si possono iniziare fin dai 5-6 anni, mentre per la pratica regolare di sci, tennis, equitazione, basket e scherma sarebbe meglio attendere che il bambino abbia 8 anni. Tra i tre e i sei, volendo, si può iniziare con l’alfabetizzazione musicale (cori, ritmica, semplici esercizi da fare in gruppo per non più di 30-40 minuti una o due volte la settimana) e col nuoto (anche in questo caso, l’acquaticità non deve durare più di mezz’ora alla volta, e le ultime tendenze prevedono che i bambini scendano nella vasca a piccoli gruppi insieme all’istruttore, senza la presenza di mamma o papà). Alle elementari, la formula del tempo pieno prevede già almeno una attività sportiva (nuoto e basket le più gettonate), l’alfabetizzazione per una o due lingue straniere e quella informatica. Fare altre cose una volta usciti dalla scuola è sensato soltanto se è il bambino a chiederlo. E’ il caso di chi sta imparando a suonare uno strumento (occorrono almeno tre ore alla settimana tra lezioni ed esercizi a casa), di chi vuole dipingere (un’ora e mezza la settimana è sufficiente) o di chi vuole provare uno sport che non è previsto a scuola. Altra regola d’oro: imporre a se stessi, all’associazione o alla scuola scelta e ai propri bambini almeno due lezioni di prova. Se un’attività non piace, meglio saperlo subito, ma se si decide per il sì è giusto impegnarsi a farla tutto l’anno. Il weekend dovrebbe restare libero, per dormire fino a tardi, leggere, stare all’aria aperta, condividere tempo tra adulti e bambini, frequentare amici piccoli e grandi. A conti fatti, una famiglia con due bambini potrà spendere per le attività extrascolastiche tra un milione e mezzo e due milioni e mezzo di lire, “attrezzature” escluse. Ne vale la pena? Sì, se le ore in più servono a divertirsi, a crescere seguendo le proprie passioni vere (imparare il pianoforte è difficile, per capire se è il caso di insistere bisogna conoscere a fondo quel singolo bambino), a scaricare energie fisiche. No, avvertono Testu e Fontaine, se è un modo di riempire il tempo e parcheggiare bambini e ragazzi: in questo caso, meglio la baby sitter, i vicini di casa e la Tv. (segnalazione di Luciana Bertinato)

IMMIGRATI / 1
Ecco la mia opinione sugli stranieri
 
Vorrei chiedere al signor Aldo Corradi che si è lamentato per la locandina de L'Arena sui musulmani che non pregano per l'America, che cosa pensa sul fatto che oltre il 50% dei detenuti (delinquenti) nel carcere di Montorio sono musulmani.
E in relazione all'articolo "La patria di 40.000 stranieri", l'autore si è dimenticato di dire cosa portano in Italia taluni soggetti marocchini e tunisini; grandi quantità di sostanze stupefacenti. I rumeni sono dediti a furti di vario genere, gli albanesi allo sfruttamento della prostituzione e slavi e albanesi a rapine e furti in abitazioni. Questo si deve dire per correttezza d'informazione anche perchè la gente non è stupida, almeno qui in Italia. ( L'Arena - mercoledì 26 settembre 2001 - Lucio Cipolla - Casaleone) 
 
Immigrati / 2
Altri orizzonti ad Arzignano e S. Ambrogio
 
Il sig. Lucio Cipolla di Casaleone in una lettera pubblicata su L’Arena di mercoledì 26 settembre si chiedeva cosa ne penso io del fatto che oltre il 50% dei detenuti “delinquenti” (faceva notare) del carcere di Montorio sono musulmani. Io non so se i dati siano esatti, tuttavia non vedo come possa collegare il fatto che nel carcere ci sono tanti musulmani, al fatto che una locandina de L’Arena con lo slogan “I musulmani non pregano per l’America” induceva (secondo me e secondo molti altri) sentimenti ingiustificati di avversione verso tutti i musulmani, anche quelli che vivono e lavorano onestamente a Verona. Può darsi che anche il sig. Cipolla abbia letto solo la locandina o il titolo dell’articolo nel quale si spiegava che l’avversione dei musulmani non è contro il popolo americano ma contro “l’apparato americano”: così ha trovato pane per i suoi denti a confermare le sue convinzioni che i musulmani sono gente da galera. Io credo che in carcere ci siano molte persone (forse la stragrande maggioranza) che hanno commesso piccoli reati legati al traffico di stupefacenti. Il traffico degli stupefacenti non ha niente a che vedere con la cultura e la religione musulmana, come non ha niente a che vedere con la cultura e religione cristiana, anche se molti spacciatori sono classificati tra i “cristiani”. E’ un problema sociale che riguarda soprattutto il cosiddetto “benessere” della nostra civiltà “occidentale” e certamente non può essere risolto criminalizzando direttamente o indirettamente i musulmani. Ho l’impressione (ma vorrei tanto sbagliarmi), leggendo la lettera del sig. Cipolla che egli abbia suddiviso i popoli in categorie ben precise: i musulmani commerciano droga, i rumeni sono ladri, gli slavi e gli albanesi sono “magnaccia”, gli italiani sono i “non stupidi”, quindi gli intelligenti e furbi. Invito il sig. Cipolla a fare un giro nelle zone di Arzignano e dintorni, o a Sant’Ambrogio di Valpolicella: vedrà altri orizzonti. ( L'ARENA - mecoledì 3 ottobre 2001 - Aldo Corradi - Colognola ai Colli)
 
Immigrati / 3
Sono persone che sfuggono alla miseria

Mi riferisco alla lettera del signor Lucio Cipolla di Casaleone (L’Arena, 26 settembre), nella quale egli sente la necessità di manifestare, per correttezza d’informazione, il proprio pensiero sugli immigrati marocchini, tunisini, rumeni, albanesi, slavi, per definirli come portatori di delinquenza, sfruttatori della prostituzione, spacciatori di droga, ladri e rapinatori. In primo luogo ritengo che i delinquenti non si debbano classificare per nazionalità. I delinquenti sono delinquenti e basta e come tali vanno puniti e sanzionati. La delinquenza è un problema d’ordine pubblico e l’equazione immigrazione uguale delinquenza mi sembra un’affermazione non accettabile. Sarebbe poi interessante sapere se i nostri concittadini che «frequentano» le prostitute straniere sulle strade non si siano mai posti il problema circa la loro nazionalità, preferendo le «nostrane» piuttosto che le immigrate.Ritengo poi importante riflettere un po’ di più sulla storia del Novecento. A leggere il bel libro di Alessandro Anderloni «Il prete dei castagnari» dedicato alla vita di don Alberto Benedetti, il prete salvègo di Ceredo, si scopre, ad esempio, che dal 1876 al 1901 partirono dall’Italia poco meno di 3 milioni di nostri connazionali, i quali se si aggiungono gli emigrati temporanei - parenti o familiari di coloro che erano già partiti - diventano 5 milioni! Solo dal Veneto partirono per le Americhe 2 milioni di persone. Dalla provincia di Verona più di 80 mila uomini. Dalla Lessinia si è continuato a partire fin dopo la Seconda guerra mondiale e per tutti gli anni Cinquanta. La rivista di geopolitica Limes, qualche anno fa, ha stimato che la popolazione di origine italiana nel mondo è intorno ai 60 milioni, comprendendo le persone discendenti dagli emigrati italiani! Ma come erano trattati questi nostri antenati? Don Alberto Benedetti scrive di essere rimasto veramente impressionato di quello che gli disse suo padre emigrato in California nel 1914: «Là in America gli italiani in quei decenni erano trattati peggio dei negri!». A vedere poi il film-documentario di Gianni Amelio «Poveri noi» sull’emigrazione italiana, si ha una conferma di come gli italiani non fossero ben accettati nei paesi in cui emigravano. Il commento fuori campo al film recita: «Un lavoratore su 3 è straniero perché gli svizzeri non vogliono fare più certi lavori (minatori, domestici, sguatteri, manovali, sporchi, pericolosi, notturni». Quando gli svizzeri si svegliano ed escono di casa avvolti nelle loro flanelle con giacca e cravatta, commentano: «Questi italiani arrivano con il coltello»; «sono fannulloni e incapaci»; «l’italiano non spende il denaro che guadagna»; «io li farei andare vi tutti». Commenti non dissimili da quelli odierni di tanti italiani nei confronti degli immigrati extracomunitari. È incredibile quindi costatare come le società ricche (o arricchite) reagiscano sempre allo stesso modo di fronte al fenomeno dell’immigrazione!
Ritengo che l’immigrazione sia un fenomeno epocale, inevitabile e non contenibile: si tratta di persone che hanno fame, che sfuggono alla miseria e alle guerre e che vengono dove pensano ci sia da mangiare e da lavorare. Dobbiamo avere la capacità di accogliere per via legale chi bussa alla nostra porta, non pretendendo di scegliere di persona quanti farebbero comodo a noi. Per accogliere gli immigrati dobbiamo cambiare alcune regole del nostro Paese e dobbiamo avviare un’opera d’integrazione culturale, fatta anche di estensione di diritti civili e di cittadinanza e di cui cominceremo a vedere gli effetti positivi soprattutto con le generazioni future. Solo se gli immigrati aspireranno a essere italiani si comporteranno secondo le nostre leggi. Nel contempo anche la nostra società dovrà cambiare di conseguenza assimilando parte della cultura degli immigrati, nell’alimentazione, nella lingua, nei costumi e anche nella morale. È così, a mio avviso, che si comporta una società civile, una società viva che non rinuncia alla propria evoluzione. Molta gente che non è stupida queste cose le ha capite ormai da parecchio tempo. (Paolo Veronese - Cazzano)

Minaccia per l’umanità

Riceviamo e pubblichiamo. «La più temuta e sbagliata risposta al terrorismo è precipitata. Gli Stati Uniti d’America con i loro alleati stanno colpendo l’Afghanistan. Oggi la guerra è cominciata. All’orrore del terrorismo si somma un altro orrore. Alle incolpevoli vite umane stroncate dai terroristi si possono aggiungere in queste ore vittime ugualmente incolpevoli di un’altra parte del mondo. Due torti non fanno una ragione. Da oggi il destino dell’umanità si è fatto più incerto e più oscuro. Ogni persona in ogni parte del mondo è a rischio e può essere colpita. L’unica cosa certa è che il terrorismo non ne esce indebolito. Gli organismi e il diritto internazionali e la volontà dei popoli sono le vittime politiche di questa scelta. L’Europa è di fronte ad un bivio. Se si accoda alla scelta americana nega la sua stessa esistenza. Il suo futuro, oggi più che mai, dipende dalla sua capacità di opporre il diritto internazionale al terrorismo e alla guerra e la scelta della pace per avviare una politica di cooperazione fra il Nord e il Sud del Mondo. In un momento così drammatico per l’umanità chiediamo al popolo italiano di far sentire la sua voce per fermare la guerra; chiediamo a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà di qualunque cultura e religione di far sentire la loro voce; chiediamo ai lavoratori di pronunciarsi contro gli avvenimenti di queste terribili ore; ci appelliamo a tutte le Chiese perché le religioni non diventino ragione di conflitto, ma di tolleranza e di dialogo. Ci appelliamo al movimento antiglobalizzazione perché diventi il centro di un più ampio fronte di lotta per la pace e contro la guerra e il terrorismo. Chiediamo a tutte le donne e agli uomini del partito della Rifondazione comunista in queste ore drammatiche di mobilitarsi, di diventare protagonisti unitari per la costruzione di un grande movimento pacifista». Fausto Bertinotti

La nostra Marcia per la Pace

Dichiarazione del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, che raggruppa, nel solo Veneto,1872 persone accolte in strutture residenziali e 4863 in quelle semiresidenziali nei settori della tossicodipendenza, minori in difficoltà, carcere, alcoolismo, disagio psichico, immigrati, senza fissa dimora, prostituzione.

Convinti che solo l’azione non–violenta possa rappresentare una credibile risposta a tanta rabbia ed ingiustizia, scegliamo di partecipare e coinvolgerci nella costruzione di alleanze con tutte le persone impegnate a “sostituire la cultura della competizione selvaggia con quella della cooperazione, la cultura della guerra con la cultura della pace, l’esclusione con l’accoglienza, l’individualismo con la solidarietà, la separazione con la condivisione, l’arricchimento con la ridistribuzione, la sicurezza nazionale armata con la sicurezza comune”.    Crediamo che queste parole e questi obiettivi - così espressi in occasione della Marcia per la Pace Perugia Assisi del 26 settembre 1999 - siano più che mai attuali ed urgenti.  Per questo motivo scegliamo di essere presenti – come Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza – in occasione della Marcia per la Pace 2001 che si svolgerà il 14 ottobre in Umbria organizzata dalla Tavola della Pace di Perugia e dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace.  La marcia vedrà sfilare, lungo un tragitto di 23 km, persone provenienti da tutte le regioni italiane e dall’estero: vuole rappresentare il momento conclusivo della 4° Assemblea dell’ONU dei Popoli, la tre giorni dedicata al tema “La globalizzazione dal basso.  Il ruolo della società civile mondiale e dell’Europa.” Facciamo dunque nostri gli obiettivi con cui i promotori della 4° Assemblea dell’Onu dei Popoli e della Marcia per la Pace del 14 ottobre 2001 intendono dare seguito agli impegni assunti a New York dal Millennium Forum e contribuire alla preparazione del 2° Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (Brasile, gennaio 2002): 1. promuovere la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarietà, sollecitando un cambiamento delle priorità della politica e dell’uso delle risorse; 2. contribuire alla costruzione e al rafforzamento della società civile mondiale, della sua capacità di proposta e azione comune per la pace, un’economia di giustizia e la democrazia internazionale; 3. contribuire alla costruzione di un’Europa aperta e solidale, strumento di pace, giustizia e democrazia nel mondo. 4. promuovere la costruzione di una rete europea delle organizzazioni e istituzioni locali che operano per la pace; 5. promuovere la costruzione di un “network per la globalizzazione dal basso” e di un “Forum permanente della Società Civile Mondiale”; 6. costruire una coalizione internazionale in vista della Conferenza dell’Onu Financing for Development” (Finanza per lo Sviluppo) (Messico, marzo 2002); 7. rilanciare le proposte della società civile mondiale, in vista della conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Qatar, novembre 2001); 8. sollecitare l’intervento dell’Europa e dell’Onu a favore della pace in Medio Oriente, nei Balcani, in Africa, in Colombia, in Turchia, …;  9. promuovere una campagna (e una coalizione) internazionale per il rafforzamento e la democratizzazione dell’Onu; 10. promuovere una campagna (e una coalizione) internazionale contro il progetto di scudo spaziale americano, per il disarmo e la prevenzione dei conflitti. La nostra storia è – da sempre – coerente con questi contenuti.  L’attenzione al territorio ed all’accoglienza – da cui siamo caratterizzati – hanno senso solo se sanno diventare progetto anche politico e se riescono a costruire – con la denuncia – una cultura della giustizia radicata in concrete pratiche (locali e globali).  Nel momento in cui il C.N.C.A. si avvicina alla scadenza del suo ventennale, ci sembra doveroso riaffermare la nostra ferma intenzione di proseguire sui sentieri della non-violenza, della giustizia globale e dello sviluppo sostenibile. Oggi siamo spaventati da quanto ci circonda.  Dopo l’11 settembre e dopo Genova gli scenari sono cambiati in modo irrevocabile.  Anche a noi sarà chiesto di confrontarci con questi cambiamenti e di creare meccanismi perché la fedeltà alla nostra storia non diventi rigidità che ci impoverisce in sola nostalgia. Mentre la guerra – perché questo è il suo nome – prosegue il suo assurdo progetto di distruzione, noi vogliamo respingere con fermezza, chiarezza e determinazione ogni tentazione  di vendetta, di rivincita, di rappresaglia e di odio ormai incontrollabile o insuperabile. Nuovi lutti e nuove tragedie non si prevengono con lo strumento della guerra. Mai. Logiche di guerra impugnate in nome di una giustizia militare non “ricordano” le vittime e nemmeno preparano riconciliazione. E’  illuminante, da questo punto di vista, la lettera che i genitori di Greg, un ragazzo morto in una delle Torri, hanno scritto al “loro” presidente:  Caro Presidente George W. Bush, nostro figlio Greg è una delle vittime dell’attacco al World Trade Center di martedì 11 settembre.  In questi ultimi giorni abbiamo letto la Sua risposta circa la risoluzione con la quale il Congresso Le dà pieni poteri per rispondere all’attacco terroristico.  La Sua decisione di rispondere a questo attacco non ci fa sentire meglio rispetto alla morte di nostro figlio.  Ci fa sentire peggio.  Ci fa sentire come se il nostro governo stesse usando la memoria di nostro figlio per giustificare il fatto di causare dolore ad altri figli e genitori di altri Paesi.  Non è la prima volta che una persona della Sua posizione ha avuto pieni poteri per poi rammaricarsene.  Non è tempo di gesti vani per farci sentire meglio.  Non è tempo di agire come dei prepotenti.  La sproniamo a pensare come il nostro governo possa trovare soluzioni pacifiche e razionali al terrorismo, soluzioni che non ci facciano cadere al livello disumano dei terroristi”.  Se non vogliamo che il sacrificio di quanti sono morti in quel drammatico 11 settembre diventi inutile, dobbiamo ri-costruire - in loro memoria e tutti insieme – nuove torri: di sviluppo internazionale, di giustizia globale e di pace duratura perché fondata su criteri di sviluppo sostenibile ed equamente ripartito. Ma non ci vogliamo nemmeno rassegnare al fatto che condannare la guerra possa essere inteso come “complicità” con le logiche criminali di un terrorismo che in nessun modo può essere giustificato. Significa non usare gli attentati terroristici come tappeto per nascondere quelle omissioni e quelle colpe che hanno visto divaricarsi le forbici tra un Nord sempre più ricco e un Sud sempre più privo di cure sanitarie, di acqua, di cibo, di scuole e di politiche in grado di contrastare quei tristi fenomeni di schiavitù e di emigrazione disperata che siamo ormai abituati a conoscere. Due ultime considerazioni. La prima. Non siamo in presenza di uno scontro tra Occidente (giudeo-cristiano) e Oriente (islamico). Nessuno, nemmeno per un istante, può ridurre la complessa cultura e sapienza della religione islamica ai frammenti dell’integralismo o, peggio ancora, del terrorismo. Entrare in questa prospettiva coincide con il negare l’evidenza ed individuare nel pluralismo religioso un pretesto per nascondere meccanismi economici e finanziari che alimentano con ben altre logiche i tanti conflitti che conosciamo e che si sono consumati sotto i nostri occhi. La vera guerra da contrastare è la guerra dell’ingiustizia alimentata dall’assenza di politiche capaci di fronteggiare queste emergenze. La seconda. Televisioni e media ci propongono, quotidianamente, immagini altamente emotive di morte, di distruzione e di violenza. Non possiamo, però, restare prigionieri di cronache drammatiche trasformate in spettacolo.  Dobbiamo fare in modo che anche le immagini facciano un passo indietro perché la tragedia non diventi un “teatro” che entra nelle case alimentando ulteriori paure, rancori e divisioni già difficili da sanare. Giustizia e pace non possono restare sepolte sotto immagini altamente emotive che bloccano il procedere della nonviolenza. Fare in modo che alle immagini seguano le Parole della Politica e della nonviolenza, è la grande responsabilità che ci dobbiamo assumere, insieme, nessuno escluso. (Sergio Pighi)

 LA GUERRA CHE VERRA'

Ognuno di noi, in questi giorni, in queste settimane, ha avuto modo di vedere, ascoltare, leggere, riflettere. Spesso ci siamo trovati forse storditi, forse “soli” con le nostre riflessioni, con la sensazione di impotente solitudine di fronte al vorticoso e caotico precipitare degli avvenimenti, soli con l’esigenza di capire, comunicare e far pesare le nostre convinzioni… ma i centri delle decisioni e del potere sembrano collocarsi a livelli troppo lontani, fuori portata… E tuttavia, proprio nel momento in cui la situazione sembra diventare troppo complessa, proprio allora va recuperata l’essenzialità dei concetti del nostro sentire, il significato elementare delle parole. Guerra è guerra, nonostante il goffo tentativo di travestirne e nasconderne il significato con sinonimi e aggettivi di vario genere. E alla semplicità terribile di questa parola noi contrapponiamo la parola pace, volontariamente e coscientemente ignorando i fiumi di argomentazioni storiche, socio- economiche, politiche… certamente importanti, utili e necessarie ma soltanto se non cancellano la consapevolezza della cruda realtà: guerra è guerra. E a chi lavora nella scuola, a chi ha il compito primario di formare i giovani alla conoscenza, al confronto… il compito di formare “l’uomo e il cittadino”, chiediamo di aprire spazi all’analisi, al dibattito, al confronto. Nella propria classe, durante le lezioni, nel proprio intervento pedagogico quotidiano. Chiediamo di far diventare la scuola, la classe, luogo e momento di ascolto disponibile e rispettoso di vissuti, di pensieri, di storie diverse. Qualcuno forse pensa che la scuola di altro si debba occupare, che il dibattito e il confronto su quanto sta avvenendo appartenga “al mondo della politica”, dei professionisti della politica, e che sia quindi estraneo ai compiti primari del lavoro di chi insegna: sta avanzando in modo dilagante il tentativo di espropriare la scuola del compito fondamentale della formazione. E cosa dovremmo dire noi insegnanti alle giovani generazioni che chiedono di capire, di confrontarsi su quanto sta avvenendo? Dovremmo rispondere che questo non è compito della scuola? Che compito fondamentale sono… le tre “i”: impresa, internet, inglese? La cruda, tragica realtà di quanto sta avvenendo in questi giorni rivela la vacuità, la strumentale pericolosità di questi slogan che sovvertono concettualmente la natura stessa della scuola così come è definita nella nostra costituzione. Saremo in grado di opporre cultura aperta alle differenze e concreta pratica pedagogica a questa deviante tendenza? (La Segreteria CGIL scuola – Verona)

LA MIA MARCIA

La Marcia per la Pace è stata per me un'esperienza ricchissima. Agli amici che conoscono le vicende sono felice di far sapere che mi è stato dato, fra l'altro, di poter scambiare un attimo di pace e solidarietà con Mao Valpiana, impegnato fra i 200.000 a distribuire un libretto su Aldo Capitini (fondatore nel 1961 della Marcia). Per costruire la pace, venirsi incontro, rompere le incomprensioni e le ruvidità, a volte basta solo uno sguardo gioioso, una stretta di mano, un abbraccio, camminare insieme, scoprire la gioia di essersi messi in discussione, di aver chiesto ed ascoltato ed aver trovato la risposta di Dio Padre. Il nostro io, la nostra logica e razionalità, che spesso ci allontana invece di avvicinarci, si sbriciola di fronte alla legge dell'amore e dello spirito. Siamo nati per essere fratelli che tendono alla ricerca dell'unità. L'incomprensione e la divisione comunque ci feriscono e ci indeboliscono. Per cercare l'unione si paga un leggero prezzo momentaneo, la paga poi è grande ed è per la vita. Lo Spirito ci viene in aiuto dandoci la forza necessaria nella pratica del perdono e del reciproco sostegno. E' questa la nostra vera, unica e vittoriosa gioia. Concludo con parole che non sono mie e le rimetto a voi. Come essere autentici portatori di verità e di bene tra le tante umane espressioni dei nostri tempi?
Gli amici Monaci Benedettini ci aiutano a ricordare:S.Teresa d'Avila.Come Marta e Maria.
Mentre il titolo della verginità è comune a tante gloriose sante della chiesa, quello di dottore è stato conferito per la prima volta alla santa di oggi. Ha meritato questo particolare riconoscimento in virtù della sua sapienza umana e spirituale: una donna saggia, coraggiosamente e costantemente proiettata alla ricerca della perfezione, un'anima mistica che gode di profonda intimità con Cristo, una donna forte che con i suoi scritti e le sue opere rivela doni eccezionali dello Spirito, una santa, particolarmente illuminata che la rendono non solo riformatrice del suo ordine religioso, ma maestra per tutta la chiesa. Il Vangelo di oggi vuol parlare di Lei identificandola con Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro, amiche del Cristo, che in modi diversi, ma con grande intensità di amore lo accolgono nella loro casa e l'una gli presta i migliori servizi e l'altra l 'ascolta, prostrata ai suoi piedi. Teresa D'Avila adempie nella sua vita ai due compiti, con mirabile armonia, alternando preghiera ed azione, ma tutto orientando a Dio e alla sua gloria. S. Paolo nella sua lettera ai Romani, ricorda che è indispensabile l'azione dello Spirito in noi per diventare autenticamente operatori di verità e di bene. Egli dice che lo Spirito viene in noi in aiuto alla nostra debolezza, facendoci scoprire e sperimentare la forza di quel dono e il travaglio della nostra natura umana per assecondarlo sempre in pienezza. (Giovanni Zampini)

"Più preghiere meno altruismo"

Troppo altruismo distoglie i sacerdoti dalla preghiera. Ordinando dieci nuovi diaconi, ieri pomeriggio nella cattedrale di in San Pietro, il cardinale Giacomo Biffi li ha esortati a non lasciarsi "ingannare da un attivismo altruistico che non dia più spazio alla preghiera e alla contemplazione della verità salvifica". Se è indiscutibile che il compito di ogni ministro di Dio ha due facce inseparabili, cioè l'"attenzione al disegno della Redenzione" e la "dedizione fattiva ai fratelli", il secondo aspetto non può mai prevalere sul primo. A Biffi non piacciono i preti che considerano il "servizio" della solidarietà come loro principale compito, soprattutto se ciò va a scapito del primario dovere dell'evangelizzazione: l'ha già detto a proposito dell'accoglienza delle parrocchie agli immigrati, che non dev'essere mai fine a se stessa, né sostitutiva dell'intervento pubblico. Perché consideri pericoloso il "solidarismo" in parrocchia, però, ieri lo ha spiegato meglio e a chiare lettere: "Non siate facili a identificare la virtù cristiana della carità con l'una o l'altra tesi sociale e con l'una o l'altra appartenenza politica". L'impegno a favore degli altri, dice in sostanza l'arcivescovo ai futuri sacerdoti, è la porta per la quale rischiano di intrufolarsi nell'ortodossia della fede le suggestioni del tutto estranee della politica. Di queste "concezioni aberranti", afferma il cardinale, alcune infatti "si adornano indebitamente di riferimenti evangelici"; ma "voi dovrete difendere sempre gelosamente l'originalità della missione che oggi ricevete e l'inconfrontabilità del vostro annuncio". Sacerdoti, dunque, non assistenti sociali, né attivisti politici. E neppure primedonne sulla scena pubblica. Anche i preti troppo distratti da "missioni" più o meno vistose non piacciono a Biffi. "Le grandi imprese si compiono restando nel posto in cui la Provvidenza ci colloca e non evadendo dall'ufficio che ci è stato assegnato". "Servizio", ammonisce il cardinale, "è una parola semplice e per così dire 'feriale", quindi siate modesti, "non cullatevi nell'illusione di salire sulla cresta dell'onda, dove ogni vistoso spumeggiare è inutile e presto scompare"; dedicatevi piuttosto "a un lavoro ecclesiale che è spesso senza plauso e senza riconoscimenti". (di MICHELE SMARGIASSI, su segnalazione di Domenico Manaresi)


ZOOM ASSOCIAZIONI
 
 
CAMPO DI LAVORO A CUBA
 
Habana Ecopolis, «Campo Lavoro che Cuba cresce». Il progetto Habana Ecopolis  (web.tiscali.it/fagianinelmondo/) organizza un Campo Lavoro per il recupero e il monitoraggio ambientale del Parco Naturale Rincòn de Guanaco. A: Guanabo, periferia della Città dell'Avana, sul mare. Quando: fine 2001 - inizio 2002 Per informazioni, contattare i numeri tel. 3490576137 - 045549841 (Federico) - e-mail: fagianinelmondo@libero.it
 
Volontari per i senza tetto 

La Comunità dei frati minori di San Bernardino, L'associazione "La Fraternità" di Verona, La Ronda della Carità invitano tutti gli interessati a: Proposta formativa per gruppi e volontari che si occupano di persone senza tetto. Gli incontri si terranno di venerdì dalle ore 18.00 alle 19.30  presso: sala conferenze del convento di San Bernardino in via A. Provolo 28 ; cappella San Francesco della chiesa  di San Bernardino l'ascolto della parola di Dio . Con il seguente programma: 

Data

Relatore

Argomento

 

 

 

02/11/2001

Sergio Pighi

Le regole della convivenza

16/11/2001

Frati di San Bernardino

Ascolto della parola di Dio

30/11/2001

Maurizio Zanon

Il lavoro in gruppo (ore 19.00 - 20.30)

18/01/2002

Jeanne Piere Piessou

La condizione dello straniero irregolare

08/02/2002

Renzo Fior

L’accoglienza

15/03/2002

Frati di San Bernardino

Ascolto della parola di Dio

05/04/2002

Valeria Marchesini

La situazione dei SFD e le risposte dei veronesi

19/04/2002

Frà Federico Righetti

La carità evangelica

Si tratta di una proposta di formazione semplice per qualificare insieme e meglio il nostro senso dell'accoglienza verso persone senza fissa dimora. Per informazioni rivolgersi a: Frà Giorgio Auletta tel. 045 596497; Maurizio Mazzi tel. 0437 0064001.
 
 
PROTETTO IN AMAZZONIA UN TERRITORIO GRANDE QUANTO LA CAMPANIA VITTORIA DEGLI INDIOS DENI, RICONOSCIUTO IL LORO DIRITTO ALLA TERRA
 
Dopo una battaglia di due anni, gli indios Deni ce l'hanno fatta. Con l'aiuto di Greenpeace, al Consiglio dei Missionari Indigenisti e ad un'altra ong, l'Opan, i Deni hanno delimitato il loro territorio ed hanno ottenuto il riconoscimento legale dal governo di questo atto. Ora, saranno proibiti lo sfruttamento industriale, minerario ed il taglio degli alberi. Il territorio Deni, che fa gola alle industrie del legname, e' abitato da 670 persone, si estende per 1.530.000 ettari (le dimensioni della Campania) e si trova a circa 1000 chilometri a sudest di Manaus, la capitale dell'Amazzonia. Il decreto, firmato la settimana scorsa dal ministro della giustizia Jose Gregori e' stato pubblicato ufficialmente il 16 ottobre a Brasilia. Secondo la Costituzione brasiliana tutti i territori degli indios sarebbero dovuti essere demarcati entro il 1993, mentre su 580 comunità, solo 360 hanno ottenuto questo riconoscimento. A maggio '99 era stata una spedizione di Greenpeace, che indagava sulle attività di taglio illegale della foresta, a scoprire che metà del territorio Deni era stato acquistato dalla WTK, multinazionale malese del legname, tra le più agguerrite. I Deni erano stati tenuti all'oscuro dell'intera operazione, ma una volta venuti a conoscenza del fatto, avevano chiesto aiuto all'organizzazione ambientalista. Attivisti di Greenpeace provenienti da tutto il mondo (Brasile, Cile, Inghilterra, Olanda,Svezia, Spagna, Grecia, Germania, Austria, Stati Uniti e Cina) hanno collaborato alla demarcazione di 53 chilometri di sentieri e 218 chilometri di confini lungo fiumi e torrenti, apponendo il cartello: "Territorio Deni, ingresso proibito": "Siamo orgogliosi di aver giocato la nostra parte nella clamorosa vittoria dei Deni- spiega Sergio Baffoni, responsabile campagna foreste Greenpeace Italia  Il governo brasiliano deve ora mantenere la promessa di completare la delimitazione del territorio Deni, ma anche quella degli altri territori indigeni, ovvero il 20% dell'Amazzonia".
Poco dopo aver mostrato le prove del taglio illegale  di mogano, la scorsa settimana, Paulo Adario, responsabile della campagna di Greenpeace per l'Amazzonia ha ricevuto serie minacce di morte. Greenpeace, ieri, a Roma, come in tutte le capitali europee, ha consegnato agli ambasciatori brasiliani una lettera in cui si chiede al governo brasiliano garanzie sulla sicurezza di Paulo Adario e di tutti gli attivisti in Brasile e l'adozione di misure immediate in seguito alla denuncia presentata da Greenpeace al procuratore federale brasiliano, sulle operazioni di taglio illegale di mogano rubato nella riserva degli indios Kayapo, in Para' (fonte: Greenpeace)
 
 
LA BOMBONIERA DELLA “SOLIDARIETA’” IN TV A UNO MATTINA
 
Due neo sposi fanesi, Giorgia Niro e Corrado Fehervari, unitisi in matrimonio il 30 Settembre 2001 nella chiesa di San Marco a Fano, sono stati invitati dalla redazione di Uno Mattina, lunedì 22 ottobre 2001, per essere intervistati da Paola Saluzzi e Luca Giurato sulla bomboniera della “Solidarietà”. Giorgia e Corrado infatti, aderendo all’iniziativa di Chiama l’Africa  (0721/865159  www.chiamalafricafano.org ), hanno fatto la scelta alternativa di consegnare agli invitati una pergamena della “Solidarietà”, devolvendo la somma destinata alle bomboniere tradizionali al Progetto Rainbow, un programma di aiuti umanitari  a favore dei “bambini di strada” orfani dell’AIDS in Zambia e Kenya. Con il ricavato delle pergamene della “Solidarietà” il comitato fanese di Chiama l’Africa ha già raggiunto la somma necessaria per il funzionamento annuale (cibo, alloggio, cure mediche, istruzione) di due Centri Notturni di Pronto Soccorso nelle città di Ndola e Kytwe , in grado di accogliere una settantina di “bambini di strada” che, nel tempo di 2/3 mesi, potranno essere reinseriti, con un aiuto sia economico che psicologico, nella famiglia di origine o in mancanza di questa in una famiglia affidataria. Così operando, nei due Centri saranno ospitati complessivamente in un anno circa trecento bambini. E’ in costante crescita il numero di coloro che desiderano vivere in modo più significativo momenti di festa come battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni, feste di laurea e anniversari. Nella pergamena della  “ Solidarietà” (valore pari ad una bomboniera di prezzo medio ) sono spiegate le motivazioni della scelta e le finalità del Progetto Umanitario Rainbow, ideato e gestito dalla Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini di don Oreste Benzi, presente in Africa da oltre quindici anni. Purtroppo, anche il numero dei “bambini di strada” è in vertiginoso aumento in tutta l’Africa Subsahariana, perché l’AIDS sta facendo strage della generazione adulta, dai 25 ai 40 anni, e così il mantenimento degli orfani è diventato un peso insostenibile da parte delle famiglie che non riescono più a garantire loro la scuola e spesso nemmeno il cibo.“ In una situazione come questa, e cioè di fronte ad oltre tre milioni di orfani, tutti gli aiuti che riceviamo, -afferma la dottoressa Elisabetta Garuti coordinatrice del Progetto Rainbow-, dai più piccoli ai più grandi, sono indispensabili e quasi ogni giorno segnano la linea fra la vita e la morte per tanti bambini”. Si spera che l’iniziativa della “Bomboniera della Solidarietà “ si diffonda sempre di più, affinché gli operatori della Papa Giovanni XXIII riescano a salvare un numero sempre maggiore  di bambini  orfani dell’AIDS, in quanto sono i più indifesi e i più esposti ai pericoli della violenza e delle malattie, dalla strada e dalle situazioni di abuso fisico e psicologico.
 
CHIAMA L'AFRICA
 
Carissimi, sono passati diversi mesi dall'ultima assemblea in cui -giustamente- guardando i bilanci economici, era stato lanciato una sorta di grido d'allarme sull'esistenza stessa di Chiama l'Africa. Durante questi mesi diversi di noi si sono incontrati insieme per cercare di trovare soluzioni concrete che permettano a Chiama l'Africa di continuare a lavorare con un minimo di mezzi sufficienti. Innanzitutto si è fatto il campo di lavoro. É stata un'esperienza molto positiva guardandola sia dal punto di vista dei partecipanti, sia dal punto di vista del risultato economico. Sono venuti da diverse parti d'Italia ragazze e ragazzi molto motivati, con la voglia di conoscere la realtà africana e di impegnarsi anche in seguito, finito il campo. L'unica nota dolente - se così si può dire - è stata la mancanza di partecipazione da parte di gruppi aderenti a Chiama l'Africa. Il risultato economico e di animazione lo possiamo definire più che positivo. La città di Parma ha risposto molto bene e siamo riusciti a portare finalmente in attivo il nostro bilancio, che anzi potrà crescere con la vendita dei tanti oggetti che abbiamo raccolto. Ciò non significa che i problemi economici di Chiama l'Africa non rimangono e che non dobbiamo trovare delle soluzioni che ci permettano di continuare la nostra avventura. Per questo un gruppo coordinato da Giambe Colombo sta prendendo contatti in varie città per trovare forme di finanziamento su progetti specifici di animazione. Pur restando queste difficoltà oggi noi ci sentiamo impegnati in maniera particolare a continuare il nostro cammino. Tutti voi avrete notato che, anche a partire dal G8 di Genova, l'attenzione nei confronti dell'Africa è molto cresciuta. Oggi essa è vista come l'emblema della disuguaglianza, il simbolo di un mondo ricco che lascia ai margini milioni di persone, e la denuncia vivente di un sistema globale ingiusto. I riflettori si sono accesi sul continente africano e, proprio per questo, dobbiamo stare particolarmente attenti ! Il pericolo di un approccio neocoloniale da parte dei paesi ricchi con la giustificazione dell'aiuto allo sviluppo è più che mai dietro l'angolo. Anche sotto la spinta di gruppi di solidarietà e di missionari che di questo approccio si fanno paladini.
Per questo Chiama l'Africa va rilanciata. E alla grande!
Intanto sta andando avanti, con l'aiuto e la collaborazione della Provincia di Parma e della Regione Emilia Romagna, il Progetto di Mario Ghiretti che realizzerà un evento particolare sull'Africa da proporre alle scuole medie superiori. Il progetto è già a buon punto e speriamo nel giro di qualche mese di avere pronto questo evento che sperimenteremo innanzitutto nelle scuole di Parma e dell'Emilia Romagna, ma che poi sarà esportabile dappertutto. Come ricorderete nella scorsa assemblea era stato deciso di portare la quota di adesione a Chiama l'Africa da £. 500.000 a 1.000.000. Questo per tentare di mettere insieme quel tot necessario alla sopravvivenza della segreteria. Sappiamo bene che anche questa decisione non è sufficiente e che, quindi, è necessario rilanciare l'adesione a Chiama l'Africa sia da parte di gruppi e associazioni, sia  - e questa è la novità - da parte di singole persone. Lanceremo nelle prossime settimane una campagna di adesione individuale con lo slogan : «Chiama l'Africa. Ci sto anch'io» chiedendo ai singoli di "tesserarsi" versando una somma minima di £. 50.000 annue. Questa proposta può venire incontro anche a quei gruppi e associazioni che fanno fatica a raggiungere la somma di 1 milione per l'adesione. Basta trovare dieci adesioni individuali e il mezzo milione in più è già raggiunto. Naturalmente al momento del lancio della campagna di adesione vorremmo che tutti i gruppi che fanno riferimento in qualche modo alla nostra campagna si impegnassero a raccogliere il maggior numero di aderenti possibile. Per quanto riguarda il programma di lavoro, ci pare vada rilanciato l'impegno contro le guerre dimenticate, i bambini soldato e le armi leggere. Su questo rilanceremo al più presto in Parlamento. Cercheremo di rifare la mostra sulle guerre dimenticate, che ha bisogno di essere rivista, per avere uno strumento idoneo per questa campagna. Continua nel frattempo l'impegno per il Congo dopo il viaggio a Butembo. Si sta preparando una seconda missione per il febbraio del 2002, questa volta a Kishangani mentre nel prossimo mese di dicembre dovrebbe aver luogo un grande momento di incontro sul tema dei diritti umani in Africa al quale parteciperanno personalità sia europee che africane. Per ora abbiamo la presenza certa di Joseph Ki-Zerbo, Ignacio Ramonet (direttore di Le Monde Diplomatique), di Mario Agostinelli, Francuccio Gesualdi, e di altri. Appena avremo la certezza della sede, vi faremo avere il programma. Comunque tenetevi liberi dal 7 al 10 dicembre p.v. Ricordiamo che è sempre a disposizione il sito della campagna (www.chiamafrica.it) sia per le ultime informazioni, sia per pubblicizzare le varie iniziative che avvengono sul territorio. Mandate tutto in segreteria (info@chiamafrica.it - fax: 0659600533) e da qui le rilanceremo sul sito. Rilanceremo anche il foglio di collegamento, ma questa volta «per questioni di tempo e di denaro» lo faremo quasi esclusivamente per via informatica. Sono nel frattempo in programma incontri con diverse associazioni, prime fra tutte i sindacati, ma anche ad esempio l'UISP (associazione di promozione dello sport) per fare insieme nel prossimo anno diverse iniziative sul territorio. É importante che nel 2002 si trovi una giornata (una sorta di Africa day) in cui tutte le associazioni e tutti i gruppi di riferimento di Chiama l'Africa facciano in quel giorno iniziative sul territorio. Ma di questo come delle proposte precedenti, avremo modo di discutere nella prossima assemblea, che si terrà nel mese di novembre e che proprio perché vuole essere un'assemblea di rilancio, sarà particolarmente importante. Nessuno dovrà mancare. Quando, alcuni anni fa, ci siamo lanciati in questa avventura, non avremmo immaginato tutto quello che dietro ad essa è nato. L'Africa, un po' alla volta, ha assunto una nuova fisionomia e l'interesse nei suoi confronti è andato aumentando. In molte città nascono iniziative che si richiamano a Chiama l'Africa, anche senza nessun rapporto diretto con la segreteria centrale. E ciò è particolarmente significativo perché manifesta quanto la campagna, pur con i suoi mezzi limitati, abbia fatto cultura. Oggi siamo ad una svolta che chiede un supplemento di impegno e, diciamo così, una sorta di colpo di reni per far fronte a questa nuova situazione. É vero che siamo limitati. É vero che abbiamo pochi mezzi. Ma non possiamo tirarci indietro. Comincia il bello. Buon lavoro. (Eugenio Melandri)
 
MARCIA DELLA PACE: GREENPEACE METTE IN GUARDIA SUL PERICOLO NUCLEARE NELLA REGIONE ASIATICA
 
Greenpeace era presente alla Marcia della Pace, con un grande striscione raffigurante una bomba nucleare che divide in due la Terra e lo slogan "Rischio nucleare, ora basta!" ha voluto  esprimere la preoccupazione per il rischio di una possibile escalation delle tensioni nella regione. Il Pakistan e' una delle nazioni asiatiche che posseggono la bomba atomica, come la vicina India. "Il rischio che il controllo degli arsenali nucleari in questo Paese  sfugga di mano e' oggi più che mai attuale - ha dichiarato Domitilla Senni, direttore generale di Greenpeace - per questo ritieniamo  che la immediata  ratifica del CTBT (Trattato sulla messa al  Bando dei Test Nucleari) e un piano avanzato per lo smantellamento totale delle testate nucleari debbano essere fra le priorità della comunità internazionale". Ad oggi solo Francia e Gran Bretagna hanno ratificato il CTBT, diversamente da Stati Uniti, Russia, Cina, Israele, India e Pakistan: non essendo stato ratificato da un numero sufficiente di Paesi, non e' quindi ancora entrato in vigore. Secondo un rapporto elaborato  dal Centro di studi ambientali dell'Università di Princeton per conto di Greenpeace, le armi nucleari attualmente in possesso del Pakistan, sono quelle a fissione di uranio di prima generazione, paragonabili per potenza alle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Per sganciare le sue testate nucleari, dispone di aerei di produzione americana (F-16), missili con gittata di 30 o 300 chilometri acquistati dalla Cina (M-11, Haft 3) e missili dalla Corea del Nord (Ghauri e Shaheen). Questi ultimi, sperimentati una volta sola, hanno una gittata compresa tra 750 e 2000 chilometri. Un arsenale che  passerebbe sotto il controllo delle fazioni integraliste qualora queste andassero al potere in Pakistan.Il Pakistan ha iniziato a dotarsi di armi nucleari nei primi anni '70, mentre i primi test atomici indiani risalgono a maggio '74. I loro programmi trovarono inizialmente difficoltà per le pressioni statunitensi, cadute però nel '79 con l'occupazione sovietica dell'Afghanistan, quando gli Stati Uniti finanziarono massicciamente il Pakistan, fornendo anche armamenti.A metà degli anni'80 il Pakistan ha prodotto uranio arricchito adatto per essere impiegato nelle bombe atomiche.L'ultimo test atomico, condotto nel '98, ha sprigionato, secondo fonti pakistane, una potenza di 40 chilotoni, mentre fonti indipendenti parlano di 5-10 chilotoni massimo. In ogni caso, si parla dello stesso potenziale che ha distrutto Hiroshima e Nagasaki. Si stima che il Pakistan disponga attualmente di 60-70 testate nucleari, ma altre 35 potrebbero essere prodotte grazie all'uranio arricchito prodotto negli ultimi anni.Greenpeace sottolinea che e' difficile che il Pakistan rinunci alle armi nucleari se l'India non farà altrettanto, ed il governo indiano ha vincolato la propria  politica a quella delle altre potenze nucleari.
 
GLI APPUNTAMENTI DEL GRUPPO RETE RADIÉ RESCH DI VERONA
 
Vi proponiamo delle date per i prossimi incontri mensili di autunno: mercoledì 24 ottobre ci troviamo alla Casa della Nonviolenza (via Spagna 8 - Verona) alle 21 a parlare di Rete Lilliput e del nostro impegno come associazione al suo interno. In seguito organizzeremo un incontro con un testimone veronese, con padre Raffaello Savoia, un comboniano in casa madre dopo 31 anni di Ecuador, proprio per parlare di Ecuador e della sua situazione: puntiamo a venerdì 23.11, nella sala di Nigrizia (vicolo Pozzo, 1 - Verona), ma la data potrebbe cambiare perché l’incontro è solo abbozzato. Ed infine l’incontro di dicembre come gruppo Rete Radié Resch alla Casa della Nonviolenza  (via Spagna 8 - Verona) potrebbe essere venerdì 14 dicembre. (Per Informazioni: dinopoli@ferrarisvr.it)

 
SORRISI (pochi) & CEFFONI
 

LA NINNA NANNA DE LA GUERRA

Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna

dormi, dormi, cocco bello,sennò chiamo Farfarello                           

Farfarello e Gujermone che se mette a pecorone,

Gujermone e Ceccopeppe che se regge co’ le zeppe,

co’ le zeppe d’un impero mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno chè se dormi nun vedrai

tante infamie e tanti guai che succedono ner monno

fra le spade e li fucili de li popoli civili.

Ninna nanna, tu non senti li sospiri e li lamenti

de la gente che se scanna per un matto che commanna;

che se scanna e che s’ammazza a vantaggio de la razza

o a vantaggio d’una fede per un Dio che nun se vede,

ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro.

Chè quer covo d’assassini che c’insanguina la terra

sa benone che la guerra è un gran giro de quatrini

che prepara le risorse pe’ li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello, finchè dura sto macello:

fa la ninna, chè domani rivedremo li sovrani

che se scambiano la stima boni amichi come prima.

So’ cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti:

torneranno più cordiali li rapporti personali.

E riuniti fra de loro senza l’ombra d’un rimorso,

ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro

pe’ quer popolo cojone risparmiato dar cannone!

(Trilussa: ottobre 1914)
 

 
PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(centrostampa@cdg.it - Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventotto anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da qualche tempo usufruisce di permessi premio e di lavoro esterno semilibertà svolgendo attività di Tutor presso la Comunità “Casa Del Giovane “di Pavia. E’impegnato in attività sociali e culturali con scuole, parrocchie, associazioni e movimenti culturali. E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, ha conseguito circa 80 premi letterari, pubblicando libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia. Ha pubblicato: “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli;  “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia. “Oltre il carcere” è un libro che tenta di camminare sull’esperienza dell’autore, senza per questo rimanere prigioniero della presunzione di insegnare nulla a nessuno.Ci sono pagine che raccontano quanto avviene e spesso non avviene all’interno del perimetro carcerario. Atteggiamenti e gesti che vorrebbero provocare in ognuno un cambiamento per raggiungere secondo le proprie capacità quella necessaria consapevolezza per rimediare alle ferite inferte alla vita. Avamposti della memoria per i più giovani, sui rischi della trasgressione, nell’affidarsi ai valori estremi delle passioni estreme, votate all’annientamento. C’è il progetto di un percorso comunitario che può diventare stile di vita al servizio degli altri, apprendendo l’arte dell’ascolto e della promozione umana, attraverso l’impiego del sapere e del sentire, per una rielaborazione delle proprie esperienze vissute.
Ergastolo
"I ricordi sono un plotone di esecuzione in linea di tiro”. Ergastolo, "fine pena mai", il dazio da pagare per il male fatto agli altri, una pena che affligge, punisce e separa dalla collettività. Una pena che sancisce la fine di un tempo che non passa mai, un tempo che non esiste. Che non ti assolve. Ergastolo, secoli di dolore racchiusi in anni a venire già chiusi e conclusi in se stessi, anni di introspezione, parossismo di un'esistenza che non c'é più, oltre le tante e troppe parole dette in fretta proprio per non dire nulla. Ergastolo; sbarre appese alla memoria per ricordare; 30 anni di carcere scontato non sono un'astrazione né una combine della mente, decenni su decenni di ferro sbattuto sui rimorsi che lasciano un segno, un'apnea che restringe i polmoni e costringe l'uomo a straripare in universi sconosciuti. Ora dopo ora, un mondo fatto di domani che non ci sono, una negazione che rinvia alla morte di ogni umanità, creatività e fantasia. Vorrei esser capace di esprimere ciò che ho dentro, ciò che mi porto dentro, nella ricerca di una dimensione che non possa coincidere solamente con la fisicità della segregazione, o con un modello culturale basato sull'esclusione e su una condanna che diviene alterazione del tempo e dello spazio, persino dei sentimenti. In questo mio " fine pena mai", di tante altre storie blindate e anonime, vissute in maniera drammatica, giorno dopo giorno, momento dopo momento, il passato ricompone la sua trama e passato – presente - futuro, sono lì, ben allineati nell’attimo fuggente e immobile, senza domani. Sono in carcere da 28 anni e la scena su questo palcoscenico sotterraneo di carne e sangue, di palpiti e slanci in avanti, repressi, é lo specchio di un qualcosa a cui nessuno intende guardare. In questa imposizione di un tempo vuoto, lontano, sconosciuto, definito tempo perché convenzionalmente fa comodo così. Per mio conto e, un gradino al di sotto di chiunque altro, ho ritrovato brandelli di me stesso scomparsi, e come nelle foreste pluviali intagliano gli alberi per raccogliere in un secchio la gomma, io non faccio altro che raccogliere nelle mie pagine i miei tagli. Nonostante il carcere e questa pena che scorre circolarmente - in un inseguimento a ritroso ed eterno - imprimo alle mie orme il senso di una capacità di partecipazione, di accoglienza, in un sentire che sento stare in noi, perché é autentico e non perché si é disperati. Per sfuggire gli attimi in cui ci si sente estranei tra tanti, alienati a tal punto da non capire più nulla, da non sentire più niente, da non riconoscere chi siamo e chi ci sta intorno, divenendo corpi morti. A volte una cella, uno spazio chiuso fa strani effetti, ti riduce, restringe e limita, ti spegne. Ma a fronte di questa morte annunciata, della galera cosi com'é, c'é questo sorprendente incontro con gli altri che ci attende, c'é lo stupore di ritrovarsi al cospetto dell'universo interiore che é in noi, il quale ci conduce sul sottile confine che delimita la scelta di rinnovarsi, di cambiare, ricorrendo alle proprie forze segrete, alle proprie energie spirituali, per tentare di essere un uomo libero nonostante le catene ai polsi. L'ergastolo che sto scontando da tanti secoli é dentro di me, lo riconosco, é un mio compagno di viaggio, é la parte oscura di me,  e con le mani in avanti per tentare un allungo oltre la razionalità della mia colpa,  divenuta un macigno che pesa sulla coscienza, intravedo sequenze che mi scorrono sulla pelle, incidendo a sangue ciò che sono stato, ciò che é stato. Ciò che oggi sono. Ho avuto tempo e silenzi assordanti per pensare ai miei fantasmi, alle mie tante morti tutte in fila per tre. Sono rimasto a lungo piegato su questa morte civile, osservando il perimetro che mi circonda come a una macchia incolore, una specie di schema freddo e sintetico: colpa – pena - punizione. Uno spazio essenziale, spogliato di ogni riferimento, ove l'anima urla davvero, persino quando rischia di non esser udita, perché soffocata dalle sue stesse grida, imprecazioni, dal suo stesso sanguinare. Guardo all'ergastolo che mi porto addosso, al suo interno non esiste principio né fine, né prima né dopo, cioè alcun tempo. Né sopra né sotto, cioè alcun spazio. Una dimensione di assoluto e di niente, di vuoto e di pieno, di peccato e di disgregante follia. Eppure esiste una linea di confine alla ragione, é questa cella con arredi spogli, poveri, insignificanti, ma a ben guardare, nel lungo tempo a camminare in ginocchio, divengono segni importanti, per accorciare la distanza tra questa morte tramandata e la speranza dell'avvenire che mi cresce dentro.  Questa condanna, così oscura, tetra, dura a tal punto da rasentare l'incubo, fino a farti ammuffire più del tetto-cratere di questa prigione, incontro e ritrovo un'umanità che infine vive. In questa cella dapprima sconosciuta e nemica, ho capito che essa mi appartiene ancor più della mia colpa che non arretra. Questo cubismo astratto, che ho trasformato in un percorso corporale e spirituale, questo recinto - lontananza siderale dall'essere - ho imparato ad accettarlo come mio intorno, a colorarlo con il lavoro, la poesia, la mediazione, i rapporti umani finalmente sbocciati, mantenuti e cresciuti. Ho scavato con le dita rotte, mi sono inerpicato sulla salita, sino a fare diventare questo "ergastolo" un tempio, ove recuperare non solo nel trascendente della fede, che ogni individuo professa, ma fors’anche e soprattutto su ciò che in ciascuno incombe: la responsabilità di "ritrovare e ricostruire se stesso".  Ci sono momenti in cui il panico mi assale, mi paralizza, mi terrorizza, nel rendermi conto di come io abbia fatto diventare la condanna delle condanne un "mito", nel tentativo di modificare questa dimensione disumanizzante in un luogo ancor aperto ad alternative di conoscenza e mutamento interiore. A volte la follia, la perdita di memoria, é una scelta individuale per non vedere, per non sentire; lo so bene io. Ecco che allora aprire gli occhi e saperli poi abbassare, consapevole delle mie stanchezze e lentezze, diviene un gesto, un comportamento e azione che superano di gran lunga lo spauracchio di quel “mito” costruito a mia misura. Sono passato per tante notti insonni, chiedendomi quando sarebbe giunto il momento di " esistere" a fronte dei chiavistelli. Ossessionato dalla tragedia che mi incombe, dalle Antigoni che non mi appartengono, ho vagato per campi minati, aggrovigliato nel filo spinato, facendomi male, in una sofferenza per lo più amministrata, imposta e comunque mai partecipata. Mai vicina a un dolore "vissuto in due". Appoggiandomi ai lampi di vita incendiati e dispersi ho camminato ancora, per capire che importante "non é esserci" ma ciò che si é, ciò che sono e devo essere, per reinventarmi una vita, un’occasione per riparare in qualche modo a  ciò che é stato. Alle mie spalle danzano gli anni vissuti con i pugni chiusi, tento di fuoriuscire e sospingermi avanti, al di là della gabbia che mi circonda, per testimoniare  la differenza dell'uomo di oggi dall'uomo della condanna, dall’uomo della pena, proprio perché in questo presente la sola libertà che conosco presuppone  verità per i miei errori e amore per gli altri. Ergastolo io lo sto scontando, nei miei nuovi impegni e nelle mie nuove responsabilità; sebbene sottovoce mi convinco che occorre affidarsi a una pena che sia solo un tragitto di vita, e non una mera sopravvivenza; una sofferenza fine a se stessa. Una pena che parta dalla dignità della persona, dalle sue capacità e risorse che, nel rispetto di una doverosa esigenza di giustizia della vittima, ricerca e scopre nuove occasioni di riscatto e riparazione.

Progetto Sorriso - Salvador

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.


altrePAROLE

Non è la prima guerra. Prima ci sono state altre guerre.Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente (Bertolt Brecht)

«... Generale, l'uomo fa di tutto. Può volare e può uccidere. Ma ha un difetto: può pensare» (Bertolt Brecht)

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